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Autore: ElleX26    18/10/2012    5 recensioni
Kurt e Sebastian si rincontrano. Situazioni, luoghi, persone diverse. Anche loro sono un po’ differenti, pur essendo rimasti sempre uguali. Sebastian è ancora l’arrogante ragazzino pieno di sé che odora di sesso. Kurt sta ancora con Blaine, anche se il loro rapporto è ormai danneggiato, probabilmente in maniera definitiva.
Rachel è troppo piena di sé. Santana è sempre uguale, stronza e caliente. Anche Brittany è sempre lei: un gran cuore e una mente persa tra unicorni e delfini. Finn è lontano, parecchi fusi orari più in là. Burt è il solito padre affettuoso, anche se ormai è diventato un senatore molto impegnato. L’era del Glee Club sembra lontana anni luce per chi ormai è completamente proiettato verso una nuova avventura. New York è la cornice perfetta per lasciarsi il passato alle spalle.
Prima FF che scrivo. Kurbastian con un assaggio di Klaine. FutureFic!
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Santana Lopez, Sebastian Smythe, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I SHOULD TELL YOU_8

Inizio già a nascondermi. Sono una pessima, pessima persona, lo so. Io e gli aggiornamenti non andiamo d’accordo. Proprio zero. =(

Comunque, ora sono qui.

Questo capitolo è stato difficilissimo da scrivere, non chiedetemi perché, e tutt’ora non mi convince. Se lo vedete pubblicato, è solo perché ho avuto il sostegno morale della cara Jules, quindi… grazie Jules! XD

Visto che sono in vena di ringraziamenti, dico un enorme, enorme grazie a tutti voi. Voi che leggete, preferite, seguite, etc. Aumentate a vista d’occhio, e il mio amore per voi cresce in maniera direttamente proporzionale ;P

Battutacce matematiche a parte, il grazie più grande va a chi spende sempre qualche minuto per recensire; taaaanto affetto virtuale a: Tallutina, Ily91, cup of tea, Madez, il_vaso_di_Pandora, love mojito e gledis.

Non so se qui si usa, però su altri siti l’ho visto fare, quindi, come promesso, lo faccio anch’io. Questo capitolo è dedicato a Fanny =)

 

Buona lettura (spero),

Elle <3

p.s. come sempre critiche, pensieri, suggerimenti, idee verranno accolte a braccia aperte! ;)

 



I should tell you

 



Capitolo ottavo:

 

“Furt”

 

 

Santana si liberò di quell’osceno grembiulino giallo senape con un sospiro di sollievo. Aveva avuto una mattinata infernale. L’ennesima. Al solito livello di disperazione, tristezza e squallore che quel piccolo supermercato le provocava ogni santo giorno, oggi aveva dovuto aggiungere ansia e apprensione alla lista dei suoi sentimenti.

Se fisicamente si era stancata cercando di eseguire gli assurdi ordini di Herr H, mentalmente non aveva lasciato per un secondo casa, e soprattutto Kurt. Aveva pensato tutta la mattina all’amico e alla reazione che aveva avuto. All’inizio aveva creduto che fare una lista di possibili torture in ordine crescente di dolore, pronta per quando Kurt si sarebbe voluto vendicare di Anderson, sarebbe stata l’opzione migliore. Poi, però, si era ricordata di quella porta chiusa e di quel silenzio innaturale in cui si era rifugiato Kurt ed era giunta alla conclusione che, prima di aver voglia di torturare l’ex, forse l’amico doveva scendere a patti col fatto di avere un ex.

Scontrino dopo scontrino aveva rimuginato su come aiutare Kurt, come risollevarlo di morale, ma la sua mente brillante non era riuscita a trovare nessuna opzione plausibile. Aveva scandagliato idea dopo idea, cercando persino di ripescare qualche vecchio trucco di Mister Schue, ma non era mai stata una persona da grandi gesti, o azioni plateali. E sicuramente non avrebbe sfoderato il repertorio di ballate della Berry per serenare Hummel. Avrebbe dovuto pensare a qualcos’altro. 

La mattinata passò così in un attimo, tra idee bocciate e ordini non rispettati, che le fecero guadagnare qualche borbottio di troppo da parte del suo capo.

