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Autore: dearjoseph    23/10/2012    5 recensioni
Danae prese la pesante macchinetta fotografica appesa al collo e la puntò appena più in alto.
Ecco, era quella la lente in grado di ricordarle che non poteva essere sempre tutto nero, bianco e grigio.
La conferma che di colori il mondo ne offre in quantità, ma che spetta ad ognuno scegliere su dove puntare l’obiettivo; se sul rosso fuoco di un papavero, il blu profondo del mare, o il bianco candido della neve.
Irrilevante, freddo, noioso bianco.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter One

Danae odiava il suo nome; così insolito, praticamente inestistente in realtà, frutto solo della stravagante fantasia dei suoi genitori.
Perchè Danae? Facile, perchè i suoi erano entrambi professori di letteratura con una fissa per la mitologia greca.
Cosa poteva esserci di peggio? Domanda retorica, naturalmente.
Per colpa della spiccata fantasia dei Signori White, Danae era stata costretta ad imparare a memoria il significato del suo nome e la sua provenienza, scenetta che prontamente recitava con ben poca enfasi a chiunque le chiedesse spiegazioni. La gente sembrava affascinata da quella storia, ma lei non riusciva a capirne il perchè. In fin dei conti era solo la triste storia di una ragazza costretta a vivere in una torre da un padre squilibrato che non voleva avere dei nipoti, ma che nonostante tutto concepì un figlio con niente di meno che il dio Zeus. Assurdo.
E come se non bastasse, la leggenda legata al suo nome le risultava alquanto ridicola, soprattutto se veniva collegata a lei: Danae infatti non aveva la minima intenzione di sposarsi, o avere dei figli.
Trovare qualcuno con cui passare la vita magari si, ma non nutriva grandi speranze nel solito eterno ed immacolato per sempre.
Nulla era per sempre, e lo aveva già provato sulla sua pelle.
Alcuni la definivano pessimista, scettica, ma lei si sentiva semplicemente realista.
Era inevitabile che il tempo prima o poi finisse, così come che l’amore si affievolisse o un’amicizia mutasse fino a perdere quasi d’importanza.
L’unica cosa che non mutava era la memoria. Quella andava preservata, a tutti i costi.
E forse era per questo che amava così tanto la fotografia; un oggetto così sottovalutato come la fotocamera rendeva eterni i ricordi, li imprigionava su un pezzo di carta plastificata a disposizione di tutti coloro che ne volessero fare uso. Una fotografia poteva raccontare una storia, poteva rimandare a ricordi belli, altri meno piacevoli, altri ancora del tutto ignorati fino a quel momento.
Ma cosa più importante, una fotografia faceva in modo che nessuno venisse dimenticato.
 
Il vento che si era alzato all’improvviso cominciò a far svolazzare le pagine del libro che la giovane aveva tra le mani, non permettendole più di proseguire nella lettura. Danae piegò l’angolo superiore della pagina alla quale si era fermata e lo ripose nella borsa mentre i capelli le si appiccicarono al viso. Prima ancora che avesse il tempo di prendere un elastico e legarli in uno chignon improvvisato, la folata di vento cessò di disturbarla e quello che rimase fu solo il lieve fruscio proveniente dalla chioma dell’albero proprio sopra la sua testa.
Quel giorno il Regents Park non era troppo affollato, il che poteva sembrare strano dato che nessun londinese si spaventava davanti a qualche nuvolone scuro qua e là. Tutti erano piuttosto abituati a quella situazione. Inoltre, era una giornata mediamente calda per gli standard e c’era persino il rischio che il sole spuntasse da un momento all’altro.
Tuttavia quell’insolita situazione non la rallegrava nè la turbava più di tanto. In realtà non la toccava minimamente, perchè anche se ci fosse stata metà della città chiusa in quel parco lei sarebbe comunque riuscita a trovare un bell’albero al quale appoggiarsi e passare un paio di ore di tranquillità, accompagnata magari dall’innoqua presenza di qualche scoiattolo curioso o alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Stava quasi per decidere di tornare a casa, quando il sole fece capolino tra due nuvole e un paio dei suoi raggi la colpirono. Danae alzò il volto e, come ammaliata da quello spettacolo, cominciò a muovere istintivamente le mani nella sua borsa alla ricerca della macchinetta fotografica.
Non poteva non immortalare quel meraviglioso gioco di luce e colori, i raggi del sole filtrati dal fitto fogliame dell’albero che era diventata la sua dimora per quel pomeriggio lo rendevano un paesaggio davvero suggestivo.
Un gruppo di bambini che si rincorrevano l’un l’altro attirò la sua attenzione mentre era intenta a percorrere il viottolo che l’avrebbe condotta all’uscita principale. Sorrise, soddisfatta di quegli scatti che raffiguravano i volti di quei ragazzini sorridenti, pieni di vita e dotati di quell’incapacità di vedere il male che tanto caratterizza la fanciullezza.
Il telefono cominciò a squillare ma Danae non ci fece troppo caso dato che immaginava già chi fosse l’emittente della chiamata. Come risposta, invece, cercò di affrettare il passo.
Si guardò un pò attorno, come faceva sempre, e non potè fare a meno di notare un ragazzo che correva: canotta nera e un paio di pantaloni chiari fino al ginocchio; un abbigliamento insolito se si pensava ai diciotto gradi che incombevano sulla città quel giorno.
Ma non fu quello a far si che la ragazza puntasse l’obbiettivo su di lui. Anche ad una certa distanza, non si poteva discutere sulla buona preparazione atletica del giovane e soprattutto sull’ammirevole forma fisica.
Dopo aver fatto un paio di scatti, Danae lasciò cadere la macchinetta all’interno della tracolla e si incamminò verso l’uscita del parco, luogo dove anche il ragazzo si era appostato, forse stanco per la lunga corsa alla quale si era sopposto.
La giovane comandò a se stessa di guardare in modo discreto e non troppo invadente quando gli fosse passata accanto, ma si lasciò tentare dal farlo quando vide che lui era voltato di lato.
E comunque quel ragazzo non avrebbe fatto caso a lei neppure se gli fosse caduta tra le braccia, questo era più o meno quello che pensò tra sè e sè.
Danae ebbe così il modo di notare il suo respiro irregolare dalle spalle e il torace che si alzavano e abbassavano più velocemente del normale, prima che lo vedesse stirare le braccia verso l’alto e ricominciare a correre nella direzione opposta alla sua. I muscoli delle braccia sembravano guizzare ad ogni movimento e, nonostante la temperatura bassa, erano ricoperti da un velo di sudore che continuava sulla maglia per tutta la lunghezza della schiena.
Quando la ragazza diede un’ultima occhiata al moro prima che uscisse definitivamente dalla sua visuale, si pentì per non essere riuscita a vederlo in volto ma poi si disse che non aveva alcuna importanza.
In fondo era solo uno sconosciuto, no?
Eppure, durante il tragitto verso la metropolitana, e anche dopo, si ritrovò stupita dal fatto che più e più volte l’immagine di quel ragazzo che correva le si era presentata davanti all’improvviso.
Non che fosse stata particolarmente colpita dal suo fisico palestrato ma asciutto nei punti giusti, dai riccioli corvini, o da quella vena sul collo che giurava di poter ancora veder pulsare per il recente impiego di forza fisica, proprio no.
 
