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Autore: Jo Scrive    17/10/2012    2 recensioni
Mi è venuta in mente questa storia dopo aver letto Green, che adoro *OOO*
L'avrò letto sì e no 18273638281273271 volte :')
Comunque, eccovi la trama: Annabell Davis, giovane ragazza di Amburgo, viene catapultata in un mondo a lei tutto nuovo, dopo la morte dei genitori in un incidente stradale.
Si trasferisce a Londra a casa degli zii e dei tre cugini: Iris, Sophie, e Nathan.
Loro sono la tipica famiglia ricca di Londra, e Annabell non può certamente desiderare di meglio.
Ma tutto cambierà, la sua vita non sarà più la stessa...
Crea dipendenza, provare per credere
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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vvvvvvvvv

Io e Nathan avevamo creato il portale, okay. C’era un po’ di casino, e okay. Ma Jason, il gran figo, mi aveva baciata! Come poteva essere possibile? Cosa c’entra con la mia vita?! Feci un rapido ragionamento stile Karol, del quale mi vergognai immediatamente, perché, e non so come, mi
venne un pensieruccio… bacerò un figo. Forte! Scacciai quei pensieri dalla mente, molto meglio. Mi sdraiai sul mio letto, sbuffando.

– Lo conosci? – chiese curioso Nathan, anzi, impertinente.

– Ehm… gah. – dissi io, balbettando con la lingua intorpiata

Nathan incrociò le braccia, e mi guardò storto

– Che c’è?

– Dimmi tutto. So che lo conosci. Anche bene, da quello che ho visto.

– Te lo giuro, l’ho visto solo una volta!

Mi guardò come prima

– È vero!

– D’accordo, per ora ci credo.

Sbuffai. Nathan si passò una mano tra i capelli, che gli rimasero all’insù. Anche lui era un gran figo. Quegli occhi, i capelli, il fisico… no basta! Mi dissi. Non potevo diventare come Karol. E poi lui era mio cugino. Evidentemente si accorse che lo fissavo. Speravo che non leggesse anche nel pensiero.

– Okay, parliamo di quello che è successo… – iniziai

– Parliamo. – disse lui

– Allora. Secondo me, Julia sapeva che avremmo fatto il salto. È probabile che, facendomi vedere i miei genitori, mi abbia volutamente fatta deprimere, e sapendo che nell’animo di una nota, cantare è fondamentale… mi stai ascoltando?

– Oh, ehm… si, si.

– Io sto concentrando tutta la mia possibilità di ragionare, con te che sei un figo davanti ai miei occhi, e tu non mi ascolti nemmeno?

Rise – Ti sto ascoltando, cugina! E… lo so che sono un figo.

Arrossii – E va bene… per ora posso anche crederci. Dunque, dove ero arrivata?

– Cantare è fondamentale…

– Ah, sì. Dato che per una nota, cantare è fondamentale, per qualsiasi cosa, anche la più stupida, deve aver previsto che ci saremmo messi a cantare e quindi avremmo creato il portale…

– Okay. Io, non ci ho capito niente.

Schioccai la lingua, contrariata. – Beh, se mi ascoltassi.

– Ti sto ascoltando! Ma parli troppo veloce!

– Ah, perdono.

– Perché comunque era un… diciamo… universo ribaltato?

– Non lo so. – ammisi – So solo che a parer mio, Julia vuole che andiamo dai Custodi. È l’unico modo per capire tutta la faccenda.

– Aspetta. I Custodi?

– Si! Te ne ho parlato prima che iniziassimo a cantare…

– Ah… – scosse la testa – ma dove sarebbero?

– Julia ha detto che sono nel Big Ben. Ha detto di chiedere!

– Ah, immagino la scena: ehm, mi scusi, signore. Sa se in questa torre c’è una porta dorata o un ovale verde che suona una nota musicale con gente che ha gli occhi come Edward Cullen? – disse imitando una voce di una persona importante. Io scoppiai in una sonora risata.

– Ah, ma ci vedi? Noi, a fare una roba del genere? Io non chiedo niente.

– Ehi, bella. La più importante sei te, non mi contraddire.

– Ma tu sei il più grande, giusto?

