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Autore: sheishardtohold    21/10/2012    5 recensioni
Innanzi tutto il titolo è tratto da un film, Imagine me and you. Secondo, dato che ho visto che alcune ragazze hanno postato una raccolta di storie Calzona, ho deciso di crearne una anch'io senza un determinato filo conduttore tra una one shot e l'altra. Infatti, tratto di temi svariati, scrivo di storie con finali felici, ma anche tristi, situate in luoghi diversi e momenti diversi che hanno come unico tratto in comune i personaggi di Callie e Arizona.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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N.A. E' una what if, ovvero cosa sarebbe successo se Erica fosse rimasta con Callie e Arizona fosse diventata la migliore amica di Erica? Come sempre ricordo che l'ispirazione è stata tratta dalla canzone di Ellie Goulding "I need your love" e che la citazione sui "sorrisi" è stata presa dal film "Appuntamento da sogno". Credo di non avere altro da aggiungere o spiegare. Capirete tutto solo leggendo! :)

I need your love.

“Arizona? Ti sta squillando il telefono!” mi urla Callie in cucina, alle prese coi fornelli, mentre io corro dal bagno al salotto per prendere la chiamata.
“Erica?” rispondo al telefono dopo aver letto il suo nome sullo schermo.
“Arizona, ciao. Senti..” Mi tappo l’orecchio libero con la mano libera nel tentativo di capire. Le chiedo di parlare più piano e di ripetere un paio di volte, mentre la linea va e viene, poi mi avvicino con fare furtivo alla pentola di ragù nel tentativo di assaggiarlo. Quando Callie mi sorprende col dito immerso nella pentola, mi tira il mestolo sulle nocche facendomi esplodere in un’esclamazione tutt’altro che signorile.
“Mi stai ascoltando?” sento dall’altro capo del telefono la voce di Erica infastidita dalle risate e dalla mia scarsa attenzione.
“Si, ti sto ascoltando” le rispondo vaga, restando in silenzio a fissare Callie che ride di gusto di me e della situazione. Anch’io rido di rimando – di rimando a quella sua risata cristallina.
“Arizona? Arizona ci sei?” il tono di Erica si fa sempre più indispettito.
“Si, scusa è che..” è che cosa? È che sono innamorata del modo in cui ride la tua ragazza? È che è da più di un mese che continui a rimandare questa cena a causa di un “intervento improvviso”? È che passo più tempo io con la tua ragazza di quanto ne passi tu? Cos’è, Erica?
“Fa niente” dice prima di richiamarmi al telefono “Arizona?”
“Dimmi.”
“Prenditi cura di lei.”
Sempre.

 
Lascio scivolare il mento tra le dita, fino a trovare la posizione giusta, una volta incastrato nel palmo della mano. Socchiudo gli occhi nel tentativo di affievolire lo sguardo e guardare più lontano possibile. Mi stampo in faccia la tipica espressione tra lo schifato e il pensieroso, mentre inarco le sopracciglia e lascio che la forchetta nell’altra mano si muova meccanicamente nel piatto, creando cerchi di riso, ormai freddo.
Callie passa dietro alla sedia di Erica prima di prendere posto accanto a me. Sinuosa, le accarezza con una mano le spalle e con le dita dell’altra porta alla bocca un paio di patatine fritte. Io seguo entrambi i movimenti. Prima, quelli delle dita che si muovono sulle sue labbra, sulla sua lingua, poi quelli dell’altra mano che toccano sensualmente Erica, che ride, seguita da Callie. Erica allunga una mano verso la fidanzata, lasciandole una pacca sul sedere, prima di afferrarla per il camice e stamparle un bacio. A quel punto sono più che sicura che la mia faccia pensierosa si sia completamente tramutata in un’espressione di schifo – schifo per Erica che dà per scontata Callie, schifo per il loro amore, quando in realtà vorrei che quelle labbra restassero appiccicate solo alle mie.
“Arizona, è tutto okay?” mi chiede Erica, distogliendomi dai miei pensieri. Io accenno un gesto veloce col capo, tornando a fissare il piatto. Porto alla bocca un ultimo boccone di riso, mentre Callie mi si siede accanto, urtando per sbaglio con la sua gamba la mia. Mando giù senza nemmeno masticare, irrigidendo la schiena – percorsa da un brivido. Quando comincio a tossire, la mano di Callie batte piano sul mio petto e i suoi occhi si perdono nei miei.
“Erica, dammi un po’ d’acqua” impartisce ordini, continuando a fissarmi. Io resto completamente bloccata in quella morsa, senza più riuscire a respirare e a pensare ad altro se non al nero dei suoi occhi. A me quel buio non fa paura, non mi mette nemmeno a disagio. Crea solo quell’attimo di sospensione in cui mi dimentico di tutto – in cui mi dimentico che Callie è la ragazza della mia migliore amica, in cui mi dimentico che il respiro mi manca perché sto soffocando, in cui mi dimentico che l’intera caffetteria mi sta guardando, mentre io riesco solo a pensare a quanto voglio quelle labbra e quegli occhi solo per me.

