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Autore: Guardian1    18/10/2012    1 recensioni
“C’era una volta una ragazza di nome Yuffie, ma questa storia fa schifo, perché lo sanno tutti che le principesse delle fiabe sono bellissime, hanno gli occhi dolci e splendidi nomi fiabeschi come Aeris.”
Non funziona. Io non sono una principessa.
Sono solo una viaggiatrice.
… Sì, così può andare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: FFVII
Capitoli:
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Nota dell’autrice: Prima di proseguire, vorrei solo dire che ho alcuni dei più fighi recensori del pianeta. Senza tutti voi, sarei strisciata nella mia minuscola tana e avrei probabilmente passato il resto della mia vita a, non so, scrivere fanfiction su Minesweeper (non che le fanfiction su Minesweeper non siano estremamente affascinanti). Questa fanfic deve molto a quelle persone pazienti che hanno aspettato nei lunghi mesi tra il mio blocco, e vorrei soltanto farvi un applauso. Grazie a tutti dal profondo del mio cuore.
Oh, e come sempre, grazie anche a Piett, il mio indegno beta-reader buono a nulla, che ha corretto con voce tonante e sdegnosa.




Sunshine in Winter


il secondo mese






Di solito, nelle fiabe, quando la ragazza si busca un grave malanno e viene poi salvata dalla sua pervicacia da un cavaliere in scintillante armatura, già dalla mattina dopo dà una svolta epocale alla sua vita alzandosi tutta fresca e pimpante, pronta a continuare per la sua strada, perché come tutti saprebbero per istinto, quello è il primo giorno del resto della sua vita!

Nella realtà? Sono rimasta costretta a letto per due settimane a ingollare minuscole porzioni di brodo di pollo mentre il mio stomaco rattrappito si riabituava a farsi nutrire. Vincent stava sempre al mio fianco e mi imboccava con un cucchiaio, e mi portava al bagno, e mi lavava. Sì, mi ha visto nuda, e mi ha toccato nuda, e all’occorrente mi spogliava e mi rivestiva. E si tratta probabilmente della cosa più umiliante e meno romantica che mi sia mai capitata. Per me, per la ragazza un tempo così fieramente indipendente da vagabondare sola per il mondo con solo qualche Materia per compagnia, potermi adesso spostare soltanto se portata in braccio da qualcuno era tutto fuorché divertente o eccitante.

In quei giorni, io e Vincent abbiamo formato una sorta di relazione parassitica. Sostanzialmente non avevamo altra scelta, perché io sopravvivessi. E lui era così buono con me che penso di aver pianto qualche volta, mentre lui cercava di non farmelo pesare, sminuendo il fatto che ormai ero così debole da non potermi neanche più lavare da sola. Non che avessi ego rimasto anche solo per essergli grata – la prima volta ero così agghiacciata che all’inizio non riuscivo neanche a parlare per la vergogna, e lo odiavo e odiavo me stessa ancora di più e mi dicevo che sarebbe stato meglio se il drago mi avesse mangiata e fosse finita lì.

« Yuffie. » Ricordo ancora il calore della sua mano buona che mi passava il sapone sulle spalle con una spugna mentre l’altra era salda sul bordo della vasca come a stabilizzarla. Non ricevendo risposta, le sue uniche parole sono state un flebile: « Togli le braccia. »

Io mi sono rifiutata, ostinata, guardando fisso di fronte a me, insolente nella mia indifferenza.

« Fa male? »

Ancora silenzio.

« Yuffie? »

« Non indosso nulla » sono scoppiata infine, la voce esile, fiacca e lagnosa.

« Capita quando ci si fa il bagno » ha replicato Vincent in tono asciutto, ritraendo però la mano. « Ti mette a disagio che io ti veda nuda? »

« Sono bruttissima » sono sbottata, « brutta e… » e non voglio che sia proprio tu a vedermi così ma l’hai già fatto ed è quello che detesto più di ogni altra cosa.

« Sei magrolina » ha commentato in tono leggero, « ma niente male. »

Ho fatto un suono roco, il mio equivalente di una risata, notando un’increspatura divertita attorno alla sua bocca e rilassandomi un po’. « Valentine, menti come un orologio mezzo rotto. »

« Anche tu » ha ribattuto enigmaticamente, rimboccandosi ulteriormente le maniche fin sopra i gomiti e riempiendo una brocca con l’acqua della vasca. Quando me l’ha versata sulla testa ho emesso un piccolo miagolio, guardandolo storto tra le frange gocciolanti. Senza darmi retta, ha iniziato a insaponarmi i capelli con una mano, scostandomi le ciocche bagnate dagli occhi, e assicurandosi che nemmeno una bolla vi entrasse. All’inizio ho mezzo pianto per l’umiliazione, ma dopo un po’ le lacrime che stavano minacciando di rigarmi le guance erano di un amore disperato che non riuscivo nemmeno a comprendere a dovere.

Con grandissimo sforzo ho alzato una mano e afferrato la spugna tra le dita fiacche. Lui, dal gran cavaliere che era, ha distolto lo sguardo dal mio petto, ma io ero già distrutta. Non aveva più importanza che mi vedesse nuda o il seno, non me ne fregava più niente; e così mi sono sentita ancora peggio, perché la poca stima che avevo del mio aspetto era ormai rifluita nello scarico. Penso che Vincent lo sapesse, grazie al suo bellissimo e benedettissimo sesto senso su di me.

« … Mi dispiace. »

« Per cosa? » Le mie dita armeggiavano con la spugna, il braccio già iniziava a farmi male ma sono riuscita a usarla, piano, goffa.

« Che sei nuda. »

« Non importa. Non più. Non è che… stai urtando la mia sensibilità o altre menate. »

« È indecoroso » ha protestato gentilmente, « Dal momento che ormai siamo entrambi adulti. »

Mi considerava adulta. Il mio cuore ha saltato un battito. Se me l’avesse detto prima, prima di tutto questo casino, mi sarei fatta tatuare le sue parole sul petto, e magari avrei annunciato al mondo che sì, finalmente Vincent Valentine considerava Yuffie Kisaragi un’adulta, e per la cronaca, l’apocalisse è alle porte. « Tanto per te è acqua passata » l’ho preso in giro, la voce un po’ incrinata ma mio malgrado un sorriso sulle labbra. Era una vittoria di per sé. « Non subisci più il fascino delle ragazzine. »

« Ma se faccio fatica a toglierti le mani di dosso » ha detto Vincent fingendosi impassibile prima di concedermi uno dei suoi piccoli sorrisi, brevi e bellissimi, di quelli che affioravano talmente di rado che veniva difficile credere che la sua faccia potesse assumere un’espressione del genere. Ma quando accadeva era come il sorgere del sole.

