Inizio già a
nascondermi. Sono una pessima, pessima persona, lo so. Io e gli aggiornamenti
non andiamo d’accordo. Proprio zero. =(
Comunque,
ora sono qui.
Questo
capitolo è stato difficilissimo da scrivere, non chiedetemi perché, e tutt’ora
non mi convince. Se lo vedete pubblicato, è solo perché ho avuto il sostegno
morale della cara Jules, quindi… grazie Jules! XD
Visto che
sono in vena di ringraziamenti, dico un enorme, enorme grazie a tutti voi. Voi
che leggete, preferite, seguite, etc. Aumentate a vista d’occhio, e il mio
amore per voi cresce in maniera direttamente proporzionale ;P
Battutacce
matematiche a parte, il grazie più grande va a chi spende sempre qualche minuto
per recensire; taaaanto affetto virtuale a: Tallutina, Ily91, cup of tea, Madez,
il_vaso_di_Pandora, love mojito e gledis.
Non so se
qui si usa, però su altri siti l’ho visto fare, quindi, come promesso, lo
faccio anch’io. Questo capitolo è dedicato a Fanny =)
Buona
lettura (spero),
Elle <3
p.s. come
sempre critiche, pensieri, suggerimenti, idee verranno accolte a braccia
aperte! ;)
I should tell you
Capitolo ottavo:
“Furt”
Santana
si liberò di quell’osceno grembiulino giallo senape con un sospiro di sollievo.
Aveva avuto una mattinata infernale. L’ennesima. Al solito livello di
disperazione, tristezza e squallore che quel piccolo supermercato le provocava
ogni santo giorno, oggi aveva dovuto aggiungere ansia e apprensione alla lista
dei suoi sentimenti.
Se
fisicamente si era stancata cercando di eseguire gli assurdi ordini di Herr H,
mentalmente non aveva lasciato per un secondo casa, e soprattutto Kurt. Aveva
pensato tutta la mattina all’amico e alla reazione che aveva avuto. All’inizio
aveva creduto che fare una lista di possibili torture in ordine crescente di
dolore, pronta per quando Kurt si sarebbe voluto vendicare di Anderson, sarebbe
stata l’opzione migliore. Poi, però, si era ricordata di quella porta chiusa e
di quel silenzio innaturale in cui si era rifugiato Kurt ed era giunta alla
conclusione che, prima di aver voglia di torturare l’ex, forse l’amico doveva
scendere a patti col fatto di avere
un ex.
Scontrino
dopo scontrino aveva rimuginato su come aiutare Kurt, come risollevarlo di
morale, ma la sua mente brillante non era riuscita a trovare nessuna opzione
plausibile. Aveva scandagliato idea dopo idea, cercando persino di ripescare
qualche vecchio trucco di Mister Schue, ma non era mai stata una persona da
grandi gesti, o azioni plateali. E sicuramente non avrebbe sfoderato il
repertorio di ballate della Berry per serenare Hummel. Avrebbe dovuto pensare a
qualcos’altro.
La
mattinata passò così in un attimo, tra idee bocciate e ordini non rispettati,
che le fecero guadagnare qualche borbottio di troppo da parte del suo capo.
Inutile
dire che, sommando tutto, a Santana mancava tanto
così per scoppiare. E Santana Lopez che perde il lume della ragione non è
mai un bello spettacolo.
Lagnandosi,
uscì da quel negozietto, diretta verso la metropolitana. Fortunatamente per
quel giorno aveva finito di lavorare: niente Violet a cui fare da babysitter,
né piano bar a cui cantare.
Proprio
mentre stava per scendere le scale della metro, le squillò il cellulare, così
si fermò appoggiata a quella ringhiera arrugginita e cercò il telefono nella
borsa. Dopo aver sudato sette camicie per trovarlo, guardò lo schermo per controllare
chi fosse. Vedendo comparire il nome di Brittany, accettò di buon grado quella
chiamata.
“Hey, Britt!” la salutò con tono gioioso. Non era ancora contenta
di come avevano terminato la conversazione la sera prima, ma era felice che la
fidanzata l’avesse pensata e l’avesse chiamata. Era praticamente la prima nota
positiva di quella giornata.