"I try to fight this but I know I'm not that strong
and I feel so helplessly
Watch my eyes are filled with fear
Tell me do you feel the same"


“Bevi” dice piano, lasciando scivolare dolcemente il bicchiere dalle sue mani alle mie.
Tossisco ancora un paio di volte dopo aver bevuto e poi torno ad assumere un’espressione quasi normale. Sono sicura che Erica stia per fare una battuta delle sue, quando viene interrotta dal cercapersone.
“Emergenza!” esclama entusiasta dandoci le spalle. Callie le strappa di mano il cercapersone trattenendola per una manica.
“Erica, ricordati la cena di stasera”
“Si” risponde strafottente.
“L’hai promesso” le rinfaccia Callie, mentre Erica le si avvicina e la bacia, com’è solita fare per convincerla. Callie ci casca ripetutamente in quel tranello – ci casca anche sta volta. Glielo leggo dal sorriso sulle labbra, quando si staccano dal bacio e dal modo in cui le accarezza il dorso della mano ridandole il cercapersone.
 
Cammino a passi lenti tra i corridoi dell’ospedale. Guardo a terra, fisso i piedi che si muovono meccanicamente e toccano il pavimento freddo. Li conto, nel tentativo di distogliere l’attenzione da quegli occhi. Li sento sempre, mi fissano ovunque – anche quando non ci sono, anche quando non me ne accorgo.
“Arizona” la voce di Erica mi chiama da lontano. Eccoci, ci siamo, glielo leggo in faccia. Non verrà neanche sta volta e mi pregherà di prendermi cura di Callie, di inventarmi una buona scusa, di trovare un modo per farsi perdonare, perché è così che si fa – è così che fanno le migliori amiche.
Resto immobile a guardarla, mentre mi viene in contro. “Non ce la faccio, non ce la faccio” continuo a ripetermi nella mia mente, mentre lei mi guarda con quello sguardo ed io non riesco a fare altro che pensare alla bocca di Callie e al suo corpo e a come l’aria cambia quando mi sta intorno – cambia la consistenza e l’odore e il sapore. Tutto magicamente sa di Callie.
“Non ce la faccio” mi dico un’ultima volta. Prendo fiato. Respiro lentamente. Poi mi giro dall’altra parte dandole le spalle, come a dirle che ho bisogno di tempo, come a dirle che non posso metabolizzare tutto questo in un attimo, che ho bisogno di spazio e di aria – aria per respirare un veleno che non sia il suo, un profumo che non sia quello di Callie.
Callie, lì, anche lei, dalla parte opposta del corridoio. Questa volta il mio sguardo scivola dai miei piedi ai suoi occhi. Scuoto la testa senza dire nulla – senza pensare a nulla. Un paio di passi per poi chiudermi alle spalle la porta del medico di guardia come a reclamare una tana, un posto sicuro dove potermi nascondere da ciò che voglio, da ciò che bramo, ma che non posso avere.
Il braccio di Callie si intrufola veloce tra l’uscio e la porta, mentre io indietreggio fino a ritrovarmi con le spalle al muro. Solo a quel punto Callie chiude la porta alle spalle facendo scattare la serratura. Ansimo, lo sento – è evidente. Ansimo, mentre le mi chiede cosa significa – il mio silenzio, la mia fuga, quegli occhi terrorizzati.
“Non ce la faccio” do fiato alle parole che parevano bloccate nel mio cervello, pronte solo a martellarmi la mente e ad occuparmi ogni pensiero. “Non posso”.
