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Autore: nals    19/10/2012    6 recensioni
Pensavo.
Pensavo che sono stanco, e che fa troppo caldo per essere ottobre.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Melanzana.
 
 
 
 
 
 
Pensavo.
Pensavo che sono stanco, e che fa troppo caldo per essere ottobre. L’infermiera bionda ha proprio un bel culo, ma parla strano e c’è una vecchietta appallottolata sulla panca plastificata in fondo al corridoio. Russa.
L’aria pesa. Pesa come il tipo arrivato in barella tre ore fa, quello con il braccio staccato. Ci son voluti quattro infermieri per tirarlo su.
Apro la finestra e fuori è più buio delle tue ciglia.
 
Pensavo.
Pensavo che mi ci vorrebbe una sigaretta, ma il pacchetto me lo hai fregato poco prima di... prima. E proprio non mi va di alzarmi e cercare uno stramaledetto bar che le venda. Forse non mi va di fumare. Forse non mi va di fumare una sigaretta che non sia nel pacchetto che hai infilato nella tasca posteriore dei tuoi jeans. Perché sai, è bello riprendermele ogni volta. Mi piace il tempo che le mie dita rubano per scivolarti lungo la schiena. Mi piacciono anche i “dovresti smettere” borbottati ad occhi bassi, forse mi piace sollevarti il mento dopo e sussurrarti “sì”.
“Sì” perchè “sì”; “sì” perché con te in quel “sì” ci credo davvero.
 
Pensavo
Pensavo che vorrei portarti via, caricarti in macchina e tornare a casa. E che vorrei baciarti, e baciarti, e baciarti, perché son passate ore e non so nemmeno come stai.
Poco fa un infermiere mi ha offerto il caffè e, non appena l’aggeggio luminoso ha sputato via due bicchierini cacati sul fondo, ha cominciato a parlare, parlare, parlare. E parlava così veloce che non ci ho capito un beneamato. Gli tremavano le mani.
E c’era quel maledetto neo scuro poco sotto l’occhio. Grosso quanto il tuo naso. Non ho fatto che guardarlo fisso e intanto il caffè finiva in gola e faceva schifo, ma ho detto “grazie” comunque. Perché è stato gentile e perché sua moglie se la fa con qualche stronzo. Fausto, sì, mi pare che abbia accennato ad un Fausto – non lo so se ha gli occhi belli, o se è più alto di me, se sa farla ridere come sapevo fare io, non so niente, amico, eppure non faccio altro che pensare a come farlo fuori. Sempre. Persino adesso. Potrei strangolarlo e vedere quella bocca lurida
-chissà dove l’ha baciata, quello stronzo-
non sorridere più, perché so che le sorride. Oppure...
Servirebbe un grosso coltello, quello da pane. Ma forse dovrei comprare una pistola. Sarebbe divertente fargli saltare in aria il cervello e vederlo colare
giù,
giù,
giù.
Non lo so che faccia abbia, non lo so davvero. Ma la vedo in testa tutte le notti ed è così nitida, così vera e mi sorride. Mi sorride, dannazione. E io vorrei solo ficcargli una pistola in bocca. E ammazzarlo. Mi sorride, mi sorride, cazzo.–
 ma forse è solo il nome che il mio cervello ha affibbiato al neo. Quello grosso quanto il tuo naso.
 
Pensavo.
Pensavo che vorrei rivederti in quel vestito rosso. Quello arricciato in vita, quello che ti lascia le spalle scoperte e io posso guardarle e morderle quanto mi pare.
E che vorrei togliertelo. Una, due, tre volte.
Pensavo che... pensavo.
Ho mal di testa. Qualcuno sta cercando di strapparmi gli occhi dall’interno. Quasi quasi li vedo incavarsi nelle orbite e finire affongati nel cervello. PLUFF.
Pensavo che ho paura. Pensavo che, dio santo, voglio solo vederti, voglio i tuoi occhi.
Pensavo.
Pensavo al giallo, che poi è diventato rosso. E tu dicevi che era verde, verde come l’acqua del Tevere di notte, quando la fine non la si vede.
Ma poi è diventato tutto nero e viola melanzana. Come l’auto che ci è venuta addosso, o a cui siamo andati addosso noi.
 
 
 
‘Mi segua’ dice qualcuno e io seguo.
‘Si sente bene?’
‘Lei sta bene? Lei, non io. Lei sta bene?’
‘Mi segua.’
Mi segua, dice e io la seguo e  i corridoi sono vuoti come gli scaffali della libreria che ti sei fatta costruire in garage, ma che non hai riempito mai perché lì è troppo freddo per poterci stare.
 E poi ci sei tu, e il tuo sorriso, e quegli occhi, che mi hanno fatto impazzire troppe volte – così tante – che non mi guardano più.
‘Mi dispiace’
Cosa stai guardando, eh? Me le ridai le sigarette?
‘Non c’è stato nulla da fare’
Una sola, dai. Una e poi smetto. Tanto smetto, lo sai.
‘Ha perso...”
Bla, bla, bla, bla, bla, BLA, BLA, BLA...
Ha perso, ha perso, HO perso.
Ho perso.
 
Pensavo che sono stanco e che voglio un bacio.
Mi baci?
 
Pensavo al rosso. Al vestito rosso, quello che ti lascia le spalle scoperte, al viola e alle melanzane.
Io le odio le melanzane.
Era verde, vero?
Le odio per davvero le melanzane.
E odio te. E me. Ma più le melanzane.
 
 
Mi baci?
Non mi vedi più.



Era verde?
 
 
Verde, verde come le iridi del tizio che fissano il cuscino del divano dal televisore.
Ha gli occhi belli, sì, e sorride.
Si chiama Fausto e qualcosa ed era più ubriaco di noi. Si chiama Fausto e qualcosa ed è ancora vivo, come sono vivo io, e stava nella melanzana che ci è finita addosso o a cui siamo finiti addosso noi.
Si chiama Fausto e qualcosa, ma forse è solo il nome che ho affibbiato al neo, quello grosso quanto il tuo naso.


E io vorrei solo ficcargli una pistola in bocca. E ammazzarlo.
Ammazzarlo, accopparlo, sventrarlo.

Mi sorride, mi sorride, cazzo



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quello splendore lì sopra è opera della mia Sara/Roxar. Grazie mille, Love. <3
   
 
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