“Santana! Dov’è Kurt?” il tono di voce di Britt era concitato e
chiaramente preoccupato.
“A casa,” si fermò un secondo, ponderando se dire a Brittany anche
con chi era Kurt. “Con Sebastian.”
“Avete conosciuto il granchio della Sirenetta?” domandò Brittany,
evidentemente confusa.
“No, purtroppo no. Sebastian l’Usignolo, tesoro.” rispose con tono
accondiscendente la brunetta.
“Quello che ha trasformato l’hobbit in un ciclope?” La logica di
Brittany, per quanto azzardata e semplicistica, era sempre ineccepibile e non
smetteva mai di sorprenderla.
“Si, esatto, proprio lui.” Santana sentì Brittany borbottare
qualcosa di vagamente simile ad un verso d’assenso, poi silenzio.
“Gli è già caduto il corno?” chiese Brittany tutto d’un fiato. Santana
aggrottò le sopracciglia, cercando di interpretare la frase della fidanzata. Il corno?
“Britt, tesoro, sai che ‘mettere
le corna’ è solo un modo di dire, vero?”
“San, il bicorno sono io. Kurt è un unicorno: non ha le corna, ma solo un corno.” Spiegò la bionda con tono petulante, come se stesse
parlando con un bambino. “Kurtsie è il più grande unicorno di tutti, credevo
che dopo avermi aiutato a preparare quei cartelloni per la sua campagna elettorale,
l’avessi capito anche tu.”
Santana era sempre più confusa.
“Se è il più grande unicorno di tutti, perché dovrebbe cadergli il
corno? Non dovrebbe essere più forte, o più magico, o qualche stronzata
simile?”
“È più magico,” rispose con tono cospiratorio Brittany. “Quando
gli unicorni sono molto tristi, però, perdono il loro corno e diventano zebre.
Io non voglio che il mio unicorno personale diventi una zebra, San. Sugar si è
offerta di chiedere a suo padre di comprarmi un pony e fargli attaccare un
enorme corno, ma io non voglio un unicorno finto. Io voglio il mio Kurtsie.”
Finì Brittany con tono lamentoso.
Santana, suo malgrado, doveva ammettere di iniziare a seguire la
logica della fidanzata. Oltretutto, quanto poteva essere ricca (e
sciocca) Sugar per proporre certe cose? Scuotendo la testa, rispose. “Non ti
preoccupare, Britt, Kurt non perderà il suo corno.” Santana sembrò ponderare
qualcosa, perché sorrise maliziosa e poi aggiunse: “Anzi, sembra che ne abbia
appena trovato uno nuovo. Piuttosto sexy, oltretutto, anche se mi costa
tantissimo ammetterlo.” Non importava quanto disperati fossero i tempi
correnti: Santana Lopez non era una da passare la possibilità di una battuta a
sfondo sessuale o di un doppio senso, persino quando rasentava l’impossibile,
perché diciamoci la verità – pensare a Kurt e Smythe come una coppia? Da
brividi.
“Kurtsie
è diventato bicorno? Vuol dire che ci posso limonare ancora? Le sue labbra
erano così morbide.” Brittany sembrava tutt’un tratto molto eccitata.
Santana decise di non rispondere a quest’ultima domanda, lasciando
così tutto in mano a Kurt. Poteva essere divertente vedere Brittany cercare di provarci
con Hummel, di nuovo.
“Britt, ma come facevi a sapere che Kurt è triste?” domandò Santana,
aggrottando le sopracciglia. Era ancora poggiata a quella vecchia ringhiera, e
mentre parlava al telefono, osservava la gente andare e venire, freneticamente
alla rincorsa del tempo.
“Blaine Usignolo ha cantato ‘Goodbye
my lover’ al Glee. Tina ha pianto, Joe si è messo a pregare e Mister Schue
ci ha chiesto se doveva rappare per tirarci su di morale.” Rispose Brittany con
tono piatto, quasi annoiato. Sicuramente
si è fatta distrarre da qualcos’altro, pensò Santana.
“Un disastro, praticamente.” disse comprensiva la latina.
