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Autore: GretaTK    17/10/2012    4 recensioni
"Quello era il loro giorno di riposo dopo la conclusione ufficiale del nuovo album, e David, imprecando, si stava chiedendo perché allora il suo telefono di casa squillasse imperterrito, svegliandolo bruscamente e senza dargli pace. [...]
-Pronto?-
-Buongiorno, ehm… c’è David Jost per caso?- domandò una voce femminile dall’altra parte della cornetta.
Era troppo sottile e fragile per essere quella di una donna adulta, ma qualcosa in quel tono determinato ed ansioso nello stesso momento, aveva già una parvenza di maturità intellettuale più che fisica.
-Si, sono io, chi parla?-
-Sono Hanna-
-Mi dispiace, non conosco nessuna Hanna-
-Forse non mi sono spiegata bene. Sono tua figlia Hanna. Io e Lynet siamo appena atterrate ad Amburgo, puoi venirci a prendere?-.
Il silenzio di tomba che ne seguì fu la prova schiacciante di come il fiato di David si bloccò nel bel mezzo della sua gola, così come il cuore."
Tratto dal secondo capitolo.
Spero vi piaccia :) 
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok, non ci posso credere! LA MIA FAN FICTION E' UFFICIALMENTE ARRIVATA AL TERMINE!
Questo è l'ultimo capitolo, e spero davvero di cuore che lo apprezziate tanto quanto l'ho fatto io!
Se devo essere sincera mi dispiace che sia finita, ma d'altra parte è stato anche meglio così perchè la voglia di terminarla cominciava a svanire!
Eppure eccomi qui, FINALMENTE CE L'HO FATTA!
Nonostante i Tokio Hotel e i vari membri dello staff compariranno anche in altre mie FF, Hanna e Lynet non ci saranno più, e mi mancheranno davvero un sacco!
Mi ci sono affezionata tantissimo, anche perchè alla fine Hanna è praticamente la mia fotocopia, mentre Lynet quella della mia migliore amica Irene, quindi non sarà facile per me  scrivere altre storie con ragazze dalle caratteristiche diverse dalle nostre! E' più forte di me, ma giuro che mi impegnerò il più possibile...
Comunque sia, prima di dirvi che ho già in mente un'altra FF (ops, ve l'ho già detto! :3) sto ancora pensando se scrivere un epilogo di questa storia oppure no... se così sarà la posterò come one-shot e, in parte al titolo che le darò, scriverò "EPILOGO QUANTE STRADE PUO' OFFRIRTI IL DESTINO?", così la riconoscerete sicuramente :3
Mhm, ho altro da dire?! Ovvio che !
Prima di tutto voglio ringraziare di cuore tutte le persone che hanno seguito la mia storia in modo assiduo e puntuale, ma anche chi è stata più saltuaria e scostante;
quindi GRAZIE INFINITE alle ragazze che hanno commentato la mia bimba:


RadioHysteriaBK
_Selenia_
TokioFastFoodTK
andy94
LichtNacht
BillsMilady
M o o n
_Catia_
micol__pat
Phoenix_483
_MINA_
Whitered
Holly94
Ann Sayu T
Alien_tonight
Dianna Scarlett
unleashedliebe

MILLE GRAZIE a chi l'ha messa fra le preferite:


cris94
Dan 
freiheit483 
LichtNacht 
M o o n 
macky_love 
Paolina91 
Phoenix_483 
RadioHysteriaBK 
SchwarzeMeer483 
uranie 
_Lucky_ 
_MINA_ 
_VoCaLiSt_ 

UN ENORME GRAZIE a chi l'ha inserita nelle ricordate:


Ann Sayu T
BillsMilady
Louder_
 
UN SUPER GRAZIE anche a chi l'ha messa fra le seguite:

Anna Kaulitz 
damnkiiim 
Eleanor19 
Fee17 
Giulia_Cullen 
GiumoKirkland 
JCMA 
JuJy_ToKieTTA_ 
kelly_th_ 
lady vampira 
luchia nanami
lullaby92
MadnessAlice 
micol__pat 
nuria elena 
TokioFastFoodTK 
Whitered 
_Catia_ 
_RoBeRtInA96_ 
_Selenia_

E ovviamente ringrazio anche chi ha solamente letto e basta!
Comunque avete contribuito a far andare avanti questa storia, quindi non pensate che non vi abbia prese in considerazione lettrici silenziose (:
Ora, per finire, voglio lasciarvi il link del mio profilo Facebook: http://www.facebook.com/greta.g.gozzini?ref=tn_tnmn
Chi ha piacere ad aggiungermi faccia pure! :D Però scrivetemi che siete di EFP, altrimenti rischio di non accettarvi, perchè elimino sempre le richieste di chi non conosco!
Bene, credo aver detto tutto!
Ora vi lascio al ventesimo e ULTIMO capitolo: mi aspetto gli ultimi commenti e tante tante visualizzazioni! Diciamole addio come si deve 
Vi abbraccio fortissimo Aliens del mio cuore!
E... STAY TOKIO FOREVER 













Capitolo 20, Quante strade può offrirti il destino?









