Miele
Il polpastrello sfiora la corda arrugginita di una chitarra
color miele, il suono arriva amplificato all’orecchio di Emike che chiude gli
occhi e gira di una, due volte l’ultima chiave sulla paletta dell’acustica.
Sospira e poggia un gomito sul corpo in legno e con il palmo della mano si
sfiora il collo, poco più sù della clavicola la cinta in pelle morbida le
lascia leggeri segni rossi. Quando le sue dita scendono distrattamente a
toccare la cinta sorride e, con un’ unghia, gratta le incisioni che risaltano
in bianco sulla pelle color legno.
Emike sorride: sorride ai ricordi che le riaffiorano
spontanei nella mente; sorride quando s’impossessano totalmente dei suoi
sensi; sorride quando le immagini
appaiono chiare come se appartenessero ad un tempo da fermare a piacimento,
come fossero istantanee destinate a rimanere per sempre impresse sulla
cellulosa avorio; sorride anche quando quelle immagini si confondono, si
fondono e i ricordi diventano confuse macchie di colori e rumori e nomi. In
quegli occhioni azzurri c’è la sua storia per intero che si scrive e si sta
scrivendo anche in questo momento, si scrive mentre lei chiude gli occhi e li
riapre per osservare il ragazzo dai capelli neri che cammina al centro dell’arena,
si scrive mentre quel ragazzo si volta verso di lei e la saluta con il capo e,
quando lei sorride, quella storia si scrive nel suo sorriso diventando una nota
suonata a caso da una mano che sfiora distratta le corde di una chitarra color
miele.
Aàron è entrato per la prima volta nei ricordi di Emike la
sera in cui Imre ha bussato alla sua porta completamente ubriaco e scortato da
un ragazzo dai capelli scuri che insisteva a parlare di una camicia, di un
bancone e di un sedile in spugna su cui Imre si era messo a ridere e non aveva
smesso più fino a pochi minuti prima. Il ragazzo lo aveva preso sostenendolo
per le ascelle e depositato sul divano floreale della sala, si era seduto di
fianco a lui alzandogli le gambe e mettendosele in grembo e aveva tirato indietro
la testa con un sospiro liberatorio. Emike si era seduta a terra, sul tappetto
rosso, e lo aveva osservato. Lui si era
tolto il cappello e scompigliato la massa di capelli scuri schiacciati
sulla nuca, si era tolto la giacca in pelle lanciandola sul divano alle sue
spalle e si era guardato intorno studiando con finta curiosità il salottino.
Stufo di quel gioco si era voltato e l’aveva guardata negli
occhi. Era rimasto in quella posizione per due lunghi secondi in cui Emike
aveva tentato di entrare nelle iridi grigie del ragazzo per osservare da vicino
i suoi ricordi confusi, le sue macchie di colori. Lo ricorda in maniera quasi
maniacale, come un ossessione da curare e tenere in una teca in vetro lontana
da occhi altrui, le si è avvicinato e ad un palmo dal suo naso..
“Cazzo hai gli occhi più grandi delle palle di un toro!”
A quella distanza il grigio dei suoi occhi assomigliava
tanto alle nuvole che pochi giorni prima avevano portato solo tempesta e
sconvolgimenti, lapilli azzurri sgomitavano di fianco alla pupilla nera e
dilatata prendendosi il posto meritato in tutto quel grigio. Le alte
sopracciglia si erano inarcate e gli occhi spalancati e due fossette si erano
formate agli angoli di un sorriso meraviglioso.
Era entrato da poco meno di dieci minuti e le aveva già dato
della testa di cazzo senza alcun riserbo. Emike lo avrebbe preso a schiaffi e
cacciato di casa a calci nel di dietro se non fosse stato per la tempesta in
questione.
“Ci vivi da sola qui dentro?”
“Non proprio, Imre dorme da me ogni notte. In più da oggi mi
toccherà convivere con la tremenda puzza di idiota che ti sei portato dietro”.
Sorrideva Emike, sorrideva anche mentre gli dava del
cretino, mentre lo rimetteva a sedere e lo mandava a quel paese. Sorrideva
perché le piaceva allora e sorride perché le piace adesso. Quel ragazzo, Aàron,
dorme su quel divano da quella notte e per ogni notte successiva riempiendo
l’aria di cazzate e nuvole grigie di tempesta. Imre aveva detto che sarebbe
cambiato tutto con lui e che in un modo o nell’altro sarebbe rimasto tutto
uguale, non aveva assolutamente senso ma si era stupita quando, davanti a un
paio di occhi sbigottiti, aveva ammesso che in fin dei conti aveva ragione.