“Mai quanto la nuova compagnia di randagi che sta frequentando
Lord Tubbington. Sto facendo una colletta per raccogliere fondi per la cauzione
che dovrò pagare se non smette di vedersi con quei poco di buono.” Brittany
sospirò pesantemente.
Santana
alzò gli occhi al cielo di fronte all’ennesima follia della fidanzata e del suo
enorme gatto. Aveva imparato per esperienza che era inutile farle notare che
Lord Tubbington era solo un animale, e di conseguenza non poteva fare nemmeno
metà delle cose di cui si preoccupava. L’unica volta in cui l’aveva suggerito,
era stata attaccata da quell’obesa palla di pelo e aveva avuto graffi e segni sulle
braccia per almeno un mese. “Britt, mi dispiace, se vuoi posso provare a
parlarci io.”
“Santana,
non dire sciocchezze,” l’ammonì Brittany. “Sai che Lord T ti odia.”
“L’onestà
è sempre apprezzata.” Ribattè sarcasticamente Santana. Ironia non colta da
Brittany, che le rispose semplicemente. “Lo so.” Brittany sospirò, poi riprese.
“Comunque adesso devo andare, Sanny. La coach Sue ha
ristabilito gli allenamenti del pomeriggio, e Veronica mi sta aspettando per
andarci insieme.”
“Veronica sarebbe la nuova Quinn?” chiese Santana, cercando di
mascherare il suo risentimento. Sentiva pochissimo la ragazza, e ogni volta che
riuscivano a parlarsi, c’erano sempre altri problemi da discutere. Le mancava
un po’ di tempo da sola con Brittany.
“Si, una stronza di prima categoria. Abbraccia Kurt da parte mia,
San. Ciao!”
Prima ancora che la latina potesse risponderle, o salutarla, però,
l’altra aveva già chiuso la telefonata. Santana sospirò, leggermente ferita dal
comportamento sbrigativo della fidanzata nei suoi confronti. Riprese a scendere
le scale, salendo in fretta sul treno in partenza. Si appoggiò ad un palo di
metallo, una volta probabilmente verde, ora solo sporco, e archiviò il suo
risentimento momentaneo nei confronti di Brittany. Aveva ben altri problemi.
Stava tornando a casa, casa dove aveva lasciato un Kurt distrutto
nelle mani del suo più grande antagonista, nonché una delle persone più stronze
che Santana avesse mai avuto il piacere di incontrare – ed è dire qualcosa,
quando hai passato metà della tua adolescenza in compagnia dell’amorevole Sue
Sylvester. Si chiese come le fosse saltato in mente, quella mattina, di lasciare
entrare Sebastian. Scosse la testa, cercando di non concentrarsi su ciò che
l’avrebbe aspettata a casa, ma solo sul trovare una buona idea per aiutare
Kurt.
Ci doveva pur essere qualcosa che l’avrebbe fatto sorridere, – a
parte la testa di Blaine su un piatto d’argento – o qualcosa che gli serviva, o
gli mancava. Qualcosa. Qualcuno.
Improvvisamente Santana ebbe l’impulso di mangiare le sue stesse
mani.
Come aveva fatto a non pensarci prima? C’era qualcuno che mancava
molto a Kurt, e che poteva farlo sorridere, almeno per un po’. Qualcuno la cui assenza
pesava al ragazzo molto più di quanto non volesse far credere, e di cui si era
lamentato abbastanza con lei, specie i primi tempi a New York. Da quando le
aveva confidato che gli mancava e che non riusciva a sentirlo, Santana aveva
pensato di chiedere un paio di favori per riuscire a metterli in contatto. Poi
però, presa dalla frenesia del trasferimento e della nuova vita, se n’era
completamente dimenticata. Era arrivato il momento di fare quella telefonata
che rimandava da tempo.
Controllò il cellulare per accertarsi di avere ancora campo, pur
essendo sottoterra. Quando si accorse di qualche tacca disponibile, sorrise
furbescamente, scorrendo la rubrica in cerca del numero che le serviva.
“Zio, sono Santana. Mi
serve un favore.”
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Kurt stava compulsivamente pulendo la cucina. Armato di spruzzino
e strofinacci, aveva già lucidato metà della superficie. E questo lo faceva
sentire tremendamente bene.
