5.
Il
piano era presentarsi, il giorno dopo, a scuola come se niente fosse,
continuando a comportarsi come al solito. Solo dopo avrebbe parlato con
Yamamoto, quando sarebbe stato certo di poter star solo con lui.
Quella
mattina andò persino a prendere il Decimo a casa, come non faceva da troppo, e
dietro la sorpresa del più giovane fu certo di aver visto anche un pizzico di
sollievo e contentezza.
Era
felice di aver reso il Decimo fiero di sé, per questo quando entrò in classe,
in ritardo, lo fece con la solita aria da mafioso incallito e il ghigno sul
volto.
Yamamoto
era in classe, arrivato in anticipo come faceva ormai da giorni, per provare ad
incastrarlo, e lo guardava con stupore.
Convinto
che lo avesse fatto per evitarlo sapendo che lui lo aspettava in anticipo in
classe, Yamamoto si disse che quel giorno avrebbe dovuto passare davvero agli estremi rimedi, anche se non sapeva
ancora bene cos'avrebbe dovuto fare.
Sicuramente
doveva trovare il modo di rimanere solo con lui e stavolta non doveva dargli
vie di fuga di nessun genere.
Alla
fine delle lezioni, Gokudera aveva detto a Tsuna che si sarebbe fermato ancora
un altro po', senza specificare bene il motivo e scusandosi se lo lasciava
andare a casa solo. Tsuna aveva sorriso semplicemente, augurandogli buona
fortuna giusto prima di lasciare la classe.
Aveva
capito quella mattina quando era venuto a prenderlo che Gokudera aveva
finalmente preso una decisione.
Sperava
che tutto andasse per il meglio.
Hayato,
dal canto suo, lo aveva aspettato in classe per più di mezz'ora, ma poi aveva
deciso che si era stancato. Sicuro di poterlo trovare al campo da baseball con
Kaoru o in chissà quale posto sperduto in attesa di tendergli un agguato, uscì
dall'aula diretto all'uscita da scuola.
Stava
passando davanti alla scala per il piano superiore, soprappensiero, e non si
accorse dell'ombra in cima ad essa. Lei però sembrò notarlo più che bene,
perché si spinse in avanti fino a cadere. O, per meglio dire, ci era andato
vicino, perché quando aveva sentito un rumore ben conosciuto, Gokudera era
scattato in avanti, cercando di afferrarlo prima che si rompesse qualcos'altro,
afferrando il corrimano ma finendo comunque a terra, con un peso tutt'altro che
leggero sullo stomaco.
"Gokudera!"
la voce dell'idiota gli trillò direttamente nell'orecchio, assordandolo per
qualche secondo. Poi, con uno scatto iroso, lo tirò su per le spalle.
"Ma
sei cretino o che cosa? Volevi buttarti di sotto?"
Yamamoto
rise "Veramente volevo raggiungere te, ma non mi sono accorto che ero
arrivato al gradino e la ruota ha..."
"COGLIONE!"
Yamamoto
lo fissò stupito qualche minuti. Cos'era quello sguardo quasi preoccupato
adesso? Dopotutto, al massimo, sarebbe caduto dalle scale. Sorrise nello
scorgere una scintilla d'apprensione negli occhi dell'altro. Aveva ragione Tsuna,
non era tutto perso con Gokudera.
"Scusami,
Gokudera" mormorò, mettendosi con un po' di fatica seduto, aiutato
goffamente dall'altro -che cercava di fare invece finta di niente "Ti
aspettavo di sopra perché quando non ti ho visto uscire pensavo che saresti
salito sul tetto, anche se non avevo idea del perché fossi rimasto. Ma visto
che non arrivavi mi stavo dirigendo verso l'ascensore quando ti ho visto
andare. Volevo fermarti, altrimenti saresti scappato di nuovo!"
"I-io non scappo, stupido idiota!"
Yamamoto
rise. Fargli notare che non aveva fatto altro sarebbe potuto essere
controproducente, considerando che, inaspettatamente, stavano parlando senza
troppe complicanze.
"Perché
mai sarei dovuto salire sul tetto, genio?"
