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Autore: Lady_Cassandra    17/10/2012    1 recensioni
"Unforgivable" nasce in una notte d'estate, è una storia che vi porta dentro una vita di Spencer diversa da ciò che conosciamo. Ci troviamo diversi anni avanti, tutto è cambiato, Spencer non è più il "ragazzino" di tempo, è sposato ed è ormai padre.
Ritroverete i personaggi che conoscete, ma nulla sarà come vi aspettate. Spero di avervi incuriosito e gradiate la mia storia. Buona lettura!
[REVISIONATA FINO AL 10° CAPITOLO]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Unforgivable.'
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Riunione di gruppo 

 
E’ un buon padre quello che conosce suo figlio” (William Shakespeare)
 
 
“Ellie è stata rapita? Come è potuto succedere?” chiese Aaron, in quel momento si rese conto di non ricordarsi il volto della figlia di Spencer, ma conosceva bene il volto di Spencer: era il volto di chi è disperato, di chi sente il mondo crollargli addosso.
“Non lo so, non lo so…” era tutto ciò che riusciva a farfugliare. Era confuso, nulla di tutto quello che stava vivendo aveva senso per lui. “L’unica cosa che so che è mia figlia è uscita per andare a scuola e non è più tornata” aggiunse.
“Madison lo sa?”
“Non gliel’ho ancora detto. Non so come dirglielo…” rispose, nascondendo il viso fra le mani.
“Devi dirglielo. Ora andiamo, abbiamo una lunga nottata davanti a noi” affermò facendo un leggero sorriso per tirar su l’amico. Spencer annuì e si alzò dalla poltrona, poi salutò Jack che durante tutta la conversazione era rimasto zitto in un angolo, e sempre in silenzio il ragazzo guardò Spencer uscire dalla stanza.
“Papà la troverete, vero?” gli domandò poco prima che suo padre uscisse di casa. Conosceva bene Ellie, così come anche Henry, erano cresciuti insieme per molti versi e aveva imparato a volerle bene, nonostante a volte lo facesse innervosire con il suo modo di fare da ragazza “ribelle”, ma come precisava sempre Henry “can che abbaia, non morde”, ed era così infatti.
“Non preoccuparti” e uscì di casa, sparendo dietro la porta. Jack rimase per un po’ fermo in soggiorno, poi salì in camera e chiamò Henry; non poteva nascondergli un fatto del genere.


 
Il telefono squillò diverse volte svegliando il coinquilino di Henry, Greg, che lo chiamò a gran voce. “LaMontaigne, per favore, o ti porti il cellulare appresso oppure cambia quell’odiosa suoneria” lo rimproverò girandosi dall’altro lato del letto.
Henry gli lanciò un’occhiata di disappunto e guardò il display segnalante una chiamata persa. “Jack?” si domandò dopo aver letto il nome.
Era strano che avesse ricevuto una chiamata da parte di Jack, i due non si telefonavano mai, al dire il vero, non è che si frequentassero molto, soprattutto ora che Jack era laureato e in attesa di essere ammesso al programma internazionale della Sorbonne per approfondire alcuni studi riguardo lo sviluppo delle cellule tumorali, mentre lui aveva da poco terminato il college e si era iscritto al corso di laurea in Ingegneria biomedica, sempre alla Brown, con dispiacere del suo padrino che avrebbe preferito l’MIT.
“Jack, dimmi tutto” esordì il ragazzo dopo che l’altro ebbe risposto.
“Henry, Ellie è stata rapita…” gli disse senza utilizzare mezzi termini, non credeva che Henry avrebbe preferito un inutile giro di parole.
Fu un lungo minuto quello che seguì quell’affermazione, in cui Henry avvertì una strana sensazione allo stomaco.
Deglutì rumorosamente dando segni di vita che rassicurarono Jack che la linea non fosse caduta. “Hey, stai bene?”
“No..” riconobbe il ragazzo, quella notizia lo aveva lasciato senza parole, per la verità lo aveva messo di fronte alla consapevolezza che lui provava qualcosa di serio nei confronti di Elizabeth.
Aveva sempre vissuto quel groviglio di emozioni, che quella ragazza di cinque anni più piccola di lui riusciva a provocargli, con timore e un po’ di vergogna. Ellie era una ragazzina ancora sotto molti punti di vista, lui invece era un giovane uomo, eppure non riusciva a smettere di pensarla.
