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Autore: Mark_Criss    20/10/2012    0 recensioni
Combattere se stessi è molto più difficile che affrontare un nemico, per il semplice fatto che un nemico può essere distrutto, mentre farsi del male a punto di distruggersi è quasi impossibile.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Combattere se stessi è molto più difficile che affrontare  un nemico, per il semplice fatto che un nemico può essere distrutto, mentre farsi del male a punto di distruggersi è quasi impossibile.
 
 

Pioveva, e per quanto potessi amare la pioggia non ne potevo più di sentire il ticchettio delle gocce che cadevano con violenza sul sottile tetto di casa.
La stagione era cominciata a dir poco male, non era neppure inizio settembre e già il brutto tempo si era fatto sentire, il freddo incombeva sulla piccola Londra, ma non mi scoraggiavo, oramai ero del tutto abituato al clima vario della mia città.
Mi passai una mano nei folti capelli biondi e stiracchiai le braccia, ero stanco nonostante avessi dormito per più di cinque ore, un miracolo per me, mi sedetti a gambe incrociate sul letto e ammirai con sconforto il disordine della mia cupa stanza. Le paresti erano di un celeste oramai sbiadito, mio padre non le dipingeva più da che avevo sei anni, l’armadio in legno chiaro aveva un anta rotta e sotto i cumuli di vestiti sporchi si intravedeva un scrivania usata come deposito libri nel periodo estivo.
Mi trascinai verso il bagno e decisi di farmi una doccia, l’acqua calda scendeva sul mio corpo come una cascata in piena ed io sentivo che poco a poco tutta la sonnolenza andava via con l’acqua.
Il bagno era diventato una laguna di vapore per via dell’acqua calda, presi un asciugamano da terra e cercai di pulire lo specchio orami appannato, notai subito una cosa, il bagliore dei miei occhi color ghiaccio, erano così chiari da sembrare due fari, e man mano che il vapore si diradava riuscii a scrutare anche il resto del mio corpo, la mia carnagione non era particolarmente scura, anzi era abbastanza chiara, ed ero tendenzialmente magro.
Mi misi una tuta e scappai in cucina, niente da mangiare, come al solito mio padre aveva dimenticato di fare la spesa. Non ci pensai, presi il portafoglio e le chiavi della moto e decisi di andare a fare un giro.
In città non avevo molti amici, solo i ragazzi del Glee Club, per quanto potesse risultare strano ero  il classico ragazzo bello e solitario e preferivo la compagnia di buona musica e di un gruppo con cui cantare alla popolarità e all’esibizionismo di avere tanti e inutili amici.
Presi il mio scooter nero e imboccai la strada per il centro, essendo la fine delle vacanze le strade erano ancora, sfortunatamente per poco, semi deserte, i pochi rimasti erano per lo più barboni o gente che non poteva permettersi altro che una gita al lago, e sfortunatamente io ho sempre fatto parte di quella categoria.
Entrai in uno dei bar preferiti di papà, con la speranza di non vederlo ancora una volta accasciato sul bancone già alle dieci del mattino, ma di lui fortunatamente non c’era traccia.
“Bill un caffè cortesemente” dissi in maniera molto tranquilla.
“Subito Alex” commentò l’uomo barbuto seduto dall’altra parte del bancone. Si alzò dal robusto sgabello e si avvicinò alla macchinetta dei caffè, era alto e possente, la sua folta barba nera si mischiava con la sua strana capigliatura che, vista alla fioca luce del bar sembrava un ammasso di ricci senza una direzione.
Sorseggiai il mio schifosissimo caffè e pagai il conto.
“Tieni il resto” dissi facendo un occhiolino, ma Bill sapeva benissimo che più che tenere il resto era un modo per pagare in parte quello che era l’enorme debito di mio padre.
Ripercorsi la stessa fredda strada che avevo fatto all’andata, la osservai in ogni suo particolare, l’asfalto fresco, i grandi grattacieli e l’ingresso della metropolitana; non avevo mai preso la metro, onestamente la ritenevo inutile e sporca, preferivo muovermi a piedi o in moto.
Arrivai finalmente a casa e la ritrovai nello stesso stato in cui l’avevo lasciata, entrai nella piccola cucina e mi sedetti sul vecchio tavolo di legno, le pareti spoglie la facevano sembrare più grande di quello che era, presi le tazze sporche e le poggiai nel lavello arrugginito e guardai affamato il vuoto frigorifero bianco. Forse avevo sbagliato a prendere solo un caffe.
