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Autore: Remiel    21/10/2012    1 recensioni
Protagonista di questa storia è la semidea Cithara, figlia di Apollo, che scoprirà di possedere sin dalla nascita una dote particolare...
Arrivata al Campo Mezzosangue in seguito al rapimento della madre, Thara farà la conoscenza di varie persone tra le quali Emile, figlio di Ermes, incaricato di accompagnarla alla scoperta del mondo delle divinità e dei suoi poteri di semidea, e Raven, figlio di Apollo e capo dormitorio, nonché capo della banda musicale del Campo.
Il mistero del rapimento della madre di Thara si infittisce con la sparizione di altre donne. Chi le sta portando negli Inferi, e a che scopo?
Dal Cap.2
"Mi accorsi che era tempo di andare all’entrata e scesi le scale circolari con calma, assaporando il rimbombo del rumore che i piccoli tacchi delle ballerine producevano a contatto col marmo bianco. Chiusi gli occhi, deliziata da questo suono, mentre riconoscevo senza problemi prima un La, poi un Do provocato da un passo più deciso, un Fa… Questo era il vero dono che mi aveva fatto mio padre: la Musica."
--
La storia è "ambientata" nel mondo di Percy Jackson, più che essere una fanfiction vera e propria... Dunque, buona lettura anche a chi non conosce i libri!:)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Flowers and Silence - Sneaker Pimps]
[Tear the World Down - We Are The Fallen]

«Cithara Greenwood, giusto?»
Non avevo la forza di domandarmi come fosse possibile nascondere un corpo da cavallo sotto una carrozzina, non dopo tutto quello che mi era capitato almeno.
Davanti a me si ergeva il centauro Chirone che fino a qualche minuto fa credevo essere Brunner, il mio professore di storia, per l'appunto costretto a girare su di una carrozzina.
Eleuse mi strinse una mano sulla spalla per darmi coraggio.
«Sì, è lei Chirone. Purtroppo prima di trasportarla qui è avvenuto un incidente…» rispose la mia custode satiro.
Avevo ancora  davanti agli occhi l’espressione terrorizzata di mia madre che mi implorava di fuggire mentre uno Stinfalide  stendeva la presa sui suoi fianchi per ghermirla e portarla con sé nel cielo. Non era valso a nulla il mio tentativo di richiamare l’attenzione dell’uccello, questo se n’era semplicemente andato emettendo un suono stridulo,  con il corpo di mia madre stretto tra gli artigli.
Il suo verso continuava a rimbombarmi nelle orecchie, sebbene ormai fossero passate già parecchie ore dalla scomparsa del mostro.
Eleuse aveva assistito a tutto ma non aveva potuto far altro che caricarmi in macchina e portarmi fino al Campo, proprio dove avevo scoperto la vera identità del professor Brunner e la possibile causa per la quale ero stata attaccata da un mostro mitologico proveniente dallo Stinfalo.
«Benvenuta nel Campo dei Mezzosangue, Cithara. Sono dispiaciuto per quello che è accaduto a tua madre ma ho motivo di credere che sia ancora viva. Per la verità non ho ancora chiara la ragione di questo attacco, visto che sei solo figlia di Apollo, ma sono sicuro che presto lo scopriremo.»
Quel “solo figlia di Apollo” mi fece sorridere, a dispetto di tutto, ma appena mi tornò in mente il volto della mamma sprofondai nuovamente nello sconforto. Scoprire di essere figlia di un dio non serve a risollevare il morale quando tua madre potrebbe essere morta proprio a causa di questo tuo sangue divino.
Ebbi appena la forza di annuire quando Eleuse mi prese sotto braccio per mostrarmi il luogo in cui da quel momento sarei vissuta al sicuro tra miei “simili” e ‒perché no‒ anche tra i miei fratelli e sorelle. Infatti a quanto pareva mio padre di certo non poteva essere considerato secondo al dio Ermes in fatto di donne e amanti.
Il meraviglioso dio della musica che si lascia incantare da ingenue fanciulle umane e sparge il suo seme divino tra di loro… una scena digustosa.