Soprattutto dopo quel bacio che si era scambiati durante la festa dei sedici anni di Elizabeth, quell’evento lo aveva colto di sorpresa, si era ritrovato di accarezzare la lingua della figlia del suo padrino senza nemmeno accorgersene.
Nessuno ne era a conoscenza e lui aveva finto di non provare nulla, scusandosi con la ragazza per quella imprudenza e l’aveva evitata per il resto dell’estate. Elizabeth, in tutta risposta reagì come ogni ragazza tradita avrebbe fatto, lo ignorò persino alla sua festa di laurea, risalente a luglio dell’anno precedente, presentandosi con un ragazzo che presentò come il suo fidanzato, ma che, in realtà, era il cugino gay di Blair, la quale aveva suggerito quella mossa per farlo ingelosire.
“Torno a Washington” affermò senza pensarci e riattaccò.

 
“Perché stiamo andando verso Walker Mill?” chiese Spencer notando che avevano preso l’uscita di Pennsylvania Avenue.
“La squadra non è completa” rispose senza aggiungere altro. Proseguirono per un altro tratto e si fermarono davanti ad una casa rossa sorvegliata da un grosso pastore tedesco che appena li vede si mise a ringhiare.
“Hotch, ma dove mi hai portato?” domandò guardando il cane rabbioso con un certo sospetto. Aaron non lo rispose, e s’incamminò verso l’ingresso. “Buono, Steve” disse al cane quando gli passò davanti.
Giunto alla porta bussò e rimase ad aspettare; “Vieni Reid” gli disse facendogli segno con la mano di venire verso di lui, Spencer passò davanti al cane affrettando il passo e si piazzò dietro ad Hotch.
“Aaron Hotchner, spero che tu abbia una buona scusa per avermi disturbato a quest’ora” esordì David Rossi, appena aprì la porta e si trovò davanti Hotch.
“Ottima, David. Mia figlia è stata rapita” disse Spencer spostandosi da dietro l’ex agente supervisore.
Rossi sgranò gli occhi sbalordito, quando si presentavano simili casi, non riusciva a rimanere del tutto distaccato. “Andiamo” gli rispose senza esitare un attimo e prendendo la giacca dall’appendiabiti.
“Se non vi dispiace, io vorrei prima andare a casa” disse il dottor Reid a bassa voce.
“Va bene, noi andiamo con la macchina di Rossi. Ci vediamo in ufficio” rispose Aaron. “Tranquillo, Spencer. Ti prometto che andrà tutto bene” aggiunse per rassicurarlo. Poi si diresse verso Rossi che nel frattempo aveva preso le chiavi della vettura, salì nel veicolo e partirono.
Spencer rimase in piedi solo davanti al cancello della casa di David, incerto su cosa dire a Madison; non trovava le parole per iniziare quella conversazione, probabilmente la più difficile della sua vita, doveva dire a sua moglie che la loro figlia maggiore era stata rapita da un S.I.; ora capiva cosa aveva provato Hotch quando Foyet lo aveva costretto ad allontanarsi dalla sua famiglia, cosa aveva provato quando seppe della morte di Haley, cosa significasse sentirsi impotenti, sapere che una persona che ami è in pericolo e non poter far nulla per salvarla.
Emozioni che aveva già provato in precedenza, quando il suo primo amore fu rapito e ucciso davanti ai suoi occhi, si ricordò della promessa che aveva fatto a sé stesso in quell’occasione, non avrebbe mai permesso che riaccadesse qualcosa di simile alle persone che amava e avrebbe impedito con tutto sé stesso che la stessa sorte capitasse alla sua bambina.
Maeve era importante, ma con il tempo riuscì a superare la sua perdita, parte del merito andava riconosciuto alla sua attuale moglie, ma sapeva che se avesse perso sua figlia, molto probabilmente non sarebbe mai più riuscito a riprendersi.
Salì in auto, fece un respiro profondo per farsi coraggio e partì. Cercò di concentrarsi il più possibile sulla guida, di non pensare alla sua Ellie, ma era inevitabile; non poteva non pensarla, anche se sapeva che sua figlia sarebbe stata all’altezza della situazione, ne era convinto. Elizabeth era una ragazza abbastanza furba, ma soprattutto aveva coraggio da vendere. Sarebbe riuscita a resistere fino a quando lui non l’avesse trovata.