Aveva scoperto fin da piccolo di aver bisogno di un outlet di
sfogo per le emozioni represse, per liberare la mente dai pensieri più fastidiosi,
e per regalarsi almeno una momentanea percezione di tranquillità. Poche cose
gli donavano questa pace interiore: cantare, i muffins ai mirtilli e
riordinare. Sistemare ossessivamente l’ambiente in cui viveva, per lui era
l’equivalente di riordinare le proprie emozioni e preoccupazioni.
Così, dopo aver mangiato quei deliziosi muffins con Sebastian,
mentre guardavano Mulan, e dopo che quest’ultimo se n’era andato,
giustificandosi con un “non voglio essere
sottoposto ad un terzo grado dalla Lopez”, Kurt aveva iniziato a
riordinare. All’inizio, se doveva essere sincero, aveva provato a cantare, ma
cantare significava esporre le proprie emozioni. Rendersi in qualche modo
vulnerabili. E in quel momento Kurt non poteva sopportare di aprirsi ad esse. Aveva
bisogno di allontanarle per un po’, di liberare la mente per qualche ora. Poi,
forse, poteva scendere a patti con l’intreccio di pensieri e emozioni che gli
stavano causando un forte mal di testa.
Fu così che Santana, entrando in casa in punta di piedi, lo trovò.
Accovacciato sulle ginocchia a pulire il forno. Forno usato un totale di tre
volte, e quindi praticamente immacolato.
A braccia conserte si appoggiò allo stipite della porta della
cucina, un sopracciglio sollevato e un ghignetto malefico a tirarle quei
bellissimi lineamenti. “Mi fa piacere che il mio mini pony sia uscito dalla
stalla.”
Kurt, che non l’aveva né vista né sentita arrivare, saltò in piedi
di scatto, gli occhi sgranati. “Santana!”, gridò. “Mi hai fatto prendere un
colpo.”
Santana rise ed entrò cautamente in cucina, senza mai distogliere
lo sguardo dall’amico. Mentre tornava a casa, si era immaginata differenti
scenari ad aspettarla, e questo era il meno probabile. E francamente anche il
più inquietante. Kurt era passato dall’essere completamente chiuso in sé
stesso, a pulire casa come se niente fosse. Santana non credeva fosse possibile
riprendersi così in fretta, quindi le opzioni erano due: o Sebastian l’aveva
drogato, o Kurt non si era ancora ripreso.
“Allora, dov’è Smythe?” chiese con tono neutro Santana.
“Se n’è andato.” Rispose Kurt con noncuranza. “Qualcosa riguardo
ad un terzo grado pari a quelli del KGB e un’amica molto impicciona.” Il
ragazzo tentò di sorriderle, in maniera tirata e tremolante, prima di
riprendere a spruzzare il prodotto per pulire contro il vetro del forno,
strofinando con tutta la forza che aveva in corpo.
Santana si corrucciò, ma decise di non dire niente riguardo lo
strano comportamento. “Mi fa piacere sapere di incutere ancora timore, anche se
ora mi toccherà aspettare di rivederlo per avere delle risposte riguardo il suo
comportamente. E non credo succederà molto presto.”
“Potresti sbagliarti,” replicò Kurt, mentre cercava di arrivare in
profondità dentro al forno, pulendone anche gli angolini più remoti.
Seriamente, pensò Santana, se non fosse
così inquietante, mi metterei a ridere.
“Ah, prima che mi dimentichi, ti saluta Britney.” Si alzò a
prendere un bicchiere d’acqua, e poi, ripensando alla risposta di Kurt,
aggrottò le sopracciglia. “Aspetta, che vuol dire che potrei sbagliarmi?”
“Significa che Sebastian, incaricato da Jeff e Nick, ha preteso di
organizzare un’uscita insieme. A quanto pare Jeff voleva assolutamente vedermi,
così ho pensato di prender due piccioni con una fava. È da quando hai iniziato
a lavorare al locale che mi chiedi di venire a vederti. Venerdì ci vediamo lì
per bere qualcosa, e per ascoltare una fantastica cantante.” Kurt si alzò,
facendo l’occhiolino a Santana, e andando verso il lavandino per pulire lo
strofinaccio che aveva usato.