Inutile dire che, sommando tutto, a Santana mancava tanto così per scoppiare. E Santana Lopez che perde il lume della ragione non è mai un bello spettacolo.

 

Lagnandosi, uscì da quel negozietto, diretta verso la metropolitana. Fortunatamente per quel giorno aveva finito di lavorare: niente Violet a cui fare da babysitter, né piano bar a cui cantare.

Proprio mentre stava per scendere le scale della metro, le squillò il cellulare, così si fermò appoggiata a quella ringhiera arrugginita e cercò il telefono nella borsa. Dopo aver sudato sette camicie per trovarlo, guardò lo schermo per controllare chi fosse. Vedendo comparire il nome di Brittany, accettò di buon grado quella chiamata.

“Hey, Britt!” la salutò con tono gioioso. Non era ancora contenta di come avevano terminato la conversazione la sera prima, ma era felice che la fidanzata l’avesse pensata e l’avesse chiamata. Era praticamente la prima nota positiva di quella giornata.

“Santana! Dov’è Kurt?” il tono di voce di Britt era concitato e chiaramente preoccupato.

“A casa,” si fermò un secondo, ponderando se dire a Brittany anche con chi era Kurt. “Con Sebastian.”

“Avete conosciuto il granchio della Sirenetta?” domandò Brittany, evidentemente confusa.

“No, purtroppo no. Sebastian l’Usignolo, tesoro.” rispose con tono accondiscendente la brunetta.

“Quello che ha trasformato l’hobbit in un ciclope?” La logica di Brittany, per quanto azzardata e semplicistica, era sempre ineccepibile e non smetteva mai di sorprenderla.

“Si, esatto, proprio lui.” Santana sentì Brittany borbottare qualcosa di vagamente simile ad un verso d’assenso, poi silenzio.

“Gli è già caduto il corno?” chiese Brittany tutto d’un fiato. Santana aggrottò le sopracciglia, cercando di interpretare la frase della fidanzata. Il corno? 

“Britt, tesoro, sai che ‘mettere le corna’ è solo un modo di dire, vero?”

“San, il bicorno sono io. Kurt è un unicorno: non ha le corna, ma solo un corno.” Spiegò la bionda con tono petulante, come se stesse parlando con un bambino. “Kurtsie è il più grande unicorno di tutti, credevo che dopo avermi aiutato a preparare quei cartelloni per la sua campagna elettorale, l’avessi capito anche tu.”

Santana era sempre più confusa.

“Se è il più grande unicorno di tutti, perché dovrebbe cadergli il corno? Non dovrebbe essere più forte, o più magico, o qualche stronzata simile?”

“È più magico,” rispose con tono cospiratorio Brittany. “Quando gli unicorni sono molto tristi, però, perdono il loro corno e diventano zebre. Io non voglio che il mio unicorno personale diventi una zebra, San. Sugar si è offerta di chiedere a suo padre di comprarmi un pony e fargli attaccare un enorme corno, ma io non voglio un unicorno finto. Io voglio il mio Kurtsie.” Finì Brittany con tono lamentoso.

Santana, suo malgrado, doveva ammettere di iniziare a seguire la logica della fidanzata. Oltretutto, quanto poteva essere ricca (e sciocca) Sugar per proporre certe cose? Scuotendo la testa, rispose. “Non ti preoccupare, Britt, Kurt non perderà il suo corno.” Santana sembrò ponderare qualcosa, perché sorrise maliziosa e poi aggiunse: “Anzi, sembra che ne abbia appena trovato uno nuovo. Piuttosto sexy, oltretutto, anche se mi costa tantissimo ammetterlo.” Non importava quanto disperati fossero i tempi correnti: Santana Lopez non era una da passare la possibilità di una battuta a sfondo sessuale o di un doppio senso, persino quando rasentava l’impossibile, perché diciamoci la verità – pensare a Kurt e Smythe come una coppia? Da brividi.

“Kurtsie è diventato bicorno? Vuol dire che ci posso limonare ancora? Le sue labbra erano così morbide.” Brittany sembrava tutt’un tratto molto eccitata.

Santana decise di non rispondere a quest’ultima domanda, lasciando così tutto in mano a Kurt. Poteva essere divertente vedere Brittany cercare di provarci con Hummel, di nuovo.