– Ah… eh… ih…

– O, u ipsilon! Bom bom bom bom! – lo derisi io, girando gli occhi. – Ti ho beccato.

Lui sbuffò. – Ma guarda cosa mi tocca fare…

Gli diedi un bacio sulla guancia – Bravo il mio cugino grande!

Rimanemmo per un po’ a prenderci in giro, ad imitare le voci di film, ma evitando qualsiasi nota musicale. Non potevamo rischiare ancora. Parlammo per lunghissimo tempo, senza stancarci. A furia di ridere mi era venuto mal di pancia. Anche a lui sembrava essere la stessa cosa perché si teneva la pancia, dolorante. Io feci delle battute, della serie: “Oh mio Dio! Il bambino come sta?”e cose di questo tipo. Lui mi prese in giro per la “r moscia” come la chiamava lui. Io continuavo a ripetergli che non era moscia, ma era la “r” tedesca, che ti viene così già da quando pronunci la prima parola in tedesco, ma lui non capiva, né tantomeno riusciva ad imitarla, essendo un inglese D.O.C. Si divertiva ad inventare parole in “tedesco”, o quello che poteva somigliare ad un elfico. Secondo lui il tedesco era tutto scatarramenti, per cui iniziai a insegnargli delle cose piccole, le basi, come i colori, o gli animali. Alla fine, parlammo per tantissimo tempo, e si udivano tintinnii di piatti, posate e bicchieri.

– Okay, non posso scappare e saltare anche la cena… – dissi, poi mi rsi conto di quello che avevo appena detto – Aspetta… la CENA?

– Già, il tempo vola!

– Se cerco di scappare inchiodami con la forza al letto, d’accordo?

– Ci sto! – mi strinse la mano, e scoppiammo ancora a ridere. Se la mia milza avesse potuto parlare al momento, mi avrebbe di sicuro urlato le bestemmie più pesanti che esistono al mondo. Avevamo tanto in comune, io e Nathan. Eravamo tanto simili, in aspetto e carattere, che avremmo potuto essere fratelli. Nah, non era possibile. Lo guardai sorridere, e mi si scaldò il cuore. Era così… non so. Aveva qualcosa di particolare, oltre alla splendida voce e alla simpatia. Ma che cosa?
In quel momento, entrò nella camera aprendo la porta di colpo, Iris, la mia cuginetta.

– Ehi, ragazzi! Vi si sente ridere dal piano di sotto. – esordì.

Io e Nathan ci guardammo e scoppiammo a ridere ancora.

– Ragazzi! Sono ore che ridete! Tra poco la vostra milza farà le valigie e scapperà!

– Esatto! – Dissi, con le lacrime agli occhi, e con una voce da sbronza – Proprio così!

– Sorellina, hai ragione. La mia milza sta implorando il tuo aiuto! – disse Nathan, asciugandosi le lacrime. Stavamo piangendo, tutti e due, dal ridere. Non ce la facevo più.

– Comunque… – iniziò Iris – sono venuta ad avvisarvi che papà vuole parlare ancora a tutti, anche per riparare al disagio che si è verificato questa mattina…

– Iris… va tutto bene? – disse Nathan – Come parli?

– Come dovrei parlare fratellone? Sto riferendo un messaggio.

– Ahm… arriviamo subito. – Mi guardò e scoppiammo a ridere ancora. Iris roteò gli occhi.

– D’accordo. Calmatevi, poi scendete, okay? Basta che non ci mettete millenni, però, eh?

– Ci proveremo. – le assicurai io, ma non ero per niente convinta.

– Lo sai come è papà, Nat.

– Si, Iris. Ci diamo una calmata e arriviamo. – mi guardò, additandomi con fare che, magari se non avessimo riso per ore, poteva sembrare minaccioso – Basta che te, anche se vedi i portali non lo dici, cugina!

– D’accordo, li ammirerò in silenzio. – Dissi, e poi scoppiai a ridere, ancora. Non ero sicura di riuscire a smettere. Mi conoscevo. Partivo a ridere, e chi mi fermava più.

Iris roteò gli occhi, come per dire: “non ce la faranno mai”, ed aveva ragione. Io e Nathan tornammo seri, e poi scoppiammo a ridere ancora.

