Riprendere
una maschera
L’ora
appena passata con Mags e gli altri dello staff, in attesa che i due
tributi possano congedarsi dalle loro famiglie, non è stata
per niente utile ad allentare la sgradevole sensazione che mi opprime
sin da questa mattina. Imbronciato siedo su un divanetto appartato,
impreziosito da perle e conchiglie, desiderando ardentemente di
starmene per conto mio qualche minuto, prima di riprendere la mia
personale recita per il pubblico. A quanto sembra le mie intenzioni e
il mio malumore sono più che palesi, visto che nessuno si
avvicina per cercare di coinvolgermi nelle loro discussioni,
già tutte centrate a studiare la strategia migliore per
portare un nuovo vincitore al distretto quattro.
Rassegnati dalla mia mancanza di collaborazione, gli altri m’ignorano. Rimango immobile, con le braccia appoggiate alla spalliera e la testa riversa all’indietro, domandandomi il perché quegli occhi verdi mi rimangano così impressi. Sono certo di non conoscere quella ragazza, eppure qualcosa mi suggerisce il contrario. Cerco in ogni modo di costringere la mia mente a ricordare, ma sembra tutto inutile.
Purtroppo per me, Qwerty è, non solo, dell’idea che mi sia stato già concesso abbastanza tempo di solitudine, ma che il mio malumore sia dovuto all’assenza di una donna al mio fianco (come se accompagnarsi a una ragazza diversa ogni sera durante i miei soggiorni a Capitol City, non potesse bastare a soddisfare i miei “istinti virili”, come li chiama lei). Trotterellando tutta gaia su dei trampoli vertiginosi mi si avvicina, cercando un modo per iniziare una conversazione.
“È libero, posso sedermi?” domanda. Ogni volta mi stupisco della sua assoluta banalità. Faccio spallucce e mi sposto, in modo che possa sedersi accanto a me. In fondo sarebbe inutile negarle qualcosa, a meno che non voglia scatenare una crisi isterica e un broncio che dovrò sorbire per tutta la durata degli Hunger Games e, se disgraziatamente ci fosse un vincitore, anche durante il Tour della Vittoria. Rabbrividisco di ciò che ho appena pensato: non posso augurarmi che entrambi muoiano solo perché io non debba subirmi il risentimento di Qwerty.
“Non è mica vietato” borbotto. La nostra accompagnatrice si raggomitola sul divano accanto a me.
“Sai una cosa? – sussurra al mio orecchio, con fare che dovrebbe sembrare seducente, ma che in un altro momento mi farebbe scoppiare in una fragorosa risata proprio davanti al suo viso – Quando fai il tenebroso sei ancora più affascinante …” continua, allungando una mano dalle lunghe unghie laccate con diverse tonalità di blu, a sfiorare il mio braccio. Le blocco la mano, allontanandola da me e la fisso, forse per la prima volta: avrà sui quarant’anni, ma la chirurgia di Capitol City ne ha distorto i lineamenti originali per farla sembrare più giovane. Le sue ciglia, di un blu elettrico, piegate a formare dei piccoli delfini che saltano tra le onde, catturano la mia attenzione. Lei se ne accorge, ma fraintende:
“Ti piacciono? Le ho fatte fare apposta per te” riprende il suo attacco, partendo dal mio ginocchio per risalire lentamente lungo la mia coscia, facendomi rabbrividire. Sono stanco di dover lottare contro ogni donna che cerca solamente le mie attenzioni. In fondo, vorrebbe dire solamente iniziare in anticipo di qualche giorno la mia recita; senza contare che tra poco dovremo riunirci agli altri per andare alla stazione, sarebbe una cosa rapida e indolore. Sto cercando di ingannarmi, so bene che non sarà per nulla indolore. Durante la mia prima edizione da mentore, dopo che Steven è morto assiderato, ho passato le mie notti con qualsiasi ragazza con l’unico scopo di soffocare il dolore; mi sono scritto la condanna con le mie stesse mani, ma tornato nel mio distretto al dolore per la perdita di due ragazzi ho dovuto aggiungere l’umiliazione di aver ceduto tanto facilmente. Respiro a fatica, frustrato da tutta la situazione. Scatto in piedi, spostando bruscamente Qwerty. Talmente preso dai miei pensieri, noto solo gli occhi verdi della ragazza abbassarsi di nuovo e lo sguardo rancoroso di Jason.
“Ho interrotto qualcosa?” domanda con malizia Endel, l’altro stilista. Qwerty è ancora intenta a sistemarsi la parrucca sul divano per riuscire a parlare, così sono io a dover rispondere.
“Cosa vuoi Endel?” domando scocciato, anche se questo tono non fa altro che solidificare le convinzioni dello stilista che annuisce malizioso, come se tra noi ci fosse stata una muta conversazione piena di sottointesi che solo lui ha capito.
“Siamo pronti per raggiungere la stazione” annuncia. Annuisco.
“Dammi un minuto e sono pronto” confermo. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, cercando di imprimermi sulle labbra il sorriso gioioso che tutti si aspettano da me in questo momento. Un ultimo respiro, e indosso nuovamente la maschera del Vincitore. Passo accanto ad Endel che mi sussurra all’orecchio:
“Una volta sul treno avrai tutto il tempo che vuoi per divertirti”. Gli batto una mano sulla spalla, quasi a confermare le sue parole e lo supero, uscendo dal palazzo di giustizia subito dopo i due tributi.