A quel pensiero mi venne quasi l’impulso di buttare il violino regalatomi proprio da Apollo in occasione del mio quinto compleanno; era però l’unica cosa che mi legava alla vita normale che avevo dovuto abbandonare a forza e questo mi fece desistere.
«Thara… Perdonami se non sono stata d’aiuto. Come Custode sono un vero e proprio fallimento.»
Mi voltai per osservare meglio Eleuse, e quando vidi il dolore nei suoi occhi verdi capii che era sbagliato l’atteggiamento che stavo assumendo. Rimanere in silenzio e diventare passiva non poteva di certo riportarmi mia madre. Solo che… Era successo tutto così in fretta. Avevo ancora bisogno di tempo.
Scossi leggermente il capo per farle comprendere che avevo ascoltato, ricevendo uno sguardo preoccupato in risposta.
«Oh tesoro…»
I suoi capelli brillarono sotto al sole mentre scuoteva a sua volta il caschetto biondo paglierino. Era davvero un incantevole contrasto con la sua pelle ambrata e non mi sarei stupita se avesse avuto uno stuolo di ammiratori anche al Campo.
Avevo appena rivolto nuovamente lo sguardo al terreno, quando un paio di All Stars nere entrarono nel mio campo visivo.
«…Emile?» sentii sussurrare stupita la mia custode «Non eri fuori in missione?»
«Purtroppo il caro vecchio signor D ha deciso di mandare quell’incapace di mio fratello Luke al posto mio.»
La voce calda del ragazzo mi incuriosì e non riuscii ad evitare di alzare gli occhi.
Era alto e attraente, gli occhi di un verde più chiaro di quelli di Eleuse ‒come se brillassero di luce propria‒ e i capelli color dell’oro.
…Forse il Campo non sarebbe stato così male.
Anche lui rivolse lo sguardo verso di me e fu difficile non rispondere al sorriso allegro che mi regalò.
«Sei Cithara giusto?»
Eleuse assunse un’espressione imbronciata.
«Cos’è, avete tutti intenzione di farle il terzo grado? Povera, è appena arrivata ed è stanca: abbiamo passato tutta la notte in macchina per arrivare fino a qui!»
Il ragazzo sorrise nuovamente riuscendo a far calmare un poco la mia Custode.
«Piano, piano Ele! Non devi prendertela con me, Chirone mi ha chiesto di farle da tutore e addestrarla nei giorni a venire. Volevo solo presentarmi e accompagnarla alla propria stanza.»
Detto questo mi pose la mano.
«Sono Emile Noir, purtroppo figlio di Ermes, onorato di fare la tua conoscenza» fece, sfoderando un altro dei suoi sorrisi amichevoli.
«Cithara... Greenwood» risposi in tono flebile, stringendogli la mano. Mai avrei pensato di perdere l’uso della voce tanto da ridurmi a sussurrare in quel modo.
Emile mi rivolse uno sguardo comprensivo e si offrì di farmi continuare il giro al posto di Eleuse.
«Ora riposati cara, ci vediamo dopo» mi disse lei, baciandomi sulla testa. Era una specie di sorella maggiore, mi trattava ancora come quando non sapevo di essere figlia di un dio e si spacciava per mia vicina di casa ‒una giovane studentessa universitaria in trasferta.
La osservai allontanarsi in modo sensuale e sentii subito una stretta al cuore, come se avessi paura di perdere anche lei.
La voce del mio nuovo accompagnatore non tardò a strapparmi dai tristi pensieri.
«Bene Cithara... Se è vero che avete viaggiato tutta la notte forse è meglio rimandare il nostro giro turistico a quando sarai più tranquilla, non credi? Vieni, ti mostro la tua stanza.»
Cercai di evitare gli sguardi curiosi degli altri abitanti del Campo durante il tragitto e ascoltai interessata la spiegazione di Emile sulla ripartizione delle abitazioni.
«Sei stata fortunata, fossi venuta qualche mese fa avresti dovuto condividere la stanza con altri tuoi fratellastri ma da un po’ abbiamo ampliato le case e ognuno può permettersi una stanza per sé.»
