Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: jas_    23/10/2012    11 recensioni
«Comunque io sono Harry» riprese, porgendomi la mano che strinsi riluttante. Rise, e quella sua risata cristallina mi inebriò le orecchie ancora una volta, «tu non ce l'hai un nome?»
«La cheese cake»dissi, «puoi prenderla.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

A Federica, 
per sopportarmi ed esserci sempre quando ho bisogno.
Grazie :)

 
Non appena le porte della metropolitana si aprirono mi fiondai fuori da essa e cominciai a camminare velocemente cercando di evitare il più possibile i pendolari milanesi ed uscire dalla stazione. Mi fermai al solito bar e ordinai due caffè d'asporto e due brioches, cercando impaziente i dieci euro che sapevo erano nella borsa, fuori dal portafoglio. Non appena li trovai li porsi al commesso prendendo il sacchetto che mi stava porgendo e, sempre di corsa, andai in ufficio cercando di non inciampare su quei tacchi vertiginosi che ero costretta a portare e non fare cadere né i caffè né la pila di documenti che reggevo nell'altra mano.
Quel lavoro era davvero stressante, pensai, come facevo da due mesi a quella parte, ma infondo dovevo essere già felice di avere un impiego coi tempi che correvano nonostante questo fosse sotto retribuito.
Salutai educatamente il portinaio che mi aprì immediatamente il portone sorridendomi gentile e un po' divertito, probabilmente dalla mia goffaggine. Chiamai l'ascensore e alzai il polso sinistro con l'intento di vedere che ore fossero ma rischiando di far rovesciare i due caffè sulle carte che reggevo. Non appena le porte davanti a me si aprirono, entrai nell'abitacolo e mi osservai allo specchio cercando invano di darmi una sistemata ma, per quanto mi sforzassi, ero sempre la solita disordinata, caotica e semplice Rebecca. Non ci sarebbe stato nessun tailleur o paio di scarpe col tacco o borsa firmata - nonostante non me le potessi nemmeno permettere - che mi avrebbero trasformata, almeno esteriormente, in una ragazza sicura di sé, alla moda e in carriera.
Entrai nello studio del professore, come al solito fin troppo illuminato, e andai alla mia scrivania per lasciare la giacca e la borsa prima di andare dal "grande capo" e portargli la colazione ma proprio quando fui pronta a bussare, la centralinista mi fermò.
«Il professore è occupato, ha un appuntamento» spiegò.
Annuii incerta senza sapere cosa fare, dovevo bussare comunque oppure no? Non mi aveva mai dato indicazioni a riguardo, solitamente non riceveva appuntamenti prima delle dieci di mattina e quello che stava avendo in quel momento sicuramente non era programmato dato che era la sottoscritta che gli organizzava l'agenda e io non ne sapevo niente.
«Sai con chi è?» chiesi, in cerca di indizi.
Alice scosse la testa, senza alzare minimamente lo sguardo dalle unghie che si stava limando, «un ragazzo giovane, alto e attraente. È arrivato senza nemmeno presentarsi ed ha chiesto del signor Rossi» spiegò.
Annuii incerta, prima di decidermi a bussare perché se non l'avessi fatto il caffè si sarebbe sicuramente raffreddato e il grande capo avrebbe avuto comunque da ridere.
La sua solita voce profondamente burbera mi invitò ad entrare, abbassai la maniglia timorosa ed aprii lentamente la porta facendo spuntare prima la testa e  poi tutto il corpo.
«Signore le ho portato la colazione» dissi, «non sapevo se disturbarla ma poi ho pensato che il caffè si sarebbe raffreddato e così...»
L'uomo mi guardò sorpreso - non seppi decifrare se in maniera positiva o meno - prima di sorridermi come mai non lo avevo visto fare, ma io lo vidi solo con la coda dell'occhio, letteralmente incantata ad osservare il volto del suo ospite che mi aveva dato le spalle fino ad allora e che solo in quel momento si voltò verso di me.
Aprii la bocca alla ricerca di parole che alla fine mi morirono in gola mentre venivo letteralmente investita da emozioni, pensieri e domande contrastanti tra loro. Sentivo il cuore martellarmi nel petto e le budella contorcermisi come mi succedeva solo quando, mentre leggevo un libro, i due protagonisti si baciavano oppure quando lui mi guardava con i suoi occhi così trasparenti ma allo stesso tempo profondi.
Il professore si schiarì rumorosamente la voce facendomi sussultare e riprendermi immediatamente da quello stato di trance, mi avvicinai alla scrivania e appoggiai la sua colazione prima di mormorare un saluto ed uscire dalla stanza facendo attenzione a non inciampare tra le mie stesse gambe.
Mi sedetti alla mia scrivania stranamente esausta e col fiato corto, mi portai una mano sul petto cercando di riprendere a respirare regolarmente mentre una sensazione di malinconia mi attanagliava lo stomaco.
«Tutto bene?» mi domandò Alice, «sembra che hai visto un fantasma» continuò, fingendosi preoccupata quando in realtà era soltanto alla disperata ricerca di nuovi scoop su cui spettegolare con le altre ochette con le quali si incontrava in pausa pranzo. Scossi la testa accendendo il computer e controllando le email nonostante la lunga lista di messaggi da aprire mi scorresse davanti agli occhi, indifferente. La mia mente era rimasta ad alcuni istanti prima, a quegli occhi, quei capelli, quella bocca, quella pelle candida, quelle labbra rosee e invitanti che avevo sognato di baciare per un'estate intera. In quel momento i ricordi mi investirono come un fiume in piena, tutti i momenti passati con Harry riaffiorarono più vivi e dolorosi che mai. Scossi la testa cercando di cacciarli ma era impossibile, ne ero consapevole, così mi limitai a lasciare che la mia mente viaggiasse quasi da sola, ripercorrendo quell'estate da giugno a settembre.
Ricordavo come ieri quando seppi di essere stata accettata per uno scambio alla pari in Inghilterra e di come fossi elettrizzata all'idea di passare tre mesi in uno dei posti che amavo di più al mondo. Holmes Chapel non era esattamente Londra - come avrei desiderato - ma era un paese tranquillo, tipicamente inglese, con le villette a schiera e i giardini sul retro, il classico ragazzo in bicicletta che ogni mattina buttava i giornali sui pianerottoli delle varie case e i prati così verdi che sembrava fossero stati pitturati. La famiglia fu da subito gentile con me e i due gemelli che dovevo curare non erano poi così scalmanati come avevo paura sarebbero stati, anzi, erano così bravi che a volte mi ero persino chiesta come mai i loro genitori avessero avuto bisogno di una baby sitter. E poi era arrivato lui.
Sorrisi al solo ricordo del nostro primo incontro, una settimana dopo il mio arrivo ad Holmes Chapel.
 