Non si sarebbero mai aspettati di trovare l'aeroporto così pieno, eppure le code ai check-in procedevano lente, ed un vociare di sottofondo rimbombava fra le alte e spesse pareti dell'edificio.
La maggior parte delle persone presenti indossava completi eleganti, neri o gessati, il che faceva pensare che si trovassero quasi tutti lì a Tokyo per lavoro, ed ora per loro era il tempo di tornarsene a casa.
Tutti si muovevano veloci e sicuri fra quelle mura, come se conoscessero quel luogo meglio delle loro valigette in cuoio nere o marrone scuro, evidentemente abituati a spostarsi con l'aereo.
E nessuno sembrava far caso a quelle quattro star internazionali sedute su una panchina di fronte ai check-in, mentre aspettavano David coi loro biglietti.
Ai loro occhi, probabilmente, erano solo dei ragazzi di ritorno da un viaggio di svago, oppure nemmeno veniva notata la loro presenza. Cosa che, sinceramente, non dispiaceva a nessuno di loro.
Si stavano però anche rendendo conto che, nonostante la loro sofferenza, il mondo continuava ad andare avanti imperterrito, come nulla fosse.
Il tempo non si fermava, e le lancette degli orologi appesi alle pareti non facevano che ricordarglielo, muovendosi secondo dopo secondo.
Eppure, quel via vai di gente dal bar all'edicola, o dal negozio d'articoli sportivi al bagno, non faceva altro che aumentare la tristezza nei loro cuori.
Quella, per loro, fu la prova schiacciante di come un'anima ghiacciata non potesse impedire a tutto il resto di andare avanti.
Il problema era solo il loro, e tutti gli altri nemmeno potevano immaginare cosa si scatenasse nei loro cuori ogni volta che qualcuno rispondeva al telefono con espressione sollevata ed un sorriso sincero a storcergli il viso.
Era tutto così frustrante.
Ed erano sempre più arrabbiati, perché loro non si meritavano tutto quello che gli stava capitando, nemmeno in minima parte. Anche loro volevano godersi la loro più che meritata felicità, ma chissà perché non potevano. Non riuscivano proprio a spiegarselo, eppure non gli sembrava di aver mai commesso chissà quale peccato per dover scontare una pena simile.
Come al solito arrivarono alla conclusione che la vita è un burattinaio lunatico e sadico, che tiene stretti nei pugni i fili che permettono loro di muoversi.
Cosa avrebbero potuto fare loro per liberarsi da quella presa che li avrebbe inevitabilmente portati nel fondo del baratro?
Nulla.
-Eccomi coi vostri biglietti ragazzi- disse loro David, raggiungendoli -Non ho fatto caso ai posti, scusate, mi sono dimenticato. Se volete scambiateveli fra di voi-.
Il manager non aggiunse altro, porgendo i biglietti a Gustav ed andandosi a sedere accanto a Benjamin e Dunja.
Le gemelle lo seguirono con lo sguardo, per poi puntare le pupille l'una in quelle dell'altra.
Non diedero fiato ai loro pensieri, semplicemente li fecero scorrere nelle loro iridi, capendosi così senza il bisogno di aprire bocca.
Si alzarono all'unisono e, raggiunto l'uomo, lui si voltò verso di loro.
-Papà- cominciò Lynet, un po’ timorosa.
-Vogliamo stare vicine a te sull'aereo- terminò Hanna, fissandolo intensamente.
David, preso alla sprovvista da quelle parole, sollevò leggermente le palpebre, facendogli così inevitabilmente ingrandire gli occhi.
-Ma certo bambine mie! Mi farebbe molto piacere- rispose sorridendo a entrambe, evidentemente felice della richiesta delle sue figlie.
Una cosa che però non si sentirono proprio di dirgli, era che volevano stare accanto a lui durante il volo perché avevano paura che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbero visto.
E, questa volta, per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[ *** ]
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
Il volo era stato lungo, noioso e a dir poco straziante.
Le gemelle avevano provato in tutti i modi ad addormentarsi, così come Bill e Tom, ma con scarsissimi risultati.
Erano troppo agitati e pieni di pensieri per riuscire anche solo a sperare di chiudere occhio.
Il problema, però, era che non c'era niente che volessero fare.
I film non riuscivano a seguirli, e la musica li faceva innervosire maggiormente.
Così, dopo vari tentativi miseramente falliti, avevano deciso di lasciar perdere e di sorbirsi ogni singolo minuto di quel viaggio dall'apparenza infinita.
Georg, invece, era inevitabilmente crollato, vista la nottata insonne appena passata, e Gustav, in qualche modo, era riuscito a distrarsi come sempre.
Il manager, piuttosto, sembrava profondamente addormentato.
Aveva un respiro profondo e lento, la testa appoggiata alla spalla di Lynet -che si trovava accanto al finestrino- e, con la mano sinistra, teneva stretta quella di Hanna.
Eppure, a volte l'apparenza inganna.
Infatti l'uomo era rimasto sveglio tutto il tempo, solo che non aveva avuto il coraggio di guardare le sue figlie. Sarebbe stato troppo doloroso poi se le avesse perse.
Non che il dolore sarebbe stato diverso, certo, ma se le avesse osservate per tutto il tempo si sarebbe ritrovato inevitabilmente a studiare ogni caratteristica del loro volto e delle loro mani minute.
Si sarebbe messo a contare ogni neo, ogni più piccola e quasi invisibile lentiggine sui loro nasini piccoli e sottili, e avrebbe cercato nelle loro iridi ogni più sottile screziatura.
Avrebbe scannerizzato la loro immagine nella mente in modo talmente perfetto da poterle vedere nitidamente in qualsiasi momento della giornata, e se quello sarebbe stato uno dei loro ultimi momenti insieme non avrebbe mai saputo sopportare giorno per giorno di trovarsi i loro volti davanti agli occhi senza poterle avere lì fisicamente di fronte a lui.
Il solo pensiero gli provocò una profonda crepa nel bel mezzo del cuore.
Non avrebbe mai pensato, un giorno, di provare un dolore così simile alla morte.
Per ben due volte, tra l'altro.
Ma a volte la paura fa bene, perché aiuta a tenere insieme i pezzi di qualcosa che non c'è più.
O, come in questo caso, fa aumentare la voglia di lottare per tenersi stretti quel tanto o quel poco che si ha.
E le due ragazze, per David, ormai erano tutto.
Cosa ci avrebbe perso, lui, combattendo? Proprio niente.
Anzi, forse sarebbe pure riuscito a vincere il migliore dei premi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
[ *** ]
 
 
 
 






 
 
 
 
 
 
 
 
Aeroporto di Amburgo, l'una del mattino.
Il caos presente in quell'edificio era spaventoso nonostante l'ora tarda.
Le fan dei Tokio Hotel avevano invaso il luogo, tentando in ogni modo di farsi strada per avvicinarsi il più possibile ai loro idoli.
Il loro percorso fino all'uscita era protetto da una schiera di uomini della security dell'aeroporto, ed il gruppo, insieme a David, Natalie e le gemelle, era completamente circondato dai bodyguards dei ragazzi.
I flash li accecavano secondo dopo secondo, e le domande insistenti dei giornalisti venivano deliberatamente ignorate.
Qualche ragazza, nel frattempo, cercava in tutti i modi di alzarsi sulle punte per vederli o aprirsi un varco fra gli omoni che facevano loro da scudo per poterli anche solo sfiorare con i polpastrelli.
E poi accadde ciò che per più di due settimane si era cercato di tenere nascosto.
Le ragazze vennero viste.
Non che la cosa avesse più così importanza, dato che Karoline ormai sapeva che loro due erano col padre, ma comunque David non avrebbe mai voluto che finissero sul web e giornali di tutto il mondo, e magari che venissero pure scritte cose insensate sul loro conto.
O peggio, che i paparazzi non le avrebbero lasciate in pace nemmeno un attimo della loro vita.
Il manager tremò.
Si voltò di scatto verso le figlie, ma si accorse, con enorme sollievo, che si erano ben preparate: entrambe avevano alzato i cappucci dei loro cappotti di lana, e si erano coperte metà del volto con la sciarpa, lasciando fuori solo gli occhi, che comunque tenevano bassi, impedendo così a chiunque di vederle.
L'unica cosa che forse un giorno avrebbe permesso di riconoscerle, erano alcune ciocche di capelli sfuggite al loro nascondiglio e che, in quel momento, ondeggiavano al ritmo dei loro passi.
Proprio per quel motivo, qualche fan che era riuscita a sbirciare meglio delle altre, le aveva notate, cominciando a far girare la voce che c'erano due ragazze sconosciute accanto ai loro idoli.
In pochissimo tempo degli insulti cominciarono a raggiungere le loro orecchie.
"Chi cazzo sono quelle puttane?!", "Cosa ci fanno lì con loro quelle due troie?! Ma cosa vogliono poi?!", oppure "Toccatemi Bill e vi uccido!", "Stronze! Ma morite!".
I ragazzi, come ormai ben abituati a fare, continuavano a camminare imperterriti senza calcolarle minimamente, ma Hanna, a quegli insulti immeritati, si alterò.
Di colpo voltò il viso alla sua destra, incrociando gli occhi di una ragazza dai corti capelli castani scalati e gli occhi verde screziato.
La vide ghiacciarsi sotto il suo sguardo.
-Ma muori tu, se proprio ci tieni! E comunque meglio morti che essere una stronza patetica come te!-
-Hanna, vieni via!- l'aveva richiamata il manager, prendendola per le spalle e spingendola avanti.
-Azzardati ancora a insultarmi brutta troia e ti spacco la faccia se ti becco in giro!- continuò a urlarle dietro la bionda mentre veniva portata via con la forza dal padre.
Appena furono fuori dall'edificio presero tutti una profonda boccata d'aria, e successivamente David si mise di fronte alla bionda, fissandola intensamente.
-Si può sapere che ti è saltato in mente?! Devi lasciarle perdere quelle lì, non dar loro corda! Anche io mi sono incazzato a sentirle parlare in quel modo di te e tua sorella, ma che avrei dovuto fare? Se ogni volta che sento le loro stronzate starei lì a polemizzare non vivrei più! E poi non credere che i giornalisti lasceranno passare inosservata al notizia! La pubblicheranno sulle loro stupide riviste da quattro soldi e ingigantiranno i fatti! Diranno che una delle misteriose ragazze presenti con la band ha picchiato una ragazzina solo perché l'ha guardata un secondo di troppo! Lo capisci che devi sempre fare finta di niente?! Non puoi permetterti di fare queste cose! Non farlo mai più, mi hai capito?!-.
Hanna per un primo momento non ebbe la forza di rispondere perché troppo impegnata a ricacciare indietro le lacrime.
-Scusa- riuscì poi a sussurrare debolmente, con la voce tremante.
Avrebbe voluto aggiungere che non l'aveva fatto apposta, che aveva perso per un momento le staffe a causa della stanchezza e dell'angoscia.
Ed anche per il suo caratterino irascibile, perché no.
Eppure non aveva più fiato nei polmoni.
Ma l'uomo sembrò capirla sul serio, e la abbracciò tanto stretta da farle quasi male.
-Lo so che t'è sfuggito, non preoccuparti. L'importante è che non lo fai mai più, d'accordo?!-.
David le prese il viso fra le mani asciugandole le guance e sorridendole incoraggiante.
Lei ricambiò inevitabilmente il sorriso, ed in quel preciso istante si sentì stringere la vita da due braccia non troppo forti, ed il fiato caldo di qualcuno sul collo.
-Stai tranquilla sorellina, io stavo per fare la stessa cosa. Tu hai solo avuto la sfortuna di anticiparmi-.
Han guardò la sorella dritta nelle pupille, ed un calore ben conosciuto le prese le viscere.
Sapeva che Lynet le stava dicendo quelle cose per tranquillizzarla, anche se non erano vere.
Poteva vantarsi di conoscere la sua gemella talmente alla perfezione che era certa del fatto che Lyn, in realtà, non era pronta a dire niente alla ragazza che le aveva insultate.
Anche se Hanna sarebbe stata zitta lei non avrebbe aperto bocca, perché sapeva che era meglio così.
Ma Lynet aveva sempre avuto un modo tutto suo per non farla sentire sola, ed Han ringraziò il cielo che ,anche quella volta, era stato così.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 








