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Autore: HellWill    21/10/2012    1 recensioni
"Non aveva bisogno di tutti gli amori del mondo.
Gliene bastava uno.
Ma che fosse quello giusto."
Elina, Andrej.
Lei è una prostituta da due anni appena, lui uno dei suoi primi clienti: assassino di professione, misterioso, sfuggente, enigmatico.
Andrej, forse, non è nemmeno il suo vero nome.
Ma Elina non lo sa.
Semplicemente una mattina lo guarda sorridere e si accorge che quel sorriso le provoca una strana sensazione, sì, le piace. Le piace il sorriso di Andrej, anzi, le piace Andrej.
Ma non può funzionare, perché una prostituta che s'innamora è una prostitua fuori dal mercato, reietta, allontanata; e cosa può fare lei, che non sa nemmeno essere una ragazza comune e basta?
{ L'ispirazione per questa one-shot me l'ha data tale immagine trovata per caso su Deviant-Art: http://mischievousmartian.deviantart.com/art/Last-of-Their-Kind-97991995?q=gallery%3Amischievousmartian%2F1351472&qo=18. Tale immagine non mi appartiene in alcun modo, la trovo solo stupenda. }
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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«Andrej...» un sospiro, vapore sul vetro.
«Dimmi», la sua voce fredda nell'abitacolo. La ragazza socchiuse gli occhi e lo fissò nella penombra, valutando le parole da usare.
«Sei fiacco stanotte...» mormorò, leccandogli lascivamente un braccio. Lui non rispose e si limitò ad andare avanti, per la sua strada, nonostante lo facesse con poco sentimento e pochissima voglia. Si vedeva che ciò che lo aveva condotto lì, quella sera, era semplice bisogno, e non desiderio come le altre volte. Faceva male, ad un certo punto, e Elina si scostò appena da lui quando il ragazzo si appoggiò al sedile dell'auto per fissarla.
Era enigmatico, Andrej, e lei l'aveva capito dalla prima volta in cui l'aveva visto. Tutti i clienti la guardavano vogliosi, lascivi, quasi laidi, lui no. Lui la osservava, la studiava, come.. come una persona. Si stupì nel fare questa considerazione, e si stupì del fatto che si stupiva se era considerata qualcosa di più di un oggetto di passione.
«Scusami» mormorò il ragazzo, senza distogliere lo sguardo da lei -anzi, no- dai suoi occhi. Lei era completamente nuda e lui cosa guardava? Gli occhi. Non era un ragazzo da puttane, quello. Non lo era proprio. Era un ragazzo che andava a puttane per non ferire nessuna ragazza che non voleva un cazzo fra le gambe, ma un cuore in mano. Era quel tipo di ragazzo lì, forse.
«Andrej, perché chiami sempre me? Ci sono Clara, Jen-».
«Tu sei la più gentile».
La risposta la spiazzò completamente e si dovette vedere, perché lui sorrise appena. Dolorante, si sfilò da lei ed Elina allungò una mano verso di lui, stringendo le gambe. Lui l'aiutò a sedersi e frugò nel bagagliaio, sporgendosi oltre il sedile. Le porse la sua borsa e anche lui afferrò un paio di jeans dalla propria, osservandola mentre indossava dolorante almeno la biancheria intima. Il cielo non era più nero, ormai, e si tingeva già di bluette, un colore in cui le stelle paradossalmente sembravano splendere di più che in quella opprimente oscurità totale.
«Andrej».
Il ragazzo allacciò la cerniera e si voltò verso di lei, mentre da sotto il sedile estraeva una pistola. Lei si ridistese, fissando l'arma e poi il viso del ragazzo, che le lanciò un'occhiata indifferente.
«Come sarebbe a dire che sono la più gentile?» chiese Elina, passandosi una mano fra i capelli.
«Ti spiego. Tu mentre facciamo sesso non gridi con il semplice intento di incitarmi, anche se non sono un granché. Oggi ne era la prova. Non hai gridato; ti sei solo lasciata sfuggire qualche gemito quando non pensavo ad altro e lo sentivi, e questo lo apprezzo più di qualche "Oh mio dio, sì!" gridato ai cosiddetti punti giusti. Inoltre Clara, Nancy e quelle altre sono sul campo da secoli. Tu ci sei da due anni, sono stato uno dei tuoi primi clienti. Sei ancora più che altro innocente... e si sente. Appena ci vediamo non mi chiedi "Oggi cosa vuoi fare?", ma "Tutto bene?". Non mi tratti da subito come un cliente» disse il ragazzo, passandosi anche lui una mano fra i capelli spettinati, e lei si sedette di nuovo, carezzandoglieli appena.
«Sono lisci..» mormorò, assorta, tastandone la qualità fra le dita. Lui sorrise e lei strinse un po' le gambe, era incredibile quanto un sorriso.. no, non doveva pensarci. Cos'aveva detto lui? Era gentile. E poco professionale. Ecco, bè, si sentiva esattamente così: poco professionale.
«Mi piace il tuo sorriso» aggiunse Elina, chiudendo gli occhi, ma prima che lui scomparisse dalla sua vista poté vedere il suo sorriso mutare in un'espressione seria. «Quindi penso..».
«..che non dovremmo più vederci» concluse lui, e lei riaprì gli occhi; anche lui aveva chiuso i suoi, forse nel pronunciare la frase. Le si riempirono gli occhi di lacrime, ma solo perché lui non poteva vederla. Le occultò stropicciandosi gli occhi con il dorso delle mani e si sforzò di sorridere. Ma c'era una specie di groppo in gola che improvvisamente esplose non appena gli angoli della bocca le si sollevarono, e singhiozzò.
Il rumore provocò una reazione immediata da parte del ragazzo, che aprì gli occhi e si voltò di scatto verso di lei, fissandola mentre si irrigidiva man mano. La sua espressione s'incupì e la mano rafforzò la presa sul calcio della pistola; Elina pensò che stesse per spararle e, con un sorriso amaro fra le lacrime, pensò che forse era meglio così. Non era brava come figlia, non era brava come puttana, non era brava in niente, quindi forse era meglio finirla così e non darne notizia a nessuno, che non era buona a nulla.
E invece no. Invece la baciò. Si buttò su di lei, lasciando la pistola sul tappetino sotto il sedile, e la baciò. Le sfilò le mutandine e lei gli slacciò i pantaloni e fecero l'amore, stavolta sul serio, come le altre volte, in cui lui si era innamorato del suo corpo e lei del suo modo di fare sesso, così simile al far l'amore. Ma forse erano punti di vista: lei non aveva mai fatto all'amore. Quindi forse credeva solo di farlo. Certo era che un sesso simile non l'aveva mai fatto né provato né visto; era far l'amore e non c'era dubbio, per lei era così. Durò poco, ma per lei tutta la notte poteva sintetizzarsi in quello scambio di baci e carezze e possesso, quei quindici minuti scarsi d'amore potevano riempirle la vita per anni, e basta. Si ritrovò a pensare scioccata che tutti i baci, i dannati baci dati in quella insulsa vita, non potevano sostenere il confronto a quella lingua sottile che le solcava labbra e denti, s'intrecciava alla sua. Eppure, sapeva che doveva finire non appena era iniziato. Lentamente si abbandonò al sonno, con le lacrime agli occhi e le dita molli dal piacere, ignorando il sole che faceva capolino dal finestrino dalla parte di Andrej.