– Okay, cugino. Dobbiamo farcela! – dissi io

– Lo sai che non ce la faremo.

– Intanto hai smesso!

– Hai ragione! Ho smesso! – Urlò, abbracciandomi.

– Ehm… – gli diedi dei colpi sulla spalla – andiamo – mi alzai e gli tesi la mano. Lui la prese e scendemmo. Ci avevamo messo DECISAMENTE troppo poco tempo. Scendemmo le scale. Sempre nello stesso punto suonò. Una nota.

– Ma che palle! – urlai

– Che c’è?

– Ancora quel portale! Non ce la faccio! – improvvisamente sentii un dolore ancora a quella benedetta spalla sinistra. Mi sentii svenire.

– Cugina, fai finta di nulla – mi disse all’orecchio. Mi prese la mano e la mise sul suo fianco. – Ti tengo io.

– Grazie… ehm… mille… – riuscii a dire

– Andiamo.

Con un grande sforzo, scendemmo le scale. Nathan mi sorreggeva, e mi indicava la strada. Odio apparire debole, ma in quel momento non avevo scelta. Il dolore era intenso più che mai. Non avrete mai sentito un dolore del genere, e spero che non lo sentiate mai. Era come se, dal collo alla spalla, mi stessi prosciugando, oppure come se mi avessero versato dell’acido sopra. A malapena mi reggevo in piedi, e quel poco che riuscivo a fare, era tutto merito di Nathan. Giungemmo finalmente nella sala da pranzo. Nathan mi fece sedere su una sedia sul lato destro del tavolo da pranzo. Se Iris era sembrata diversa prima, ora era molto peggio: parlava con Sophie! Allegramente! Non era possibile. Non appena Nathan mi mollò, il dolore ricominciò, se possibile, più intenso di prima. Io mi strinsi la spalla.

– Che le succede? – Chiese lo zio

– Ha dolore alla spalla sinistra! Le tue conoscenze di medico possono aiutarla, papà? – chiese Nathan, altamente preoccupato.

Fantastico. Lo zio ha anche conoscenze mediche?

Mi venne vicino, e toccò la mia spalla. Un brivido mi percorse, come se mi avesse congelato dalla spalla in poi, tutto il lato sinistro del mio corpo – Dobbiamo stenderla, prima di tutto.

Mi fece accomodare sul divano, ma non capii benissimo quello che successe dopo, perché ero in bilico tra la sanità mentale e l’incoscienza. Di più l’incoscienza. Ero come stata drogata. Sentivo ogni tanto la voce di Nathan, preoccupato. Iris, non la sentivo. Sophie… boh, zia non era in casa, la voce e le dita dello zio sulla mia pelle. Vuoto.

 

Mi risvegliai dopo non so quanto tempo, ma probabilmente non dovevo essere sveglia.

– Dobbiamo evitarlo, ad ogni costo!

– Sssh, zitto, o si sveglierà!

– Lei non deve sapere niente, di tutto questo! E nemmeno Nathan! – riconobbi la voce dello zio, e della zia.

Cosa non devo sapere? E cosa c’entra Nathan?

– Non possiamo permettere di rovinare tutto! E’ andato tutto bene, fino ad ora, lei non sarebbe nemmeno dovuta nascere, così come Nathan!

Poi, il vuoto, di nuovo.

 

Mi risvegliai nel mio letto, ancora una volta senza la cognizione del tempo. Nathan era seduto di fianco a me, e mi teneva la mano.

– Ehi, bentornata nel mondo dei vivi, cugina!

– Che… cosa…?

– Sssh, tranquilla, non ti sforzare.

– Ma tu… io… che…? – cercai di alzarmi, ma ero come paralizzata. Nathan mi mise il dito indice sulle labbra, si avvicinò e mi baciò la fronte e mi accarezzò i capelli. Si sdraiò di fianco a me – Sssh, cugina, riposa.

– Non… devi… lo zio… e…

– Cugina, non ti preoccupare, stai bene! – mi interruppe, ancora. – Non si sa cosa ti è successo, ma sappiamo solo che stai bene ora.