Arrivò a casa, scese dall’automobile lasciando il motore acceso. Entrò in casa, augurandosi di non incontrare subito Madison, ancora non sapeva bene cosa le avrebbe detto, ma invece Madison era proprio lì con il telefono in mano.
“Tua figlia è in un mare di guai, non so dove sia. Ho chiamato a casa di Colin e Florence mi ha detto che non è stata da loro oggi pomeriggio” annunciò a suo marito non appena lo vide.
“Lo so, Maddie”
“Lo sai? Ti ha chiamato?” le chiese incredula, non riusciva a credere che Elizabeth avesse chiamato Spencer.
“Maddie… devo dirti una cosa, ma prima siediti”
“Spencer, mi stai spaventando così” disse, ma ubbidì; posò il telefono sul tavolo al centro della stanza e si sedette sul divano.
“Tesoro, Ellie non è andata a pranzo da Colin perché è stata rapita”. Madison ebbe un mancamento e chiuse gli occhi, sforzandosi di non piangere.
“Rapita? Spencer che stai dicendo? Non capisco…” balbettò, aveva sempre temuto che suo marito potesse essere rapito o ferito da un S.I., ma il rapimento di sua figlia non aveva alcun senso.
“Sei sicuro? Com’è potuto accadere?” gli domandò incapace di guardarlo negli occhi.
“Sì, amore. È così, ho ricevuto delle fotografie… è stato Davis, il manager che abbia interrogato martedì” le spiegò provando ad avvicinasi a lei.
“Voglio vederle” esclamò, alzandosi dal divano.
“E’ meglio che tu non le veda…” ribadì Spencer con fermezza, non voleva che sua moglie soffrisse ancora di più.
“Spencer, non dirmi ciò che posso e non posso vedere, hai capito?” urlò, allontanandosi da Spencer che provava ad abbracciarla.
“Maddie, la troverò. Non lascerò che le accada nulla, lo giuro” rassicurò sua moglie, stringendole le mani.
“Anche se so quanto possa essere difficile, voglio che tu stia tranquilla e che ti fidi di me, me lo prometti?”
La guardò dritto negli occhi, velati dalle lacrime, e sentì il suo cuore andare in pezzi. Sperava con tutto sé stesso di riuscire a mantenere la sua promessa, doveva farlo anche per la sua Madison.
“Sì…” sussurrò la donna, lasciandosi scappare una lacrima che le bagnò il viso. Spencer le asciugò le lacrime e l’abbracciò stretta senza incontrare resistenze.
“Ora vado in ufficio. Anche Hotch e Rossi ci daranno una mano” l’informò e le diede un bacio sui capelli, dopodiché la salutò di nuovo dirigendosi verso la porta d’ingresso.
“Vengo con te” gli disse prendendolo per un braccio.
“No, Maddie. Devi parlare con Jules e Thomas, se vieni in ufficio non ha alcun senso” replicò il profiler.
“Porterò Jules e Tom a casa di Jane e vengo lì” insistette.
“Va bene…”  e si avviò verso la porta.
Poco prima che uscisse, Madison gli rivolse un’ultima domanda. “Spencer, quanto tempo?” gli chiese.
“Quanto tempo?” domandò voltandosi verso di lei.
“Sì, insomma sono vent’anni che ho a che fare con il tuo lavoro, e so bene che per ogni vittima c’è una scadenza ben precisa. Qual è quella di Ellie?”
“Oh, si. Ventiquattro ore…”
“Hai ventiquattro ore per portare mia figlia a casa” rispose fredda. Spencer annuì e se ne andò.


Madison stette ferma sulla soglia della porta incerta sul da farsi, poi si fece coraggio e compose il numero di Jane.


“Pronto?” rispose l’amica dopo aver lasciato squillare il telefono per un po’.
“Jane, sono Madison… Ho bisogno di un favore” sussurrò non appena sentì la sua voce.
“Mads, che è successo? È capitato qualcosa a Spencer?” le domandò preoccupata che dal tono della voce di Madison aveva intuito che qualcosa non andava.
Dovette imporsi di non cedere, serrò forte gli occhi e raccontò all’amica cosa fosse successo.
“Eliza? Che cosa?” esclamò Jane sorpresa da quanto aveva appena sentito.
“Jane, posso portare Jules e Tom da te? Non voglio che rimangano qui da soli…”  le chiese, trattenendosi a stento dal piangere. Aveva paura per sua figlia, paura di non vederla mai più.