« Questa è la cosa più carina che tu mi abbia mai detto » gli ho risposto, e poi mi ha tremolato il labbro inferiore e sono scoppiata a piangere.




Con molta fatica ho ripreso il controllo delle mani e ho ricominciato a muovermi, sebbene lentamente – e di solito dopo troppi passi mi accasciavo a terra, esausta, in un cumulo sgraziato. Quando Vincent se n’è accorto mi ha confinato a letto, dove ho scoperto presto che c’è un motivo se noi storpi morenti abbiamo tanta voglia di morire al più presto – non c’è niente da fare oltre a starsene immobili a sentire dolore.

Ho rispolverato le lezioni di cucito dalla mia infanzia e non avendo niente di meglio da fare mi sono messa all’opera, vendicandomi infilzando il filo in un innocente brandello di soffice cotone da ricamo. Spesso prendevo il mio Conformer e lo tenevo tra le braccia, passando le dita sul metallo brillante e chiedendomi se avrebbe volato mai più dalle mie mani. Altre volte guardavo la luce del sole che vi si rifletteva sopra, per ore. All’inizio Vincent si è innervosito vedendomi tra le mani qualcosa di affilato, ma cosa mai avrei potuto farci? Per il tempo che mi lasciava sola al massimo avrei potuto perpetrare violenze ai danni del mio cuscino. Stava con me quasi ogni ora del giorno, grattandomi le dita del piede della gamba ferita perché il sangue non vi scorreva più come avrebbe dovuto, massaggiando il mio corpo avvizzito, raccontandomi storie, spazzolandomi i capelli.

Manco a dirlo, ero talmente annoiata che ero annoiata più che a morte. Ero annoiata di una noia zombieana. La mia noia avrebbe dovuto dormire in una bara nella cantina di un vecchio maniero per un fantastiliardo di anni tanto faceva schifo. La mia noia era così totale che mi girava attorno in un loop infinito e alla fine anche essere annoiata mi ha annoiato. Prima erano tante le cose su cui non mi soffermavo, ma ora ogni movimento sembrava avere un’importanza enorme, e fissavo il soffitto tratteggiando miseramente i giorni in cui avevo saltellato felice come una Pasqua all’aria aperta.

La malattia patina di rosa i vecchi ricordi. Mi ero addirittura convinta che al Northern Crater mi fossi divertita un casino e che i Tomberry fossero morbide creaturine da strapazzare di coccole.

« Yuffie » ha detto un giorno Vincent vivacemente, all’improvviso. « Torno a Gongaga per un po’. »

« Tu cosa? » ho chiesto, palesemente angosciata. « Te ne vai? Cioè- »

« Si tratterà solo di un paio di giorni. Mi hanno fatto presente certe questioni. »

« Ah » ho bisbigliato, tristissima.

« Viene Cid con l’Highwind. Ho messo le tue cose in valigia. Siamo in pieno inverno, perciò non dovrebbe essere troppo pericoloso. »

« Ah. »

Silenzio.

« Le mie cose in valigia?”

Vincent ha inarcato un sopracciglio, come stupito e meravigliato, quando invece comprendeva fin troppo bene il mio stupore. La mia infermiera era uno stronzetto dispettoso, e che sia benedetto il suo piccolo cuoricino demoniaco. « Non vuoi venire? »

Ho chiuso la mano debole e ho dato un pugno all’aria, esultante. « Yuuuppiiiiii! »

« … Lo prenderò per un sì. »

Mi sono messa a sedere così in fretta che Vincent quasi è trasalito, gli occhi in fiamme, cercando di risistemarmi la coperta. « Voglio vedere cosa mi hai preparato! Ti sei ricordato di mettermi da parte una busta per il vomito? Vomito sempre sull’aeronave di Cid. E ti sei ricordato il mio chocobo di lana? Non posso andarmene senza il mio chocobo di lana. E una sciarpa – lì farà freddo – e i guanti, e le mie medicine, e- »

« Yuffie, calmati. » Mi ha poggiato le dita sulla fronte, poi sulle guance, controllandomi il polso. « Ti farai venire la febbre. »

« Fanculo la febbre. » Stavo praticamente saltellando; solo il dolore martellante e sommesso ormai naturale alla gamba mi ha impedito di alzarmi e fare la ruota per tutta la stanza. Però ho fatto qualcosa di poco meno grandioso: ho gettato le braccia al collo di Vincent e, esuberante come non ero da tantissimo tempo, gli ho dato un bacio sulla guancia. « Oh, Vincent, grazie! »

Si è liberato delicatamente dalla mia stretta, ma sapevo che era contento; lo leggevo nella linea delle sue labbra. Conoscevo a memoria il suo viso, ormai; ogni tanto mi sentivo come un mix YuffieVincentInUno. Troppo vicini per essere amici o amanti o cellule diverse. Un giorno mi venne la paura che gli avrei voluto tanto bene che mi avrebbe risucchiata, e sarei finita sotto la sua pelle.

« Hai bisogno di un po’ di movimento. Asako ha il timore che possano formarsi grumi di sangue sulla ferita. »

« Non posso credere che nonna Asa abbia perme- »

« È stata lei a raccomandare- »

« Che mi dici di- »

« Godo non ne è felice. »

Finivamo l’uno le frasi dell’alto? Non me n’ero neanche accorta. Fanculo finire sotto la sua pelle. Presto sarei diventata un altro aspetto di Valentine e sarei andata a far compagnia alla Galian Beast, solo meno avvenente e briosamente carina.

« Papà può andare a farsi fottere » ho detto compiaciuta.

« Ti avverto un’altra volta – viaggeremo in aeronave. »

« Il più grande mezzo di trasporto mai inventato dall’uomo. Ricordami di dare a Cid un bel bacio in bocca quando lo vedo. E di farmi abbracciare la ringhiera. »

« Ti darò un sonnifero per il viaggio » mi ha spiegato gentilmente. « Perdere altri liquido a questo punto potrebbe rivelarsi un enorme passo indietro. »

« Sì, dottore. O dovrei dire “papi?” Sei un po’ di tutti e due. Più infermiera. E chef. E intrattenimento generale. »

« E consulente viaggi » ha replicato lui sarcastico, ma l’idea che avesse fatto una battuta ha lanciato il mio umore alle stelle, più in alto dei fuochi d’artificio. Oh, oh, felicità. Yuffie the bomb.

