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Autore: Aurelia major    03/05/2007    6 recensioni
E' notte e prima di dormire può capitare di perdersi nei ricordi. Capita, per quanto a volte la nostalgia può diventare un bel sentimento.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Memento

 

 

 

Le mie giornate sono frenetiche, scandite dai ritmi del lavoro, intervallate da relazioni sociali, staccate nei loro meandri da una sana, robusta attività fisica che ti svuota la mente e fa cantare il corpo. Sono come quelle di chiunque altro, con tutto l’esaurimento nervoso che en consegue, ma poi arriva quel momento lì. Inevitabile e in un certo senso atteso, perché tutto sommato non rinuncerei a quell’appuntamento con i pensieri, le riflessioni, i ricordi.

Sì perché, per quanto stanca e col cervello ridotto ad un ammasso fumante per la quantità di nozioni immesse durante le ore diurne, quando a letto finalmente spengo la lampada sul comodino e mi accingo a dormire, questo singolare amarcord non manca di scorrermi davanti agli occhi.

Non è mai lo stesso, subordinato com’è alla distanza, al clima e ovviamente all’umore.

Fuori piove, un diluvio rumoroso, ogni tanto le pareti vengono rischiarate dai lampi di questo temporale che di estivo non ha nulla. Poco male, mi piace e lascio ugualmente le finestre aperte.

Oggi ho visto un tizio che ha frequentato la mia stessa classe alle elementari. Il che mi porta a chiedermi quanta gente, quanti conoscenti, quanti sedicenti amici mi sono persa per strada fin qui? Persone con le quali c’era un’intesa, le stesse con le quali ci si capiva in un baleno con una semplice occhiata.

Ricordo che alle superiori, nel gabinetto, ma sarebbe più giusto definirlo latrina, del mio piano tenevo una specie di corte alimentata dal fumo delle sigarette e da una fittissima rete di cazzate e disastri che si combinava nell’ambito dell’istituto. Quotidianamente, nelle ore di lezione che passavamo lì indolenti ed incuranti del fatto che saremmo dovuti essere in classe ad apprendere un minimo di cultura, transitavano tra quelle mura coperte di scritte e caricature le più disparate forme d’adolescenza. Se mi concentro riesco ancora a percepire la puzza che esalavano quei vespasiani terremotati e i ciclici scoppi di risate che ci prendevano allorché ne usciva fuori una nuova… Che fine hanno fatto tutte quelle facce? Quando mi capita d’incontrarne qualcuna ci si scambia qualche imbarazzato convenevole, tuttalpiù è un fiorire di "ti ricordi?" oppure di "che fine ha fatto tal dei tali?". Lo so che è normale, ci mancherebbe, ma quando succede non manca mai di mettermi una certa tristezza, perché il constatare che non si ha più nulla da dire con qualcuno con il quale un tempo l’accordo era totale è sempre malinconico. Non tanto per l’individuo in sé per sé, ché facilmente all’epoca e oggi ancor di più, viene considerato una mezza calzetta, quanto per il tangibile constatare degli anni che passano.

In questi casi mi viene sempre da canticchiare, grottescamente mi pare chiaro, "solo ieri era latte e oggi è … la mozzarella!", con opaco umorismo.

Eh sì, mi sono trasformata in una mozzarella, quando mi sembra ieri che ero ancora latte… dove diavolo è finita quell’adolescente scapigliata, impudente, senza una lira, un po’ sboccata, senza nessuna inclinazione allo studio, ma che allo stesso tempo aveva la presunzione di sentirsi superiore e di essere intelligentissima, che un tempo smanettava su quel Sì truccato? Non che si sia smarrita del tutto, ogni tanto fa ancora capolino, ma i casini d’un tempo sono irrimediabilmente dietro le spalle.

Continua a tuonare, mi volto sull’altro lato avvolgendomi più stretta nelle coperte, come se con questo gesto potessi farmi circondare ancora di più dalle figure evocate.