«La mangi tu quella fetta di torta? Se no la prendo io» mi domandò una voce alle mie spalle.
Mi trovavo in un'insensata festa di vicinato, di cui non avevo mai sentito parlare. Mi sentivo piuttosto a disagio, non sapevo che partecipare alla 'vita mondana' del paese fosse incluso nei miei compiti ma quando i genitori dei gemelli mi avevano invitata a partecipare avevo accettato educatamente e mi ero ritrovata stretta in quell'abito appositamente comperato dalla signora James per l'occasione che non avevo potuto rifiutare di indossare.
Mi voltai con uno scatto, piuttosto stizzita dalla sfacciataggine con la quale quella persona mi si era rivolta, mettendomi fretta su quale delle tante pietanze che costituivano il buffet scegliere, ma non appena i miei occhi incontrarono quelle iridi color verde smeraldo così pericolosamente vicine alle mie, il mio atteggiamento cambiò completamente.
Il ragazzo ignorò la mia espressione dapprima infuriata e poi confusa, limitandosi a sorridermi tranquillo e mettendo in mostra, oltre che a una fila di denti perfetti, due adorabili fossette.
Aggrottò le sopracciglia, facendo poi lo stesso movimento con le labbra, «sei nuova?» mi domandò.
Lo guardai stranita, in quel posto tutti dovevano per forza conoscere tutti?
Lui probabilmente si accorse dei miei dubbi, si limitò a ridere socchiudendo leggermente gli occhi, «è una festa di vicinato» spiegò poi paziente, «e si da il caso che io conosca i miei vicini di casa, ma tu no.»
Annuii in silenzio, senza sapere esattamente cosa dire.
«Comunque io sono Harry» riprese, porgendomi la mano che strinsi riluttante. Rise, e quella sua risata cristallina mi inebriò le orecchie ancora una volta, «tu non ce l'hai un nome?»
«La cheese cake» dissi, «puoi prenderla.»
 