Ci fu una breve pausa in cui mi parve di sentire un piccolo sospiro provenire da Emile.
«…Cioè, quasi ognuno.»
Quando passammo davanti alla casa dei figli di Ermes capii il motivo del suo disappunto: oltre ai propri figli, nella sua dimora il dio protettore dei viandanti accettava tutti i “figli di nessuno”, gli Indeterminati. Doveva essere davvero dura avere un po’ di privacy per Emile…
Poco dopo, il mio giovane tutore si fermò davanti a una costruzione color arancione con uno stemma raffigurante un sole paffuto  ornato da una corona d’alloro.
Eravamo davvero arrivati alla casa di Apollo.
Emile non fece in tempo ad aprire il portone che questo si spalancò apparentemente da solo. Ne uscì un ragazzo piacente sui 20 anni, con i capelli color ebano molto simili ai miei e gli occhi grigi. Sembrava che ci stesse aspettando.
«Qual buon vento Emile! Spero tu non stia perdendo tempo a scorrazzare per il Campo invece di allenarti per la Caccia alla Bandiera… Non vorrai ripetere la figuraccia dell’altra volta.»
Dal sorriso tirato di Emile e quello sfrontato del ragazzo più grande compresi al volo che tra i due non correva buon sangue. Sarei sprofondata nel terreno più che volentieri.
«Non preoccuparti Raven, tra due settimane sarò più che pronto per farti rimangiare l’insulto dell’altro giorno. Sono solo venuto ad accompagnare la mia allieva alla sua nuova casa.»
A queste parole Raven ‒mai nome mi parve più azzeccato‒ ignorò totalmente Emile e mi guardò con interesse mentre i suoi occhi grigi sorrisero con lui.
Rettificai mentalmente: non ci stava aspettando, mi stava aspettando.
«Quindi tu saresti una nostra sorella.. Vieni, sei la benvenuta figlia di Apollo. Io sono Raven Lionhard, il capo dormitorio.»
Un'altra stretta di mano al mio nuovo fratello acquisito, e Raven mi fece cenno di seguirlo. Immagino sapesse che ci avrebbe seguito anche Emile.
Fui sollevata dal trovare il corridoio deserto fino al secondo piano, dove si trovava la mia stanza, e non ebbi la forza di chiedermi come facessero i miei bagagli ‒se una lurida cartella dell’eastpack e un violino possono essere definiti bagagli‒ a trovarsi già lì. Sapevo solo di essere distrutta e di volermi abbandonare a un sonno senza sogni.
Raven fu il primo ad andarsene.
«Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere, sarò più che felice di colmare le innumerevoli lacune del tuo tutore» fece, sorridendo poi al mio accompagnatore «Non preoccuparti Emile, non mi sono dimenticato dell’insulto che ti ho rivolto. Non è colpa mia se sei uno sfigato,  te lo dimostrerò nuovamente alla prossima Caccia.»
Lui non rispose, limitandosi ad osservarlo allontanarsi con sguardo superiore.
Forse stava cercando di trattenere la rabbia solo a causa della mia presenza o forse era veramente convinto di poter battere Raven. In quel momento non avrei potuto scommettere sulla vittoria di Emile, probabilmente perché il capo dormitorio mi era parso molto sicuro di sé e pareva circondato dalla tipica aura da leader... Insomma era uno da cui non ti saresti mai aspettato una sconfitta.
«Ehi... Lascia perdere i brutti pensieri e vai a riposarti, ok?»
Le parole di Emile mi colsero di sorpresa. Sapeva già cosa mi era accaduto?
«Uhm...» annuii in modo debole, e adocchiai involontariamente il letto che si intravvedeva dalla porta della stanza.
«Scusa, adesso ti lascio anch’io! ...Se hai bisogno di qualcosa chiedi pure, passerò a prenderti per l’ora di cena.»
Uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle e abbandonandomi ai miei pensieri.
Era stato carino a lasciarmi riposare ma non avevo previsto la bufera di negatività che mi avrebbe investita una volta sola. Se me lo fossi aspettata probabilmente avrei lasciato perdere la stanchezza e mi sarei fatta trascinare in giro per il Campo ancora per ore.