L'altro
scrollò le spalle "Perché di solito quando vuoi star solo durante le
lezioni te ne vai lì a fumare, a meno che tu non abbia sonno e allora ti
rintani in infermeria, se non c'è Shamal" rise
"Ho visto andare via Tsuna da solo, quindi...ho pensato..."
"Tu
non dovresti proprio pensare, ti fa male al cervello, cretino!"sbottò
l'italiano. Era snervante capire quanto l'altro lo conoscesse. E lo era ancora
di più pensare di averlo aspettato inutilmente quaranta minuti quando l'altro
era sul tetto con lo stesso intento.
Si
alzò, svogliato, cercando di capire cosa doveva fare. La sedia a rotelle era
cappottata in cima alla scalinata, e loro erano seduti a metà di essa. Sia se
l'avesse portato in cima che ai piedi si sarebbe dovuto caricare l'idiota in
spalle.
"Sei
un idiota" lo rimproverò, scendendo un paio di gradini.
"Mi
spiace, credevo che..."
"Io.
Non. Scappo"
Yamamoto
rise, certo che fosse un modo per dirgli che quella volta almeno non l'avrebbe fatto, non subito "Lo
so". Sorrise quando lo vide abbassarsi davanti a lui, dandogli la schiena.
Quella
era decisamente la giornata giusta.
"Muoviti,
aggrappati!" era più facile portarlo su, decise. Altrimenti avrebbe dovuto
scendere anche la sedia a rotelle. Decisamente. Sbuffò, e per un momento,
quando Yamamoto gli allacciò le braccia intorno al collo, chiuse gli occhi. Non
poté che pensare che per tutto quel tempo era scappato da un problema che non
era neanche il suo e che Yamamoto doveva farsi aiutare in quel modo
praticamente tutti i giorni.
Quando
sentì il peso del Guardiano della Pioggia gravargli completamente sulla
schiena, si rese conto per la prima volta della reale situazione. Yamamoto era
costretto in qualcosa che lo privava di buona parte della sua libertà, eppure
lui non l'aveva mai sentito lamentarsi.
Mai,
nemmeno una volta.
Yamamoto
non si era mai mostrato diverso dal solito, quasi come la cosa non gli facesse
né caldo né freddo.
Invece
no.
Ora
che portava il peso di Yamamoto sulle spalle, era certo che quello che portava
l'altro sulle sue fosse mille volte più gravoso.
Lo
aiutò a sedersi sulla sedia e l'allontanò dalle scale onde evitare che potesse
in qualche modo rischiare nuovamente di cadere, poi si lasciò cadere seduto sul
primo gradino.
"Pesi
un quintale" si lamentò, giocherellando col pacchetto di sigarette come se
fosse indeciso se prenderne una o meno.
Takeshi
ridacchiò "Mi spiace. E comunque sei tu ad essere troppo mingherlino"
scherzò "Ti sei già stancato!"
Gokudera
incrociò le braccia stizzito "Per forza, sei un sacco di patat-" si bloccò, conscio che non era certo colpa dell'altro
se era un sacco di patate. Incassò la testa nelle spalle e sbuffò di nuovo,
alzandosi e portandosi una sigaretta alle labbra, mormorando uno 'scusa'
talmente sbiascicato che probabilmente Yamamoto non l'aveva nemmeno sentito.
"Dove
andiamo? Sul tetto?"
"E
dove sennò?" bofonchiò. Aveva fatto appena in tempo ad aprire la porta per
uscire all'aria aperta, che la sigaretta era già accesa. La aspirò con forza fino
a riempirsi i polmoni, guardando fisso davanti a sé.
Se
doveva essere sincero, nonostante la convinzione iniziale, non sapeva
assolutamente come fare.
Non
ebbe la pazienza di aspettare nemmeno un attimo, però, perché il silenzio per
quanto lo riguardava era già opprimente.
"Il
cane ti ha mangiato la lingua, idiota?!"
Yamamoto
rise. In realtà stava studiando l'altro e si era dimenticato di iniziare un
discorso che non aveva assolutamente in mente. Gokudera gli era parso così teso
da fargli quasi tenerezza.
"Mi
stavo solo godendo il momento" rispose, avanzando un po'.