Aàron osserva Abigail camminare fra i vari mestieri con la
biottica in mano. Non alza mai lo sguardo e se lo fa è per sorridere. E’ bella,
i capelli corti rossi raccolti in una coda, un vestitino a fiori le copre le
gambe snelle fino al ginocchio, la giacca corta di jeans le affina la vita già
sottile di per sé. Ma quello che la rende bella è la sua aria sperduta, il suo
sguardo che vaga e che cerca e che trova. E’ come se non avesse limiti, come se
tutto ciò che lui ha avuto sotto il naso per anni e anni, sfuggendogli, per lei
diventasse degno di una fottuta foto. Ha sempre creduto che riuscisse a
cogliere tutto ciò per cui vale la pena perdere il sonno, c’è chi la vita la
prende con le pinze, lui ci si tuffa dentro e non trattiene il respiro, riempie
i polmoni di tutto ciò che lo porta all’annegamento. Eppure, lei, con quelle
sue foto..si può annegare anche in cose così piccole come quelle che vede lei?
Le palle di toro sono di quelle piccole cose in cui si può
annegare, se ne rende conto. Sono così dannatamente enormi, lo avvolgono, lo
soffocano e lui non riesce a tirarsi indietro. E’ uno sguardo così ingenuo il
suo, quella distesa azzurra è una calma piatta, mare e cielo sono la stessa
cosa, si confondono, l’uno diventa l’altro e l’altro diventa l’uno. Aàron prova
a trovare quella dannata linea di orizzonte ma più spinge lo sguardo a fondo
più capisce che non c’è, non esiste nulla che divida le due cose. Lei invece è
sveglia e anche furba e folle. In quella casetta minuscola, con il divano
floreale e il tappeto rosso e lampade ovunque; la chitarra color miele e la
cinta in pelle morbida, troppo morbida; le coperte immense e i cuscini,
ovunque, che ti soffocano. La pensi come una tipa confezionata, tipo uno di
quei pacchi regalo enormi, con milioni di fronzoli tra fiocchi e ghirlande e
cose così, uno di quelli che poi lo apri e quello che vedi uccide l’entusiasmo.
Odia i regali, odia le buste colorate o i bigliettini con i pupazzetti sopra,
con i loro sorrisetti allegri e le faccette simpatiche, odia tutto ciò che di
finto sovrasta il reale valore degli oggetti e delle persone. E’ uno che ci
tiene a certe cose, uno che, detto senza giri di parole, non vuole essere preso
per il culo.
Lei non è così, è uno di quei regali con i fiocchi e i
biglietti con i pupazzi dalle facce allegre che quando arrivi all’ultima
scatola rimani letteralmente senza parole. Al di là se ciò che c’è nel regalo
possa piacerti o meno lei ti sorprende comunque, mira a lasciare il segno, e lo
fa con la sua voce e la sua maledetta chitarra color miele che ti frega più di
tutto. La chitarra color miele e la cinta troppo morbida, lei le accarezza
appena quelle corde e loro, gridano, ti squarciano il petto e ti entrano
dentro. Uno ci potrebbe anche arrivare, la chitarra color miele ha le corde
troppo consumate, arrugginite e ci sono graffi, graffi ovunque e persino un
adesivo minuscolo con scritto qualcosa tipo <
Aàron la saluta e lei sorride. Emike sorride sempre, anche
quando lo guarda dritto negli occhi e vede i lampi e sente le gocce d’acqua
cadere e distruggere ogni cosa, anche quei barlumi di cielo azzurro, lei
sorride comunque. Trova sempre qualcosa per cui valga la pena dischiudere le
labbra e mostrare i denti bianco latte.
Dorme con lei ogni notte solo per potersi svegliare ed osservarla, senza sorriso, senza quegli occhioni enormi aperti su di lui; è l’unico momento in cui riesce a non perdersi in lei e guardarla per davvero.
***
Seeeeeeeeeera, dimenticavo che fosse giovedì, cioè non è che ci sia una data fissa per questa cosa, diciamo che pubblico quando sento che sia ora di pubblicare e oggi, beh lo era. Mi andava di farvi conoscere Emike, forse perchè sono in vena di quella chitarra color miele e delle note troppo forti per una ragazzina come lei, il suo viso è stato rubato a St. Vincent che è una donna che amo, amo dannatamente tanto, oltre ad essere bellissima è anche una buona musicista, non è il genere che prediligo ma non si comandano i propri gusti.
Cooooooooooomunque , troppe o ci sono..ho la schiena a pezzi, ho passato l'intera giornata a cercare qualche annuncio di lavoro e a lasciare qui e là annunci miei quindi spero che qualcuno risponda prima o poi..so che non vi frega niente ma devo scriverlo, giusto perchè la speranza non mi basta e chiedo anche la vostra.
Bene vi lascio che è ora di andare a cucinare.
Tante coccole e tanti grazie a tutte quelle belle anime che provano ancora a cercare qualcosa di sensato in ciò che scrivo.
Lis