Senza forze e disillusa, riuscii solo ad allungarmi verso la cartella dopo essermi stesa sul letto, per prendere l’mp3 e venire avvolta dal calore rassicurante della musica.
---
«Are you looking for happiness?
Are you looking for something better?
Do you ever feel emptiness?
Are you scared it's gonna last forever?
Don't give it away, don't give it away.

I don't want your happiness.
I don't need your happiness.
So never show me happiness.
I don't want your happiness.

Everybody needs sanctuary.
Everybody needs hope and fear,
But not everybody needs a preacher
Don't tell me what you want me to hear….»
♫♪♫
 
Che sogno assurdo avevo fatto! Centauri, satiri, mostri mitologici... Ero sicura che anche mamma si sarebbe fatta quattro risate sentendo questo racconto.
…Appena aprii gli occhi, compresi di non essere in camera mia e che purtroppo quello che credevo essere un sogno era invece realtà.
Sospirai, voltandomi dalla parte opposta e quasi mi prese un colpo nell’incontrare gli occhi verdi di Emile.
«…Scusa! Stavi dormendo così bene che non ho avuto il coraggio di svegliarti…» lo sentii giustificarsi dopo essermi tolta le cuffie dalle orecchie.
«Non preoccuparti…» dissi, con un filo di voce, ancora assonnata. In realtà mi aveva fatto un certo effetto vedere violata la mia privacy con così tanta leggerezza.
Mi stropicciai gli occhi.
«Che ore sono?»
Emile sembrò svegliarsi di colpo dallo stato d’imbarazzo in cui era caduto.
«È ora di cena! Per questo ero venuto a chiamarti… Sai, dopo una certa ora la tavola viene sparecchiata
ed è impossibile reperire cibo.»
«E… La tavola rimane imbandita fino alle 21?» feci, dopo aver dato una sbirciata all’orologio.
«Sparecchiano alle 21:10 circa... Perché?» Il verde dei suoi occhi si accese in un lampo di comprensione. «…Diamine, si è fatto così tardi? Forza, vieni con me, proviamo lo stesso ad andare!»
Nonostante volessi declinare l’invito, il brontolio del mio stomaco gli diede ragione e senza neanche aggiustarmi il trucco mi ritrovai a correre dietro ad Emile, nella speranza di trovare ancora almeno una pagnotta.
…Ma poi, perché era venuto a chiamarmi così tardi? A meno che non fosse rimasto a guardarmi dormire più dei dieci minuti che avevo creduto all’inizio…
Sentii un lieve rossore salirmi alle guance al pensiero di essere stata sorpresa in un momento così privato da uno sconosciuto. Certo, Emile sembrava simpatico, ma questo non giustificava il fatto di essersi intrufolato nella mia stanza senza permesso. Mi ripromisi di chiudere la porta a chiave, la prossima volta.
Quando giungemmo ansimanti davanti alle tavole per trovarle vuote e immacolate, sentii lo sconforto assalirmi. La dormita era servita a rilassare le membra, ma la stanchezza per l’incidente di mia madre e la fame non mi aiutavano certo a tranquillizzarmi.
Emile, ancora ansimante, mi guidò poco lontano dal luogo che col suo candore continuava a ricordarci la nostra sconfitta, e appoggiò la schiena contro il muro per riprendere fiato.
Lo imitai.
«Perdonami… Non ho fatto caso all’orario…» Sbuffò. «…Forse avrei fatto meglio a svegliarti.»
Mugugnai leggermente in segno d’assenso. Ero convinta che almeno lui avesse mangiato qualcosa, per questo rimasi stupita nel sentire gorgogliare anche il suo stomaco.
Lo guardai con aria interrogativa e ricevetti un sorriso imbarazzato in risposta.
«Cosa credevi, avevo detto che sarei passato a prenderti per cena! Non avrebbe avuto senso andare a mangiare per poi tornare indietro.»
Effettivamente non faceva una piega.