Quando rientrò a casa, fu subito assalita dal fratello che non le lasciò nemmeno il tempo di togliere il giubbotto.
“La mamma ha detto che domani mi porterai al cinema!” la voce entusiasta di Joshua la travolse e solo dopo un pò capì che quella frase era rivolta a lei.
“Io non ho mai detto una cosa del genere” si giustificò Danae, scocciata del fatto che sua madre promettesse sempre cose impossibili e poi toccasse a lei sistemare tutto.
“Ma lo sai che quando la mamma dice una cosa noi dobbiamo rispettarla” il tono serio e autoritario del fratellino la fece sorridere. Joshua era un ragazzino vivace, loquace e dimostrava sicuramente più dei sette anni che aveva compiuto da nemmeno una settimana. A volte dimostrava una maturità tale a quella della sorella di venti, e questo faceva andare Danae in bestia, ma tutto sommato era un buon fratello minore.
Lei lo amava più di chiunque altro al mondo, nonostante i modi bruschi con in quali alle volte gli si rivolgeva e nonostante non glielo confessasse tanto spesso quanto doveva.
“E da quando fai caso alle regole della mamma?” lo sfidò lei e Joshua era già pronto a replicare se non fosse stato per la madre che li aveva raggiunti e li guardava dalla soglia della cucina.
Prima ancora di salutarla, fece segno alla ragazza e le indicò con la mano il tavolino scuro sul quale era impossibile non notare la bianca lettera che giaceva sopra. Danae si avvicinò cauta a quel pezzo di carta e, prendendola in mano, il suo cuore perse di sicuro qualche battito.
La lettera era firmata a caratteri stampati dal London College of Communication, e lei cercò di scartarla prima ancora di avere il tempo di pensare sul perchè la sua università la stesse contattando.
 
 
 


Ciao a tutti! Ho un pò di cose da dirvi, perciò non mi dilungo:

  1. Il nome Danae è insolito, lo so. Ma da quando l’ho sentito ne sono rimasta affascinata, quindi ho voluto usarlo come nome di questa protagonista altrettanto insolita. Alcuni diranno “e che noia”, ma questo pessimismo che si respira nell’aria è dovuto ad una storia che per ora non vi racconterò MUAHAHAHAHA (?)
  2. il primo capitolo ha avuto solo 2 recensioni. Non credo di continuare con così pochi commenti (o almeno, la continuerò ma non la pubblicherò), quindi confido in voi LOL
  3. se avete consigli sarò contentissima di riceverli, davvero. Avrei bisogno di tante belle critiche costruttive, quindi fatevi avanti.
  4. Credo di aver finito
  5. Ah no! Come avete visto tutta la storia si svolge a Londra, mi ero stancata della solita New York, Los Angeles ecc.

Starete già dormendo sulla tastiera o avrete già chiuso la pagina quindi mi chiedo cosa ci faccio io ancora qui...

Alla prossima,
Martina 

  
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