“Non puoi cosa, Arizona?” le sue mani stringono le mie, mi accarezzano le braccia, tengono le mie spalle. Io tremo, mentre la lascio fare. Tremo, mentre lei mi accarezza nel tentativo di curarmi le ferite che nemmeno conosce. Tremo mentre mi apre nuove voragini – sulle mie braccia, sulle mie mani, sul mio cuore.
“Callie, io..” ritraggo le mani mettendomele letteralmente tra i capelli. Le lascio scivolare lungo le tempie fino a coprirmi il viso e dopo un respiro profondo, tento di organizzare le idee. “Credo mi piaccia una persona” concludo nel modo più semplice e lineare che esista.
“Ok, questo è un bene, no?” lei mi sorride, spostandomi dietro all’orecchio una ciocca di capelli.
“No” urlo, mentre mi allontano da lei – dalle sue mani che stanno ovunque. “No” poi ripeto piano. “È tutto molto complicato. Lei è impegnata e io..”
“Ferma, ferma, ferma” mi mette un dito sulle labbra, mentre io comincio a morderle tentando di catturare tutta l’essenza di Callie – tutta l’essenza di quel contatto. “Non mi interessa sapere se è fidanzata, sposata o qualsiasi altra cosa, ti sto chiedendo come ti senti quando ti sta intorno”.
“Come mi sento quando mi stai intorno”, mi ripeto nella testa, mentre il mio sguardo si posa inevitabilmente su di lei e studia i tratti – l’arricciatura dei capelli neri, il riflesso di luce nei suoi occhi, i muscoli del suo viso contratti in un sorriso. Il mio sguardo si posa su di lei e la studia ancora e ancora e ancora, come se non bastasse mai – come se ogni volta fosse la prima.
“Non c’è nulla quando mi sta intorno. Tutto perde senso e forma e colore. Tutto perde consistenza e sa del suo odore – non del suo profumo, del suo odore. Ha un buon odore la sua pelle, ti fa venire voglia di starle accanto. E poi è bellissima quando sorride. Non è un cliché, non è come dicono tutti. Lei è proprio bella quando sorride, perché il suo sorriso è lo specchio della sua anima. Ho passato talmente tanti anni a guardarla sorridere che ho imparato a distinguerli – i suoi sorrisi. Non ne ha uno. Ne ha sei - uno quando qualcosa la fa ridere davvero, uno quando sorride solo per educazione, uno quando è imbarazzata, uno quando si prende un po' in giro, uno quando sta facendo dei progetti e uno quando parla dei suoi amici.”
Callie resta in silenzio a fissarmi – le mani lungo i fianchi. Entro in panico nell’esatto momento in cui credo che abbia capito tutto – da come mi guarda, da come apre la bocca e la muove senza emettere suoni. Resta così, un po’, a cercare le parole.
“È davvero quello che senti per lei? È .. mio Dio, Arizona, è.. è una cosa bellissima. È bellissimo” “Davvero pensi che sia bellissimo? Perché questo è quello che sento per te, quello che vedo in te. Sei tu, sei sempre stata tu” è l’unica cosa che mi verrebbe da dirle – l’unica cosa che riesco a malapena a zittire nella mia testa, nella mia gola.
“Dovresti dirglielo sai? Dovresti dirle che l’ami” le sue mani tornano ad appoggiarsi sulle mie spalle, come fossero due calamite che si attraggono. “Nessuno potrebbe mai resistere ad una dichiarazione del genere”.