“Britt, ma come facevi a sapere che Kurt è triste?” domandò Santana, aggrottando le sopracciglia. Era ancora poggiata a quella vecchia ringhiera, e mentre parlava al telefono, osservava la gente andare e venire, freneticamente alla rincorsa del tempo.

“Blaine Usignolo ha cantato ‘Goodbye my lover’ al Glee. Tina ha pianto, Joe si è messo a pregare e Mister Schue ci ha chiesto se doveva rappare per tirarci su di morale.” Rispose Brittany con tono piatto, quasi annoiato. Sicuramente si è fatta distrarre da qualcos’altro, pensò Santana.

“Un disastro, praticamente.” disse comprensiva la latina.

“Mai quanto la nuova compagnia di randagi che sta frequentando Lord Tubbington. Sto facendo una colletta per raccogliere fondi per la cauzione che dovrò pagare se non smette di vedersi con quei poco di buono.” Brittany sospirò pesantemente.

Santana alzò gli occhi al cielo di fronte all’ennesima follia della fidanzata e del suo enorme gatto. Aveva imparato per esperienza che era inutile farle notare che Lord Tubbington era solo un animale, e di conseguenza non poteva fare nemmeno metà delle cose di cui si preoccupava. L’unica volta in cui l’aveva suggerito, era stata attaccata da quell’obesa palla di pelo e aveva avuto graffi e segni sulle braccia per almeno un mese. “Britt, mi dispiace, se vuoi posso provare a parlarci io.”

“Santana, non dire sciocchezze,” l’ammonì Brittany. “Sai che Lord T ti odia.”

“L’onestà è sempre apprezzata.” Ribattè sarcasticamente Santana. Ironia non colta da Brittany, che le rispose semplicemente. “Lo so.” Brittany sospirò, poi riprese. “Comunque adesso devo andare, Sanny. La coach Sue ha ristabilito gli allenamenti del pomeriggio, e Veronica mi sta aspettando per andarci insieme.”

“Veronica sarebbe la nuova Quinn?” chiese Santana, cercando di mascherare il suo risentimento. Sentiva pochissimo la ragazza, e ogni volta che riuscivano a parlarsi, c’erano sempre altri problemi da discutere. Le mancava un po’ di tempo da sola con Brittany.

“Si, una stronza di prima categoria. Abbraccia Kurt da parte mia, San. Ciao!”

Prima ancora che la latina potesse risponderle, o salutarla, però, l’altra aveva già chiuso la telefonata. Santana sospirò, leggermente ferita dal comportamento sbrigativo della fidanzata nei suoi confronti. Riprese a scendere le scale, salendo in fretta sul treno in partenza. Si appoggiò ad un palo di metallo, una volta probabilmente verde, ora solo sporco, e archiviò il suo risentimento momentaneo nei confronti di Brittany. Aveva ben altri problemi.

Stava tornando a casa, casa dove aveva lasciato un Kurt distrutto nelle mani del suo più grande antagonista, nonché una delle persone più stronze che Santana avesse mai avuto il piacere di incontrare – ed è dire qualcosa, quando hai passato metà della tua adolescenza in compagnia dell’amorevole Sue Sylvester. Si chiese come le fosse saltato in mente, quella mattina, di lasciare entrare Sebastian. Scosse la testa, cercando di non concentrarsi su ciò che l’avrebbe aspettata a casa, ma solo sul trovare una buona idea per aiutare Kurt.

Ci doveva pur essere qualcosa che l’avrebbe fatto sorridere, – a parte la testa di Blaine su un piatto d’argento – o qualcosa che gli serviva, o gli mancava. Qualcosa. Qualcuno.

Improvvisamente Santana ebbe l’impulso di mangiare le sue stesse mani.

Come aveva fatto a non pensarci prima? C’era qualcuno che mancava molto a Kurt, e che poteva farlo sorridere, almeno per un po’. Qualcuno la cui assenza pesava al ragazzo molto più di quanto non volesse far credere, e di cui si era lamentato abbastanza con lei, specie i primi tempi a New York. Da quando le aveva confidato che gli mancava e che non riusciva a sentirlo, Santana aveva pensato di chiedere un paio di favori per riuscire a metterli in contatto. Poi però, presa dalla frenesia del trasferimento e della nuova vita, se n’era completamente dimenticata. Era arrivato il momento di fare quella telefonata che rimandava da tempo.