Tutto questo l’ho detto anche a Vincent. Lui è parso sconcertato, e difatti mi ha misurato la temperatura e mi ha ordinato di sdraiarmi di nuovo per non farmi salire la febbre. Ma chi se ne fregava della febbre o della tosse asinina o di una broncopolmonite. Stavo andando a Gongaga!

… La malattia fa pensare cagate. Io non faccio eccezione.




« Cid, ti amo. »

Fedele alla meravigliosa e sacrosanta parola di Vincent, il mio biglietto per scappare da Wutainferno è arrivato dopo una settimana. Sempre per essere fedele alla sua parola, mi è venuto il mal di testa solo per l’entusiasmo, tanto palpabile che avrei praticamente potuto pisciarmi nei pantaloni (notevole uso della lettera “p”). Mi facevano male le ossa e quando avevo freddo mi battevano i denti, ma l’idea di un cambiamento di scena mi ha fatto così bene che persino Vincent si è rilassato un po’ – abbastanza da non spiarmi ogni secondo, almeno. Alleluia.

Il mio biglietto, che stava fumando uno dei suoi bastoncini cancerogeni e non sembrava assai scalfito dal mio bellerrimo sorriso e dalle costole che mi si vedevano attraverso la camicia, si è rivolto Vincent. « Sei pronto? »

« Ti ho amato dal primo momento in cui ti ho visto. »

« … Sì. »

« Cazzo, straparli sempre un sacco, eh? »

« Per me eri come un dio, un dio ispido, rozzo, pazzo, vecchio, non-esattamente-pulito, biondo e lamentoso. »

« … »

« Sembri in salute. Deve farti bene stare dietro ai mocciosi. »

« Ti ho mai raccontato del mio amore per la regale maestosità della tua aeronave? È per questo che ogni volta, tipo, ci vomitavo. La benedicevo. Un po’ come i comuni mortali fanno con lo champagne, solo più schifoso. »

« … Hm. »

« Se solo tu non fossi già sposato, ordinerei a Vincent di piegarmi il ginocchio per mettermi nella posizione corretta e chiederei la tua mano seduta stante, sai. »

Espressioni offese sono apparse sui volti di entrambi. Ah, ecco che si univano nel loro fattore comune: l’umiliazione a cui li assoggettavo.

« Strano, vomitavo sempre carote. Non mangiavo mai carote. »

« … Almeno sappiamo che la laringe di merda le funziona ancora. »

« Dicevo, l’Highwind è, tipo, la cosa più figa che sia mai stata creata. Ti giuro che quella volta che ho detto che era un vecchio ammasso di bulloni che sarebbero stati più utili se usati come rinforzo al reggiseno di Tifa non dicevo sul serio. E nemmeno lei avrebbe dovuto minacciarmi di prendermi a calci. È un adorabile vecchio ammasso di bulloni. Vero, Vincent? Eh? Eh? »

« … Quand’è che la mettevi a dormire?”

« … Presto. »

« Voi due mi fate schifo » ho detto loro con astio, e poi, allungandomi dalle braccia di Vincent, ho catturato il pilota in un abbraccio goffo e imbarazzato. Odorava di gasolio e sigarette. « Vieni qui, vecchio caprone. Sapevo che non sarei morta senza prima aver rivisto la tua brutta faccia. »

« Odio questi sentimentalismi del cazzo » ha grugnito Cid, ma suo malgrado mi stava accarezzando maldestramente la schiena, la mano che scivolava per spingermi in avanti. È esploso in una serie di vili parolacce quando ha sentito muovermi tra le braccia di Vincent. « Maledizione, ragazzina. Sei trasparente. »

« Ho il fegato sexy? »

« Tu non hai mai avuto niente di sexy. »

« Tu sei attratto solo dalle cose che hanno una leva e un indicatore del carburante, brutto vecchiardo succhia-sigarette. »

Lui si è districato con attenzione da me, come se avesse potuto rompermi con un gesto troppo brusco. Lo sguardo nei suoi occhi era di degradante orrore, e ho provato a gonfiare le guance scarne. Non dispiacerti per me, Highwind. Niente pietà da te. « Chiudi il becco e salite a bordo della mia maledetta nave » ci ha intimato prima di ripercorrere a grandi falcate il ponte della sua mostruosità di metallo.

Vincent ha obbedito, con la sua andatura curiosamente fluida che mi faceva ondeggiare il meno possibile quando camminavamo insieme, la gamba fissa davanti a noi come un brutto cannone. Avevo cominciato ad indossare pantaloni larghi che potevo togliere con facilità; non perché avessi bisogno di tenere al caldo quella cosa, ma perché non mi piaceva ricordarmi della sua orrenda presenza gonfia e maligna. Era come se fosse gravida di qualcosa che voleva far partorire a me.

Mi hanno messo in piedi lo stesso letto improvvisato dell’ultimo mio soggiorno sull’Highwind. Ho contemplato docilmente le coperte prima di porgere il braccio a Vincent, che stava già preparando la siringa ipodermica. (« Non puoi usare la Materia? » avevo piagnucolato all’inizio. Lui mi aveva risposto in tono secco che non si fidava della magia di qualunque tipo quando si trattava di medicina; se si guardava la lunga lista di varie cose orride che gli erano accadute a causa di Hojo, non gli si poteva dar torto. « E le pillole? » avevo piagnucolato con maggiore tristezza. Risposta lapidaria: non bastavano più. I draghi sono ammirevoli; quando vogliono infettare qualcuno, lo infettano davvero. Un grande applauso per voi, fottutissime lucertole.) All’inizio vomitavo quando c’erano di mezzo gli aghi, in una sottospecie di rituale primitivo alla “metti dentro-butta fuori”. Adesso, avrei potuto fischiettare qualche canzoncina mentre Vincent trucidava le mie vene.