“Certo, tesoro. Li vengo a prendere io assieme a Wyatt, ok? Stai tranquilla, tra poco sono lì” la rassicurò.
Madison rispose con un laconico ‘grazie’ e riattaccò, ora doveva parlare con i suoi figli.
Salì le scale e andò in camera di Jules, che stava ripassando la coreografia per il giorno dopo; si stava allenando duramente per il corso interscolastico che si sarebbe tenuto a breve e che avrebbe deciso la loro partecipazione alle regionali di cheerleading.
“Jules, scusami. Ti devo parlare” esordì Madison, dopodiché entrò nella stanza e spense lo stereo.
“Mamma, dimmi. Che è successo?” le domandò leggermente preoccupata notando l’espressione angosciata di sua madre.
“Ju, Ellie è stata rapita dal S.I. del caso di Spencer…” le rispose secca, effettivamente non c’erano modi di semplici per comunicare una simile notizia perciò preferì essere diretta, poi si sedette sul letto; era stremata, non riusciva più parlare, si sentiva vulnerabile ed incapace di reagire.
“Oh…” fu tutto quello che riuscì a dire sua figlia; per un attimo rimase ferma in silenzio, poi si fece coraggio e s’avvicinò alla madre. “Sono sicura che papà la troverà” e le posò la testa sulla spalla in cerca di conforto.
“Trovare chi?” chiese Tom che le aveva sentite parlare intanto che andava in bagno.
“Ellie, tesoro. Tua sorella è stata rapita questa mattina, non sappiamo ancora molto…” ripeté Madison asciugandosi le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. “Vieni qui” aggiunse poi allungando le braccia, aveva bisogno più che mai dei suoi bambini, di sentirli vicini.
“Mamma… e se fosse troppo tardi?” domandò il ragazzo; la notizia lo aveva lasciato senza parole, non poteva credere che sua sorella fosse stata rapita, si augurava calorosamente che suo padre la trovasse, ma soprattutto che fosse ancora viva, non riusciva neanche a pensare ad una vita senza sua sorella.
“La troverà, Tom. Io mi fido di papà” esclamò Jules fra le lacrime, aveva provato a non piangere. Tuttavia, non ne fu capace.
Pensare all’eventualità che sua sorella potesse non tornare, l’aveva profondamente scossa.
Madison tentò di riprendere il controllo e si passò una mano sul viso strofinandosi gli occhi.“Ragazzi, voglio che andiate a casa di Jane, io invece raggiungerò vostro padre in ufficio. Prendete il pigiama e un ricambio, vi aspetto sotto” comunicò ad entrambi che annuirono,dopodiché li abbracciò forte e uscì dalla camera.
Tom rimase seduto sul letto senza dire una parola, pensava ad Ellie, a come doveva sentirsi in quel momento. “Tom, vai a prendere le tue cose, dai” le disse Jules che aveva ormai preso tutto, si avvicinò a Thomas e gli offrì la mano; suo fratello la guardò e annuì, lasciando le ciocche dei suoi capelli castani ricadere sul viso, a quel punto andò in camera sua e prese quanto detto da sua madre .
Tornando verso camera di Jules, si fermò sulla soglia della stanza di Ellie ed entrò. Prese il pupazzo preferito di sua sorella, si sedette sul tappeto abbracciandolo. “Tommy che fai qui dentro?” gli chiese Jules sedendosi vicino a lui per terra “Lo sai che se Ellie lo viene a sapere, si arrabbia. Non vuole che stiamo qui…” provò a dire fingendo che fosse tutto okay, era un modo per distrarsi.
“Le ho preso Mister Skippy, quando papà la troverà, sono sicuro che le farà piacere averlo…” rispose indicando l’orsacchiotto di peluche un po’ sgualcito regalatogli da suo padre all’età di due anni.
“Già…”  gli disse, si rese conto che la prima volta in tanti anni lei e suo fratello stavano insieme, si pentì di essere a volte così presa da stessa al punto da trascurare tutti gli altri; non era egoista, ma semplicemente come le ripeteva sempre suo padre, non riusciva a calibrare il suo tempo.
“Ragazzi…” li chiamò Madison “Ma dove siete? Ah, eccovi…” disse dopo averli trovati, vederli insieme con quell’aria triste le spezzò il cuore, più di quanto non lo fosse già. Si maledisse per aver detto loro cosa stava succedendo, avrebbe dovuto inventarsi una bugia, ma sapeva che non era giusto mentire e perciò si rincuorò pensando di aver fatto la cosa giusta.