Controllò il cellulare per accertarsi di avere ancora campo, pur essendo sottoterra. Quando si accorse di qualche tacca disponibile, sorrise furbescamente, scorrendo la rubrica in cerca del numero che le serviva.

 “Zio, sono Santana. Mi serve un favore.”

 

***************************************************************************

Kurt stava compulsivamente pulendo la cucina. Armato di spruzzino e strofinacci, aveva già lucidato metà della superficie. E questo lo faceva sentire tremendamente bene.

Aveva scoperto fin da piccolo di aver bisogno di un outlet di sfogo per le emozioni represse, per liberare la mente dai pensieri più fastidiosi, e per regalarsi almeno una momentanea percezione di tranquillità. Poche cose gli donavano questa pace interiore: cantare, i muffins ai mirtilli e riordinare. Sistemare ossessivamente l’ambiente in cui viveva, per lui era l’equivalente di riordinare le proprie emozioni e preoccupazioni.

Così, dopo aver mangiato quei deliziosi muffins con Sebastian, mentre guardavano Mulan, e dopo che quest’ultimo se n’era andato, giustificandosi con un “non voglio essere sottoposto ad un terzo grado dalla Lopez”, Kurt aveva iniziato a riordinare. All’inizio, se doveva essere sincero, aveva provato a cantare, ma cantare significava esporre le proprie emozioni. Rendersi in qualche modo vulnerabili. E in quel momento Kurt non poteva sopportare di aprirsi ad esse. Aveva bisogno di allontanarle per un po’, di liberare la mente per qualche ora. Poi, forse, poteva scendere a patti con l’intreccio di pensieri e emozioni che gli stavano causando un forte mal di testa.

Fu così che Santana, entrando in casa in punta di piedi, lo trovò. Accovacciato sulle ginocchia a pulire il forno. Forno usato un totale di tre volte, e quindi praticamente immacolato.

A braccia conserte si appoggiò allo stipite della porta della cucina, un sopracciglio sollevato e un ghignetto malefico a tirarle quei bellissimi lineamenti. “Mi fa piacere che il mio mini pony sia uscito dalla stalla.”

Kurt, che non l’aveva né vista né sentita arrivare, saltò in piedi di scatto, gli occhi sgranati. “Santana!”, gridò. “Mi hai fatto prendere un colpo.”

Santana rise ed entrò cautamente in cucina, senza mai distogliere lo sguardo dall’amico. Mentre tornava a casa, si era immaginata differenti scenari ad aspettarla, e questo era il meno probabile. E francamente anche il più inquietante. Kurt era passato dall’essere completamente chiuso in sé stesso, a pulire casa come se niente fosse. Santana non credeva fosse possibile riprendersi così in fretta, quindi le opzioni erano due: o Sebastian l’aveva drogato, o Kurt non si era ancora ripreso.

“Allora, dov’è Smythe?” chiese con tono neutro Santana.

“Se n’è andato.” Rispose Kurt con noncuranza. “Qualcosa riguardo ad un terzo grado pari a quelli del KGB e un’amica molto impicciona.” Il ragazzo tentò di sorriderle, in maniera tirata e tremolante, prima di riprendere a spruzzare il prodotto per pulire contro il vetro del forno, strofinando con tutta la forza che aveva in corpo.

Santana si corrucciò, ma decise di non dire niente riguardo lo strano comportamento. “Mi fa piacere sapere di incutere ancora timore, anche se ora mi toccherà aspettare di rivederlo per avere delle risposte riguardo il suo comportamente. E non credo succederà molto presto.”

“Potresti sbagliarti,” replicò Kurt, mentre cercava di arrivare in profondità dentro al forno, pulendone anche gli angolini più remoti.

Seriamente, pensò Santana, se non fosse così inquietante, mi metterei a ridere.

“Ah, prima che mi dimentichi, ti saluta Britney.” Si alzò a prendere un bicchiere d’acqua, e poi, ripensando alla risposta di Kurt, aggrottò le sopracciglia. “Aspetta, che vuol dire che potrei sbagliarmi?”