La porta che si aprì di scatto mi fece tornare alla realtà, «Rebecca, saresti così gentile di accompagnare il nostro caro ospite alla porta?» mi domandò il capo, nonostante quello fosse effettivamente un ordine.
Annuii lanciando una rapida occhiata ad Harry che mi guardava sorridente e mi alzai di scatto dalla sedia sentendo lo sguardo pieno di invidia di Alice fulminarmi. Sapevo quanto avrebbe desiderato essere al mio posto per quei pochi istanti, giusto per filtrare un po' con Harry.
«È stato un piacere, professore» disse il ragazzo, porgendo la mano proprio come fece con me in quella lontana estate di due anni prima, sorrisi inconsciamente.
«Figurati giovanotto, aspetto la tua mail con la prima bozza», lui annuì prima di voltarsi verso di me. Mi limitai a camminare verso l'uscita sempre sotto lo sguardo di Alice. Le sorrisi beffarda mentre passai davanti al suo ufficio seguita da Harry a cui poi aprii la porta.
«Becky...» sussurrò lui, prima che io potessi dire qualcosa.
Aprii la bocca ma non emisi alcun suono, ancora troppo scioccata per trovarmelo lì in carne ed ossa, dopo due anni di silenzio totale.
«Vedo che in tutto questo tempo la lingua non ti è ancora cresciuta» scherzò lui, riferendosi ovviamente al nostro primo incontro. Lanciai un'occhiata preoccupata verso l'interno dello studio, dove Alice si stava esaminando attentamente le unghie nonostante fossi sicura che avesse le orecchie tese e pronte a captare le nostre parole. Harry capì al volo perché mi prese per un polso e mi trascinò sul pianerottolo, chiudendo la porta alle mie spalle. Strabuzzai gli occhi sorpresa da quel gesto e dalla sua decisione, soprattutto perché in quel momento eravamo io e lui, da soli.
«Perché sei qui, Harry?» domandai, ritrovando magicamente la voce.
Lui strabuzzò gli occhi, sorpreso dalla durezza della mia voce, e poi si accigliò, come se si fosse ricordato solo in quel momento il passato. Il nostro passato.
«Volevo vederti» sussurrò dispiaciuto, e seppi che era sincero, ma nonostante tutto sentii un moto di rabbia farsi spazio dentro di me.
«Dopo due anni, Harry?» sussurrai, senza tuttavia nascondere l'amarezza di quelle parole. «Due anni?» ribadii.
Lui abbassò lo sguardo guardandosi le All Star bianche che per quanto fossero pulite, erano decisamente inappropriate a quell'incontro.
Sospirai, «come hai fatto a sapere che ero qui?» chiesi poi.
Lui si strinse nelle spalle, «ho chiesto ai signori James, ho sempre saputo che erano rimasti in contatto con te» sussurrò timoroso delle sue ultime parole.
Trasalii, aveva sempre avuto la possibilità di rintracciarmi, eppure per quei 24 lunghissimi mesi aveva preferito il silenzio e poi? Quando io pensavo di avere davvero superato tutto si presentava lì, più bello di quanto ricordassi, e mandava letteralmente a puttane tutto il duro lavoro che io avevo fatto per dimenticarlo.
«Hai idea di quello che hai fatto?» chiesi, quasi sprezzante, e stringendo le mani a pugni così forte che quando mollai la presa le dita iniziarono a farmi male.
«Becky io...»
«No Harry» lo interruppi, «hai sempre saputo che io ti morivo dietro sin dal primo istante in cui ti ho visto e tu...» le parole mi morirono in gola.
Harry era perfetto, il ragazzo che chiunque avrebbe desiderato al suo fianco.
Era bello, no, bellissimo, intelligente, affascinante, simpatico, educato, gentile, divertente da morire ma serio al momento giusto.
Harry era perfetto per me, perché nonostante i suoi difetti io non facevo altro che desiderarlo sempre di più, ogni secondo che passavamo insieme. Perché nonostante fosse testardo da fare schifo, orgoglioso, un po' vanitoso e ogni tanto egocentrico, io non avevo occhi che per lui. Nonostante passassimo le giornate insieme, a gironzolare a vuoto per il paese, ridere, scherzare, chiacchierare, la sera, quando tornavo a casa e mi coricavo nel letto non vedevo già l'ora di svegliarmi perché sapere che avrei rivisto quel sorriso e quegli occhi malandrini scrutarmi divertiti ogni volta che arrossivo ad ogni nostro - seppur casuale - contatto o a qualche suo - seppur scherzoso - complimento. E io sapevo che lui era pienamente cosciente di quanto io lo desiderassi, tutta Holmes Chapel ne era consapevole, eppure lui non faceva altro che comportarsi da amico. Il migliore degli amici che potessi desiderare, ma pur sempre da amico. Ed io ero troppo timida per smuovere le cose, per cercare di fare qualcosa, infondo, era lui ad avere in mano le redini eppure si ostinava a lasciare tutto così. Probabilmente quello che io provavo per lui non era lo stesso che lui provava per me e per quanto mi avesse fatto male capacitarmene, avevo capito che era meglio averlo solo come amico che non averlo per niente. E poi... Era arrivato il giorno del mio ritorno a casa.
 