"Che
cazzo significa? Se hai intenzione di rimanere in silenzio tutto il tempo io me
ne...-"
"Semplicemente
perché" lo bloccò "ultimamente non abbiamo avuto molte occasioni da
passare insieme. Sparivi sempre, al suono della campanella" alzo il capo verso di lui, sorridendogli.
"Era
perché..."
"In
realtà non mi interessa" lo fermò per la seconda volta e allo sbuffo
dell'altro rise. Con una lentezza quasi esasperante si avvicinò alla ringhiera,
guardando di sotto. Il comportamento dell'italiano non aveva fatto altro che
confermare le parole di Tsuna di quel giorno. A Yamamoto non serviva sapere
perché scappava.
Era
più che evidente il motivo per cui lo faceva.
Ma
adesso che sembrava aver smesso, o aver comunque intenzione di provarci, andava
bene.
Gokudera
gli si fermò subito dietro, aspirando un'altra lunga boccata di fumo "Lo
so che il Decimo ti ha detto che pensa che io...sia spaventato. Ma vedi di non
farti strane idee, idiota, capito?"
"Ma
allora ieri mi stavi ascoltando!"
Gokudera
sbuffò "Anche volendo non avrei potuto fare altrimenti"
"Sono
contento" esclamò infantilmente l'altro, senza peli sulla lingua.
"E
di che cosa, di grazia?"
"Del
fatto che mi stessi ascoltando! Sai, all'inizio pensavo che tu avessi iniziato
ad odiarmi davvero. Anche dopo le parole di Tsuna non sapevo come comportarmi,
perché tu eri strano. Ma adesso che so che Tsuna aveva ragione, sono sollevato.
E contento"
"Che
cosa stupida" borbottò Gokudera, mordendo il filtro della sigaretta ormai
consunta. Se ne sarebbe accesa un'altra a distanza di un secondo, se avessero
continuato così. Quei discorsi insensati non lo aiutavano a mantenere una calma
per cui di solito non brillava.
"Non
è una cosa stupida! Sono davvero, davvero contento che non mi odi"
"Non
ho affatto detto che non ti odio!"
"Beh,
non più del solito almeno. Io avevo pensato ce l'avessi con me" ammise, e
Gokudera si chiese fin dove potesse arrivare la sua stupidità. Perché mai
avrebbe dovuto avercela con Yamamoto, se era Takeshi che aveva tutti i diritti
di avercela con lui?
Quel
ragionamento non aveva senso.
"Sei
proprio un idiota"
Yamamoto
rise "Sì, lo so"
Per
un attimo calò il silenzio. Nessuno dei due disse nulla per minuti che parvero
ore. Yamamoto guardava fisso dinanzi a sé, col sorriso sulle labbra,
trasognante. Gokudera, invece, quasi più nervoso, si guardava intorno,
osservandolo con la coda dell'occhio di tanto in tanto.
"Tu...sei
davvero convinto di quello che dici quando parli?" borbottò, gettando a
terra la cicca terminata "Non riesco a credere che la connessione che hai
col tuo cervello sia così tanto limitata!"
Yamamoto
si voltò allora verso di lui, in parte sorpreso che avesse spezzato quel
silenzio teso, inclinando un po' la testa "Perché?"
"E
mi chiedi anche perché?!" sbottò.
A
volte aveva davvero la sensazione lo facesse apposta. Altre, invece, che da
bambino dovesse essere caduto dal seggiolone con così tanta violenza da
lasciare danni irreversibili, acuiti dagli allenamenti improponibili di Squalo.
Doveva essere così.
"Non
sei assolutamente in grado di capire quando dovresti essere tu ad avercela con
una persona e non il contrario?"
"A
chi ti riferisci?"
Gokudera
grugnì, scompigliandosi i capelli "Merda, sei proprio un idiota!"
sbottò, prendendolo per la calotta "Vuoi sapere perché mi sono comportato
in questo modo? Perché non sopporto il tuo comportamento di merda, cazzo!"
Yamamoto
abbozzò un sorriso "Che ho fatto?"
L'altro
per tutta risposta sbuffò, esasperato, lasciandolo andare -attento però,
stavolta, di non aver fatto danni.