“E’ arrivata Jane” aggiunse e scese di sotto seguiti da Jules e Tom che procedevano in un silenzio tombale.
“Jules, vuoi guidare tu?” le chiese Jake, sventolandole le chiavi dell’auto davanti al naso, pensando che forse l’avrebbe aiutata a svagarsi almeno per un po’.
“Ellie non mi ha ancora insegnato …” sussurrò trattenendo le lacrime.
“Sono sicuro che lo farà, c’è un sacco di tempo ancora” le disse sorridendo alla ragazza perché prendesse coraggio.
“Bene, andiamo! Jane ha lasciato la pizza in forno, non vorrei che si bruciasse. Insomma già è abbastanza rovinata di suo” continuò con tono ironica.
“Come sei spiritoso!” rispose sua moglie con una smorfia, poi abbracciò Madison sussurrandole di farsi coraggio e aiutò i ragazzi a mettere le cose nel cofano.
“Ci sentiamo più tardi. Comportatevi bene” raccomandò ai suoi figli, dando loro un bacio sulla testa.
“Mamma, mi prometti che se succede qualcosa di brutto me lo dirai senza fare nessun giro di parole?” le chiese Thomas poco prima di salire in macchina.
“Va bene, tesoro” rispose annuendo, infine, gli diede un altro bacio, e li guardò partire.
Entrò immediatamente in casa chiudendosi la porta alle spalle. Prese in telefono e chiamò i suoi, sentiva un bisogno urgente di avere i suoi genitori lì accanto a lei.
“Pronto?” rispose al telefono sua madre con voce assonnata, in effetti stava già dormendo.
“Mamma…” disse Madison con voce spezzata.
“Bambina, che è successo? Non dirmi che è capitato qualcosa a Spencer!” affermò, aveva sempre avuto la paura che il suo genero potesse ferirsi o peggio morire facendo quel “lavoro da cacciatore”, come diceva sempre lei.
“No, mamma. Ellie…” non riuscì a completare la frase, fece un respiro profondo e proseguì: “E’ stata rapita”
“Rapita? Oddio” esclamò e immediatamente si sedette sulla sedia, si sentiva prossima ad un mancamento. La sua prima nipotina rapita non riusciva a capacitarsene, questo era oltre l’accettabile.
“Voglio che veniate qui” le chiese Madison, sapeva che senza sua madre non sarebbe riuscita ad affrontare la situazione e un eventuale risvolto negativo; amava Spencer e confidava in lui, ma riconosceva che neanche lui sarebbe stato in grado di sostenerla in quel momento.
“Certo, tesoro. Adesso andiamo all’aeroporto e prendiamo il primo volo. Mi raccomando Maddie, non fare cavolate” le disse, anche se non riusciva nemmeno ad immaginare come sua figlia dovesse sentirsi in quel momento si rendeva conto che ciò che le stava capitando poteva far crollare il suo autocontrollo.
“Sì, mamma…” e chiuse. Poi prese il cappotto e salì in macchina diretta verso la sede di Quantico.
 
 
Elizabeth si svegliò, si accorse di non riuscire a muoversi, si sentiva intorpidita come se tutto il suo corpo fosse addormentato; guardò per terra e notò di avere mani e piedi legati, improvvisamente si rese conto di non ricordarsi minimamente come fosse giunta lì.
Pensò ai suoi ultimi ricordi e un brivido le attraversò la schiena:
“Smettila di muoverti, hai capito? E non ti azzardare ad urlare, altrimenti mi costringerai a farti molto male” le aveva detto Davis, puntandole una glock alla testa, poi spinse Elizabeth che cadendo in avanti emise un gemito, a quel punto John si era avvicinato e gli aveva iniettato un liquido blu nel braccio e tutto diventò buio. Ripensando a quello che le era successo, Ellie cominciò a piangere, desiderò fortemente di poter tornare bambina, chiamò i suoi genitori anche se se sapeva che non sarebbero arrivati…
Si sentì una stupida ad aver pensato di riuscire da sola, si era messa in pericolo inutilmente. “Mi dispiace, papà…” disse con le lacrime agli occhi per poi ricadere in una sorta di dormiveglia.