« Svegliami qua- »

« Quando il tranquillante esaurirà l’effetto e non prima » mi ha interrotto severamente, iniettando con abilità molte sostanze tanto simpatiche nel mio braccio. Subito il getto felice e meravigliosamente intorpidente delle droghe si è impadronito di me, con la solita sensazione leggermente orgasmica e di stordimento che scalzava il dolore, che andava lentamente affievolendosi. Sono ricaduta all’indietro, tirando le lenzuola fino al mento. « Hai bisogno di riposare. »

« Se il sonno potesse curarmi, avrei messo la parola fine a questa storia settimane fa » ho mormorato con calore, la voce pesante e la vista che incominciava a offuscarsi. Vincent stava frugando in una delle borse che si era buttato in spalla, poi mi ha rimboccato efficientemente le coperte e ha riposto con cura il mio stupido chocobo di lana vicino al mio collo.

« … Vincent, non davanti a Cid… » ho cercato di biascicare, ma mi sono spenta come una lampadina.




Morte e rinascita.

Dicono che dormire è questo, no. Lo dicono anche di una marea di altre cose. Tramonto. Alba. Vomito. Sesso.

(Non che avessi voglia di pensare a niente di questa roba, ultimamente; quando sputi muco verde e anche la più semplice emozione ti impuzzolentisce di sudore, c’è il rischio di svenire ripetutamente eccitandoti anche solo un po’.)

Vincent che mi infilava sotto le coperte, Vincent la prima cosa al mattino. Morte. Rinascita. Vincent. Naturale come respirare.

Dio, ogni tanto mi chiedevo perché, come fosse potuto succedere. Perché Vincent si prendeva cura di una ninja strepitante, rigurgitante e morente che aveva incontrato per poco tempo (per salvare il mondo, d’accordo, ma non è che ci fossimo lasciati un’impronta l’uno sull’altro) e che non aveva apprezzato nemmeno tanto? Pensava che avessimo qualcosa in comune? Lui, senza età, senza tempo, bellissimo, incapace di morire. Io, minuscola, poppante, brava a urlare e incapace di vivere.

Non mi doveva niente. Gli avevo salvato la vita un milione di volte, sì, ma lui aveva fatto la stessa cosa per me e così pure Tifa e Cloud e Aeris (dolce Aeris cosa succederà quando verrai a portarmi via) e Red e Barret e Cid e Cait. Ero una qualche estensione della sua pallosissima penitenza, una cosa da sbrigare per l’espiazione del suo peccato?

Non mi piaceva quest’idea. Non ero granché come penitenza. Se avesse voluto aggraziarsi le forze che governano il mondo avrebbe dovuto premermi un cuscino sulla faccia.

Penso troppo. Perché mai mi stavo facendo questo? Avevo smesso di indagare sulle ragioni di Vincent Valentine molto tempo fa.

L’ultima cosa che vedo la sera. La prima cosa che vedo al mattino. È come un miscuglio contorto di madre-amante-padre-divinità.

Che schifo glorioso. La Yuffie di due anni fa avrebbe considerato tutto ciò una tortura con l’acqua. Io l’adoro. Giovane Yuffie, dove sei sparita? Stai crescendo o stai scomparendo proprio come me?




Quando mi sono svegliata, ero nell’ospedale del dottor Bannon con Vincent seduto accanto al mio letto.

Ora, questo che mi ha fatto trasalire. Quando si parla di déjà vu.

Se ne stava su di poltroncina scomoda e ho visto che, sorpresa sorpresa, aveva rimesso mano al suo guardaroba di Nero-Dio-Perché-Non-Lo-Capisci-Che-Sono-Depresso. Cioè, che non si dica che Vincent non sia figo in nero, ma penso che lo svilisca un po’. Mettetegli addosso una di quelle toghe blu scuro di cotone e un paio di pantaloni bianchi come quelli che portava a Wutai e, sì, yum.

… Oh, andiamo. Il mio corpo sarà pure morto ma il mio sensore roar non lo è affatto. Permettetemi di rifarmi almeno gli occhi.

Aveva una pistola tra le mani. La Death Penalty. Luccicava come argento vivo ed emanava un sottile aroma di polvere da sparo; evidentemente doveva averla appena ricaricata. Aveva la solita cintura per la pistola attorno alla vita, e quando ha visto che mi stavo svegliando, l’ha inforcata con perizia al suo posto. Adoro quando impugna le pistole. Diventano vive tra le sue mani, e se le rigira tra le dita buone come se fossero parte di lui, l’argento si armonizza con l’ottone dorato del suo artiglio, bellissimo e mortale. E a rischio di esplosione, proprio come lui.

Invece della colazione, stavolta Vincent conosceva il copione: mi ha porto immediatamente dell’acqua e un autentico cocktail di pillole che ho ingoiato in tutta fretta prima che cominciassero nausea e dolore. Poi mi ha dato un po’ di succo d’arancia, troppo aspro per i miei gusti, ma fresco e liquido, una bella sensazione sulla gola asciutta.

« … Come ti senti? »

« Una merda secca. »

« Stai bene quel tanto che basta per farti portare in braccio? »

« Come potrei spostarmi altrimenti? » Non soltanto era amante, madre e divinità, ma pure mezzo di trasporto. « Sicuro. »

Mi ha indicato una tinozza di acqua calda mentre io lottavo con i vestiti e mi ha dato del sapone e una spugna, posandomi su un’altra sedia per farmi lavare. Si è voltato perché mi voleva bene, ma sapevo che in qualche modo mi teneva comunque d’occhio per essere pronto nel caso qualcosa fosse andato storto.

Ho cominciato a passare l’acqua calda sulle articolazioni, rilasciando qualche sbuffo sibilante e profondo ogni volta che mi abbassavo sulla gamba malandata. Il volo non le aveva fatto bene; era più rossa di prima. Le tracce del veleno si erano arrampicate in una spirale su tutta la coscia e sul fianco; qualche diramazione si intravedeva anche intorno allo stomaco: piccole, taciturne, letali. Erano quasi belle, davvero. Ho deciso che se sopravvivo mi devo troppo fare un tatuaggio così.

« Perché ti sei preso la pistola? »

« Ho trovato le mie munizioni. » Si è stretto nelle spalle. « Andava pulita. »

« … Ehi, Vinnie? »

Lui ha risposto con un rumoretto gutturale per farmi capire che stava ascoltando.

« Che succederà quando il veleno arriverà al cervello? »

« Non lo sentirai. » Mi è dispiaciuto per lui. Di solito le mie Morbose Domande sulla Morte non partivano prima di mezzogiorno.