 
 
 
[ *** ]
 
 







 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La villetta del manager era immersa nel buio della notte.
Le luci dei lampioni, grazie all'alta siepe tutt'intorno al giardino, creavano delle lunghe ombre che si riversavano sul prato e sulle pareti bianche della casa, rendendole più scure.
I due furgoncini dai vetri oscurati erano fermi davanti al grande cancello di ferro battuto col motore spento.
Gli autisti stavano aiutando David e le ragazze a togliere i loro bagagli dai bauli, appoggiandoglieli sul marciapiede lì accanto.
Improvvisamente, mentre Lynet stava per trascinare il suo trolley vicino al cancellino, vide una valigia non sua cadere pesantemente accanto a lei.
Si voltò sorpresa, trovandosi di fronte ad un alto ragazzo dai jeans attillati ed un cappotto grigio chiaro lungo fino a metà cosce, legato in vita da una cinta di media altezza.
Sollevò lo sguardo un po’ più in alto, fondendo le iridi con quelle nocciola di lui.
-Pensavi che ti avrei lasciata da sola stanotte?- le domandò retorico lui, sorridendo divertito dalla sua espressione piacevolmente stupita.
-Oddio, stai scherzando?- chiese lei quasi senza fiato, con gli occhi che le brillavano.
-Ti ho mai presa in giro, Lynet?-
-No, però... sì, insomma, non so come la prenderà papà...-
-Tranquilla, David sa già tutto. Anzi, è stato proprio lui a proporci di restare a casa vostra per stanotte-
-Davvero?- domandò ancora più sbalordita la ragazza, spalancando gli occhi in segno d'incredulità.
-Strano ma vero- rispose lui, prima di prenderle il mento fra due dita ed abbassarsi verso di lei per lasciarle un delicato bacio sulle labbra fredde e un po’ screpolate.
-Cosa? Stanotte rimani qui?- domandò Hanna presa alla sprovvista, appoggiando la sua valigia di fronte a loro -Sono contenta, però evitate di urlare troppo altrimenti non mi farete chiudere occhio!- terminò seria, per poi lasciarsi scappare un risolino divertito.
-Hanna!- la richiamò la sorella terribilmente in imbarazzo, che in quel momento stava ringraziando il cielo che fosse notte fonda e nessuno potesse notare il rossore sulle sue guance.
-In realtà questa battutina dovrebbero essere loro a farla a noi- si aggiunse improvvisamente un'altra voce, e tutti si voltarono verso il proprietario di quest’ultima, che si trovava proprio al fianco destro della biondina.
-Beh, ma adesso che c'entra? Se stanotte dormo da sola non poss...-.
Con gli occhi ancora puntati in quelli di Tom, la ragazza bloccò la frase a metà, accorgendosi del sorrisetto sarcastico che stava prendendo forma sul suo viso.
-Vuoi dire che...-
-Che resto anche io, sì- terminò lui per lei, sorridendole raggiante.
-Oddio, che bello amore!- rispose lei di slancio, saltandogli al collo.
Si accorse solo dopo del termine che aveva usato nei suoi confronti, e si sentì terribilmente in imbarazzo.
Avrebbe voluto rimanere abbracciata a lui per sempre pur di non doverlo guardare in faccia mai più, ma qualcosa le fece cambiare improvvisamente idea.
-Anche io sono felice di restare qui con te, amore mio-.
Il nodo tremendo che le si era creato nel bel mezzo delle viscere svanì velocemente così come si era formato, e dopo essersi allontanata leggermente da lui gli aveva sorriso raggiante, per poi baciarlo profondamente.
-Ehi, ehi, ehi! Lo so che state insieme, ma evitate di scambiarvi effusioni davanti a me, grazie-.
I quattro diretti interessati puntarono la loro totale attenzione sul manager, che aveva appena finito di togliere l'ultima valigia dal portabagagli.
-Grazie mille Lucas, buonanotte- disse all'autista.
-Buonanotte a te David, ed anche a voi ragazzi! Ci vediamo fra poco più di una settimana!- e, detto questo, l'uomo saltò nuovamente sul furgoncino e ripartì, sparendo dietro l'angolo della via.
La seconda vettura, invece, era ancora ferma sul ciglio della strada, e due figure stavano uscendo dall'abitacolo.
Georg e Gustav li raggiunsero, salutando il manager e i loro due amici di sempre, per poi avvicinarsi alle ragazze e stringerle in un caldo abbraccio.
-Buonanotte ragazze, e vedrete che andrà tutto bene- le incoraggiò Georg sorridendo, con però un pizzico di preoccupazione in fondo alle pupille.
-Mi scoccia ammetterlo, ma concordo con l'Hobbit- prese parola il batterista, trattenendo un sorrisino divertito sotto lo sguardo omicida del batterista -Sono sicuro che questa volta sarete voi ad averla vinta-
-Grazie ragazzi, siete veramente due persone fantastiche- li elogiò Lynet, con un nodo in gola.
-Si può davvero contare sempre su di voi, e ne ho avuto conferma ogni giorno da quando ci siamo ritrovati- disse Hanna, sorridendo a entrambi.
-Bene- esclamò il manager, sfregandosi le mani con l'intento di scaldarsele un po’ -Ora è meglio se ce ne andiamo tutti a casa a riposare-
-Hai ragione- rispose Georg -Beh, allora noi ce ne andiamo! Buonanotte a tutti, ci sentiamo domani!-.
Detto questo Gustav ed il castano salirono nuovamente sul furgoncino diretti verso casa, mentre David e le due coppie di gemelli si avviarono verso la villa.
Appena furono nell'atrio, l’uomo accese la luce, trovando tutto al suo posto e dall'impeccabile pulito di sempre.
-Comodo avere la donna delle pulizie anche quando sei via, vero David?- domandò sarcastico Tom, sorridendo sghembo verso il manager.
-Ti ricordo che ce l'hai anche tu, bello mio!-
-Ma io almeno l'appartamento me lo faccio pulire quando a casa ci sono anch'io, se no è inutile!-
-Guarda che Gìsela viene a fare i mestieri a casa vostra anche quando siete in tour!-
-E perché io non lo sapevo?-
-Perché sei un povero ignorante che non vede più in là del suo naso!-
-Guarda che...-
-Basta!- li interruppe d'un tratto Hanna, esasperata da quella inutile ed infantile "discussione" iniziata dal suo ragazzo solo per tormentare il povero manager -Che ne dite se ce ne andiamo tutti a letto? Sono stanca e mi fa male la testa, e giuro che se sento ancora qualcuno che al posto di sussurrare parla con un tono di voce normale do fuori di matto e vi rinchiudo in cantina dopo avervi imbavagliato come si deve, chiaro?!-.
Hanna notò, con la coda dell'occhio, che Bill e Lynet stavano trattenendo a stento una risata, mettendosi una mano davanti alla bocca e guardando da tutt'altra parte.
-Hanna ha ragione, finiamola qui e andiamo a letto che domani sarà una giornata particolarmente stressante! Poi non viene a trovarvi vostra madre?- domandò infine il manager rivolgendosi ai due ragazzi.
-Sì, dovrebbe arrivare verso le undici in aeroporto- rispose il cantante -Va a prenderla Georg e la porta al nostro appartamento-
-Ma come- proseguì subito dopo Lynet -Domani viene vostra madre e voi state qui con noi?-
-In questo momento siete voi ad avere più bisogno di noi. Vedrai che capirà- la rassicurò Bill, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio ed accarezzandole una guancia, mentre un sorriso ed uno sguardo dolcissimi gli illuminavano il volto.
Lei si ritrovò a fissarlo come un'ebete, completamente persa nei suoi occhi e fra i suoi lineamenti perfetti resi più sensuali dai vari piercing e orecchini.
-Ehm, io credo che... sì insomma, me ne vado a letto- borbottò imbarazzato ed anche un po’ imbronciato David, avviandosi verso le scale con la sua valigia.