“Jeff e Nick?” chiese dubbiosa Santana.
“Gli Usignoli. Jeff è il biondino che balla bene, Nick è il
moretto carino. Stanno insieme.”
“Ah, ok.” Kurt aveva ripreso la sua mozione di pulizia, questa
volta attaccando il frigorifero. Aveva iniziato a svuotarlo velocemente,
poggiandone il contenuto sul tavolo.
“Ehi, ehi, casalinga disperata, che stai facendo?” lo fermò
preoccupata Santana.
“Pulisco.” Kurt non sembrava fermarsi, come se avesse inserito
l’autopilota.
“Sì, lo vedo, ma non ce n’è bisogno.” Mentre Kurt svuotava il
frigorifero, Santana cercava di rimetterci dentro il contenuto, invano.
“Oh, sì, invece.” Ormai tutto il cibo era appoggiato con cura sul
tavolo e Kurt stava spruzzando lo sgrassatore su ogni centimetro dell’interno dell’elettrodomestico.
“Kurt, Kurt, fermati un attimo. Che stai facendo?” chiese Santana,
esasperata.
Kurt si voltò a malapena, girandosi di tre quarti. “Ti ho già
detto che devo pulire.”
“Si, ma – insomma, ascoltami un attimo,” Santana prese l’amico per
le spalle e lo trascinò a sedere. “Stamattina sono uscita lasciando la mangusta
in casa, mentre tu ti eri barricato in camera e nemmeno rispondevi.” Il tono di
Santana era fermo e deciso, forse persino rude. Ad un estraneo poteva sembrare
dura, severa, ma Kurt aveva capito che in realtà era solo preoccupata. “Che
stai facendo?” chiese più dolcemente, sedendosi di fronte a Kurt.
Kurt sospirò. “Jeff ha detto a Sebastian come risollevarmi il
morale. Sono uscito dalla stanza, abbiamo fatto colazione insieme, abbiamo
guardato Mulan, Sebastian se n’è andato e io mi sono messo a pulire. Fine.”
Santana continuava a scrutare Kurt, incredula. Archiviando come possibile materiale
di ricatto il fatto che Smythe avesse guardato Mulan con Hummel, mancava ancora
qualcosa.
Kurt, sotto lo sguardo dell’amica, cedette. “Pulire e riordinare
mi aiuta a scaricarmi. Si, lo so, è terribile, ma è ciò che è. C’è chi va a
correre, chi va a boxare, chi va a fare shopping, chi canta – insomma, ognuno
ha un suo modo di scaricarsi. Oggi, questo è il mio.”
Santana lo guardò ancora un attimo, indecisa, poi sospirò e si
alzò. “Va bene. Se ti è utile, continua pure a pulire; io vado a mangiare
qualcosa al bar all’angolo. Solo un favore, tra un’ora, vedi di aver finito e
di collegarti a Skype. Puoi ringraziarmi comprandomi qualcosa.”
Così come era arrivata, se ne andò, in un fruscio di profumo e
movimenti fluidi. Sbatté la porta alle sue spalle, lasciando a Kurt privacy e
tempo.
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Tre quarti d’ora dopo che Santana l’aveva – a suo modo - salutato,
Kurt gettò la spugna. Letteralmente. Lanciò il panno che aveva usato per pulire
nel lavandino, rimise a posto i prodotti e andò in bagno a lavarsi le mani.
Quando Santana era uscita, Kurt era rimasto per qualche minuto
seduto a quel tavolo, pensieroso, cercando di capire per quale motivo dovesse
entrare su Skype entro un’ora. Poi, ricordandosi del perché indossava la sua
tuta più vecchia e un paio di guanti di plastica gialli, ricominciò a pulire,
effettivamente escludendo ogni preoccupazione dalla mente.
Aveva finito di pulire il frigorifero, lindo e splendente, e aveva
riposto con cura tutto il suo contenuto all’interno. Aveva addirittura fatto in
tempo a pulire il pavimento, prima di porsi un limite e abbandonare il momento
catartico della pulizia.