"Figurati
se perdo tempo a spiegarti una cosa che non andrebbe affatto spiegata"
fece, stizzito.
Yamamoto
lo fissò in silenzio mentre, sigaretta accesa alle labbra, si avviava verso la
porta per lasciare il tetto e, probabilmente, l'edificio. Non parlò, ma il suo
sguardo si fece stranamente duro.
Solo
quando vide la mano di Gokudera sul pomello della porta lo fermò, e le sue
parole risultarono più taglienti e malinconiche di quanto, forse, avrebbe
voluto.
"E'
passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ho avuto paura di non poter più
giocare a baseball. Io...quella volta ero davvero convinto che la mia vita
fosse finita. Non sapevo fare nient'altro oltre giocare a baseball. Ho persino
tentato di buttarmi dal tetto della scuola, ma Tsuna mi ha salvato. Mi ha fatto
capire tante cose, quella volta, e il tempo che ho passato con voi mi ha reso
cosciente di tanto altro" fece una pausa. Gokudera si era bloccato, quando
l'aveva sentito parlare.
Aveva
tentato il suicidio perché non poteva più giocare. Lo ricordava. Se ne era
parlato fin troppo, a scuola.
E
se quella volta aveva reagito così male per un semplice, stupido braccio rotto,
perché diavolo in un momento come quello doveva comportarsi così?
"Anche
se non posso più giocare a baseball e fare tante altro cose io...io voglio
stare con i miei amici e combattere con loro. Per questo non mi importa pensare
a chi ha fatto cosa e perché"
Gokudera
strinse i pugni. Erano proprio queste le cose che meno sopportava di lui. Quel
suo dannato, inutile ottimismo fasullo che utilizzava per tranquillizzare gli
altri e mai se stesso.
"Stronzate"
la voce dell'italiano sembrò quasi rimbombare nell'aria tesa e cupa. Gokudera
gli dava le spalle, il pugno pallido ancora stretto al pomello della porta
"Se una cosa non ti va giù, non ti va giù. A me non interessa niente di
quello che pensi tu su quanto ti è successo. Se vuoi ancora considerare Kaoru
tuo amico, fai pure. Ma non venirmi a dire che per te adesso non è più un
problema perché il Decimo ti ha fatto capire che la famiglia e la vita sono più
importanti. Con me non serve che fingi in questo modo ridicolo!"
Yamamoto
si morse il labbro. La sicurezza del discorso precedente sostituita da una
malinconia che cozzava con la serietà quasi esasperante del suo sguardo.
Sì,
fingeva. Fingeva da mesi e solo Squalo fin'ora gliel'aveva fatto notare. Solo
Squalo l'aveva sgridato e spronato a smetterla, perché non ce n'era bisogno,
perché se lui voleva, poteva essere tutto come prima.
Ma
adesso era arrivato Gokudera che aveva usato delle parole che erano, se
possibile, persino più dure di quelle usate dallo spadaccino dei Varia. Perché
erano vere e letali, ma non c'era quel pizzico di fiducia che aveva scorto in
Squalo.
"Io...non
sto fingendo. Cosa te lo fa credere? Non ho niente da fingere, Gokudera"
Gokudera
a quel punto scattò di nuovo, avvicinandosi a passo di marcia all'altro, gli
occhi fiammeggianti di quella che sembrava ira unito a qualcosa che l'altro non
seppe identificare.
"Allora,
se sorridi perché pensi che vada davvero tutto bene, hai seriamente qualcosa
che non va. Non ti rendi conto di come ti sei ridotto? Per colpa tua e della
tua predisposizione a fidarti sempre di tutto e tutti eccola la fine che hai
fatto Yamamoto! Non potrai mai più camminare! E tutto perché sei un perfetto
idiota!"
Yamamoto
abbassò il capo, il labbro tremante stretto forte fra i denti, come se dovesse
nasconderlo. Cercò comunque di mostrarsi indifferente, tranquillo come al
solito.
"Ma
non importa, davvero. E' stato un incidente e so che Kao-..."
Gokudera
non gli diede nemmeno il tempo di rispondere. Sapeva cosa stava per dire e la
sola idea di ascoltarlo lo faceva imbufalire.