« Ah. » Mi ha fatto sentire a disagio di colpo, e mi sono strofinata distrattamente le costole. « … Perché? »

« Quando raggiungerà il midollo spinale non sentirai praticamente più nulla. »

Mi è caduta la spugna per lo shock. La sua voce era quasi sardonica e fredda; si è avvicinato per raccogliermi la spugna, gli occhi miti come un’alba. « Sarò paralizzata? »

« Non preoccuparti. » Quasi inconsciamente mi ha spostato una ciocca di capelli dietro l’orecchio per pulirmi il collo. « Immagino che per allora sarai entrata in coma. »

Gli ho restituito uno sguardo d’orrore, chiedendomi perché fosse così apertamente, tranquillamente crudele. Ero pronta a sbloccare una sfilza di imprecazioni molto cattive contro di lui, ma mi sono immobilizzata non appena l’ho guardato negli occhi.

Stava piangendo, gli occhi rossi umidi sembravano sangue, e ha spazzato furiosamente via le lacrime dalle palpebre non appena ha capito che cosa stavo guardando, per impedirmi di vedere. Leggere quella sofferenza così viva nei suoi occhi era peggio che se l’avessi visto singhiozzare. Stordita, mi sono fissata i piedi e mi sono accorta che era da molto che non riuscivo a muovere le dita del piede della gamba rovinata.

« Quando succederà? » ho sussurrato.

« Il dottor Bannon crede tra un paio di mesi o giù di lì. » Avrebbe dovuto fare l’attore, Vincent. Se pure avesse pianto la sua voce sarebbe rimasta impassibile, liscia come il burro.

« Sarò sveglia? »

« Sì. »

Mi sono voltata verso di lui e ho aperto le braccia. Era parecchio che avevo smesso di badare alla mia eventuale nudità. Lo stesso valeva per Vincent, ovviamente, e mi ha accettato senza indugio, trascinandomi in un abbraccio insaponato e imbarazzato. Le mie braccia si sono serrate attorno alle sue spalle, e ho immerso le mani nei suoi capelli e il volto contro il suo collo mentre tremavo. Ho sentito un tremore sotto la sua pelle in corrispondenza della mia guancia, sotto la pelle chiara come la panna che celava il suo unico mezzo per urlare. Forse non hai età, Vincent Valentine, ma dentro ti funziona ancora tutto. Incluso il tuo cuore.

« Non voglio morire, Vinnie » ho bisbigliato, e non mentivo.

La sua mano buona ha trovato la mia destra, avvolgendola come per proteggerla. Avrebbe potuto fracassarmela se avesse voluto, stringendo le forti dita affusolate e consumando le mie. « Non morirai. »

Allora avrei potuto credergli. Per il suo calore e il suo atteggiamento protettivo e questo suo lato emotivo che mostrava solo a me, e per quanto dentro fossimo simili, carne, sangue e umanità nonostante lui fosse un vecchissimo Turk addestrato e io una giovane ninja appena scampata all’adolescenza. Mio carissimo, carissimo, stupidissimo amico dalle parole contate.

Ma, chiamatemi cinica, questa volta non ci sono riuscita. Lo amavo tanto quanto sapevo che non era Dio, e che non aveva alcun potere su chi vive e chi muore. « Voglio che tu mi uccida prima che raggiunga il midollo. »

Il suo corpo si è irrigidito.

« Prendi la Death Penalty. Boom. So che puoi farlo senza farmi male… »

« Yuffie, maledizione. » Aveva una voce stanchissima, senza un filo di rabbia. Ho iniziato a capire quanti anni abbia davvero. « Chiedimi tutto ma non questo. »

« Scusa » ho detto immediatamente, pentita, e sono scoppiata a piangere insieme a lui, e dopo pochi secondi ci siamo ritrovati a tremare insieme in una massa informe di disperazione.

Qualcuno ha bussato alla porta, e se non ha spezzato l’incantesimo quantomeno lo ha affievolito; Vincent si è divincolato gentilmente dalle mie braccia per andare a rispondere. Ho bagnato la spugna nell’acqua e mi sono messa a sciacquarmi, tamponandomi la faccia per non lasciare nemmeno un segno delle lacrime e inumidendomi i capelli che per fortuna erano puliti per evitare che mi si rizzassero in testa in uno schifo di cresta. Fiera di me stessa, sono riuscita ad acciuffare i vestiti puliti che Vincent mi aveva preparato e me li sono infilata tra mille contorsioni, dondolando dalla sedia al letto per potermici sedere ad aspettarlo.

Alla fine, ha chiuso la porta ed è tornato a guardarmi. Aveva delle bolle di sapone sulle spalle, e ho ridacchiato un po’ quando se l’è spazzolate di dosso.

« Sei pronta? »

« Sempre » ho risposto superbamente, alzando le braccia e stringendomi con sicurezza a lui.

« … Torniamo a casa mia, allora. Penso che ci sia qualcosa che forse vuoi vedere. »




« Devo chiudere gli occhi? » gli ho chiesto quando siamo arrivati davanti alla sua casetta, quasi fuori di me per la trepidazione.

« Se vuoi. »

« Partecipazione zero come al solito » mi sono lagnata, ma ho chiuso comunque gli occhi, per prolungare la sensazione. « Dimmi quando posso riaprili. »

Ho sentito una porta che si apriva, e poi un’altra ancora, e mi ha poggiato su una cosa morbida e vagamente lisa. Un divano. Sentivo delle voci soppresse a fatica. « Vinnie? Posso aprirli adesso? »

Ho sentito l’ampio sorriso nella sua voce: « Suppongo di sì. »

Li ho riaperti, e sono rimasta in un silenzio di sasso per almeno un ottavo di secondo prima di riuscire a strillare: « Tifa! Cloud! » con un tono di voce che probabilmente ha spaventato tutti gli uccelli che nidificavano al villaggio per almeno vent’anni.

Si è scatenata un’immediata agitazione. Mi hanno preso in braccio, mi hanno dato pacche sulla schiena, mi hanno cosparso di baci – Tifa – e mi hanno strofinato la schiena – Cloud – in un brusio rapido, confuso, vivace e chiassoso in cui non sono riuscita ad afferrare una sola parola dei saluti precipitosi.