Ero davanti al controllo sicurezza, con il bagaglio a mano buttato per terra ed intenta a salutare le persone che avevo conosciuto in quei tre lunghi mesi e che erano arrivate all'aeroporto a salutarmi perché, secondo loro, la festa di addio non era bastata. Abbracciai per attimi interminabili i signori James e i loro figli, che mi stringevano le gambe impedendomi di andare da qualunque parte. Mi asciugai malamente le lacrime con il dorso della mano e tirai su col naso sforzandomi di sorridere.
«Sappi che sarai sempre la benvenuta qua» mi disse la signora James, accarezzandomi una guancia con fare materno.
«Puoi venire quando vuoi, ci sarà sempre un posto per te» intervenne il marito.
Annuii morendomi il labbro inferiore e sforzandomi di non scoppiare di nuovo a piangere mentre li abbracciavo di nuovo. I gemelli mi salutarono, entrambi tristi, mentre seguivano i genitori che si allontanavano, lasciandomi volontariamente da sola con Harry.
Mi voltai verso di lui, rimasto in disparte fino ad allora, e feci un passo nella sua direzione.
«Allora...» esordì, ma prima che potesse aggiungere qualunque cosa gli buttai le braccia al collo e lo strinsi a me come tanto avevo desiderato fare in quei tre mesi.
Harry rimase interdetto per alcuni istanti - probabilmente sorpreso dalla mia audacia - prima di appoggiare le sue grandi mani sulla mia schiena e farci avvicinare ancora di più.
Appoggiai la testa sulla sua spalla, col viso rivolto verso il suo collo, assaporando a pieno la morbidezza della sua pelle e il suo profumo che ero certa non mi sarei dimenticata facilmente.
«Mi mancherai» lo sentii sussurrare così vicino al mio orecchio che le sue labbra mi fecero il solletico.
Quelle parole furono la goccia che fecero traboccare il vaso, o meglio, straripare il fiume in piena che minacciava di superare gli argini. Cercai di trattenere i singhiozzi invano, fui letteralmente travolta dal pianto.
«Ehi... Ehi...» Harry cercò di rassicurarmi, accarezzandomi dolcemente i capelli prima di staccarsi leggermente da me e costringermi a guardarlo negli occhi alzandomi la testa con la mano destra.
«Non piangere» sussurrò quasi, asciugandomi alcune delle lacrime che mi solcavano le guance arrossate, «mica stai andando in guerra» cercò di sdrammatizzare, ma questo servì a poco.
«Ci terremo in contatto, non è impossibile» spiegò, sforzandosi di sorridere.
Annuii cupa, abbassando lo sguardo ma Harry mi costrinse a guardarlo negli occhi, di nuovo. E mi persi in quell'oceano inesplorato racchiuso nei suoi occhi, di nuovo, e che mi accorsi essere più vicino di alcuni istanti prima.
Senza nemmeno rendermene conto, le labbra di Harry si avvicinarono velocemente al mio viso e sfiorarono delicatamente le mie, raccogliendo con loro una lacrima salata che mi era giunta al lato sinistro della bocca.
Trattenni il respiro a quel contatto e nonostante i rumori che riempivano l'aeroporto in quei pochi attimi, sentii il mio cuore battere nel petto più forte e chiaro che mai. Sentivo che le ginocchia mi sarebbero cedute da un momento all'altro e quando Harry si staccò da me mordendo lievemente il labbro inferiore ero pressoché certa che sarei caduta per terra all'istante.
La voce elettronica che annunciava l'imminente partenza del volo per Milano Malpensa mi fece sussultare riportandomi immediatamente alla dura realtà.
«Ti conviene andare, se non vuoi perdere il volo» disse lui.
«Non sai quanto vorrei» mi sforzai di sorridere.
Harry si limitò a spingermi fino alla fila e prendermi la borsa che avevo dimenticato di aver abbandonato lì per terra.
«Fai buon viaggio» mi augurò Harry, sorridendomi per un'ultima volta.
Annuii cupa, e lui si avvicinò di nuovo a me, ignorando il nastro che ormai ci divideva, e mi prese il viso con entrambe le mani baciandomi di nuovo, questa volta più profondamente. Ricambiai interdetta fino a quando qualcuno alle nostre spalle non si schiarì la voce. Ci staccammo immediatamente, entrambi piuttosto imbarazzati, ed io avanzai nella fila.
Non ci staccammo gli occhi di dosso a vicenda fino a quando ci fu possibile.
 