Io abbozzo un sorriso forzato, mentre prendo le sue mani tra le mie. Col pollice le accarezzo il dorso della mani prima di lasciarle cadere delicatamente lungo i suoi fianchi. Mi dirigo verso la porta, faccio scattare la serratura. Esco. Passa un istante, quel breve momento in cui trovo il coraggio che non ho mai avuto. Rientro nella stanza del medico di guardia, mentre Callie si volta a guardarmi. Ed eccoli lì, ancora una volta i suoi occhi ad aspettarmi.
“Ti amo” e poi mi richiudo la porta alle spalle.
“L’ho fatto”, penso. “Ormai è fatta”, realizzo quanto sia inutile scappare ora – ora che ci saranno solo conseguenze d’affrontare. Così, per l’ultima volta riapro la porta. Questa volta non sono gli occhi di Callie ad aspettarmi, ma le sue labbra – le sue labbra che pongono fine a questo stupido gioco.
Le mani di Callie stringono tra i pugni il colletto del mio camice, mentre le gambe – le sue gambe che s’intrecciano con le mie – mi guidano verso il letto. Mi muovo a rallentatore, mentre lei mi spoglia con foga e reclama ogni millimetro della mia pelle e delle mie labbra. Con le mani, le labbra le sfioro le spalle nude, soffermandomi più a lungo nell’incavo del suo collo. Respiro a fondo il suo odore, mentre Callie guida le mie gambe attorno alla sua vita. D’istinto le poggio una mano sul petto, come a chiederle di fermarsi.
“Arizona” mi chiama dolcemente, sistemandomi i capelli ormai sciolti dalla coda dietro alle orecchie. “Arizona” ripete, mentre io scoppio a piangere tra le sue braccia.
Il senso di colpa mi divora, mentre il mio corpo nudo ed inerme si stringe al suo.
“Possiamo fermarci sei vuoi” mi chiede, mentre l’indice e il pollice prendono il mio mento facendomi alzare il volto. “Non è successo niente. Possiamo fermarci” lo dice anche lei con le lacrime agli occhi.
Come può essere niente questo, mi chiedo. Come può essere niente il tuo corpo perfetto incastrato col mio e la tua bocca che cerca la mia. E quello sguardo.
“Io non posso fermarmi. Non posso tornare indietro e fare come se non fosse successo nulla – come se non ci tenessi, come se non ti amassi. Lo vorrei – vorrei non amarti,- ma ti amo” il profilo del mio naso sfiora il suo. “Quindi mi lascerò amare da te, Callie. Mi lascerò amare”.
Le mie labbra si posano sulle sue, ancora – per l’ennesima volta. La foga dell’aversi, l’agitazione, il senso di colpa – soprattutto il senso di colpa – scivolano via dai loro corpi, veloci, come i loro vestiti. I baci si trasformano in carezze – carezze fatte di lingue e labbra che si mordono.
 
“Callie sei sveglia?” bisbiglio appena, dandole le spalle, mentre le sue braccia mi cingono la vita e le lenzuola accarezzano i nostri corpi.
“Sì” risponde piano, la voce soffocata dai miei capelli che le pungono il viso facendole il solletico. Ma a lei non importa – lei resta ferma a tenermi stretta, ad assicurarsi che non scappi e ricominci il mio gioco con la porta. Dentro, fuori. Via da lei.
“Ti batte forte il cuore” mi giro per guardarla negli occhi. “Sei agitata anche tu?”
“No, Arizona. Credo si tratti di un’altra cosa” sorride. Sorride del suo settimo sorriso – sorride come quando guarda me. Solo me. Nient’altro che me. “È amore.”

 
"I need your love
I need your time
When everything's wrong
You make it right"
 

  
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