Erano giorni che la noia mi divorava, non avevo molti amici e quei pochi che avevo erano fuori fino all’inizio della scuola. Mi arresi all’idea che sarei rimasto solo fino ai primi giorni di ottobre, ma intanto avrei dovuto tenere la mente occupata oppure avrei sicuramente cercato un modo per dare fuoco a quel porcile che ero costretto a chiamare casa.
 Occupare il tempo il una città vuota non sembrava un impresa facile, ma ovviamente andavo matto per le imprese impossibili. Mi sedetti su una delle due sedie in legno chiaro della cucina e pensai ad un modo costruttivo di occupare il tempo, i minuti passarono e alla fine l’illuminazione: sistemare la casa; ci sarebbero volute come minimo due o tre ore di lavoro intenso e senza papà fra le scatole avrei potuto sistemarla come volevo io. Corsi nello sgabuzzino e mi feci largo fra i cumuli di roba inutile che mio padre si ostinava a conservare senza motivo, mi allungai su una gamba e presi il necessario per fare pulizie: un secchio, una scopa, due pezze e un vecchio prodotto per spolverare.
Decisi di iniziare dal salotto che era la stanza più vuota, spostai il divano e aprii la cristalliera per pulire le poche bomboniere che avevamo, spolverai il tavolo le finestre e lavai a terra.
Così feci anche nella cucina e in camera mia, ora mancava solo la stanza di papà. Non entravo lì da tantissimo tempo, forse da quando mamma era morta.
Lasciai cadere il secchio mezzo pieno davanti alla porta chiusa e, con la mano libera, girai la maniglia.
La stanza era buia, e un forte odore di chiuso mi pervase le narici. Sembrava che nessuno ci mettesse piede oramai da secoli, infatti avevo il sospetto che mio padre nell’ultimo periodo non dormisse più nella stanza.
Corsi alla finestra con una mano sulla bocca per non respirare quella pesante aria, e quando la luce invase la stanza la riconobbi per quella che era, una stanza piena di spiacevoli ricordi.
Era lì che mia madre aveva passato gli ultimi due mesi della sua vita, ed era lì che era morta.
Mi si gonfiarono gli occhi di lacrime, ma trovai la forza per non crollare.
Trovarsi lì era come rievocare vecchi ricordi di un infanzia poco felice, mia madre non stava bene ne fisicamente ne moralmente (mio padre non era mai stato un buon marito), e quando decise di abbandonarmi rimasi travolto dalla follia di quel uomo che mi ha costretto a crescere e diventare un uomo da solo.
Cercai in tutti i modi di scacciare quei brutti ricordi, e iniziai a rassettare la stanza. Spolverai il mobile, cambiai le lenzuola e sistemai i cassetti. Di una cosa non mi ero mai reso conto, che sotto il letto papà teneva nascosto una grande valigia nera.
Mi guardai intorno furtivo, avevo paura  che mio padre potesse tornare da un momento all’altro ma la curiosità di guardare in quella valigia era troppo forte.
Neppure me ne resi conto, come se fossi guidato solo dal mio istinto la aprii, dall’interno uscì un forte odore di stantio, sperai che il mio stomaco potesse reggere almeno il tempo di dare un occhiata. Era pieno di vecchie lettera, la più recente forse risaliva all’1 settembre 2010, la maggior parte erano tutte rivolte a me, tutte provenienti dalla “scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts”.
“Magia e Stregoneria? Ma che diavolo…” pensai stupito, la magia non esisteva e se fosse esistita io sicuramente non ero un mago.
Frugai meglio, ma quella stanza era troppo tetra decisi di portare così tutte le lettere in camera mia, tanto alla fin fine erano mie di diritto.
Chiusi la porta a chiave e inizia a cercare quelle più vecchie, erano troppe come minimo una ventina e confrontare le date si rivelò più difficile del previsto.
Dopo una buona mezzora arrivai alla conclusione che quella più vecchia era arrivata nel lontano 3 luglio 2004 poco prima del mio undicesimo compleanno.
Inizia a leggerla e rimasi sbalordito di quello che trovai scritto su quel vecchio foglio ingiallito.

“Caro signor Alexander Criss,
con la presente le comunichiamo che dopo il compimento dei suoi undici anni in data 10 luglio, lei è formalmente invitato a studiare nella più prestigiosa scuola di magia e stregoneria di tutta Londra,
i corsi basilari del biennio le serviranno per imparare le risorse basi della magia…”

Non volevo credere a quello che stavo leggendo, era impensabile credere che se tutto ciò era vero mio padre non mi aveva mai detto nulla.