E Andrej le rinfilò gli slip e si riallacciò il jeans, con un mal di testa lancinante che gli urlava "Cosa stai facendo?". Afferrò la pistola da sotto il sedile e, con un sorriso amaro, se la puntò alla tempia; si diede uno schiaffetto sul viso e se la puntò in bocca, sul palato, poi ancora scosse la testa e se la mise sotto la gola, quasi bloccandosi il respiro, e si diede del codardo con un sospiro. Dolorante, aprì il finestrino dell'auto e guardò il sole sorgere e illuminare lui ed Elina, che giaceva scompostamente, madida di sudore, sul sedile accanto a lui.
Cosa stava facendo? Era una bella domanda.
Si disse che forse il suo talento naturale non era nessuno di quelli che aveva coltivato ed abbandonato, né quello che si ostinava a portare avanti: forse il suo talento proprio, fine a se stesso, era l'amare, l'amore.
Non era possibile che dovunque andasse riuscisse a trovare un'infelicità diversa che lui riusciva a colmare, quando il suo lavoro ne causava altrettanta e forse di più.
Lui non aveva bisogno di colmare infelicità.
Lui aveva bisogno di immergersi in una donna a tal punto di non ritrovarsi più, al punto di perdersi e di doversi ricostruire daccapo, solo per essere degno di quella donna.

Non aveva bisogno di tutti gli amori del mondo.
Gliene bastava uno.
Ma che fosse quello giusto.
   
 
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