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Autore: Ely79    23/10/2012    3 recensioni
Mala è la cartografa dell'aeronave Zenobia, ma la sua mente è ben distante dalle rotte e dalle mappe. I suoi pensieri sono rivolti all'ultimo giorno di scuola di Ester, sua figlia, ed alla sorpresa che le ha preparato. Ma il viaggio riserverà qualcosa anche a lei...
Storia prima classificata al "Miscellaneous - Un altro Diabolico Contest" indetto da Releeshahn.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V - Minutae res
Aleena

V – Minutae res1

Ai piedi della torre, su un palchetto rialzato, Ester stava bevendo vino da una coppa allungatale di nascosto dallo zio. Assaggiava incerta il contenuto della coppa, sorridendo divertita al sileno dallo sguardo ammiccante e la carnagione olivastra che la incitava sottovoce.
La navigatrice assottigliò lo sguardo, dando di gomito al proprio compagno.
Si erano allontanati dalle tavolate ancora gremite di gente per accomodarsi su un grande mucchio di fieno dietro al quale s’indovinavano deboli nitriti, sbuffi bovini e gemiti soffocati. La mastodontica figura di Delizia campeggiava ai piedi di Torre Mileto, intenta a carpire i segreti della cucina locale. Farisa doveva aver trovato qualche sciagurato abbastanza brillo da essere trascinato fra le ombre della scogliera.
«Sai, vero, che stanotte ucciderò tuo fratello?» sibilò, lo sguardo furibondo fisso sulla scena.
Disteso sul fianco sinistro, Tancredi strizzò un seme di finocchio tra i denti, mascherando un moto di stizza.
«Mettiti in coda, vanto molti più crediti di te» rispose calmo, guardando nella stessa direzione.
«Io sono sua madre. Devo proteggerla!» sbottò, intingendo un pezzo di pane nell’olio rimasto sul fondo del piatto tra di loro.
«Ester non l’hai fatta da sola, posso esigere la mia parte di diritti genitoriali» le rammentò, addentando un torcinello2.
«Tu sei responsabile per quello scapestrato!» sbraitò, indicando il cognato che tracannava vino direttamente da un otre, sbrodolandosi sul petto e sulle gambe. «Venti e bonacce, guardalo! Dar da bere a una ragazzina! Quale adulto con un po’ di buon senso lo farebbe? Erehwyreve naeco na ekil».
«A maggior ragione, lo ammazzo io» decretò, chiudendo il discorso.
Mala si morse la lingua, tornando a sedere composta. Poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui era riuscita a zittire il suo uomo. Riprese a mangiare con calma pezzi di carne arrostita, seguitando a tenere d’occhio il cognato, fortunatamente reso inoffensivo dal suo ruolo di musicista.
Attorno, la festa era un crescendo di risa sguaiate, richiami, bicchieri che sbattevano, schiocchi di legna, onde nascoste nel buio. Il divertimento saliva di livello man mano che il vino e il cibo scendevano nelle gole. E la pizzica che seguitava imperterrita a scandire il tempo di ogni gesto, strappando sorrisi anche a chi aveva la mente offuscata dal vapore di altri pensieri.
«Cos’è successo, questa mattina?» domandò a un tratto Tancredi.
«Nulla, perché?» rispose, piluccando distrattamente una ciotola di olive condite col finocchio selvatico.
«Ester mi ha detto che fissavi una donna. Non sapeva se la conoscessi o meno, però ha notato che avevi un’espressione strana. Diceva di non averti mai vista con una faccia del genere».
«Che faccia?»
«Non riusciva a trovare una definizione adatta. Diceva che sembravi arrabbiata, incattivita, ma anche triste. E ha detto anche che avete parlato della tua famiglia mentre venivate qui».
Lei fece un sorriso tirato, inghiottendo il boccone poco alla volta nella speranza di sottrarsi alla domanda. Non le andava proprio di parlare di quella donna, anche se il tarlo le girava in testa di continuo. Le tornava in mente il suo sguardo di assoluta sufficienza, i modi da matrona vissuta e saccente, l’illusorio scudo dell’insoddisfazione con cui si difendeva dal confronto con la realtà.