Iniziai a sentirmi in colpa: probabilmente a lui non era venuto in mente che stessi ancora dormendo e trovandomi assopita aveva preferito attendere che mi svegliassi da sola… In fondo era stato gentile ‒un po’ invadente, ma gentile‒ tanto più che mi  aveva aspettato per cenare, rimando poi a bocca asciutta assieme a me.
«…Forse avrei fatto meglio a svegliarmi prima.» Abbassai lo sguardo mentre facevo il verso alla frase pronunciata da poco da Emile.
Al contrario di quello che mi aspettavo, quando incrociai gli occhi coi suoi mi rivolse un sorriso ancor più radioso di prima.
Sembrava divertito.
«Spero davvero che tu possa trovarti bene qui al Campo. È difficile stare dietro a tutto all’inizio… Ma dopo un po’ ci si abitua.» Fece una breve pausa in cui, nonostante la penombra, mi parve di vederlo arrossire. « Insomma… Ti hanno affidata a me e farò di tutto perché tu possa ambientarti e migliorare le tue doti di semidea.»
Le sue parole mi rincuorarono in parte e non potei fare a meno di sorridere a mia volta.
«Ti ringrazio…» Avrei voluto aggiungere qualcosa, dirgli che ero sicura che sarebbe riuscito ad aiutarmi e che mi sarei trovata benissimo, ma ancora una volta mi tornò in mente mia madre e sprofondai nuovamente nel mio pseudo mutismo. Era durata molto poco la lieve spensieratezza derivata dal riposo pomeridiano.
Sembrava che Emile stesse per aggiungere qualcosa ma fu interrotto da una calda voce familiare.
«Eccovi qui finalmente! …Una cosa dovevi fare, Emile, possibile che non ti riesca mai di essere in orario?» Davanti a noi si ergeva un’Eleuse un po’ contrariata. Quando si arrabbiava, la sua fierezza di satiro la rendeva ancora più bella e il verde dei suoi occhi si accentuava.
«Perdonami Ele… Come dire, c’è stato un piccolo contrattempo…»
Decisi di sollevare Emile dall’imbarazzo.
«Non volevo svegliarmi.»
La mia Custode fu sorpresa dal sentirmi parlare ‒non le rivolgevo la parola da quasi due giorni ormai‒ e mi sorrise.
«Thara, non preoccuparti tesoro, è comprensibile… È con questo testone che ce l’ho!» continuò, fulminando Emile con gli occhi.
Di tutta risposta lui si limitò a guardare da un’altra parte con aria colpevole.
Quando Eleuse si chinò ad abbracciarmi, fui felice di sentire il suo profumo di pesco avvolgermi assieme alle sue braccia sottili. Le fui ancora più grata quando percepii il profumo di affettato e banana provenire dall’involucro che mi porse.
«Sono riuscita a prenderti un bel panino e un paio di banane! Mi dispiace di non aver potuto fare di più, il signor D era insolitamente sobrio stasera e mi avrebbe dato una bella strigliata se mi avesse scoperto…»
La ringraziai con un bacio e le diedi la buona notte, promettendole di riposarmi.
«Oggi è il mio turno di sorveglianza, purtroppo non posso rimanere con voi. Comunque, caro il mio Emile, ti pregherei di stare più attento alla mia protetta d’ora in poi!»
«…Mi farò perdonare!» fece Emile, tra il divertito e il dispiaciuto.
«Bah, ma che perdo tempo ancora a parlare con te…» concluse Eleuse, allontanandosi con la testa china, come se il ragazzo fosse un caso perso.
Dovevano conoscersi da tanto la mia custode e il mio tutore, per scherzare così… Una strana sensazione di fastidio mi prese alla bocca dello stomaco.
Mi accorsi di essere rimasta imbambolata col pacchetto del cibo in mano e lo aprii con troppa foga, rischiando di far cadere sull’erba il contenuto.
«…È anche colpa mia se non hai mangiato, mi sembra giusto fare a metà» dissi a Emile mentre gli porgevo parte del panino al salame.