-Papà!- lo richiamarono Lynet e Hanna, facendolo voltare -Ti vogliamo bene- dissero all'unisono, sorridendogli piene di gratitudine per tutti gli sforzi e i sacrifici che aveva fatto per loro due.
-Ve ne voglio tanto anche io. Ma ora è davvero meglio che me ne vado in camera mia prima che mi penta di aver fatto venir qui quei due a dormire!-.
Tutti e quattro scoppiarono a ridere, contagiando anche l’uomo, che riprese a salire le scale scuotendo la testa divertito.
-Ce ne andiamo a letto anche noi?- domandò Tom spostando lo sguardo su tutti i presenti.
-Sì, credo sia meglio! Io non mi reggo più in piedi!- esclamò Lynet, sollevata del fatto che qualcuno la pensasse come lei.
-Bene, ehm... volete farci strada, allora? Noi non sappiamo dove andare!- informò loro Bill, stringendosi nelle spalle.
-Certo, venite!- esclamò squillante Hanna, precedendo i ragazzi insieme a sua sorella -Tom, io e te dormiamo nella stanza degli ospiti, e la camera mia e di mia sorella la lasciamo a lei e Bill!-
-Nessun problema- concordò lui sorridendole, infondendo in lei un calore così famigliare e profondo che ancora non ci si era abituata, e probabilmente mai l'avrebbe fatto.
Quando Bill e Lynet raggiunsero la porta della loro stanza, si salutarono, e gli altri due proseguirono ancora un po’, fino ad arrivare alla loro camera.
Le pareti erano color ocra, ed il letto alla francese era sovrastato da un piumone dorato e da tre cuscini dalle federe ocra come le pareti.
Da entrambi i lati del letto c'erano due finestrelle sormontate da delle corte e leggere tendine giallo-oro in stoffa taffetà, e sotto di esse giacevano due piccoli comodini in legno bianco dalle rifiniture d'oro.
Infine, sulla parete sinistra della stanza, era posta una scrivania in legno di nocciolo, sovrastata da tre scaffali pieni zeppi di libri e, attaccato alla parete destra, si poteva trovare un armadio a due ante e quattro cassetti dello stesso colore della scrivania.
-Che carina che è questa stanza!- si ritrovò a dire Tom, non potendo fare a meno di notare quanto fosse ben arredata -Siamo sicuri che David non abbia scelto i mobili con l'aiuto di qualcuno?- domandò sarcastico, sollevando il sopracciglio sinistro.
-Ovvio che si è fatto aiutare! Si è fatto fare la bozza del mobilio dall'architetto d'interni!-
-Mica scemo-
-Direi proprio di no!-.
Entrambi ridacchiarono sottovoce, poi la ragazza sbadigliò e Tom, intenerito a quella scena, la spronò a cambiarsi ed infilarsi sotto le coperte.
Non ci misero molto ad infilarsi nei loro pigiami -nel caso del ragazzo una tuta grigia ed una maglia a mezze maniche blu scuro- ed infilarsi nel letto.
All'inizio le lenzuola ed il materasso erano freddi, così si abbracciarono stretti stretti l'uno all'altra nel tentativo di scaldarsi il più velocemente possibile.
-Brrr, che freddo!- esclamò Hanna nascondendo il viso nel petto di Tom ed avvinghiandosi a lui anche con le gambe.
-Tira giù quei piedi! Sono gelati! Cos'è, vuoi farmi morire assiderato per caso?!- chiese ridendo il trecciato, pizzicandole i fianchi con l'intento di stuzzicarla.
-Smettila Tom! Lo sai che odio il solletico!- lo rimproverò bloccandolo per i polsi -E comunque daiii, fammi scaldare un po’ i piedi sui tuoi, poi li tolgo, giuro!-
-Non è che mi danno fastidio. Il problema è che quando i tuoi avranno ripreso una temperatura normale, i miei saranno due blocchi di ghiaccio!-
-Adesso non fare il bambino- affermò un po’ imbronciata lei, guardandolo dritto negli occhi.
-Comunque, se ti interessa, conosco un metodo molto più divertente per scaldarsi, e non implica l'ibernazione dei miei poveri piedi innocenti- propose ammiccante, lanciandole uno sguardo malizioso e seducente.
-Ma sei pazzo?! E tu saresti in grado di farlo dopo un viaggio così?! Scusami, ma davvero non ne ho la forza!-
-Te la do io la forza, non preoccuparti di questo- cominciò lascivo, baciandole piano il collo e stringendole uno dei glutei fra la mano sinistra.
-Tom, smettila! Dai, non provare a tentarmi!- si oppose la ragazza, nonostante il tono della sua voce per niente fermo la smascherò in un secondo.
-Lo so che ti piace, ti sento tremare sotto le mie mani-.
A quelle parole, il cuore di Hanna fece un tuffo in fondo ai piedi, per poi tornarle su alla velocità della luce e cominciare a schizzarle impazzito in gola.
-Sei proprio indomabile, vero caro il mio Sexgott?!- domandò divertita lei, stringendogli le braccia attorno al collo e chiudendo gli occhi per godere maggiormente dei tocchi leggeri delle sue labbra sul suo corpo.
-Secondo te mi chiamano così per il niente?- asserì vanitoso, ed Hanna poté sentire perfettamente sulla pelle del petto le labbra di lui incurvarsi all'insù.
-Beh, un fondo di verità ci deve essere per forza, ma non credi che questa storia del "Dio del sesso" cominci a diventare un po’ troppo ridicola?- lo stuzzicò lei, incapace di non punzecchiarlo con qualche battutina sarcastica.
Lui, come lei si aspettava, alzò il di scatto il viso, incatenando le pupille a quelle di Hanna.
La luce era spenta, ma il bagliore dei lampioni che penetrava dalle finestrelle permetteva loro di distinguere i contorni dell’altro.
-Stai forse mettendo alla prova le mie doti? Guarda che poi te ne penti- ammiccò, stringendole il seno destro fra la mano grande e venosa.
Lei riuscì a trattenere a stento un gemito di piacere, e dei brividi intensi la invasero.
Dovette persino chiudere gli occhi per qualche secondo per assaporare quelle sensazioni fino in fondo.
-Mai giocare col fuoco- ribadì lui, cominciando a massaggiarle quel punto così delicato e sensibile come se stesse sfiorando i petali sottili e vellutati di una rosa.
-Tom, fermati ti prego- lo implorò lei con voce roca e bassa, con le palpebre ancora rigorosamente abbassate.
-Perché?- domandò interessato lui, continuando però a stuzzicarla.
-Perché nonostante abbia una voglia pazzesca di fare l'amore con te credo proprio di non potercela fare. Ho paura di crollare addormentata da un momento all'altro-
-Dai amore, il mio amichetto lì sotto sì è appena svegliato, lo vuoi mandare a dormire senza nemmeno un po’ di coccole?- azzardò con voce seducente, leccandole il lobo dell'orecchio sinistro.
Il fiato le si bloccò nel bel mezzo della gola, e le unghie le si piantarono automaticamente nella carne della sua schiena.
-Aggiudicate le coccole, allora- concordò lei, premendo le labbra contro le sue e baciandolo con passione.
Senza bisogno di mandare il comando al cervello, le loro mani trovarono da sole la loro strada, andandosi a rifugiare nell'intimo l'uno dell'altra.
I loro movimenti erano veloci e precisi, ormai ben consci di cosa piacesse al proprio compagno.
I loro denti mordevano avidi le labbra dell'altro, ed i loro sospiri e gemiti bassi non facevano altro che eccitarli maggiormente.
Non ci volle molto prima che entrambi raggiungessero l'orgasmo, sfociando in un unico, rauco, gutturale urlo soffocato.
Col fiatone e l'eccitazione ancora persistente nel loro corpo, si appoggiarono fronte contro fronte, e dopo essersi scambiati un ulteriore, caldo e lento bacio, si lasciarono rapire dalle braccia confortevoli di Morfeo.
 