Il
pugno scattò da solo, autonomo, cozzando con violenza contro la guancia di
Yamamoto, che finì steso a terra, insieme alla sedia a rotelle.
"Fai
quel che cazzo ti pare, ma non fare il finto grande uomo con me, mi dai ai
nervi"
Yamamoto
rimase steso a terra, non provando minimamente a tirarsi su. Si portò una mano
al punto leso, massaggiandolo appena. Sfiorò il labbro rotto e sospirò,
rimanendo disteso, il viso nascosto in parte dalla sua stessa mano.
Gokudera
aveva colto il punto. Ci riusciva quasi sempre. Era l'unico che gli diceva in
faccia la realtà così com'era, senza girarci troppo intorno, senza temere di
ferirlo. Che sapeva dirgli esattamente quello che voleva sentirsi dire.
Gokudera
lo fissò dall'alto in basso con sufficienza, non degnandosi minimamente di
aiutarlo. Rimase fermo tutto il tempo, gli occhi sulle spalle dell'altro,
fermi, irosi, eppure stranamente lucidi.
Non
se ne andò perché sapeva di non potersene andare in quel modo, commettendo lo
stesso stupido errore di quel giorno, quando aveva fatto cadere Yamamoto e poi
era corso via. E poi, beh, non poteva lasciarlo di certo così.
Non
poteva lasciarlo in quel modo, in silenzio, steso a terra, la testa incassata
nelle spalle. Sembrava distrutto, a vederlo, come se le sue parole l'avessero
stranamente e profondamente colpito, stavolta.
"Per
lo meno non ti sei pianto addosso con un fesso, fin'ora. Ma sai una cosa?
Questo è quello che mi ha dato più fastidio. Cazzo, smettila di ridere
Yamamoto, non c'è proprio niente da ridere in tutto questo!"
Lo
guardò cercare di tirarsi su, e mettersi seduto a terra, le gambe stese,
immobili. Fu solo quando lo vide passarsi l'avambraccio sugli occhi -che erano
rossi e lucidi- che si decise a sedersi a sua volta, schiena contro schiena.
Non
voleva guardarlo negli occhi. Non quando sapeva di poterci leggere una
sofferenza che non era da lui, una pena che non poteva più sopportare.
Yamamoto
aveva il vizio di tenersi tutto dentro per non fare preoccupare gli altri, ma
con lui non serviva. O meglio, a volte aveva anche lui i suoi dubbi. Ma era
impossibile che l'altro fosse sinceramente tranquillo.
Lui
avrebbe rovesciato il mondo.
Ma
non era il tipo di persona, Gokudera, che sapeva tenere il gioco. Lui diceva le
cose così come stavano. Se poi erano troppo dolorose, pazienza. Al massimo,
evitava proprio di parlare.
Come
aveva fatto per tutto quel tempo.
Ma
quando era troppo, era troppo.
E
quel giorno, con quel maledetto sorriso onnipresente e rassicurante, Yamamoto
l'aveva ben più che superato, il suo limite.
Sbuffò,
avvicinando un ginocchio al petto e accendendosi un'altra sigaretta.
"Scommetto
che adesso ti senti meglio, testa vuota" borbottò, annaspando a fondo
dalla cicca. Il corpo di Yamamoto non tremava più, quindi forse aveva smesso di
frignare.
Non
riusciva a capire come avesse fatto a vivere per quasi quattro mesi in quel
modo ed essere crollato per qualche sua semplice parola. Pensare che aveva
iniziato ad ignorarlo anche per questo. Forse avrebbe dovuto continuare.
"Sì"
la voce era risultata più rauca del solito, ma ferma, senza la nota di ilarità
che sempre la contraddistingueva. Era diversa, e allo stesso tempo più simile a
quella dello Yamamoto di sempre.
Gokudera
sbuffò, giocherellando con il filtro della sigaretta già spenta e consumata
totalmente.
"Dovresti
imparare che quello che dici lo devi anche fare, idiota"
Yamamoto
voltò la testa verso di lui, ma essendo per metà bloccato non riuscì a voltarsi
a sufficienza da guardare l'altro in viso.
"In
che senso?"