Inavvertitamente, strinse le dita sulla coppa fino a far sbiancare le nocche.
Tutto d’un tratto, il ritmo forsennato della pizzica aveva perso d’allegria e le risate della gente riecheggiavano lontane. Poteva quasi sentire le onde del mare sovrastare ogni cosa.
«Che faccia avevi, Mala?» insisté Tancredi, masticando lentamente.
«Ero invidiosa» confessò a denti stretti.
Tancredi soppesò la risposta accompagnandosi con un paio di sorsate, l’espressione da ingranaggio pronto alla rotazione.
Intanto la musica dei tamburelli aveva lasciato il posto alla voce lamentosa e struggente di una cantante, mentre sotto la torre tutti ascoltavano in silenzio. I falò allungavano a dismisura le ombre sulle magre sterpaglie e sulle mura sbrecciate.
«Invidiosa» ripeté assorto. «Perché? Cos’aveva di tanto speciale?»
Mala gettò indietro il capo, facendo tintinnare gli ornamenti fra i capelli. Di solito non aveva problemi nell’esporre i propri pensieri, eccezion fatta quando la facevano sentire sciocca. Come in quel momento.
«È fortunata e neppure se ne rende conto. Lei può vedere i suoi figli crescere giorno per giorno, può essere al loro fianco quando hanno bisogno di un consiglio, di un abbraccio… non deve interrogarsi ogni secondo della giornata se stiano bene, se siano felici, cosa stiano facendo… se sentano la sua mancanza…» spiegò, soffocando un singulto dietro una lunga sorsata di vino.
Tancredi le posò la mano cigolante sulla spalla. Quel dannato sostegno si faceva sentire sempre nei momenti più inopportuni.
«Malvina…» cominciò, ma fu subito interrotto.
«Non riesce a capire che grande fortuna abbia e delega ogni cosa ad altri» proseguì, la voce che s’induriva in un ringhio dentro alla coppa. «Non so cosa darei per stare vicino a Ester ogni santo giorno, per poterla aiutare quando ne ha bisogno, senza che debba attendere giorni o settimane in attesa di una risposta da quelle dannate onde radio! Vorrei poter essere più presente. Non voglio diventare come mia madre, non voglio allontanare nostra figlia».
Quel pensiero la tormentava dal mattino e quando aveva parlato con Ester non aveva fatto altro che peggiorare il suo senso d’inadeguatezza. Eppure, al di là del dispiacere, del vuoto nella vita della figlia, Mala aveva una certezza.
«Ho fatto una scelta, anni fa. Ho voluto staccarmi da terra per trovare me stessa e il mio destino. E ora, la vita che mi sono costruita e che desideravo mi tiene lontana dalla cosa più preziosa che ho. E quella… quella! Speerc retaw!» imprecò furibonda. «Dava tutto per scontato, riteneva che ogni cosa le fosse dovuta, al punto tale che nemmeno ricordava il nome dei figli e pretendeva le ubbidissero comunque, solo perché facesse bella figura! Li ha resi dei trofei da esibire per appagare il suo ego, per rispondere a quello che le hanno messo in testa e che ha accettato senza batter ciglio senza domandarsi se fosse giusto o sbagliato. O forse l’ha fatto, ma ha scelto di non voler conoscere la risposta. Troppo comodo starsene in bonaccia ad aspettare il traino. Serats ylpmis noitan a sa» commentò prima di intingere un altro pezzo di pane nell’olio.
Tancredi tacque riguardo al come fosse venuta a sapere dei dettagli: conosceva bene le capacità della sua donna d’ottenere informazioni tramite l’osservazione e l’ascolto dei discorsi altrui. Un metodo da investigatore e da mercante, necessario a carpire i segreti che potevano determinare l’esito di un affare.
