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[Claire - Whiskey]
[Claire - Whiskey]
La prima
volta che si risveglia alla Dollhouse, non ha più un nome, né un
passato.
Un sorriso infantile e disorientato ha preso sul suo viso il posto dell'amarezza degli errori passati, cancellati dalla sua memoria con la facilità di un colpo di spugna.
Si rialza da quella sedia più leggera. Ha la mente sgombra come quella di un neonato.
“Benvenuta, Whiskey” dice una donna che non conosce.
Ancora non sa che quel nome racchiude in sé grandi possibilità.
Il suo primo pensiero al secondo risveglio è che il viso le brucia, le brucia da morire.
Prima ancora di aprire gli occhi, la invade un senso di paura tanto devastante da bloccarle ogni muscolo.
I dettagli più cruenti sono impressi a fuoco nella sua mente, dove sovrastano i ricordi più sfumati dei suoi ieri. Sente l'impulso di portarsi le mani al viso, ma non lo fa: sa già che non si tratta di un incubo, che è tutto reale.
La prima faccia che vede è quella irritante di Topher.
“Dottoressa Saunders, come si sente?”
E' il tatto a prevalere, la terza volta: c'è la mano di Echo che le accarezza la pelle morbida all'interno del polso.
Quando apre gli occhi, le sorride dolcemente: spesso Claire ha pensato che fosse così gentile con lei perché si sente in colpa – in fondo, se lei si trova in questa situazione dipende unicamente dall'ossessione che Alpha nutre per lei. Ora, però, accantona questi pensieri: sembra davvero felice di vederla, e lei non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse sorriderle così.
“Bentornata, Claire”.
Il suo tono è genuino e rassicurante, ma c'è qualcosa che non va: Claire non ricorda di essersi addormentata.
Quel vuoto nei suoi ricordi è un colpo al cuore.
Tanto tempo dopo, riapre gli occhi ed è di nuovo vuota.
Non c'è nessuno a prenderle la mano e a indicarle la via, ma scopre di non averne bisogno. Tante cose le sono familiari: il suo nome (Whiskey), quelle stanze (le ha percorse tante volte), la sua assenza di pensieri (è così naturale).
E' già stata in quel posto – fisico e mentale; muoversi è semplice.
Qualsiasi cosa sia successa, è ormai dimenticata.
E, anche se è buio e si sentono urla lontane, si sente al sicuro. Si sente a casa.
Un sorriso infantile e disorientato ha preso sul suo viso il posto dell'amarezza degli errori passati, cancellati dalla sua memoria con la facilità di un colpo di spugna.
Si rialza da quella sedia più leggera. Ha la mente sgombra come quella di un neonato.
“Benvenuta, Whiskey” dice una donna che non conosce.
Ancora non sa che quel nome racchiude in sé grandi possibilità.
Il suo primo pensiero al secondo risveglio è che il viso le brucia, le brucia da morire.
Prima ancora di aprire gli occhi, la invade un senso di paura tanto devastante da bloccarle ogni muscolo.
I dettagli più cruenti sono impressi a fuoco nella sua mente, dove sovrastano i ricordi più sfumati dei suoi ieri. Sente l'impulso di portarsi le mani al viso, ma non lo fa: sa già che non si tratta di un incubo, che è tutto reale.
La prima faccia che vede è quella irritante di Topher.
“Dottoressa Saunders, come si sente?”
E' il tatto a prevalere, la terza volta: c'è la mano di Echo che le accarezza la pelle morbida all'interno del polso.
Quando apre gli occhi, le sorride dolcemente: spesso Claire ha pensato che fosse così gentile con lei perché si sente in colpa – in fondo, se lei si trova in questa situazione dipende unicamente dall'ossessione che Alpha nutre per lei. Ora, però, accantona questi pensieri: sembra davvero felice di vederla, e lei non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse sorriderle così.
“Bentornata, Claire”.
Il suo tono è genuino e rassicurante, ma c'è qualcosa che non va: Claire non ricorda di essersi addormentata.
Quel vuoto nei suoi ricordi è un colpo al cuore.
Tanto tempo dopo, riapre gli occhi ed è di nuovo vuota.
Non c'è nessuno a prenderle la mano e a indicarle la via, ma scopre di non averne bisogno. Tante cose le sono familiari: il suo nome (Whiskey), quelle stanze (le ha percorse tante volte), la sua assenza di pensieri (è così naturale).
E' già stata in quel posto – fisico e mentale; muoversi è semplice.
Qualsiasi cosa sia successa, è ormai dimenticata.
E, anche se è buio e si sentono urla lontane, si sente al sicuro. Si sente a casa.