« -Oh, Yuffie- »

« -trattato bene?- »

« -così contenta di- »

Essere di nuovo con quei due ha fatto riaffiorare una nostalgia schiacciante; se non avessi riso tanto sarei scoppiata a piangere. Tifa odorava di profumo e di legno bruciato e di lei e poi c’era Cloud, i capelli schiariti come sempre e gli occhi sgranati, quegli occhi che erano come un mare di fuoco, due paia di mani piene di calli sulle mie e due sorrisi ugualmente stupendi e lenti. Tuttavia, sul bel viso di Tifa si è dipinta della mortificazione; mi ha riportato con cura sul sofà da dove mi avevano soffocato di abbracci e ha scrutato torvamente Cloud. « Fai piano! »

« Eri tu quella che le stava frustando la schiena, Tif » ha controbattuto lui in tono tiepido, grattandosi il collo. « Oh, e ciao ancora, Vincent » ha aggiunto dopo averci riflettuto.

« Ommioddiommiodiommiodio » è stata l’unica cosa che sono riuscita a blaterale, sbalordita, guardando i loro sorrisi beoti e fissando di nuovo Vincent. « Come- »

« Avevo detto loro che saresti passata da queste parti » ha spiegato dolcemente.

« Non ci vediamo da anni, Yuff » ha detto Tifa. « Dio, sei così- »

« Repellente? » ho suggerito io.

A seguire, breve silenzio.

« Non sapevamo stessi male fino a questo punto » ha risposto lei imbarazzata. « Perché non hai mai scritto? »

« Non c’ho pensato » ho detto sinceramente. « E poi non sto tanto male, Lockheart. »

« Ma no » è intervenuto Cloud, gli occhi azzurri di mako puntati sulla mia gamba. « Come ci è venuto in mente. »

L’ho guardato male. « Mi rimetterò, okay? Sembro peggio di come sono in realtà. »

« Sanno tutto, Yuffie » La voce vellutata di Vincent fluttuava dalla cucina, dov’era sparito.

« Ah. Allora questa è una specie di ultima visita? »

Hanno sussultato entrambi.

« Morirai, eh? » ha fatto Cloud in tono incolore, come se stesse parlando del tempo.

« Così pare, caro il mio Strife. »

« Tu capisci che sarò molto incazzato se tu muori. »

« Puoi venire con me nel Lifestream. »

« Puoi scommettere il tuo piccolo culo ossuto che lo farò. »

« Stai prendendo lezioni da Cid o sbaglio? »

« Possiamo non parlarne? » ha domandato Tifa, vagamente disperata, facendo scivolare una mano tra le mie. « Devo recuperare un sacco di cose con Yuffie, Cloud. »

Si sono scambiati uno Sguardo. Così tante parole inespresse; riuscivo praticamente a sentire il loro litigio mentale sull’argomento. Evidentemente avevano lo stesso problema che era sorto tra me e Vincent – la capacità innata di parlare senza parole. Alla fine, comunque, Cloud ha indietreggiato e si è accomodato nella poltrona di fronte.

Buffo, davvero. Non mi sarei mai aspettata che la casa di Vincent avesse qualcosa di così ordinario come le poltrone. Era ammobiliata proprio come tutte le altre case di Gongaga, minuscola e calda con tanto di arazzi alle pareti, anche se a onor del vero era un po’ più austera.

« Mi piacciono i tuoi capelli » si è complimentata Tifa durante la nostra conversazione, tirandomi delicatamente una delle ciocche nere che pendevano sulle mie spalle.

Ho fatto una faccia bruttissima. « Dovrei chiedere a Vincent di tagliarli. Sono sempre arruffati. »

« Ma tu e Vincent vivete davvero insieme? » Questo era Cloud. « Lo stai mandando fuori di testa, presumo? »

« Gli piacerebbe! » Ho sogghignato, incrociando le mani sul grembo. « E no, è lui che mi sta facendo impazzire. Non riesco mai a farlo stare zitto. Tutto il santo giorno non fa altro che parlare, parlare, parlare. Dico che avremmo dovuto lasciarlo in quella bara e sprangargliela. »

Si è levato un verso scorbutico dalla cucina.

« Certo che siete cambiati » ha commentato l’esperta di arti marziali, ridendo.

« Davvero? » ho chiesto subito, deliziata. « In che senso? »

« Tu sembri più grande. »

« Non gasarti, però » ha avvertito Cloud. « Io ti darei dodici anni. »

« Grazie per essere sempre così come sei, cazzone. »

« Posso vedere… » I suoi occhi sono scivolati sulla mia gamba.

« È ricoperta di bende. » Mi sono protesa, trasalendo appena, per scostare il cotone che copriva la gamba, mostrando l’arto gonfio avvolto nel lino. « Non si vede niente, ma potrei sempre toglierle- »

Vincent mi ha squadrato molto male quando è rientrato nella stanza per portare a Cloud e Tifa delle tazze fumanti di caffè; io mi sono imbronciata e lui mi ha porto una tazza del mio orripilante tè alle erbe che puzzava come veleno. « … ma non lo farò. »

« Deve farti molto male. » La mano di Tifa ha strizzato la mia e il cuore mi è svolazzato in petto; avevo dimenticato quanto potesse essere meravigliosa, quanto conforto potessero donare quei dolci occhi color del vino. « Sei incredibilmente coraggiosa. »

« Nah » ho bisbigliato, in modo che il mio costante compagno non potesse sentire. « Vincent fa tutta la roba “coraggiosa” per me. »

Poi abbiamo parlato. Vincent no; lui se n’è rimasto in un angolino della stanza, prima di spostarsi in un altro angolino, presumibilmente per badare ad altre faccende. Quasi non l’ho notato, completamente assorbita dal piacevole chiacchiericcio di Cloud e Tifa. Erano venuti via chocobo da Junon, che a quanto mi hanno raccontato si è trasformata dalla tana di un sorcio rannuvolata dall’inquinamento in un centro scoppiettante di calore, turismo e felicità, dove Tifa gestiva un albergo-bar e entrambi aiutavano a fare piazza pulita dei mostri e si dedicavano agli strani lavori che Reeve procurava loro, ed erano molto felici. Ampiamente superati i vent’anni, e Tifa era ancora una delle donne più belle che avessi mai incontrato insieme a Aeris Gainsborough; le uniche rughe che assediavano il suo volto erano quelle attorno alla bocca, per i troppi sorrisi. Cloud possedeva ancora tutta l’esuberanza giovanile dei suoi ventun anni, come tendono a fare tutte le persone bionde, e sembrava il più giovane di tutti; i capelli erano una spudorata sfida alla forza di gravità come sempre, ma doveva aver cominciato a farseli crescere. Era ancora un guerriero in ogni accezione del termine, anche solo dal modo in cui si sedeva. Io ho raccontato loro delle storie su com’era vivere con Vincent, omettendo il sangue, il dolore e il vomito, e sono riuscita a strappare a Tifa delle risate genuine.