“…la scuola è divisa in quattro case: Grifondoro, Corvonero, Tassorosso e Serpeverde, e lo smistamento in una ed una sola di essere avviene il primo giorno di scuola.
Attenderemo una sua risposta via gufo entro e non oltre la sera del 30 agosto.
Spero di vederla l’1 settembre
Cordiali Saluti
 
Minerva Mcgranitt”

 
Ero allibito, ero arrabbiato e triste allo stesso tempo, quasi tutte le lettere dicevano la stessa identica cosa, solo che cambiavano gli anni.
Le lessi tutte con molta attenzione quando arrivai a quella più recente, erano in tutto quattro quelle del 2010, e le prime tre erano simili, l’ultima invece mi fece calare un velo di tristezza sulla stanza.

“Caro signor Criss,
siamo consapevoli degli spiacevoli fatti accaduti dieci lunghi anni fa, la perdita di sua moglie deve essere stato un durissimo colpo sia per lei che per suo figlio, ma in sei anni di continue lettere non abbiamo mai ricevuto una risposta.
Non vedo ne capisco il motivo per cui tenere suo figlio lontano dal suo mondo o meglio, lontano dal vostro mondo.
Sono a dir poco stanca di scrivere lettere ad una persona ad una persona che ha riposto la bacchetta magica, quindi le scrivo per dirle che questa è l’ultima lettera che le spedirò se suo figlio vorrà frequentare la scuola lo farà, a breve compirà diciassette anni e lei saprà meglio di me che sarà maggiorenne quindi potrà decidere quello che è meglio per lui…”

La lettera era strappata, rovistai fra le lettere che avevo nella stanza ma nulla il pezzo mancante non si trovava.
Ero distrutto, mio padre mi aveva sempre mentito, e per di più mi aveva tenuto lontano da quello che era il nostro mondo.
Iniziai a pormi tante domande il problema era che non avrei mai avuto delle risposte, lessi e rilessi le lettere per cercare di capire come arrivare a scuola ma in tutte le lettere si parlava soltanto di  “rispondere via gufo” entro il 30 agosto. Guardai il calendario era il 29 agosto avevo ancora 24h per scoprire se tutto quello che era scritto nelle lettere era vero o era solo un grasso scherzo.
Presi un foglio e una penna e iniziai a scrivere una risposta alle lettere, ci misi un po’ dato che non ero mai stato troppo bravo a scrivere, ma alla fine il risultato fu’ soddisfacente, ora piccolo problema quella lettera come l’avrei spedita?
Feci più volte avanti e indietro nella stanza, “Pensa Alex, pensa…” dissi ad alta voce.
“Sono un mago no?..”
Corsi ad aprire la finestra e chiudendo gli occhi e incrociando le dita dissi “Mi serve un gufo..” restai in attesa, tenni gli occhi chiusi per forse un minuto ma mi sembrò un eternità, quando gli aprii sul davanzale non c’era nulla, forse la magia non funzionava così.
Chiusi la finestra e mi girai, e dietro di me un piccolo gufo grigio si pettinava le ali.
Mi venne da ridere, una di quelle risate isteriche, non perché la circostanza fosse divertente ma perché ero sorpreso di me stesso.
Presi il foglio lo arrotolai e lo misi nelle zampe del gufo e vicino la testa sussurrai “Correi veloce e portalo a Minerva McGranitt, ti prego fa presto..” lo accarezzai e lo guardai mentre veloce volava fuori dalla finestra.
Ero riuscito a rispondere ad una di quelle lettere, mi stesi sul letto e quando credevo di essermi addormentato mi venne un flash: IL GLEE CLUB!
Il glee club era un po’ la mia seconda famiglia, un gruppo di dieci ragazzi e ragazze con tante cose in comune ma la passione che tutti abbiamo era una: il canto.
Sì, ero un cantante provetto, voce solista del glee club e due volte campione alle nazionali di Londra.
Ero iscritto lì dal primo anno di liceo e ora che era l’ultimo anno, ovvero ultima occasione per vincere le nazionali stavo per abbandonarli senza neppure salutare.
Mi sentivo uno schifo, tante volte mi avevano sorretto e tante volte io avevo sorretto loro, per un istante andare ad Hogwarts non mi sembrava più una grande idea.

  
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