«Sicura? Se ti becca Ele…» Nel sentir pronunciare il diminutivo del nome della mia custode, il bruciore allo stomaco aumentò. Era la loro complicità ad infastidirmi… La stessa che avevo anch’io con gli amici che avevo dovuto abbandonare assieme alla scuola. E, soprattutto, la stessa che avevo con mia madre.
Decisi di affogare il malessere opprimente proveniente dallo stomaco col cibo e insistei perché Emile mangiasse con me.
---
«Ah… Direi che ora si sta decisamente meglio.»
Annuii con la testa: dopo aver mangiato anche il fastidio era diminuito, anzi, quasi scomparso. Speravo solo che non si fosse sopito per poi tornare all’attacco in modo inaspettato, perché iniziavo a sospettare che quella provata fosse gelosia.
Dopo aver consumato il nostro pasto frugale, Emile si era steso supino per mirare le stelle e io mi trovavo seduta al suo fianco, ancora indecisa se stendermi del tutto o meno. Mi sembrava un gesto troppo intimo  per due conoscenti, già il fatto di essergli così vicina mi turbava e stavo ben attenta a non entrare nel suo spazio vitale.
«Ogni volta che osservo le stelle penso a mio padre che si trova sull’Olimpo…» Mi aveva fatto sussultare leggermente nello strapparmi ai miei pensieri. Lo vidi esitare e un sorriso insolitamente sarcastico si dipinse sulle sue labbra. «O meglio, penso a mio padre che si trova sull’Olimpo o chissà dove a ingravidare giovani ragazze ignare del suo sangue divino.»
Mi fece uno strano effetto sentirlo parlare con un tono sprezzante. Pareva così diverso dall’Emile allegro che mi aveva accolto quella mattina.
«È quello che ho pensato anch’io stamattina quando ho scoperto di essere figlia di Apollo.» Le parole erano uscite prima che me ne potessi rendere conto.
Anche Emile sembrò stupito, ma subito la sua espressione di addolcì.
«Dev’essere stato uno shock scoprirlo così… Mi spiace veramente per quello che è accaduto. Chirone sa il fatto suo, sono sicuro che riuscirà a riportarti tua madre.»
Ogni dubbio si dissolse: sapeva cosa mi era successo. Era stato Chirone stesso a dirglielo? O era stata forse Eleuse?
Di nuovo, una pressione allo stomaco.
Abbassai lo sguardo, annuendo leggermente. Quando si tirava in ballo mia madre, diventavo taciturna ed ero solo in grado di annuire.
«Gli dèi… Non credevo nemmeno che esistessero» continuò Emile, evidentemente incitato dal mio silenzio. «Mi viene da pensare che forse, un po’ di affetto per mia madre deve averlo provato Ermes per mettermi al mondo. Poi però vedo mia madre sola, che ancora lo aspetta nella speranza di poterlo rivedere anche solo una volta… E torno a credere che le divinità non siano altro che creature mitiche possedute dall’istinto e le passioni, indifferenti ai sentimenti umani.» Lo udii sospirare, come vinto dalla stanchezza.
Tornai a posare gli occhi su di lui e lo trovai con lo sguardo basso, perso nell’oscurità. Era davvero bello, con gli occhi chiari che riflettevano la luce delle stelle e i capelli dorati mossi leggermente dalla brezza del vento estivo.
Si voltò verso di me con un sorriso timido.
«Perdonami se ti ho rattristata, non era mia intenzione.» Lo guardai con aria interrogativa quando iniziò a ridere. «Ah ah… Oggi sembra proprio la giornata delle scuse!»
Sorrisi anch’io e sentii le spalle distendersi. Iniziava a sembrarmi meno improponibile l’idea di rimanere a lungo nel Campo.
 
 
 
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Nota dell'Autrice:
Qui ho cambiato qualcosa rispetto alla scorsa versione...
Prima la canzone ascoltata da Cithara era "Break Me" dei the GazettE (volevo inserire parte della mia passione per il Giappone XD) ma mi sono resa conto che strideva col testo. Allora ho preferito usare "Happiness" degli Hurts, canzone meravigliosa che consiglio a tutti di ascoltare!

Remiel
   
 
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