Migliaia di ricordi le affiorarono la mente; vide se stessa, seduta sul divano, con una scatola di cereali in mano, aveva poco più di 3 anni, suo padre l’aveva rimproverata dicendo che non doveva mangiare dalla scatola, lei però aveva continuato imperterrita perché era più divertente così, poi la porta si aprì ed entrò sua nonna Natalie con una bimba in braccio avvolta in una mantellina rosa; sua nonna mise la bambina in braccio a suo padre, che si avvicinò a lei e le disse:”Guarda, Ellie! Questa è la tua sorellina!”; il primo ricordo di sua sorella Jules svanì e si ritrovò nel letto matrimoniale sdraiata accanto a sua madre che si accarezzava il pancione, “Mamma, ma quando nascerà mi vorrai ancora bene?”  le aveva chiesto “Ma certo, sciocchina. Tu e la tua sorellina sarete sempre le mie due bimbe adorabili”  aveva affermato la sua mamma sorridendo. “Ed io sarò sempre il tuo raggio di sole?” le aveva chiesto ancora.
“Sempre” le aveva risposto abbracciandola stretta stretta per farle il solletico; lo scenario cambiò ancora, ora si trovava nel deserto del Nevada in piedi davanti ad una tenda da campeggio, “Nonno, ma per forza dovevamo venire qui?” gli aveva chiesto, era più molto grande, aveva circa 13 anni. “Ellie sei proprio come tuo padre! Sempre a lamentarsi…” imitando il modo di gesticolare di suo padre.
“Vieni qui! Senti l’odore della terra. Ha il profumo del mare”  aveva aggiunto avvicinandole un pugno di terra al naso, Ellie starnutì urlando:“Che schifo!”.
Suo fratello invece, dopo aver annusato la terra, confermò quanto detto da suo nonno felice della nuova scoperta. “Siete due pazzi! Questo è il deserto! Qui mare non ce n’è! Come fa la terra a profumare di sale? A meno che un tempo di qui non passasse un fiume, ma in ogni caso non può essere perché quella è acqua dolce mica salata” esclamò scioccata dall’affermazione di suo fratello.
“Ellie, certe cose non le devi capire, ma solo sentire” aveva detto suo nonno; il ricordo di suo nonno nel deserto si sfumò, ora se ne stava seduta davanti a suo padre che le spiegava la lezione di fisica di quella settimana: “La corrente elettrica è un moto ordinato di cariche, nel senso che le cariche negative scendono lungo la differenza di potenziale, quelle positive invece risalgono. Ellie, ma mi stai seguendo?” le aveva chiesto dandole un leggero scossone.
Ellie aveva annuito, ma in realtà non lo stava affatto sentendo, pensava ad Henry e al pomeriggio che avevano appena passato insieme. L’aveva sempre considerato un buon amico, ma ultimamente in lui ci aveva visto qualcosa di più e non le dispiaceva affatto, al pensiero sorrise mentre suo padre continuava a blaterare sulla differenza di potenziale…
Il rumore di passi nella stanza la distolse dai suoi ricordi, guardò verso la porta e vide John che trafficava con delle siringhe. “Che stai facendo?” gli chiese quando lo vide avvicinarsi a lei intenzionato a iniettarle qualcosa.
“Questo ti darà un po’ di sollievo. Non ti farà alcun male” affermò, in seguito le iniettò il liquido nel braccio.
“Perché lo fai? Lo so che non vuoi farlo, me ne sono accorta. Puoi aiutarmi e ti prometto che mio padre ti farà ottenere una riduzione della pena, tutto quello che devi fare è chiamarlo” propose fiduciosa, credeva che se John si fosse sentito coperto l’avrebbe sicuramente aiutata, invece l’uomo dopo un momento d’esitazione scosse la testa. “Sarai incriminato per quattro omicidi, cinque con quello che ti sei accollato oggi e sei se ucciderete anche me, insomma John siamo già ad un centinaio di anni di carcere” sottolineò la ragazza sperando che il pensiero di passare il resto della sua esistenza in prigione lo persuadesse ad aiutarla.
“Mi dispiace, ragazzina. Ma se qualcosa dovesse andare storto, io verrò punito con la morte e perciò preferisco il carcere” disse e se ne andò lasciando Ellie da sola che qualche minuto più tardi cominciò a sentire la testa pesante dopodiché tutto divenne buio di nuovo.
 
  
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