– Nathan… lo zio… nascere… no…

– Eh? Annie, non ti spieghi… tranquilla – mi baciò ancora la fronte – io starò qui, fino a che non ti passa, okay?

– Si… quanto…?

– Sei rimasta priva di sensi due giorni… non sono andato a scuola, papà mi ha fatto un permesso speciale…

– Gra… zie…

Avete presente quelle persone che non riescono a formulare una dannatissima frase? Ecco, così mi sentivo. Avrei voluto dire a Nathan che suo padre aveva chiaramente detto che non sarebbe dovuto nascere. Avrei voluto dirgli di andare a cercare i Custodi, ma non ci riuscivo. Sarei riuscita a dire solo: “Torre… persone… lo zio…” e lui, giustamente, non ci avrebbe capito nulla. Non volli abbandonare la conversazione così.

– Iris… Sophie… lavaggio…? – dissi, ma me ne pentii subito. Nathan si sforzava di capire, ma proprio a questa! Iris, Sophie, lavaggio? Non si avvicinava nemmeno a quello che volevo realmente dire!

– Lavaggio di… cosa, esattamente?

Incredibile ma vero. Nathan stava riuscendo a capire. Ma come faceva?

– Non… so… preciso…

– Oh…

– Cervello… non… comporta… sì…

Bello. Del “così” era venuto fuori sì. Bello.

– No, non credo! Il lavaggio del cervello?! Annie, ma come ti vengono? – sorrise

– Diversa… prima… sala…

Okay, mi stavo innervosendo. Non è che lo zio mi aveva congelato le corde vocali?

– No, tranquilla. – disse Nathan, come se mi avesse letto nel pensiero. Ah, no, era la risposta alla “domanda” (che coraggio a chiamarla così) che avevo fatto prima. Magari l’aveva fatto anche a me il lavaggio del cervello…

– Comunque, cugina. Devo parlarti della scuola. – esordì Nathan, dopo essersi schiarito a dovere la voce.

Io roteai gli occhi. La scuola! Vi rendete conto?!

– Lo so che è brutto, così da dire… – si interruppe – ma andrai nella stessa classe di Sophie.

Eh?

– Lo so che non l’hai sentita molto parlare, ma lei è così! È anche un po’ scorbutica, devo ammetterlo.

Beh si.

– E… andrai alla Canons High School, così ha deciso papà.

ANCORA A SCUOLA?!? AIUTO!

Sbuffai. – Ma è anche la tua di scuola? – chiesi. Ehi, un secondo… ho chiesto?! – riesco a parlare! –  urlai entusiasta – vediamo… –  feci una delle cose più assurde che potessi fare, ma, sapete, è l’enfasi del momento. Mi schiarii la voce, e feci una rapida scala di do maggiore, per testare la voce, solo che, ignorante come ero, non sapevo che avesse portato a quelle conseguenze. Anzi, non l’avrei neppure immaginato. La scala era venuta benissimo. Nathan mi guardò con sguardo severo, quando, subito dopo, nella stanza si udì un forte vento. Da dove diavolo arrivava quella bufera? Mi alzai dal letto, non mi faceva più male la spalla, ma non avevo tempo per pensarci, in quel momento. Ero in pigiama… aspetta. Chi me l’aveva messo addosso il pigiama? Quando sono… ehm… “morta” avevo i vestiti  addosso, ne sono sicura! Tra l’altro non era nemmeno mio! Mi misi le ciabatte a coniglietto rosa, che non erano mie, ovviamente, e mi alzai.

– Basta! – tuonai severa. Mi ero sinceramente rotta di tutto ciò. – Andremo dai Custodi, va bene? – dissi. Subito dopo il vento si fermò di colpo, il male alla spalla c’era ancora, ma solo residuo. Le mie forze erano giunte al termine, anche perché c’è da dire che non le avevo ancora recuperate tutte. Caddi con un ginocchio a terra, e una mano sulla spalla. Nathan aveva visto tutta la scena, ed era perplesso e sbalordito allo stesso tempo.

– Chiudi la bocca, cugino. Sai, le mosche…

Lui obbedì. – Sì, è anche la mia di scuola.

  
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