«Mi hai presa in giro» dissi semplicemente, «dopo avermi baciata sei sparito nel nulla, ti rendi conto?» alzai la voce senza nemmeno accorgermene. Harry fece per ribattere ma io continuai imperterrita, «ho provato a chiamarti un centinaio di volte, prima il tuo telefono suonava a vuoto e poi ha iniziato ad esserci la segreteria. Hai idea di quanto questo mi abbia fatto male?» Le lacrime cominciarono a solcarmi il volto senza che nemmeno me ne rendessi conto e mi venne da ridere per quanto quella situazione fosse simile a quella di due anni prima.
«Ero confuso» borbottò lui, torturandosi le mani.
Alzò di scatto gli occhi su di me e rabbrividii quasi, per l'intensità di quello sguardo, «Rebecca tu... Tu mi hai letteralmente fatto impazzire» ammise poi, «in tutti i sensi.»
Trattenni quasi il respiro, per la forza e l'intensità di quelle parole.
«Sei così... Così... Gentile con tutti e... Solare, divertente, ma allo stesso tempo timida e ingenua e io non mi ero mai sentito così legato ad una ragazza. Mi hai preso alla sprovvista e non ho mai saputo come comportarmi. Anche se avessi osato qualcosa in più poi tu te ne saresti andata e non so se sarei riuscito a lasciarti dopo che eri stata mia» concluse la frase con la voce così bassa che feci fatica ad udirlo.
Per un attimo rimasi spiazzata da quelle parole, da una parte così belle perché significavano che Harry non mi era proprio indifferente ma dall'altra così egoiste che...
«E perché mi hai baciata proprio il minuto prima che partissi?» sbottai allora, sentendo di nuovo le lacrime appannarmi la vista.
Harry si passò una mano tra i capelli, frustrato, «non ho saputo resisterti, okay? Non potevo lasciarti andare senza avere la certezza di rivederti e non assaporare quelle labbra così piene e rosee e invitanti e...»
«Basta» lo interruppi decisa, o non avrei resistito e il cuore mi sarebbe scoppiato nel petto all'istante. «Ti prego Harry, basta» lo implorai.
Lui si zittì all'istante, ma solo per un attimo.
«Non sono arrivato per stravolgerti e poi andarmene» mormorò apprensivo, «dovevo scegliere un professore che mi prendesse sotto la sua ala per i due anni di specializzazione dell'università all'estero e indovina chi ho scelto?» domandò.
Non risposi, mi morsi un labbro cercando di reprimere un sorriso nonostante le lacrime mi bagnassero ancora le guance.
«Non ha ancora accettato apertamente ma siamo sulla buona strada» continuò, «tu lo conosci meglio di me, sai com'è fatto.»
Ero a dir poco confusa, nel giro di pochi minuti ero passata dal volerlo prendere a sberle al volergli saltare addosso, ma avevo anch'io una certa dignità così mi trattenni. Inoltre, c'era ancora della diffidenza nei suoi confronti, infondo era piombato lì dal nulla senza dirmi niente, dovevo rifletterci sopra. O forse no. Forse era solo la mia mente che cercava migliaia di scuse, una sola ragione a cui appigliarsi per farlo soffrire almeno un decimo di quanto non avessi fatto io, ma il cuore mi diceva solo una cosa: bacialo.
In quell'istante mi sentii chiamare dall'interno dell'ufficio, «Rebecca!»
La voce del capo mi arrivò alle orecchie forte come un tuono, «devo andare» mormorai, con lo sguardo basso.
Harry annuì apprensivo, prendendo dalla tasca un bigliettino bianco e porgendomelo.
 