Uscito dal bagno, si diresse in camera per prendere almeno una
maglietta pulita. Recuperò il portatile di Santana e andò sul divano. Aveva
ancora dieci minuti prima dello scadere dell’ora X che l’amica gli aveva
imposto. Ora X per cosa poi? Su Skype Kurt aveva pochissimi amici – come nella
vita reale, del resto – e di norma lo usava solo per parlare con Blaine, e a
volte Rachel o Mercedes. Inutile dire che al momento non era interessato a
sentire nessuno dei tre.
Se per tutta la mattinata, prima grazie a Sebastian e ai muffins,
poi grazie alle sue attività da Cenerentola, aveva evitato di pensare a Blaine,
ora non poteva farne a meno. Non solo perché volente o nolente la sua mente lo
riportava sempre lì, ma anche perché sapeva di dover ripensarci. La notte prima
aveva pianto, si era prosciugato ogni emozione. Poi aveva messo tutto a freno,
in pausa, pensando e facendo altro. Adesso era arrivato il momento di prendere
in mano la situazione e affrontarla. A piccoli passi.
Il primo passo era avere il coraggio di accettare ciò che era
successo.
Deglutendo un groppo indigesto, Kurt restò per un attimo a fissare
il vuoto. Controllò poi l’orologio e vide che era appena terminata l’ora
datagli da Santana. Non era ancora sicuro di voler affrontare chissà quale
sorpresa poteva avergli preparato la coinquilina, però da qualche parte doveva
ripartire.
Coraggio, si disse.
Rise amaramente per la scelta di quella singola parola che allo
stesso tempo lo faceva sentire amato e protetto, e dimenticato e ferito. Aprì
Skype e d’impulso bloccò i contatti di Blaine e Rachel. Se la sorpresa
riguardava uno di loro, allora non era ancora pronto ad accettarla.
Quando si accorse di chi era appena entrato, ebbe un balzo al
cuore.
Finn Hudson.
Cos’era successo? Perché aveva accesso ad un computer, quando le
regole del campo non gli permettevano nemmeno un telefono, se non per dieci miseri
minuti? La sua apparizione non prometteva nulla di buono. E Kurt temeva di non
riuscire a reggere altre brutte notizie. Quasi tremando, aprì la videochiamata
con il fratellastro.
Quello che si ritrovò davanti, gli sembrò lontano anni luce dal
goffo adolescente per cui aveva avuto una cotta durante il liceo. Sicuramente
non era più tanto un adolescente. L’espressione del suo viso, pur restando
sempre pura e dolce, era maturata, indurendosi un po’. La stessa cosa era
successa ai lineamenti del volto. Kurt non sapeva dire se aveva perso peso, se
il taglio militare dei capelli faceva sembrare le linee di quel viso familiare
più dure, o se l’esperienza che stava vivendo lo aveva segnato già così
profondamente. Sapeva solo che il buffo ragazzone troppo alto dai lineamenti da
bambino, aveva ora un viso più adulto, e addirittura sulla fronte si vedeva
qualche linea d’espressione. Kurt notò che una cosa non era cambiata, però.
Il volto di Finn, dopo aver visto Kurt dall’altra parte dello
schermo, si aprì in un sorriso imbarazzato e dolce. Lo stesso sorriso sghembo
di sempre.
“Finn,” iniziò con tono incerto Kurt. “Oh, Dio, stai bene? È
successo qualcosa?”
“Dovrei chiedertelo io, fratellino. Pensavo fosse successo
qualcosa a mamma e papà.”
“No, non che io sappia,” A Kurt si scaldò il cuore quando sentì
che il fratellastro – suo fratello –
aveva appena chiamato Burt papà. “Non riesco a credere di riuscire a sentirti.”
Finn sospirò e sorrise. “Wow, che sollievo. Pensavo fosse successo
qualcosa. Quando il capitano Lopez mi ha trascinato qui –“
“Aspetta un attimo, come hai detto?” chiese Kurt, corrugando le
sopracciglia.
“Ho detto che quando uno dei capitani mi ha trascinato qui,”
“Sì, sì, quello l’ho capito,” lo interruppe Kurt. “Il nome del
capitano.”