“Significa che Sebastian, incaricato da Jeff e Nick, ha preteso di organizzare un’uscita insieme. A quanto pare Jeff voleva assolutamente vedermi, così ho pensato di prender due piccioni con una fava. È da quando hai iniziato a lavorare al locale che mi chiedi di venire a vederti. Venerdì ci vediamo lì per bere qualcosa, e per ascoltare una fantastica cantante.” Kurt si alzò, facendo l’occhiolino a Santana, e andando verso il lavandino per pulire lo strofinaccio che aveva usato.

“Jeff e Nick?” chiese dubbiosa Santana.

“Gli Usignoli. Jeff è il biondino che balla bene, Nick è il moretto carino. Stanno insieme.”

“Ah, ok.” Kurt aveva ripreso la sua mozione di pulizia, questa volta attaccando il frigorifero. Aveva iniziato a svuotarlo velocemente, poggiandone il contenuto sul tavolo.

“Ehi, ehi, casalinga disperata, che stai facendo?” lo fermò preoccupata Santana.

“Pulisco.” Kurt non sembrava fermarsi, come se avesse inserito l’autopilota.

“Sì, lo vedo, ma non ce n’è bisogno.” Mentre Kurt svuotava il frigorifero, Santana cercava di rimetterci dentro il contenuto, invano.

“Oh, sì, invece.” Ormai tutto il cibo era appoggiato con cura sul tavolo e Kurt stava spruzzando lo sgrassatore su ogni centimetro dell’interno dell’elettrodomestico.

“Kurt, Kurt, fermati un attimo. Che stai facendo?” chiese Santana, esasperata.

Kurt si voltò a malapena, girandosi di tre quarti. “Ti ho già detto che devo pulire.”

“Si, ma – insomma, ascoltami un attimo,” Santana prese l’amico per le spalle e lo trascinò a sedere. “Stamattina sono uscita lasciando la mangusta in casa, mentre tu ti eri barricato in camera e nemmeno rispondevi.” Il tono di Santana era fermo e deciso, forse persino rude. Ad un estraneo poteva sembrare dura, severa, ma Kurt aveva capito che in realtà era solo preoccupata. “Che stai facendo?” chiese più dolcemente, sedendosi di fronte a Kurt.

Kurt sospirò. “Jeff ha detto a Sebastian come risollevarmi il morale. Sono uscito dalla stanza, abbiamo fatto colazione insieme, abbiamo guardato Mulan, Sebastian se n’è andato e io mi sono messo a pulire. Fine.” Santana continuava a scrutare Kurt, incredula. Archiviando come possibile materiale di ricatto il fatto che Smythe avesse guardato Mulan con Hummel, mancava ancora qualcosa.

Kurt, sotto lo sguardo dell’amica, cedette. “Pulire e riordinare mi aiuta a scaricarmi. Si, lo so, è terribile, ma è ciò che è. C’è chi va a correre, chi va a boxare, chi va a fare shopping, chi canta – insomma, ognuno ha un suo modo di scaricarsi. Oggi, questo è il mio.”

Santana lo guardò ancora un attimo, indecisa, poi sospirò e si alzò. “Va bene. Se ti è utile, continua pure a pulire; io vado a mangiare qualcosa al bar all’angolo. Solo un favore, tra un’ora, vedi di aver finito e di collegarti a Skype. Puoi ringraziarmi comprandomi qualcosa.”

Così come era arrivata, se ne andò, in un fruscio di profumo e movimenti fluidi. Sbatté la porta alle sue spalle, lasciando a Kurt privacy e tempo.

 

***************************************************************************

Tre quarti d’ora dopo che Santana l’aveva – a suo modo - salutato, Kurt gettò la spugna. Letteralmente. Lanciò il panno che aveva usato per pulire nel lavandino, rimise a posto i prodotti e andò in bagno a lavarsi le mani.

Quando Santana era uscita, Kurt era rimasto per qualche minuto seduto a quel tavolo, pensieroso, cercando di capire per quale motivo dovesse entrare su Skype entro un’ora. Poi, ricordandosi del perché indossava la sua tuta più vecchia e un paio di guanti di plastica gialli, ricominciò a pulire, effettivamente escludendo ogni preoccupazione dalla mente.