Vado un passo più indietro: le estati al mare di quando ero una bambina. Quando potrò riassaporare ancora la sensazione d’assoluta libertà provata allora? Eh, averne… tutto il giorno in giro in bici, sui pattini, ad arrampicarsi sugli alberi a giocare a guardie e ladri. Eravamo una truppa di bambini che condividevano tutto, dalla lattina di coca cola, al pane e nutella divorato un morso per ciascuno. Sembra quasi che malattie ed allergie allora non esistessero, le fontanelle non erano trappole mortali e la televisione era uno svago esclusivamente invernale. Per non menzionare le consolle di videogiochi che allora erano fruibili solo nei posti a loro deputati, quelle sale giochi rumorose dove al videogame preferivi una partitella di calcio balilla, che ci si poteva giocare in tanti e garantiva più divertimento.

Rivedo ancora lo sguardo incazzoso di mia madre che dal bagnasciuga mi chiamava per l’ennesima volta invitandomi ad uscire dall’acqua. E che cavolo, non solo avevo infranto la regola principe di non buttarmi a mare dopo aver mangiato, avendo appena ingerito la letale brioche d’ordinanza del peso specifico di un laterizio da esterni, ma ormai s’era fatto mezzogiorno! Il che voleva dire che era giunta decisamente l’ora di venire fuori e lasciarsi avvolgere dal ruvido telo da mare che espletava la sua funzione asciugante al cento per cento. Ovvero sia, mi veniva infilato persino nelle orecchie e con pochissimo garbo.

Ho un bel rapporto con mia madre, confidenziale, ma l’affetto che ravvisavo in quel gesto un po’ brusco, beh, oggi è difficile da reperire negli atti che intercorrono tra noi. L’immediatezza di quel gesto comunicava l’amorevolezza possessiva e fisica che solo una madre può dare. Il nostro adesso è un rapporto adulto e sebbene le mie orecchie siano ugualmente pulite, quell’atto a volte mi manca moltissimo. Così come ho nostalgia di una routine che con estrema precisione riesco a collocare nel tempo e nella fissità dell’immagine: sto ritornando alla casa che fittavamo per le vacanze dopo l’ennesima giornata di giochi, sono quasi alla curva che da lì porta alla calata del nostro vialetto e all’improvviso, tra il verde degli alberi, riesco a scorgere la palla infuocata del sole al tramonto. Il sole è una amalgama tra il rosso e l’arancione e tutto il cielo è sfumato di quel porpora sublime che precede l’imbrunire di metà Luglio. Imbocco la discesa continuando a fissare la vastità del cielo e i suoi colori e nella mia innocente testa sono consapevole che un’altra bella giornata è finita, ma che l’indomani ce ne sarà una che la seguirà e potrò vedere lo stesso spettacolo… Una certezza simile raramente la si ritrova.

Anni fa sono ritornata in quei luoghi e con un sorriso fugace mi sono accorta che sembrava quasi di potermi rivedere a dieci anni che correvo tra quei viali. Ho chiuso per un attimo gli occhi e nella testa mi sono riecheggiate le voci e gli schiamazzi di quella banda di pesti abbronzate della quale ero parte attiva. Ho capito allora che, sebbene sia futile andare alla ricerca del tempo perduto, ci sono luoghi dove la spensieratezza e la maturità incredibilmente riescono a conciliarsi. Forse sarò affetta dalla sindrome di Peter Pan, probabilmente dentro di me non riuscirò mai ad accettare del tutto che ormai sono cresciuta e che il tempo è passato, eppure so che non tutto è perduto. O perlomeno lo sarà finché, prima d’addormentarmi, avrò ancora questi venti minuti durante i quali potrò lasciarmi andare a quest’onda cronologicamente confusa di nostalgie di quel che ero e sono stata.

Continua a piovere, s’è fatto tardi e la stanchezza d’un'altra giornata di lavoro impone dazio. Velocemente il buio cala su di me, però non posso fare a meno di pensare che queste memorie illumineranno il mio riposo come tante piccole stelle.

 

 

 

N.d.A.

Niente di che, è una cosa personale. Che presumo di pochissimo interesse per chi, casomai qualcuno si prendesse la briga, legge. In ogni caso è dedicato a chi, come me, ciclicamente finisce nel gorgo della rimembranza.

   
 
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