"19.30 Duomo, ci incontriamo là"

 
Guardai incredula il foglio, «ti eri già preparato tutto?» domandai.
Lui si strinse nelle spalle, «diciamo che ci speravo. Non sei obbligata a venire, pensaci pure. Io sarò lì ad aspettarti in ogni caso» spiegò, tuttavia senza addossarmi alcuna responsabilità o altro.
Annuii osservando un'ultima volta la sua scrittura in stampatello minuscolo e un po' stilizzata.
«Ci penserò» dissi soltanto, e prima che potessi aprire la porta Harry fece un passo verso di me e mi baciò velocemente ma allo stesso tempo con delicatezza.
Lo guardai sorpresa, se non fosse stato lui, a quell'ora si sarebbe già ritrovato con una guancia dolorante.
«Non sono riuscito a resisterti» cercò di difendersi, feci per dire qualcosa ma la voce del professore mi richiamò di nuovo, sussultai ed aprii immediatamente la porta correndo verso il suo ufficio e facendo già il conto alla rovescia delle ore che mancavano per rivedere Harry.

-

Probabilmente vi starete chiedendo perché sto postando una one shot quando ho Give Me Love e 10 giorni per innamorarmi di te da continuare ma tipo l'altra mattina mentre andavo a scuola mi è venuta in mente st'idea che ho deciso di buttare giù e non so perché ma il fatto che Rebecca (nome puramente casuale haha) fosse di Milano e così mi ha fatto venire in mente la Federica :)
Non è niente di che, anzi, è una one shot lunghissima e spero che non vi abbia annoiati. Il banner fa pure un po' schifo ma l'ho fatto ora di fretta e trovare una foto appropriata di Demi è stata un'impresa!
Fatemi sapere che ne pensate!
Jas


 

   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: jas_