Aveva finito di pulire il frigorifero, lindo e splendente, e aveva riposto con cura tutto il suo contenuto all’interno. Aveva addirittura fatto in tempo a pulire il pavimento, prima di porsi un limite e abbandonare il momento catartico della pulizia.

Uscito dal bagno, si diresse in camera per prendere almeno una maglietta pulita. Recuperò il portatile di Santana e andò sul divano. Aveva ancora dieci minuti prima dello scadere dell’ora X che l’amica gli aveva imposto. Ora X per cosa poi? Su Skype Kurt aveva pochissimi amici – come nella vita reale, del resto – e di norma lo usava solo per parlare con Blaine, e a volte Rachel o Mercedes. Inutile dire che al momento non era interessato a sentire nessuno dei tre.

Se per tutta la mattinata, prima grazie a Sebastian e ai muffins, poi grazie alle sue attività da Cenerentola, aveva evitato di pensare a Blaine, ora non poteva farne a meno. Non solo perché volente o nolente la sua mente lo riportava sempre lì, ma anche perché sapeva di dover ripensarci. La notte prima aveva pianto, si era prosciugato ogni emozione. Poi aveva messo tutto a freno, in pausa, pensando e facendo altro. Adesso era arrivato il momento di prendere in mano la situazione e affrontarla. A piccoli passi.

Il primo passo era avere il coraggio di accettare ciò che era successo.

Deglutendo un groppo indigesto, Kurt restò per un attimo a fissare il vuoto. Controllò poi l’orologio e vide che era appena terminata l’ora datagli da Santana. Non era ancora sicuro di voler affrontare chissà quale sorpresa poteva avergli preparato la coinquilina, però da qualche parte doveva ripartire.

Coraggio, si disse.

Rise amaramente per la scelta di quella singola parola che allo stesso tempo lo faceva sentire amato e protetto, e dimenticato e ferito. Aprì Skype e d’impulso bloccò i contatti di Blaine e Rachel. Se la sorpresa riguardava uno di loro, allora non era ancora pronto ad accettarla.

Quando si accorse di chi era appena entrato, ebbe un balzo al cuore.

Finn Hudson.

Cos’era successo? Perché aveva accesso ad un computer, quando le regole del campo non gli permettevano nemmeno un telefono, se non per dieci miseri minuti? La sua apparizione non prometteva nulla di buono. E Kurt temeva di non riuscire a reggere altre brutte notizie. Quasi tremando, aprì la videochiamata con il fratellastro.

Quello che si ritrovò davanti, gli sembrò lontano anni luce dal goffo adolescente per cui aveva avuto una cotta durante il liceo. Sicuramente non era più tanto un adolescente. L’espressione del suo viso, pur restando sempre pura e dolce, era maturata, indurendosi un po’. La stessa cosa era successa ai lineamenti del volto. Kurt non sapeva dire se aveva perso peso, se il taglio militare dei capelli faceva sembrare le linee di quel viso familiare più dure, o se l’esperienza che stava vivendo lo aveva segnato già così profondamente. Sapeva solo che il buffo ragazzone troppo alto dai lineamenti da bambino, aveva ora un viso più adulto, e addirittura sulla fronte si vedeva qualche linea d’espressione. Kurt notò che una cosa non era cambiata, però.

Il volto di Finn, dopo aver visto Kurt dall’altra parte dello schermo, si aprì in un sorriso imbarazzato e dolce. Lo stesso sorriso sghembo di sempre.

“Finn,” iniziò con tono incerto Kurt. “Oh, Dio, stai bene? È successo qualcosa?”

“Dovrei chiedertelo io, fratellino. Pensavo fosse successo qualcosa a mamma e papà.”

“No, non che io sappia,” A Kurt si scaldò il cuore quando sentì che il fratellastro – suo fratello – aveva appena chiamato Burt papà. “Non riesco a credere di riuscire a sentirti.”

Finn sospirò e sorrise. “Wow, che sollievo. Pensavo fosse successo qualcosa. Quando il capitano Lopez mi ha trascinato qui –“

“Aspetta un attimo, come hai detto?” chiese Kurt, corrugando le sopracciglia.