«Perché te la prendi tanto? Nostra figlia è in gamba, sa cavarsela benissimo da sola. E poi, passa la maggior parte del tempo in un posto sicuro, non al nostro fianco, rischiando di farsi male o peggio. Abbiamo deciso insieme che avremmo cercato di proteggerla ed evitarle di correre pericoli per causa del nostro lavoro e per ora ci stiamo riuscendo. Anche se non stiamo vicino a Ester ogni giorno, sa che ci siamo e che i nostri pensieri sono sempre rivolti a lei. E che siamo sempre pronti ad aiutarla, in qualsiasi momento, in ogni modo ci sia possibile» la rassicurò.
«Mi fa rabbia lo stesso. Come si può sprecare un dono del genere?»
La sua voce era carica di amarezza, di parole non dette.
«Stai pensando di abbandonare?» le chiese, aggiustando l’imbottitura tra il tutore e il gomito.
Mala sospirò, esitando un istante mentre giocherellava con uno dei monili della sua chioma.
«No» ammise infine. «A terra morirei. Perderei il rispetto per me stessa e quello che ho ottenuto fino ad ora. I sacrifici fatti diventerebbero inutili e non li ho fatti solo per me stessa, ma soprattutto per Ester, per il suo futuro».
Tancredi la fissò a lungo, l’occhio cieco che pareva più severo di quello sano.
«Cosa c’è?»
«Lo sai» rispose con una smorfia eloquente.
«Oh, niar gnillihc» replicò Mala, stizzita, ma lui non aveva intenzione di far cadere il discorso.
«Non ci sei ancora riuscita» la rimproverò.
«Pensi che sia stato facile per me, lasciarmi tutto quanto alle spalle? Dimenticarmi ogni cosa, tutto quello che ho dovuto sopportare?» rimbrottò seccata, tracannando l’ultimo sorso di vino. «Il passato non si cancella mai del tutto, ci si può solo soffiare sopra per renderlo più evanescente, come fa il vento con le nuvole. Però, per quanto m’impegni, c’è sempre qualche brandello che sfugge all’alito del tempo. A volte ho come l’impressione di avere le scarpe piene di quei fastidiosi sassolini… hai presente?»
«No, perché non mi pongo la marea di problemi che ti fai tu. Non riesci a dimenticare, non riesci a smettere di dare importanza a fatti e persone che non ne hanno mai meritata. Ti ostini a rimuginare su cose insignificanti» spiegò Tancredi, allungandosi sul mucchio di fieno. «Io ho smesso da tempo. Se ho di fronte persone che mi rispettano e che dimostrano di meritare qualcosa da parte mia, allora sono ben disposto a concedere ciò che è opportuno nei loro riguardi. Se invece m’imbatto in disprezzo e gesti che mi indispettiscono, tanti saluti. Non si fanno affari con chi non ha di che pagare, né con chi scambia l’oro con la sabbia. Mi libero all’istante delle cianfrusaglie che mi danno noia e appesantiscono il mio navigare, anche quando sfiorano soltanto i miei piedi. Pazienza se un giorno mi ritroverò ad avere poche persone attorno, saprò che sono quelle giuste. Saranno quelle che si sono guadagnate il mio rispetto e la mia stima, quelle su cui saprò di poter contare. Quando sarai riuscita a farlo anche tu, tutte quelle piccole cose che avrai dato via non ti tormenteranno più, non getteranno ombre sul tuo presente e riuscirai a vederle per ciò che sono: solo piccole cose passate e inutili».
Mala osservò per diversi minuti il suo uomo, meditando sulle parole appena dette. Non era la prima volta che ne parlavano, così come non era la prima volta che lui la riprendeva per quell’atteggiamento. Aveva l’impressione che dell'acqua entrasse attraverso le finestre della sua mente e del suo cuore, ribollendo sulle scale della sua storia personale, quasi avesse l’intento di lavare via quelle piccole cose – come le aveva chiamate lui – per ripulirle dagli anni di acredine in cui le aveva lasciate macerare.
Dopo tutto, era solo colpa sua se non scioglieva completamente quelle catene: aveva la chiave per aprirle, ma si rifiutava di usarla, temendo, suo malgrado, che una volta aperte queste l’avrebbero privata dello stimolo ad andare avanti. Era scappata dal collegio per dimostrare di essere più forte del male ricevuto, e per farlo si era aggrappata all’odio sommesso che si portava dentro, anche se ridotto al lumicino.