Gokudera
buttò la cicca, poggiando il mento sul ginocchio piegato al petto "Quella
volta, nel futuro, ti ricordi cosa mi hai detto? A parte che avevo un atteggiamento
del cazzo e che non vedevi l'ora di farmelo cambiare..." mormorò. Yamamoto
capì all'istante si stesse riferendo al loro primo incontro con Gamma e rimase
in silenzio. Ovvio si ricordasse cosa gli aveva detto.
"Mi
hai chiaramente urlato che sbagliavo ad aprirmi solo con il Decimo, che così
facendo addossavo a lui un peso maggiore di quello che già deve sopportare in
quando nostro Boss" fece una breve pausa, ignorando deliberatamente tutte
le altri, pesanti parole che gli aveva riferito quel giorno Yamamoto.
"Tu
non ti stai minimamente rendendo conto di star facendo la stessa cosa con te
stesso, idiota. Sei tu qua quello che si sta sovraccaricando di un peso troppo
grande, e questo perché pensi sempre di esserci per gli altri, ma non fai mai
in modo che gli altri ci siano per te"
Era
strano che a dirlo fosse proprio lui che per tutto quel tempo non si era reso
per niente utile, ma c'erano altre persone che ci avevano provato e a cui
Takeshi non aveva dato possibilità di aiutarlo. Ryohei in primis, a modo suo.
Ma
Takeshi, naturalmente, proprio per la sua naturale propensione ad aiutare tutti
e a cercare di non far mai preoccupare nessuno, si era tenuto tutto dentro
anche con il padre.
Gokudera
lo aveva sempre saputo, nel suo piccolo, che per la prima volta nel cuore di
Takeshi infervorava una tempesta, nonostante la quiete tranquillità consona del
Guardiano della Pioggia.
Yamamoto
sorrise, a quelle parole, poggiando il capo su quello dell'altro, che gli stava
dietro. Non lo aveva fatto perché vedeva negli occhi di suo padre, di Tsuna e
di tutti gli altri che non avrebbero retto, già troppo colpiti, nel loro
piccolo, da tutta quella situazione.
"E
non pensare sempre che gli altri siano fragili , perché tu non sei invincibile.
Hai capito, Yankyuu Baka?"
gli era scappato. Si era ripromesso di non chiamarlo più idiota del baseball ma
c'era talmente abituato che quando lasciava sciolta la lingua non ci pensava
più. Sbuffò "Scusa".
Yamamoto,
a quel punto, rise. Sinceramente e profondamente sollevato che qualcuno avesse
capito che lui quella situazione non la sopportava, che era semplicemente troppo.
"Ma
veramente non ho mai pensato di essere invincibile. E' solo che..."
"E'
solo che devi smetterla di fare l'idiota, tutto qui"
Takeshi
annuì, ridendo. Non era esattamente quello che stava per dire, ma rendeva bene
l'idea. Certamente non avrebbe cambiato all'improvviso modo di fare con gli
altri, ma adesso che sapeva di potersi, all'occorrenza, lasciare andare almeno
con Gokudera lo faceva sentire molto meglio. Hayato lo capiva, e non aveva peli
sulla lingua a bloccarlo.
"Uhm...Gokudera?"
Il
ragazzo grugnì "Che vuoi ancora?"
Yamamoto
sorrise, cercando la mano dell'altro con la sua e colpendola con due pacche
leggere. Rise "Grazie mille, Gokudera"
L'italiano
scrollò le spalle, schioccando la lingua e prendendo una sigaretta. Poi cambiò
idea, perché sia alzò talmente di botto che Yamamoto, quasi totalmente poggiato
a lui, rischiò di cadere a terra. Fece il giro del giapponese, tirò su la sedia
-anch'essa caduta- e si posizionò davanti a lui,
allungandogli le braccia come se volesse aiutarlo ad alzarsi, la cicca spenta
fra i denti serrati. Sapeva perfettamente che Yamamoto non poteva far forza
sulle gambe per tirarsi in piedi, ma gli venne spontaneo, quasi volesse spronarlo.
Takeshi
però afferrò con forza le mani dell'altro, dopo essersi aiutato a piegare le
gambe. Un passo alla volta ma buono era molto meglio di dieci tutti insieme.
