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Autore: Marge    19/10/2012    3 recensioni
Una stazione dei treni, una barista eccentrica e single, un'erboristeria in cui convivono mamma e figlia, un libraio appassionato di Carducci con un figlio non altrettanto dotto, ed un muratore rumeno molto avvenente. Cosa succederà quanto un misterioso post-it rosa recapiterà un messaggio alquanto sgrammaticato?
Scritta per il contest "Di luoghi mai visti ed anfratti dimenticati" (in attesa di valutazione) e con il prompt orfano "Primo innamoramento" della piscinadiprompt, per il 2° turno della Staffetta.
Genere: Commedia, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VII – LA STAZIONE DEI TRENI

Samantha si sentiva un verme, e se avesse potuto avrebbe strisciato, dal bar al negozio di Gisella. A che pro poi camminare? Mark si era evidentemente preso gioco di lei.
“Me lo immagino, lì che ride con i suoi amici.Quella cretina della barista che mi fissava balbettando e tutta rossa in faccia!”
“Ma dai, Samantha…”
“Gisella, non mi consolare. Oh, mi sento così triste!”
Si asciugò nuovamente gli occhi, tamponando il mascara in discesa libera sulle sue guance. Una ipotetica cliente gettò un’occhiata nel negozio, ma ci ripensò subito e fece dietrofront. Gisella sospirò: addio affari, almeno per quel pomeriggio e con quel catorcio fosforescente di Samantha in negozio.
“Al bar non c’è nessuno, tranne Renzo e Cane” riferì Annalisa rientrando. “Ora posso andare da Michele?”
“Aspetta un attimo, tesoro” disse con voce dolce Gisella.
“Ma io…” cominciò la bambina, ma la madre le lanciò un’occhiata fulminante: che non la lasciasse da sola lì con Samantha in quelle condizioni!
“Ingiusta” sibilò, e si appollaiò sulla sua sedia, offesa.
“Samantha, stammi a sentire. Che ne dici di chiudere il bar un po’ prima, oggi, e tornare a casa? Guarda che belli questi sali marini rilassanti, puoi farti un bagno e…”
“Sono stufa di farmi bagni da sola! Sono anni che passo le serate da sola, ora vorrei avere qualcuno non dico nel letto, ma almeno…”
“Samantha, la bambina!”
La guardarono in tralice, ma quella restituì loro uno sguardo altezzoso, come a dire che di quelle allusioni dei grandi lei non se ne faceva niente, perché voleva solo andare da Michele a giocare.
“Me ne vado” dichiarò Samantha dopo qualche secondo di silenziosa riflessione. “Ho capito.”
Gisella provò ad aprire la bocca per fermarla, ma la metà cattiva di se stessa la costrinse al silenzio. Combattuta, si alzò in piedi e prese il braccio dell’amica.
In quel momento, il dio rumeno entrò in negozio.
“Salve” cominciò allegro.
“O mio dio!” gemette Samantha.
Annalisa sorrise: finalmente un diversivo.
“Non mi sembra il caso che lei venga qui, proprio oggi” disse Gisella, seria.
Mark, ovviamente, non capì. Si guardò attorno un momento, per capire se ci fossero segni di lutto o di altra catastrofe nel negozio, poi disse: “Mi scusi, è successo qualcosa?”
“E lo chiede pure” ululò Samantha, per poi decidere definitivamente che quella giornata, almeno per lei, doveva finire: si accasciò sulla spalla dell’amica.
Mentre Mark si guardava intorno, disorientato, la porta trillò nuovamente, e davanti ad una esasperata Gisella comparve Ernesto seguito dal figlio.
“Scusami” esordì l’uomo, “ma dal momento che Annalisa non arrivava, ho dovuto portare qui Michele, non riuscivo più a tenerlo in negozio.”
“Michele!” urlò Annalisa, e si catapultò dalla sedia in direzione dell’amico. “È colpa di mamma, mi tiene qui prigioniera!”
A quelle parole il bambino si aprì in un sorriso: un amore ostacolato! Un amore forte come quello dei film.
“Quindi hai letto il mio biglietto!”
Alla parola biglietto Gisella strinse il braccio di Samantha talmente forte che questa rinvenne.
“Quale biglietto?” chiese Annalisa.
“Quale biglietto?” fece eco la madre.
Il bambino arrossì e si bloccò improvvisamente, imbarazzato. Un conto era se Annalisa l’aveva letto, ma così, davanti a tutti, ripeterne il contenuto!
“Ieri ho..ho messo un bigliettino…” cominciò il ragazzino, balbettando.
“Un biglietto di che tipo?” chiese Gisella, insospettita.
Samantha divenne verde in volto, poi bianca come il latte, tanto che Mark ed Ernesto si preoccuparono e fecero un passo verso le due donne.
“Signorina, tutto ok?” chiese il dio rumeno, sempre più convinto che quella ragazza fosse malata: non le era sembrata tanto sana neanche al bar, poche ore prima.
“Samantha, si sente bene?” rincarò l’altro.
Senza riuscire a proferire parola, Samantha pescò con due dita il post-it da una tasca, e lo alzò con il braccio tremante.
“Non l’hai scritto tu, questo?” sussurrò, esanime.
“Non potete leggerlo tutti, quello è per Annalisa!” si oppose dunque Michele.
Mark, ignaro delle proteste del bambino, lo prese, lo lesse e sorrise.
“Mi spiace per l’equivoco, ma non ne sono io l’autore. Oltretutto, è infarcito di errori.”
Il biglietto passò nelle mani di Ernesto, che trasecolò: “Michele! Ancora errori di questo tipo!”
“Ma papà…”
“Io pensavo…che siccome sei rumeno…” balbettò Samantha, per poi mordersi subito la lingua.
“Signorina, io in Romania sono laureato” ribatté lui. “Mi spiace moltissimo per l’equivoco. Dev’essere stato terribile credere che l’abbia scritto io, e poi vedere tanta indifferenza, poco prima al bar.”
La ragazza spalancò gli occhi, affascinata: che proprietà di linguaggio! Che educazione, e che sensibilità! Quel dio rumeno era decisamente un tipo superiore.
“Ma come può essere finito al bar di Samantha, se era per Annalisa?” chiese Gisella, lasciando andare il braccio dell’altra.
“Ieri l’avevo lasciato a Renzo, perché noi chiudiamo la libreria prima di voi…” disse il bambino, affranto. Ma, nel frattempo, il post-it rosa era finito nelle mani di Annalisa, che lo fissava colpita.
“Oh, Michele!” disse, e gli lanciò un’occhiata talmente espressiva che il bambino si riprese.
“Quell’ubriacone…” brontolò Gisella, ma poi si guardò attorno: i bambini si tenevano per mano, e Mark era tutto proteso su Samantha, preoccupato per il suo colorito. Udì distintamente le parole aperitivo e una sera di queste, per cui si avvicinò a Ernesto: “Che ne dice se stasera ceniamo tutti assieme? Così facciamo felici le due coppiette.” Al libraio non restò che annuire, sorridendo a sua volta.
  
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