“Ho detto che quando uno dei capitani mi ha trascinato qui,”

“Sì, sì, quello l’ho capito,” lo interruppe Kurt. “Il nome del capitano.”

“Ah, Lopez.” Rispose Finn. “Perché ti interessa?”

Kurt, nonostante tutto, si ritrovò a sorridere. “Così. Credo di dover ringraziare una persona.” Rispose Kurt.

Finn, da sempre non troppo acuto, aveva l’espressione del volto corrucciata. La stessa espressione che si vede sui bambini quando non riescono ad afferrare un concetto più grande di loro, qualcosa che non gli è stato spiegato. “Non ti seguo.”

Kurt roteò con affetto gli occhi. “Lopez, Finn, Lopez. Chi altro conosci con quel cognome?”

“Mmm, non lo so.” Finn sembrava genuinamente confuso, e Kurt voleva sbattere la testa contro il muro. Si era dimenticato di quanto potesse essere frustrante, a volte, parlare con il fratello.

“Santana Lopez.” Lo imbeccò Kurt. “Ti dice niente?”

“Ah, già, ma che c’entra con questo?”

“Mi ha fatto un favore.” Rispose semplicemente Kurt. “Mi sei mancato, Finn.”

Finn sorrise, gli occhi che luccicavano. “Anche tu, fratellino. Come stai? Come stanno mamma e papà? Questa settimana non siamo mai riusciti a sentirci. E te – te è da quest’estate che non ti sento e non ti vedo.”

“Lo so,” rispose con tono contrito Kurt. “Non ti preoccupare, Carole e papà sono a Washington. Li ho sentiti sabato l’ultima volta, e stavano benissimo. Si stavano preparando per una cena di gala; puoi immaginare quanto fosse contento papà.” I due fratelli si scambiarono un’occhiata complice e ridacchiarono. “Per quanto mi riguarda,” Kurt prese un respiro profondo. “Sto bene, direi. New York è fantastica, anche se in realtà non ho avuto molto tempo per vederla. Diciamo che all’inizio passavo troppo tempo a rimpiangere ciò che avevo lasciato, ma ora voglio recuperare. L’università mi piace, e proprio ieri ho saputo di avere la possibilità di preparare un numero per Vogue insieme alla mia insegnante.” Kurt sorrise, mentre Finn sgranava gli occhi.

“Vogue? Cavolo, fratellino, sapevo che eri bravo, ma così,” Finn scosse il capo, sconcertato. “Wow! Te lo meriti, sai?”

“Grazie, Finn. Tu? Come stai?” gli chiese dolcemente Kurt. Ancora non riusciva a credere che il fratellastro fosse nell’esercito e che fosse cambiato così tanto nel giro di pochi mesi. E, Dio, se gli era mancato.

“Bene,” rispose Finn, incerto. “È dura. Non posso dire altrimenti.” Prese un respiro profondo e scosse la testa. “Mi ha cambiato, e molto. Per il momento, però, sono contento. Voglio farlo, voglio fare la differenza, voglio portare avanti e a termine qualcosa, per una buona volta. Non posso fallire anche questo. Non voglio essere un fallimento.” Finn distolse lo sguardo, abbassandolo.

Kurt si ritrovò ad avere gli occhi lucidi, maledicendosi per l’emotività mal controllata di quei giorni. “Finn, ascoltami, non sei e non sarai mai un fallimento.”

Il fratello scosse la testa, sorridendo mestamente. “E invece sì, Kurt. Ho fallito in tutto e per tutto. Come figlio, ho deluso mia madre, facendola soffrire terribilmente prendendo questa decisione. Come fratello: non ti vedo e non ti sento da mesi, Kurt. Mesi. Come amico: ho deluso Puck non andando con lui a Los Angeles, e so che sia lui che Sam si aspettavano qualcos’altro da me, si aspettavano perlomeno di sentirmi. E soprattutto, ho fallito con Rachel. L’ho abbandonata, come ho abbandonato te, e mamma, e –“

“Fermati, Finn,” lo interruppe con tono deciso Kurt. “Non sei assolutamente un fallimento. Sei un figlio incredibile, specie per la scelta che hai fatto. Sì, all’inizio Carole ci è stata male, ma sa perché l’hai fatto. Per orgoglio, per il nome di tuo padre e per te stesso. E lo capisce, veramente. Io ti voglio bene. Nonostante tutto, sei di famiglia, ormai. Non potrai mai essere un fallimento ai miei occhi.”