 
 
 
 
 
 
 







 
 
 
 
[ *** ]
 
 
 









 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Bill la osservava attento mentre lei si cambiava.
La luce fioca proveniente dall'esterno rifletteva sulla pelle ambrata della sua esile schiena, seguendone il profilo lungo la colonna vertebrale ben visibile.
Lynet, percependo il suo sguardo insistente addosso, si voltò verso di lui mentre era ancora intento a fissarla.
-Che c'è?- domandò lei confusa, ma comunque lusingata dalle sue attenzioni, aggrottando la fronte.
-Niente, mi piace guardarti- rispose lui pacato, scrollando le spalle.
Un sorriso intenerito prese vita sul volto di Lyn, e le gote le si accaldarono appena.
-Scusami, ma io sono stanco morto. Ti aspetto a letto- la informò, infilandosi sotto le coperte e rannicchiandosi fra di esse.
-Ti raggiungo subito, vado un secondo in bagno- lo avvisò lei, lasciando la stanza.
Quando tornò trovò Bill profondamente addormentato. Respirava lentamente e in modo leggermente rumoroso. La bocca era ancora chiusa, e sotto gli occhi c'era ancora qualche traccia di trucco appena sbavato, ed i lineamenti del viso erano morbidi e rilassati.
Vederlo così tranquillo e sereno le fece stringere il cuore.
Negli ultimi giorni non aveva scorto altro che preoccupazione, paura e stanchezza sul suo viso e nei suoi occhi.
Il loro colore nocciola era sempre rimasto un po’ più opaco da quando era venuto a sapere di Karoline.
Da quanto tutti ne erano venuti a conoscenza.
Una nuova ondata di terrore le trapassò le membra, facendola tremare.
Improvvisamente la penombra della stanza sembrava così scura ed impenetrabile, ed il freddo ghiacciato del pavimento sembrava esserle penetrato attraverso i grossi calzettoni di lana, sovrastandola fino alla radice dei capelli lunghi e scuri.
Ebbe anche un breve giramento di testa, ed in tutto quel caos il suo sguardo si aggrappò a l'unica cosa che, in quella stanza, avrebbe potuto farla tornare alla realtà.
Bill.
Il suo volto era la sola cosa che era in grado di distinguere in quel momento, e pure l'unico motivo per farsi forza e andare avanti nonostante non ne avesse la minima voglia.
Avrebbe voluto che quella notte sarebbe potuta durare per sempre, così da poter restargli accanto per un tempo infinito senza preoccuparsi di cosa sarebbe successo il giorno dopo, perché non sarebbe mai arrivato un domani.
L'avrebbe stretto forte fra le braccia e avrebbe dormito con lui fino alla fine del tempo, ed anche oltre.
E sarebbe stata davvero in grado di farlo, se avesse potuto.
D'altronde, da quando Bill l'aveva baciata, aveva capito che lui era tutto ciò che voleva, tutto ciò di cui aveva bisogno oltre sua sorella.
Certo, Hanna era la sua metà perfetta, e sempre lo sarebbe stata, ma nonostante questo aveva sempre sentito, nel profondo di sé stessa, di avere ancora un angolino spoglio e vuoto che nemmeno sua sorella era mai stata e mai sarebbe stata in grado di riempire e riscaldare.
E, da quando lei ed il cantante si erano dichiarati l'uno con l'altra, Lyn aveva capito immediatamente che, quel buco nel bel mezzo del suo cuore, era riservato a lui.
Quello era il posto di Bill. C'era inciso il suo nome ancora prima di incontrarlo.
Perché lei lo sapeva -eccome se lo sapeva!- che era sempre appartenuta a lui, ancora prima di conoscerlo.
Era come se qualcuno lassù li avesse creati appositamente per stare insieme, facendo sì che la vita li conducesse l'uno nelle braccia dell'altro, dove era giusto che stessero.
E Lynet non poteva essere più grata di così a chiunque li aveva aiutati a trovarsi.
Si sentiva così felice, così fortunata ad aver trovato la persona perfetta per lei in mezzo a tutti gli abitanti del pianeta.
Quante probabilità si possono avere di trovare la propria anima gemella? Così poche e così rare, eppure lei ce l'aveva fatta.
Lui ce l'aveva fatta.
Lynet non poteva credere di riuscire a provare un sentimento simile. Era talmente forte da essere impossibile da spiegare appieno.
Era come riemergere da acque gelate e profonde, come farsi scaldare dai bollenti raggi solari dopo una raffica di vento freddo e pungente. Era come veder spuntare il primo bocciolo verde dopo l'inverno lungo e buio, come guardare sé stessi allo specchio e sentirsi terribilmente giusti.
Perché è proprio questo che Bill era per lei: la sua contro-immagine. O meglio, la contro-immagine della sua anima.
Formavano una cosa unica, loro due e, nel suo profondo, l'aveva capito dal primo sguardo che si erano scambiati.
Ancora non riusciva a credere di averlo accanto ed in quel momento, nonostante fosse stanca morta, non voleva chiudere gli occhi.
Stava lottando con tutte le sue forze per tenere le palpebre sollevate, ma la fatica era sempre più grande e la sua forza sempre minore.
Aveva paura a lasciarsi andare, a cadere addormentata.
E se, svegliandosi, non l'avesse trovato al suo fianco? Se tutto quello fosse stato solo un sogno e lei si trovava ancora a Francoforte con sua sorella e sua madre? E se lei e Hanna non fossero mai fuggite, se tutto quello che aveva vissuto in quelle due settimane fosse solo un'illusione?
Non avrebbe saputo reggere il dolore di quella perdita, non più.
Avrebbe preferito morire piuttosto.
E, nel preciso istante in cui le palpebre non ce la fecero più a reggere, trovò ancora la forza di cercare la sua presenza accanto al suo corpo, e la trovò.
Sentì la sua consistenza ed il suo calore sotto i palmi delle mani, e si strinse a lui con disperazione, come se Bill fosse stato l'unico appiglio sicuro in mezzo al nulla più lugubre e spaventoso.
E capì che tutto quello non poteva essere un miraggio, perché lo percepiva, in ogni modo a lei possibile.
Il cuore che batteva lento ed inesorabile nella sua cassa toracica, il respiro lento e profondo, la temperatura calda della sua pelle, il suo profumo dolce e dal retrogusto fruttato, il sussurrare lieve e rassicurante della sua anima, che le confessava ogni suo sentimento.
Era lì, cavolo! Aveva avuto la fortuna sfacciata di averlo, ed ora poteva goderselo senza limiti.
In quel momento, talmente si sentiva scoppiare di gioia, il pensiero di Karoline e della fatidica resa dei conti non la spaventavano nemmeno un po’.
Anzi, a dire il vero non ci pensava nemmeno. Come poteva interessarsi a tutto il resto quando si trovava rannicchiata al calduccio sotto alle coperte avvinghiata a lui?
Proprio non era in grado di dedicarsi ad altri pensieri e, prima di addormentarsi, realizzò che tutto il resto del mondo non esisteva se aveva Bill al suo fianco, perché in quel momento tutto il suo mondo era solo e soltanto lui.
-Ti amo- le sfuggì inevitabilmente dalla bocca e, osservandolo per un'ultima volta, poté giurare di averlo visto sorridere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
[ *** ]
 