All'inizio, per poco Gokudera non venne tirato verso di lui, poiché Yamamoto
c'aveva messo troppa forza nelle braccia. Quando lo vide ridere gli schiacciò i
piedi stizzito, dopodiché fece ben attenzione ad impuntarli
a terra e tirare a sua volta.
E
Yamamoto riuscì a tirarsi effettivamente su, con una forza che credeva di non
avere più nelle gambe.
Guardò
Gokudera, che lo fissava con gli occhi a sua volta sgranati. Il sorriso
radioso, spontaneo e cristallino fece appena in tempo a nascere, prima che
entrambi cadessero clamorosamente a terra.
Yamamoto
rise di una risata sincera.
"Hai
visto, per poco non mi mettevo in piedi!"
Hayato,
approfittando della situazione per lui svantaggiosa -visto che si ritrovava
schiacciato dal peso dell'altro- nascose il viso nell'incavo della spalla del
moro, sorridendo. Un sorriso stranamente felice che, naturalmente, non avrebbe
mai mostrato ad anima viva.
"Ti
ho solo tirato con troppa forza"
"Ma
sono rimasto in piedi"
"Per
cinque secondi al massimo"
"Uffa,
non smorzarmi l'entusiasmo!"
"Io
non smorzo niente, sei tu che ti monti la testa per un nonnulla"
Sorrise,
il moro, tirandosi sui gomiti e guardando l'italiano dritto negli occhi
"Ti prometto che lo trasformerò in molto, molto altro, questo niente"
Ed
era una promessa che faceva a se stesso in primis.
Fin'ora
aveva lavorato con i medici senza un reale entusiasmo, sicuro che, non avendo
più la minima sensibilità alle gambe, tutto si sarebbe rivelato inutile.
Privato del suo solito ottimismo, non aveva potuto fare altro che lasciarsi
trascinare dalla corrente, tranquillizzando chi gli stava intorno, proprio come
la pioggia scrosciante che lava via ogni dubbio o timore.
Adesso
però quella pioggia era arrivata anche a lui.
E
sapeva che con gli allenamenti di Squalo e gli aiuti particolari di Gokudera,
forse poteva farcela.
Hayato
borbottò, le goti leggermente colorite "C-cretino!"
urlò, colpendolo con un pugno sul capo. Yamamoto rise e, con un gesto
istintivo, abbracciò l'amico.
Gli
era grato, si sentiva davvero più leggero adesso.
Quella
mattina quando aprì la porta di casa per andare a scuola, Tsuna giurò di essere
quasi svenuto. Per lo stupore, per la felicità.
Gokudera
spingeva la carrozzella di Yamamoto, ed entrambi lo salutavano euforici, pronti
a sostenere un'altra dura giornata scolastica.
Tsuna
li raggiunse quasi di corsa, contento di poter tornare a quelle giornate
abituali a cui per mesi erano stati costretti a rinunciare, per un motivo o per
un altro.
Non
chiese cosa fosse successo il giorno prima fra di loro, ma poco importava.
Quello che contava era il risultato, e questo era decisamente stato ottimo.
Kaoru
era stato contento di vedere l'amico sereno e sorridente, stavolta un sorriso
che si estendeva fino agli occhi. Anche Enma aveva capito che tutto andava
meglio, dagli occhi lucenti di Tsuna, che era stato felice di dirgli che tutto
finalmente sembrava essersi sistemato. Persino Ryohei aveva capito, quando li
aveva visti uscire tutti e tre insieme dal cortile scolastico, alla fine delle
lezioni, ed era tornato ai suoi allenamenti estremi in modo estremamente soddisfatto.
Si
erano fermati tutti a casa di Yamamoto, quel pomeriggio, giusto per suggellare
il ritorno alla normalità, fra compiti, improperi e risate.
"Beh
ragazzi, adesso devo andare. Uhm, Reborn ha detto che mi doveva parlare"
"Reborn-san?"
"Già...e
spero che non sia quello che penso io"
Yamamoto
rise, passando un braccio intorno alle spalle dell'amico "Dai Tsuna,
ricordati quello che ti ho detto!"