“Rachel – “ tentò Finn.

“L’hai lasciata libera. Libera di vivere il suo sogno e la sua vita, ciò che ha sempre voluto e per cui ha lottato. Hai preso la decisione più difficile e matura che potessi prendere, non azzardarti a rimorderla.”

“Grazie, fratellino, sei sempre il migliore.” Finn sorrise di nuovo, osservando Kurt. “Kurt, sei sicuro di star bene?” chiese sottovoce, insicuro.

“Si, certo, non preoccuparti.” Rispose con tono tremolante Kurt. Finn aveva già tanto di cui preoccuparsi, non doveva sapere anche di lui e Blaine. Specie perché avrebbe voluto vendicarsi. Oltretutto Kurt stesso non era ancora sicuro di aver afferrato bene il concetto della loro separazione, non era sicuramente pronto a dirlo ad altri.

Finn sospirò, evidentemente insoddisfatto della risposta. Dopo aver vissuto un anno con gli Hummel, però, sapeva quando evitare di spingere troppo Kurt, e di testare i suoi limiti. “So che da qua è difficile, ma ricordati che io ci sarò sempre per te. Oltretutto per il Ringraziamento posso venire a casa e restarci fino all’anno nuovo. Ci credi? Sarò a casa per più di un mese!”

“Mi fa piacere, Finn,” rispose sinceramente Kurt. “Anche se non so se io sarò a casa per il Ringraziamento.”

“Oh,” fece Finn, un po’ deluso. “Ti aspetterò per Natale, allora.”

“Certo,” gli sorrise Kurt. “E prometto di cucinarti i cupcakes che ti piacciono tanto.”

“Sei il migliore, fratellino!” si illuminò Finn.

Kurt roteò gli occhi. “Sai che sono più grande io, vero?”

“Si,” rispose con tono petulante Finn. “Io sono più alto, però.”

Si sorrisero per un attimo, poi Kurt vide Finn voltarsi di scatto. “Merda, Kurt, avevo solo un quarto d’ora. Devo andare.” Disse un po’ imbronciato.

Kurt gli sorrise, comprensivo. “Non ti preoccupare, capisco. Non sai quanto mi abbia fatto piacere sentirti, Finn.”

“Anche a me, fratellino. Saluta mamma e papà, se li senti. Mi mancate.” Ora era il momento per Finn di avere gli occhi lucidi.

“Lo farò,” disse con tono dolce Kurt. “Stammi bene.”

Finn lo salutò con la mano, mentre sorrideva dolcemente, prima di staccare la chiamata.

Quanto gli era mancato, e gli mancava tutt’ora, Finn. Non solo perché era Finn, suo fratello, il perticone tanto dolce quanto imbarazzante, ma perché gli mancava casa. Gli mancavano i suoi genitori, e l’affetto e il calore della famiglia che era stata loro per solo un anno. In quel momento avrebbe voluto avere più tempo da passare con quelle persone che erano entrate a far parte della sua vita da così poco. Aveva sempre avuto fretta di scappare dall’Ohio, da Lima, da quell’incubo omofobo, ma ora ne aveva nostalgia. Aveva nostalgia del suo passato. Gli mancava la stretta forte e calorosa di Burt, l’abbraccio materno e delicato di Carole e tutti i battibecchi con Finn. Sospirò, pensando che a Natale non mancava poi tanto, e che li avrebbe rivisti presto. Oltretutto stava vivendo anche lui il suo sogno, il suo futuro. Certo, forse non proprio come l’aveva organizzato, ma – ehi – Kurt Hummel non si fa mettere i piedi in testa da niente e nulla. Non si fa abbattere. Nonostante tutto, si sarebbe rimesso in piedi, come aveva sempre fatto. Nel frattempo aveva la sua buona dose di impegni. Il primo: trovare un regalo enorme per una certa Santana Lopez.

  
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