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La sveglia cominciò a trillare acuta, svegliandolo bruscamente.
Appena ripresosi dallo spavento iniziale, l’uomo azzittì quell’aggeggio infernale per poi stropicciarsi stordito gli occhi.
Rimase seduto sul letto per qualche minuto, finché trovò la forza necessaria di mettere i piedi fuori dalle coperte ed infilarli nelle ciabatte.
Sì alzò stiracchiandosi a lungo, accompagnando ogni movimento con qualche mugugno dovuto allo sforzo.
Grattandosi il capo si diresse fuori dalla sua camera da letto, chiudendosi in bagno per circa mezz’ora, il tempo necessario per farsi una bella doccia tiepida, rasarsi la barba, vestirsi e domare i capelli sempre un po’ ribelli.
Sceso al piano di sotto cominciò a prepararsi il caffè, apparecchiando il tavolo della cucina unicamente per sé.
Conoscendo le altre quattro persone presenti nella casa era certo che, prima dell’ora di pranzo, non si sarebbe fatto vivo nessuno.
Eppure si dovette ricredere dato che, appena si era seduto al suo posto per mangiare, Bill aveva fatto capolino nella stanza.
-‘Giorno Dave- lo salutò lui sorridente, pimpante come non mai.
-Ciao- ricambiò perplesso l’uomo -Come mai così arzillo stamattina? Ti rendi conto che sono solo le nove, vero?-
-Certo, e con questo?- domandò confuso il ragazzo lanciandogli una veloce occhiata sconcertata, per poi continuare a frugare fra le ante della sua cucina.
-Cosa stai cercando?- gli chiese il manager decidendo di chiudere lì il discorso, anche se gli sembrava un po’ troppo strano che il cantante fosse sveglio a quell’ora del mattino.
-Qualcosa da mettere sotto ai denti- rispose quasi distratto il moro, senza nemmeno girarsi a guardarlo ma andando avanti a cercare in ogni dove.
Come al solito devo fare tutto io, pensò esasperato Dave, ritrovandosi però a sorridere divertito.
-Lascia, faccio io. Tu siediti-
-Ma così ti si raffredda il caffè!- commentò in disaccordo il vocalist.
-Non preoccuparti, ci metto un attimo. E poi è troppo bollente- rispose lui pronto, sorridendogli per incoraggiarlo ad ascoltarlo.
-Ok, come vuoi- asserì il frontman alzando le spalle -Io intanto vado a chiedere a Lynet se ha fame-.
Detto questo il ragazzo fece per andarsene, ma poco prima di uscire dalla stanza si girò verso Dave, guardandolo dritto negli occhi.
-Grazie, comunque- proferì sorridendo, sperando che l’uomo capisse che, quel ringraziamento, non era solo per la colazione, ma per tutto ciò che l’uomo aveva sempre fatto per lui e gli altri tre ragazzi in tutti quegli anni.
E, senza aspettare una risposta da parte sua, Bill lo lasciò solo, non potendo così notare il sorriso paterno e lo sguardo fiero che gli avevano stravolto i lineamenti del volto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
 
[ *** ]
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il sole era già spuntato all’orizzonte, e lei l’osservava dall’oblò dell’aereo.
Il veicolo era praticamente vuoto, se non si contava la presenza di altre cinque persone oltre a lei.
Il biglietto le era costato un occhio dalla testa, ma sembrava non importarle minimamente.
Voleva solo arrivare ad Amburgo il più velocemente possibile e chiudere quella storia una volta per tutte.
Guardò l’orologio che portava sul polso.
Le nove del mattino.
In quel preciso momento il motore dell’aereo si accese, e percorse la pista per prendere velocità.
Durante lo stacco dal terreno, Karoline si sentì invadere dalla solita sensazione di risucchio allo stomaco tipica di ogni decollo, e l’adrenalina, provocata da ben altro, cominciò a scorrerle veloce per tutto il corpo.
Non sapeva se quell’irrequietezza era dovuta alla certezza di ottenere ciò che voleva, oppure, al contrario, alla paura di fallire miseramente.
Poteva soltanto sapere che ci voleva un’ora e un quarto per arrivare ad Amburgo, e quella consapevolezza la fece sorridere malignamente.
 
 
 
 
 
 







 
 
 
 
 
 