“Ah, Lopez.” Rispose Finn. “Perché ti interessa?”
Kurt, nonostante tutto, si ritrovò a sorridere. “Così. Credo di
dover ringraziare una persona.” Rispose Kurt.
Finn, da sempre non troppo acuto, aveva l’espressione del volto
corrucciata. La stessa espressione che si vede sui bambini quando non riescono
ad afferrare un concetto più grande di loro, qualcosa che non gli è stato
spiegato. “Non ti seguo.”
Kurt roteò con affetto gli occhi. “Lopez, Finn, Lopez. Chi altro
conosci con quel cognome?”
“Mmm, non lo so.” Finn sembrava genuinamente confuso, e Kurt
voleva sbattere la testa contro il muro. Si era dimenticato di quanto potesse
essere frustrante, a volte, parlare con il fratello.
“Santana Lopez.” Lo imbeccò Kurt. “Ti dice niente?”
“Ah, già, ma che c’entra con questo?”
“Mi ha fatto un favore.” Rispose semplicemente Kurt. “Mi sei
mancato, Finn.”
Finn sorrise, gli occhi che luccicavano. “Anche tu, fratellino.
Come stai? Come stanno mamma e papà? Questa settimana non siamo mai riusciti a
sentirci. E te – te è da quest’estate che non ti sento e non ti vedo.”
“Lo so,” rispose con tono contrito Kurt. “Non ti preoccupare,
Carole e papà sono a Washington. Li ho sentiti sabato l’ultima volta, e stavano
benissimo. Si stavano preparando per una cena di gala; puoi immaginare quanto
fosse contento papà.” I due fratelli si scambiarono un’occhiata complice e
ridacchiarono. “Per quanto mi riguarda,” Kurt prese un respiro profondo. “Sto
bene, direi. New York è fantastica, anche se in realtà non ho avuto molto tempo
per vederla. Diciamo che all’inizio passavo troppo tempo a rimpiangere ciò che
avevo lasciato, ma ora voglio recuperare. L’università mi piace, e proprio ieri
ho saputo di avere la possibilità di preparare un numero per Vogue insieme alla
mia insegnante.” Kurt sorrise, mentre Finn sgranava gli occhi.
“Vogue? Cavolo, fratellino, sapevo che eri bravo, ma così,” Finn
scosse il capo, sconcertato. “Wow! Te lo meriti, sai?”
“Grazie, Finn. Tu? Come stai?” gli chiese dolcemente Kurt. Ancora
non riusciva a credere che il fratellastro fosse nell’esercito e che fosse
cambiato così tanto nel giro di pochi mesi. E, Dio, se gli era mancato.
“Bene,” rispose Finn, incerto. “È dura. Non posso dire altrimenti.”
Prese un respiro profondo e scosse la testa. “Mi ha cambiato, e molto. Per il
momento, però, sono contento. Voglio farlo, voglio fare la differenza, voglio
portare avanti e a termine qualcosa, per una buona volta. Non posso fallire
anche questo. Non voglio essere un fallimento.” Finn distolse lo sguardo,
abbassandolo.
Kurt si ritrovò ad avere gli occhi lucidi, maledicendosi per
l’emotività mal controllata di quei giorni. “Finn, ascoltami, non sei e non
sarai mai un fallimento.”
Il fratello scosse la testa, sorridendo mestamente. “E invece sì,
Kurt. Ho fallito in tutto e per tutto. Come figlio, ho deluso mia madre,
facendola soffrire terribilmente prendendo questa decisione. Come fratello: non
ti vedo e non ti sento da mesi, Kurt. Mesi.
Come amico: ho deluso Puck non andando con lui a Los Angeles, e so che sia
lui che Sam si aspettavano qualcos’altro da me, si aspettavano perlomeno di
sentirmi. E soprattutto, ho fallito con Rachel. L’ho abbandonata, come ho
abbandonato te, e mamma, e –“
“Fermati, Finn,” lo interruppe con tono deciso Kurt. “Non sei
assolutamente un fallimento. Sei un figlio incredibile, specie per la scelta
che hai fatto. Sì, all’inizio Carole ci è stata male, ma sa perché l’hai fatto.