Ogni tanto li ho sorpresi a scrutarmi con occhi spalancati e confusi, come se fossi una psicopatica che aveva detto una parola di troppo. Sono cambiata tanto? O sono cambiati loro? Era perché non ero più carina e solare? Avevo ancora la mia vivacità esuberante, questo lo sapevo. Però veniva guastata dalle guance scarne e dalla tosse che mi torturava quando ridevo, quindi spesso, e dalla stanchezza che mi ha inchiodato ai cuscini del divano. Ero ancora molte cose, ma non ero più una bambina. La malattia mi ha invecchiata, nel fisico e molto probabilmente nello spirito.

Bizzarro. Perché io mi sentivo ancora una sedicenne.

Vincent è tornato, dopo un po’, ha visto le mie guance infervorate di felicità e si è accigliato. Guastafeste. « Credo che Yuffie debba riposare. »

« Sì, infermiera » ho sospirato. Tifa ha sollevato un sopracciglio, stupita che avessi ceduto tanto facilmente.

« Cloud e io dobbiamo tornare indietro » ha detto dolcemente. « Per farcela prima del tramonto, almeno. Però è stato bellissimo rivederti, Yuffie. »

« Sono sicura che dev’essere stato noiosissimo parlare con me, Tiffster. Grazie a voi per aver trovato il tempo di venire a farmi visita. »

« Ci sei mancata, Yuffie. » Era Cloud, e non l’avrei mai detto, aveva gli occhi seri.

« Ci stai provando con me? »

Lui si è chinato in avanti e mi ha scompigliato molto cortesemente i capelli. « Rimettiti in sesto, Yuffie. Questo è un ordine. »

« Signorsì. » Ho sporto le braccia per farmi abbracciare di nuovo da Tifa, calda e morbida, e poi sono ripiombata nel familiare calore di Vincent. « Mi scriverete, vero? E mi telefonerete sul PHS? »

« Promesso » hanno trillato all’unisono, e Tifa si è ritratta per baciarmi la guancia. « Prenditi cura di te, Yuffie. Anche se a quanto pare Vincent se la sta cavando bene. »

Vincent è parso gratificato.

Mi ha concesso di salutarli con la mano dallo stipite della porta mentre scomparivano nel paese, fino ai confini dove avevano legato i chocobo, prima di riportarmi dentro. « Come diamine sei riuscito a farli venire? »

Ha inarcato un liscio sopracciglio d’ebano. « Quando hanno sentito quello che ti era successo, volevano venire. Tifa mi aveva scritto un bel po’ di tempo fa; però era un brutto periodo e dubitavo che tu volessi vedere qualcuno in quel momento. » Abbiamo percorso un breve corridoio per giungere alla sua camera da letto, spartana, con un letto, un armadio, una mensola per le pistole mezza vuota e poco altro. Il letto era di lana, ho starnutito quando mi ci ha adagiato sopra. « Ho pensato che avessi voglia di vederli. »

« Sono stati carini » ho detto con aria sonnolenta. « Sono contenta di essere riuscita a vederli. »

« Pensando che sarebbe stata l’ultima volta? »

È sopraggiunto un silenzio imbarazzato. All’improvviso non avevo più molta voglia di dormire.

« Non voglio fare il pisolino » ho annunciato, tetra. « Posso avere le mie medicine e un libro, Vinnie? »

« Un libro? » Era leggermente perplesso. « Non ho molti libri che potrebbero interessarti, Yuffie. »

« Dammene uno sulle materia o le armi e simili. Sai, con delle figure su cui posso sbavare. » Mi sono sistemata sui cuscini. « Che cosa devi fare qui? Dove dormi tu? Io dormo qui? Se mi addormentassi ora starei sveglia tutta la notte, te l’assicuro. »

Vincent ha memorizzato le domande, com’è abituato a fare. « Va bene: devo sistemare un paio di cose e chiudere delle questioni in sospeso; sul divano; sì; capisco. » Ha aperto l’armadio e ha iniziato a frugarci dentro. « Devo anche prendere delle cose. E mandare delle lettere. »

« Siamo industriosi come apine. » Mi ha avvolto in un’altra coperta. « Non preoccuparti, Vince, prometto di non prendere la febbre e morire. E la mia medicina? »

« Te l’ho sciolta nel tè. Vuoi degli antidolorifici? »

Ho annuito con entusiasmo.

Vincent ha sospirato. « Preferirei che ci andassi più piano. »

« Quando stai come me, Vinnie, ti viene da ingurgitare quelle cose come caramelle. »

Lui è scomparso, per poi riapparire con una manciata di pillole, un bicchiere d’acqua e un paio di grossi tomi con titoli come Materia – Dallo stato grezzo alla raffinazione e Evocare. Entrambi parevano vecchi di tremila anni ed erano con buona probabilità assurdamente datati, ma aprendone uno ho scoperto che le figure luccicanti c’erano davvero.

Vincent ha aspettato che ingoiassi le pillole e poi, sorprendendomi, si è avvicinato per sfiorarmi la fronte con la bocca. Le sue labbra erano morbidi e un po’ fredde, ma non in modo sgradevole; ho alzato gli occhi per guardarlo, le guance rosa di piacere e imbarazzo. « È stata una lunga giornata » ha mormorato, all’apparenza imbarazzato quanto me, ma più risoluto. « Non affaticarti, Yuffie. »

Ho appoggiato il bicchiere sulla superficie del comodino, sentendomi improvvisamente minuscola tra i cuscini vaporosi e le coperte grandi, piccola e debole. « Grazie, Vincent » ho borbottato con voce roca.

Se n’era già andato. Ho aperto Evocare alla pagina tre, ma poi mi sono addormentata immediatamente. Ho sognato cose strane.




Quando mi sono svegliata, non ci vedevo. Mi ha assalito momentaneamente il panico, ma poi mi sono resa conto che era notte fonda e quindi era normale; la mia mano è andata a tentoni in cerca della lampada, e dopo parecchie imprecazioni le mie dita gonfie si sono imbattute nell’interruttore.

La luce ha illuminato un Vincent dagli occhi molto assonnati, in una sedia che doveva aver trascinato sino al letto; ovviamente è trasalito per il risveglio tanto brusco e ha cercato subito di far finta che stare lì fosse normale.