 
[ *** ]
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-A che ora avete detto che arriva vostra madre?- domandò curioso il manager, osservandoli mentre finivano la loro colazione.
-Se non ci sono ritardi il suo volo atterra alle undici- lo informò il chitarrista, parlando con la bocca piena.
-Finisci di mangiare prima di parlare- lo rimproverò il manager, lasciandogli un’occhiata infastidita.
-Aha- asserì lui disinteressato, infilandosi l’altra metà del cornetto in bocca.
-Fai un po’ schifo, lo sai vero?- gli disse Hanna, tentando miseramente di apparire disgustata.
-Te lo si legge in faccia che non credi davvero a quello che hai detto- gli rispose sicuro, guardandola ammiccante.
-Vedila un po’ come ti pare- si difese lei, ostentando menefreghismo con una ben visibile scrollata di spalle.
-Ma siete sicuri che a vostra madre non dispiaccia? Insomma, viene qui apposta per vedervi e non andate nemmeno a prenderla!- domandò preoccupata Lynet, intervenendo anche per interrompere la discussione che entro poco si sarebbe scatenata fra Tom e sua sorella.
-Ti ho già detto di stare tranquilla- tentò nuovamente di tranquillizzarla Bill -Fidati di me, conosco abbastanza bene nostra madre per essere certo che non se la prenderà-
-In ogni caso chiedetele scusa da parte nostra appena la vedete- commentò la biondina, inquieta quanto la sorella di dare a Simone l’errata impressione di volerle portare via i figli.
-Potrete farlo voi direttamente, no?- le suggerì Bill, spostando poi lo sguardo su Lynet.
-No aspetta, volete farci conoscere vostra madre?!- esclamò agitata Hanna, chiedendo aiuto alla sorella col semplice uso delle pupille.
La mora aveva la sua stessa espressione stupita e agitata.
-E che problema c’è scusa?- tentò di capire il trecciato -Noi conosciamo vostro padre, perché voi non potete conoscere Simone?-
-Beh, ma è diverso!- polemizzò la sua ragazza, sempre più irrequieta.
-In cosa?- chiese Bill perplesso, cercando di capire cosa ci fosse di tanto male in quello.
-David è il vostro manager, lo conoscete da quando avete quattordici anni. Si può quasi dire che vi ha cresciuto, quindi è diverso!- chiarì Lyn, assecondando i pensieri della gemella.
-Io mi chiedo cosa sto ancora qui a fare ad ascoltare i vostri discorsi- mormorò il manager, alzandosi dal suo posto per dirigersi verso il salotto -Vado a guardare la tv-
-Dai papà!- esclamò ridendo Lynet, seguendo il manager con lo sguardo.
Però, prima che l’uomo riuscisse a raggiungere il salotto, il campanello di casa suonò, rimbombando minaccioso per l’intera villa.
Le risate si bloccarono a mezz’aria, e tutti vennero presi da un fortissimo batticuore.
Chi poteva essere a venti alle undici di un giorno di riposo vicino alla Vigilia di Natale? I componenti dello staff erano sicuramente al calduccio sotto le coperte dei loro letti, o in cucina a preparare il pranzo con le mogli, i mariti ed i figli.
Che fosse… lei? Ma di già? Perché non aveva aspettato ancora un po’ prima di tornare a tormentare Hanna e Lynet? Perché non lasciarle almeno un attimo di respiro? Era veramente senza cuore, allora.
-Vado… ehm, vado a vedere chi è- aveva avvertito David un po’ titubante, guardando prima i quattro e poi la porta.
-Papà…- mormorò Lynet appena lo vide avvicinarsi all’uscio di casa.
Hanna invece trattenne il respiro.
Il manager raggiunse la porta, esitando un attimo. La osservò preoccupato e, sospirando, afferrò la maniglia. La strinse talmente forte da farsi male, e le mani gli diventarono bianche dallo sforzo.
Poi, con un colpo secco e deciso, l’abbassò, aprendo l’uscio.
Di fronte a sé due ragazzi lo fissavano sorridenti con un vassoio in mano.
-Ciao Dave! Tutto bene?- salutò Georg, passandogli accanto per entrare in casa.
-Sei un po’ pallido- osservò Gustav con la fronte corrugata -Sicuro che vada tutto bene?-.
Il manager, a quelle parole, scoppiò.
-Davvero pensate che possa essere tutto ok?! Sapete che oggi arriverà Karoline, e voi spuntate così dal nulla chiedendomi come sto? Come volete che stia?! Male! Ecco come sto!-
-S-scusa David, hai ragione…- affermò il batterista abbassando il capo, sentendosi tremendamente in colpa.
-Avremmo dovuto avvisarvi, ci dispiace…- concordò Georg, venendo successivamente colpito (in modo molto poco delicato) al braccio.
-Aia Tom! Ma che cazzo fai?!- esclamò irritato, massaggiandosi il punto colpito.
-Sei un coglione! Hai presente che ci avete quasi fatto morire d’infarto?!-
-Allora perché non picchi anche Gustav?-
-Perché tu sei un passatempo più divertente- sogghignò il chitarrista, lanciandogli uno sguardo malizioso.
Georg sospirò sconfitto, stropicciandosi gli occhi.
-Ho come l’impressione che mi tormenterai fino alla fine dei miei giorni-
-Non hai idea di quanto il tuo intuito ci abbia azzeccato-
-Zitti un attimo!- li riprese il manager, facendo tornare il silenzio nella grande casa.
-In questo momento non dobbiamo litigare per nessuna ragione al mondo, d’accordo? Ora dobbiamo restare uniti e farci forza a vicenda. Riuscirete a stare tranquilli per un po’? Almeno per oggi?-.
Tutti i presenti si guardarono con apprensione, come a voler dare ragione al manager e firmare una specie di patto solo con l’ausilio dello sguardo.
-Bene, ehm… che avete portato lì?- domandò l’uomo, un po’ per curiosità, un po’ per sciogliere la tensione.
-Sono dei pasticcini. Avevamo pensato che li avreste mangiati volentieri- rispose pacato Georg, appoggiando il vassoio sul tavolo.
-Sei un tesoro!- affermò eccitata Hanna, strappando con foga la carta per prendere il primo bignè al cioccolato che aveva avvistato, metterselo successivamente in bocca tutto intero.
-Fai schifo!- le disse ridendo sua sorella, osservandola mentre masticava a fatica.
Tom, invece, le si avvicinò furtivo all’orecchio.
-Però, che bocca grande che hai…- gli sussurrò malizioso lui, allontanandosi un po’ da lei, che poté perfettamente notare il sorrisetto sghembo che aveva preso vita sul suo volto pressoché perfetto.
Hanna si ingozzò, cominciando a tossire.
-Ma sei scemo?!- riuscì a dire appena aveva ripreso il controllo delle sue vie respiratorie, squadrandolo in malo modo.
-Eh dai, lo sa che se non faccio qualche battutina allusiva non sto bene. Dopotutto sei tu che mi hai messo l’opportunità di farla su un piatto d’argento!-
-Tom, che hai detto ad Hanna?- si intromise il manager, assottigliando gli occhi sospettoso.
-Niente Dave, niente…- si affrettò a rispondere lui, per poi voltarsi nuovamente verso la biondina.
-Sei un maiale- aveva infine dichiarato lei, facendo spallucce mentre si puliva le labbra con un tovagliolo.
Tom stava per ribattere nuovamente, ma David lo bloccò prontamente.
-Ok Tom, ora è meglio se la finite! Lo sai che certe cose proprio non riesco ad ascoltarle…- aveva quasi supplicato l’uomo, cercando in tutti i modi di cancellare dalla sua mente le immagini delle sue bambine che avevano dei rapporti intimi con quei due.
Insomma, sapeva che ormai Lyn ed Hanna erano giovani donne, ma il senso di protezione nei loro confronti non era cambiato nemmeno di una virgola: per Dave loro due erano ancora le sue piccole bimbe da proteggere dai mostri nascosti sotto al letto.
-Il cannolo alla crema è mio, chiaro? Toccatemelo e siete morti!- li minacciò improvvisamente Gustav, lanciandosi letteralmente sul dolce.
-Ehi, a me lasciate la fiamma al cioccolato!- aveva esclamato il chitarrista, imitato poi da tutti gli altri a prendere una pastina.
Quando tutti stavano masticando allegramente, il campanello di casa suonò nuovamente.
-Deve essere Natalie- li avvertì il manager alzandosi da tavola -Le avevo mandato un messaggio circa un’ora fa per invitarla a stare qui da noi per il pranzo-.
L’uomo aprì la porta con sicurezza, trovandosi dinnanzi una donna bionda e della sua stessa altezza.
Ma non era ciò che lui si aspettava.
Indossava un tajer nero con gonna a vita alta e camicia bianca, scarpe col tacco in vernice ludica da dieci centimetri e teneva i capelli legati in un alto chignon tirato e ordinato.
Il naso sottile, così come le labbra, e gli occhi castano scuri come quelli di Lynet, con l’unica differenza che la ragazza non aveva quella luce maligna e perfida nelle pupille.
-Karoline…- mormorò stupito David, sperando con tutto il cuore che quella fosse solo un’orrenda allucinazione.
-David, da quanto tempo- ricambiò lei con un sorrisino sarcastico sulle labbra -Posso entrare?- domandò, senza però poi aspettare una risposta dall’uomo e varcare comunque la soglia.
-Vedo che ti tratti bene- gli disse poi guardandosi intorno, sinceramente stupita della bella villa che il manager aveva comprato.
Al solo sentire quella voce, le due ragazze si guardarono spaventate, correndo nell’atrio.