Per orgoglio, per il nome di tuo padre e per te stesso. E lo capisce,
veramente. Io ti voglio bene. Nonostante tutto, sei di famiglia, ormai. Non
potrai mai essere un fallimento ai miei occhi.”
“Rachel – “ tentò Finn.
“L’hai lasciata libera. Libera di vivere il suo sogno e la sua
vita, ciò che ha sempre voluto e per cui ha lottato. Hai preso la decisione più
difficile e matura che potessi prendere, non azzardarti a rimorderla.”
“Grazie, fratellino, sei sempre il migliore.” Finn sorrise di
nuovo, osservando Kurt. “Kurt, sei sicuro di star bene?” chiese sottovoce,
insicuro.
“Si, certo, non preoccuparti.” Rispose con tono tremolante Kurt.
Finn aveva già tanto di cui preoccuparsi, non doveva sapere anche di lui e
Blaine. Specie perché avrebbe voluto vendicarsi. Oltretutto Kurt stesso non era
ancora sicuro di aver afferrato bene il concetto della loro separazione, non
era sicuramente pronto a dirlo ad altri.
Finn sospirò, evidentemente insoddisfatto della risposta. Dopo
aver vissuto un anno con gli Hummel, però, sapeva quando evitare di spingere
troppo Kurt, e di testare i suoi limiti. “So che da qua è difficile, ma
ricordati che io ci sarò sempre per te. Oltretutto per il Ringraziamento posso
venire a casa e restarci fino all’anno nuovo. Ci credi? Sarò a casa per più di
un mese!”
“Mi fa piacere, Finn,” rispose sinceramente Kurt. “Anche se non so
se io sarò a casa per il Ringraziamento.”
“Oh,” fece Finn, un po’ deluso. “Ti aspetterò per Natale, allora.”
“Certo,” gli sorrise Kurt. “E prometto di cucinarti i cupcakes che
ti piacciono tanto.”
“Sei il migliore, fratellino!” si illuminò Finn.
Kurt roteò gli occhi. “Sai che sono più grande io, vero?”
“Si,” rispose con tono petulante Finn. “Io sono più alto, però.”
Si sorrisero per un attimo, poi Kurt vide Finn voltarsi di scatto.
“Merda, Kurt, avevo solo un quarto d’ora. Devo andare.” Disse un po’
imbronciato.
Kurt gli sorrise, comprensivo. “Non ti preoccupare, capisco. Non
sai quanto mi abbia fatto piacere sentirti, Finn.”
“Anche a me, fratellino. Saluta mamma e papà, se li senti. Mi
mancate.” Ora era il momento per Finn di avere gli occhi lucidi.
“Lo farò,” disse con tono dolce Kurt. “Stammi bene.”
Finn lo salutò con la mano, mentre sorrideva dolcemente, prima di
staccare la chiamata.
Quanto gli era mancato, e gli mancava tutt’ora, Finn. Non solo
perché era Finn, suo fratello, il perticone tanto dolce quanto imbarazzante, ma
perché gli mancava casa. Gli mancavano i suoi genitori, e l’affetto e il calore
della famiglia che era stata loro per solo un anno. In quel momento avrebbe
voluto avere più tempo da passare con quelle persone che erano entrate a far
parte della sua vita da così poco. Aveva sempre avuto fretta di scappare
dall’Ohio, da Lima, da quell’incubo omofobo, ma ora ne aveva nostalgia. Aveva
nostalgia del suo passato. Gli mancava la stretta forte e calorosa di Burt,
l’abbraccio materno e delicato di Carole e tutti i battibecchi con Finn.
Sospirò, pensando che a Natale non mancava poi tanto, e che li avrebbe rivisti
presto. Oltretutto stava vivendo anche lui il suo sogno, il suo futuro. Certo,
forse non proprio come l’aveva organizzato, ma – ehi – Kurt Hummel non si fa mettere i piedi in testa da niente e
nulla. Non si fa abbattere. Nonostante tutto, si sarebbe rimesso in piedi, come
aveva sempre fatto. Nel frattempo aveva la sua buona dose di impegni. Il primo:
trovare un regalo enorme per una
certa Santana Lopez.