"Sì,
ci proverò!"
"Ma
di cosa state parlando?" intervenne Gokudera, accettando difficilmente che
l'idiota sapesse qualcosa sul Decimo che lui ignorava "Cosa diavolo hai
detto al Decimo, Yamamoto?"
Takeshi
gli sorrise "Lo sa Tsuna!"
"Decimo!"
"Ehm...beh,
Gokudera-kun, adesso devo andare!"
"Ma...Decimo!?"
Tsuna
si alzò e, frettoloso, salutò gli amici e scese al piano di sotto. Sapeva con
certezza di cosa Reborn voleva parlargli: della famiglia. E Yamamoto aveva
cercato di dirgli che, se l'hitman aveva intenzione
di costringerlo a continuare quel gioco, non si sarebbe dovuto far bloccare
dalla sua situazione.
Tsuna
sorrise, mentre correva verso casa.
Non
avrebbe più detto di no a Reborn utilizzando Yamamoto come copertura. L'amico,
sedia a rotelle o meno, rimaneva sempre lo stesso. E Tsuna questo lo sapeva.
Non cambiava assolutamente niente.
"Come
osi avere un segreto con il Decimo, brutto idiota?" stava intanto urlando
Gokudera, scioccato dalla notizia.
Yamamoto
rise tranquillo "Ma non è un segreto! Gli ho solo detto che voglio anch'io
continuare a giocare con voi alla mafia!"
Gokudera
per un attimo rimase in silenzio. Poi sbuffò contrariato, nascondendo
l'inevitabile, traditore, accenno di sorriso.
"Allora,
quell'esercizio di matematica?"
"Ah!"
si grattò la nuca, ridacchiando "Non l'ho capito"
"Come
diavolo fai a non capirlo? Te l'ho spiegato due volte! Possibile che tu sia
così dannatamente ottuso?"
Si
impose la calma, ripetendo per la terza volta quella spiegazione che lui
riteneva maledettamente stupida e che né Yamamoto né, inspiegabilmente, il
Decimo riuscivano a farsi entrare in testa.
"Gokudera!"
lo interruppe all'improvviso l'altro, proprio prima che il Guardiano della
Tempesta si stupisse della buona riuscita dell'esercizio e gli facesse notare
che, se invece di lasciarlo marcire, si decidesse ad usare il cervello anche
per la scuola, i suoi voti sarebbero sicuramente stati migliori.
"Cosa
vuoi?"
"Visto
l'orario, perché non rimani a mangiare qui al ristorante?"
Gokudera,
per tutta risposta, poggiò mollemente il capo sul palmo della mano, il gomito
poggiato sul tavolo. A casa non aveva niente di buono da mangiare, e sarebbe
stato solo.
"Non
vedo perché no" borbottò come se la cosa, in realtà, lo scocciasse parecchio.
Yamamoto
rise, annuendo a se stesso.
Sì,
ora era tutto nella norma.
Angolino Autrice estremamente dispiaciuta:
Aspettate a lanciare pomodori! Lo so che vi ho fatto aspettare
di nuovo tanto, ma almeno sono arrivata, e con dieci pagine. Mi perdonate,
vero? *Occhioni alla Bambi*
Comunque, devo spiegare una cosettina
che in teoria non ha senso. Quando Yama si alza in
piedi, non è perché improvvisamente è guarito, sia ben chiaro. La scena in
teoria si svolge in un nanosecondo, nel caso non si capisse, e vi assicuro che
è possibile tirar su di peso una persona in quel modo. E' una questione di
bilanciamento, e di forse. E non penso che Gokudera non riesca a tirar su di
peso Yamamoto per mezzo secondo.
Inoltre l'ho messa anche per un motivo in particolare. Aye, se volete sperare che Yamamoto tornerà a camminare, o
se invece volete continuare a vederlo lì immobile, sta a voi <3
Con questo passo, e chiudo definitivamente.
Grazie infinite a tutte voi, che mi avete seguito. Senza di voi
non sarei arrivata qui e non so quanto piacere mi abbiano fatto i vostri
commenti -a cui risponderò sicuramente domani.
Grazie çAç
Un bacione, in estremo ritardo,
Asu <3