Quando la videro il loro cuore si fermò di colpo, per poi ricominciare a battere impazzito e cadere loro in fondo ai piedi, tornando successivamente su, nel bel mezzo della gola.
Lo stomaco si era completamente rivoltato, e l’intestino sembrava annodarsi di per sé.
Erano immobilizzate, del tutto prive della forza di muovere un solo muscolo, persino di respirare.
-Oh, ecco le mie bambine. Forza, il divertimento è finito, è ora di tornare a casa-.
Prima che qualcuno potesse dire qualsiasi cosa, i quattro ragazzi comparvero dalla sala da pranzo.
-Ah, ci siete anche voi! Mi stavo proprio chiedendo che fine avevate fatto-
-Non fa ridere- rispose scontroso Bill, fulminandola con lo sguardo.
-Non era mia intenzione infatti- esalò pacata, per poi rivolgere nuovamente l’attenzione sulle sue figlie -Non fatemelo ripetere un’altra volta. Andate di sopra a prendere le vostre cose e venite con me-
-Non ti permettere di dire loro cosa fare!- esclamò furibondo David, facendosi avanti e mettendosi fra Karol e le gemelle -Hanno diciotto anni e fanno quello che vogliono! Tu non puoi obbligarle in alcun modo!-
-Scommettiamo?- rispose del tutto sicura di sé, storcendo le labbra in un sorrisetto sghembo.
-No, non scommettiamo un bel niente!- berciò arrabbiata e ormai priva di pazienza la bionda -Sono stufa di giocare! È da tutta la vita che fai di noi ciò che hai voglia tu, ed ora mi sono decisamente rotta le palle!-
-Attenta ai modi, signorina!- la rimproverò l’avvocato, fulminandola con lo sguardo.
-Lei ti parla come cavolo le pare- la difese la gemella, ricambiando lo sguardo decisa.
-Bene, vedo che siete più stupide di quel che credevo. Sapete che state facendo tutte le scelte sbagliate, vero?-
-Ed anche se fosse?- rispose a tono Hanna -La vita è la nostra, e se commetteremo degli errori, beh, ben venga! Noi non ti abbiamo mai chiesto una vita perfetta e priva di sbagli, noi volevamo semplicemente godercela e imparare dai nostri errori! Ti è tanto difficile da capire?!-
-A me non interessa nulla di quello che volete voi. Dovete fare quello che vi dico io e basta!- esclamò furibonda la donna, con le vene del collo sempre più esposte -Ed ora filate di sopra a prendere le vostre cose che ce ne torniamo subito a Francoforte!-
-Non ci pensiamo neanche!- berciò arrabbiata Lynet -Stavolta non faremo quello che vuoi tu, mettitelo bene in testa!-
-Sentite, stupide ragaz…-
-No, senti tu!- prese parola il manager, puntando un indice intimidatorio contro l’ex moglie -Loro sono maggiorenni, e per legge possono fare quello che vogliono, non le puoi costringere! E, secondo, se proprio vogliamo parlare di legge, tu non è che l’abbia rispettata molto in questi ultimi anni, vero Karoline?!-.
La donna sbiancò improvvisamente, e la sua espressione impaurita la tradì per un attimo, ma che bastò a David per capire che lei aveva intuito dove l’uomo voleva andare a parare.
-Credo tu stia delirando, David- commentò lei tentando di essere il più credibile possibile.
-Non prendermi per il culo, Karol! Lo so che hai capito a cosa mi riferisco, ed essendo un avvocato dovresti pure saperlo meglio di me come funziona!-
-Ma di cosa state parlando?- chiese Bill senza riuscire più a resistere alla curiosità e, soprattutto, alla speranza di una soluzione favorevole alle ragazze.
-Quando le ragazze sono state affidate a Karoline, il giudice ha dichiarato che Hanna e Lynet avrebbero potuto vedermi quando avrebbero voluto, ed io avrei avuto il diritto di andare a trovarle ogni volta che ne avrei avuto occasione, ma Karol ha fatto tutt’altro che rispettare gli accordi, e questo non può che andare a suo svantaggio-
-In che modo?- domandarono le gemelle confuse, ma ormai col cuore già pieno di gioia.
-Il mantenimento potrà essere modificato a suo sfavore, e voi verreste affidate a me, mentre lei potrà vedervi solo in giorni prestabiliti e sempre affiancata da un’assistente sociale che la tenga controllata per impedirle di portarvi via di nuovo-
-Queste sono solo menzogne, non statelo ad ascoltare! Ora andate a prendere le vostre cose o giuro che me la pagherete cara!-.
Nel preciso momento in cui Karol aveva terminato di parlare, il ronzio di sirene in lontananza raggiunse le loro orecchie.
La donna si voltò preoccupata verso la porta ancora aperta della villa, capendo che la polizia si stava avvicinando sempre di più.
In un secondo puntò di nuovo il suo sguardo duro e furibondo sulla folla di persone presente di fronte a lei, facendo scorrere lo sguardo su ognuno di loro alla ricerca di un indizio che avrebbe potuto farle capire chi aveva chiamato le autorità.
Improvvisamente le sue pupille si bloccarono sulla mano di Gustav, che teneva stretto nella mano destra il cellulare.
I suoi occhi puntarono quelli del ragazzo, che ricambiò senza esitazione.
-Tu, piccolo sudicio…-
-Signora, stia ferma dove si trova!- gridò una voce profonda e sconosciuta sulla soglia di casa -Ora lei deve venire con noi in centrale-
-No, non potete farlo!- si ribellò Karol presa dal panico.
-Io invece ne ho tutto il dovere signora- commentò tranquillo l’agente, poggiando le mani sui fianchi -E se non farà come le dico, dovrò arrestarla per resistenza a pubblico ufficiale-
-Ma è una follia!-
-Non mi metta alla prova-.
La donna, sconfitta, asserì col capo, per poi voltarsi nuovamente verso David e le gemelle.
Non disse nulla però, si limitò a guardarli arrabbiata e fuori di sé, come a volerli maledire con la sola forza del pensiero, ed infine si girò incamminandosi verso la porta, raggiungendo l’auto della polizia di sua spontanea volontà.
-Grazie agente, davvero grazie!- disse David al poliziotto stringendogli forte la mano in segno di gratitudine.
-E di che? È il mio lavoro dopotutto! Ed ora state pure tranquilli, la signora non potrà più darvi problemi. Arrivederci-
-Arrivederci!- salutarono tutti insieme, osservando increduli e sollevati l’uomo che portava Karoline lontano da loro.
A quel punto, David riuscì finalmente a guardare le figlie, che stavano facendo lo stesso.
Le lacrime presero il possesso dei loro occhi, velando loro la vista.
Senza bisogno di dire alcuna parola, i tre si corsero incontro, abbracciandosi come non avevano mai fatto in vita loro, nemmeno quando si erano ritrovati qualche settimana prima in aeroporto.
I loro singhiozzi di gioia riempirono l’atrio, e alla loro stretta si unirono anche gli altri quattro.
-È finita bambine mie, è tutto passato- continuava a ripete il manager come un mantra, mentre le gemelle continuavano a farsi cullare dalle sue braccia.
-Ora finalmente potremo vivere insieme, e voi verrete con noi in tour se vorrete!-
-E ce lo chiedi pure?- commentarono entrambe le ragazze all’unisono, per poi scoppiare a ridere.
-Però se vengono in tour con noi le lascerai dormire nella stanza mia e di Bill!- esclamò sorridendo Tom, beccandosi un’occhiataccia dal padre delle gemelle.
-Tom! Mi puoi spiegare come fai ad essere così… così te anche in momenti come questi?- domandò sconvolta Hanna, osservandolo divertita.
-È più forte di me, che ci devo fare!-
-Per fortuna che anche se siamo gemelli non siamo del tutto uguali- mormorò Bill con l’intento di farsi sentire solo da Lynet, fallendo però miseramente.
-Oh ma grazie fratellino caro, anche io ti voglio bene!-
-Figurati, non c’è di che- si limitò a dire Bill serio, per poi scoppiare a ridere insieme a tutti gli altri.
Erano così euforici e tranquilli che ogni cosa risultava loro esilarante in quel momento.
Finalmente l’ombra scura e terrorizzante di Karoline si era dissolta nel nulla, come quando da bambino ti sembra di vedere una sagoma minacciosa nell’oscurità e, accesa la luce, ti accorgi che erano solo i tuoi vestiti appesi all’attaccapanni.
Ora avrebbero potuto stare insieme come una vera famiglia, e condividere ogni singolo momento insieme.
Avrebbero potuto vivere appieno la loro storia con Bill e Tom, assaporandone ogni sfumatura e ed ogni angolo nascosto, fino in fondo, oltre i limiti della conoscenza umana.
Non avrebbero dovuto dire addio a nessuno di loro, nemmeno a Gustav e Georg, nemmeno a Natalie.
Sarebbe stato tutto perfetto d’ora in poi, lo sentivano nel centro esatto del cuore, ora appagato e felice, non più timoroso del futuro.
Finalmente il fato aveva trovato il modo di farle stare dove dovevano essere sin dall’inizio.
Sembrava strano, ma in qualche modo ce l’avevano fatta a trovare il posto giusto per loro.
E chi lo sa se avrebbero trovato in ogni caso la giusta via per raggiungere la loro vera casa.
Voi che ne dite? Secondo voi, quante strade può offrirti il destino?
Infinite, io credo.
Ma, qualsiasi voi scegliate, in qualche modo vi porterà sempre allo stesso punto. L’unica differenza sta nel percorso da affrontare per arrivare al traguardo.
Quella, però, è tutta un’altra storia.
  
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