« Perché non sei sul divano, idiota? » ho domandato in modo confuso.

Vincent ha cambiato posizione, a disagio.

Decidendo di sollevarlo dalla sua miseria, ho sfoderato uno Sguardo, uno dei suoi con cui avevo fatto pratica allo specchio. « Santo cielo, Vincent Valentine, non startene lì imbambolato a fissarmi. Non sopporto di vederti dormire su una schifosissima sedia. Sdraiati sul letto. »

Mi ha studiato con sospetto, ma ha obbedito al mio ringhio; si è rifiutato di infilarsi sotto le coperte ma si è sbottonato la camicia per esibire la sua buona volontà. Ho spento la luce.

Siamo rimasti in silenzio e al buio per qualche minuto. Sentivo ancora il peso del libro sotto le mani.

« … Come ti senti? »

« Diiio, perché me lo chiedono tutti? Credevo fosse ovvio. » Sono scorbutica quando mi sveglio. Denunciatemi pure.

È caduto un altro silenzio. Mi sono venuti i sensi di colpa. Non volevo alienare Vincent. Ma tanto lui conosceva il mio umore come le sue pistole.

« È ancora gonfia? »

« … Sì. »

Mi ha preso una mano. Le mie dita ci hanno messo un po’ a piegarsi e curvarsi tra le sue come se avessi l’artrite. « Ti prendo un po’ di pomata per aiutarti. »

« Non importa. »

« Importa a me. »

« Tanto tra due mesi non sentirò più le mani. »

« Tre mesi » mi ha corretto subito lui; l’ho sentito irrigidirsi al buio.

« Hai parlato con Bannon? »

« … Vuole che ti porti da lui domani. »

Io sono rotolata via, liberando la mano e dandogli la schiena. « … Non mi va. »

« Yuffie- »

« Ormai non c’è niente e nessuno che possa aiutarmi, no? Anche se mi tagliassi questa stupida gamba non cambierebbe nulla, il veleno è già entrato in circolo e non possiamo espellerlo. È per questo che rimani, Vincent, perché sai che morirò? »

Mi ha agguantato fulmineamente la spalla, costringendomi a guardarlo. Riuscivo a vedere i suoi occhi nonostante il buio, quasi brillavano. Un brivido mi ha percorso la spina dorsale; lui se n’è accorto, ha allentato la morsa, ma non l’intensità della sua espressione.

« Secondo te è per questo che resto, Yuffie? »

Non gli ho risposto per un bel po’. « … Avresti dovuto lasciarmi morire in quella foresta, Valentine. »

« … Non ti lascerò mai morire senza combattere. »

Tutta la mia irritabilità e la mia infelicità sono svanite e mi sono contorta goffamente verso di lui, nascondendo il volto nel suo collo, così grata che avrei potuto scoppiare in lacrime. « Oh, Vincent. »

« Andrà tutto bene. » Mi ha accarezzato maldestramente la schiena. Oh, quanti padri e madri avranno fatto una cosa del genere con i loro bambini, con al posto della speranza la consapevolezza che l’unica cosa che potessero fare fosse proteggerli fino all’ultimo respiro?

« Sei sicuro? » Minuscola. Infantile.

« Sicuro. » Un genitore che consola, asciugando via il dolore. Tutto passato, Yuffie, per sempre. « Fidati di me. Dormi. »

Avevo singhiozzato e pianto a non finire, non mi erano rimaste più lacrime e neanche sofferenza. Potevo solo nascondere la faccia nel suo petto che profumava di cenere e scintille. « Notte notte » ho mormorato, come avevo sempre fatto con mio padre; « Ti voglio bene, Vin’- »

« Buonanotte, Yuffie. » Avrebbe potuto essere Godo, solo molto più giovane; aveva la stessa voce sottilmente nobile, bella e melliflua – ma ero sempre consapevole, dolorosamente, meravigliosamente, che era Vincent. Mentre mi lasciavo andare al torpore, l’ho sentito arruffarmi i capelli, e la sua lingua ha accarezzato parole che dubito avesse pronunciato da decadi: « Ti voglio bene. »

Come un genitore a un figlio, forse, ma era il mondo.





Il giorno dopo non c’era più; nulla di insolito. Aveva lasciato una nota sul cuscino nella sua bellissima calligrafia, annunciandomi che sarebbe passato nel pomeriggio per portarmi da Bannon (ugh), e che probabilmente nel frattempo avrei dovuto riposare. Mi sono riappropriata della mia copia di Evocare ai piedi del letto e mi sono messa a sfogliarlo.

Shiva – Ramuh – Knights of the Round – Phoenix –


Sfere rosse familiari. Le conoscevo tutte. Bla, bla, bla. Cacchio, avrei potuto scriverlo io. Forse sarebbe stata un’ottima scelta lavorativa. Ho dato una scorsa all’ultima pagina.

Spiriti Non Verificati – Appendice


Ho fatto scorrere un dito sulla lista. Aden, Adiel, Aesculapius-


Il mio dito si è fermato e ho letto il testo.

Aesculapius (Asklēpiós)


Stato: Non Verificato


Spirito libero (non ancora catturato), mitica reliquia dei nomadi che solevano abitare le caverne sulle Montagne di Icicle. Ulteriori informazioni sono andate perdute quando la popolazione nomade è morta nell’era della Febbre della Tundra. Avvistato dai viaggiatori dispersi nella zona; appare più di frequente sotto forma di serpente o di uomo con un mantello. Tratta guarigioni, reumatismi, claudicazione, storpi, infezioni e veleno. Sebbene non sia stato verificato né smentito, si dubita della sua esistenza o viene considerato un avvistamento remoto di Ashura. Pagine 60, 61, 89.



Ho riletto il paragrafo. Tratta guarigioni… storpi, infezioni e veleno.


Ho sentito qualcosa salirmi in gola e l’ho riconosciuto, dopo tanto tempo, come speranza.





Nota costernata della traduttrice: EEEEEEHMMMMM
Sunshine in Winter finirà negli annali per la pubblicazione più lunga di sempre, tra me e l’autrice xD
… Ma poi come fa strano vedere la considerazione di Cloud (e di Cloud e Tifa!) del fandom negli albori degli anni duemila, addirittura qui c’ha la “youthful exuberance” xD Dà da pensare.
A presto, spero giuro eeeeehr :/
   
 
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