Che motivo aveva ora, di tener vivo quel legame? Perché insistere, quando non ne aveva più motivo? Le persone che popolavano il suo passato non avrebbero visto chi era divenuta, ciò che aveva realizzato con le sue forze e i suoi sogni. Non avrebbero potuto scorgere il futuro e cambiare idea in quei giorni lontani, per darle ciò che le avevano negato.
Ora aveva mille altri motivi per essere orgogliosa delle scelte fatte. Ed il primo, il più grande e bello, quello attorno a cui ruotavano le sue scelte di ogni giorno, era lì, su quell’aia, che ballava la pizzica agitando un drappo di seta scarlatta. Rideva, saltellava, seguiva il gruppo di ragazzine al centro delle danze. Vederla così felice le riempiva il cuore d’orgoglio: niente al mondo era paragonabile a sua figlia.
O al suo uomo. Lui ed il modo che aveva di farle sublimare ogni goccia di ansia e rabbia, facendole gocciolare fuori del motore della sua anima. Lui, che pur senza ammetterlo apertamente, condivideva il suo desiderio di riunire la loro famiglia, di cancellare le distanze che abitualmente li costringevano ad aspettare che il vento portasse a ciascuno la voce dell’altro.
Mala gli sorrise, gli occhi nuovamente sereni. Non aveva bisogno di un astio vecchio come le pietre della torre per dimostrare quanto valeva. Perché non se ne era resa conto prima?
«E adesso non ci saranno errori» mormorò, prendendolo per mano.
Lui avrebbe voluto rispondere, ma si accorse che stava parlando a sé stessa. Le allungò il calice ormai vuoto.
«Pensa a qualcosa di più interessante. Ad esempio a riempire questo: ho sete» scherzò.
«Posso?» cinguettò Ester, comparendo dal nulla e buttandosi a corpo morto tra i genitori che fecero appena in tempo ad afferrare i piatti per evitare che ci finisse sopra.
«Ci siamo date alla pazza gioia, eh?» la canzonò severa la madre, notando il rossore sulle guance.
Se suo cognato aveva mancato di un soffio la condanna a morte, era solo perché Ester li aveva raggiunti sana e salva.
«Anche tu» protestò lei, mettendosi a sedere e abbracciando il padre.
«Io sono solo un po’ allegra, tu hai già abbondantemente passato il limite imposto alle signorine per bene».
«Io reggo benissimo il vino! Quello che ci passa Suor Celestina dopo messa è più forte di questo qui. E ne bevo anche di più!» obbiettò, tornando ad appoggiarsi contro il petto di Tancredi.
«Suor Celestina… cosa?» domandò l’uomo, colto alla sprovvista dalla rivelazione.
«Ci da il vino della Messa!» ripeté intontita. «E poi, anche mamma lo beveva. L’ha detto Suor Celestina».
Ecco come l’unico collegamento tra la sua infanzia e quella di sua figlia fosse diventato un problema. Altro che pia donna: era una santa sputata fuori dall’Inferno!
«Un piccolo segreto del collegio» si schermì Mala, facendo una smorfia colpevole e addolorata.
«Piccolo segreto? E quelli grossi quali erano?»
La donna fece spallucce roteando gli occhi come chi aveva una colpa da tacere, la ragazzina invece si mise seduta a fatica, ondeggiando e con i capelli bruni arruffati.
«Il segreto grosso è che io e Cristina nel turibolo ci abbiamo messo il granoturco. L’altare tuuutto pieno di palline biaaanche che scoppiavano… pah! Pah! Pah! Padre Anselmo urlava che gli angioletti stavano facendo la cacca…» biascicò Ester, sbadigliando e lasciandosi cadere all’indietro sul fieno imitata da Mala.
«Non vuoi raggiungerci, vero?» chiesero in coro, tendendo entrambe una mano.
Sfoggiavano un sorriso talmente tenero e perfido che Tancredi, mentre si stendeva e le prendeva fra le braccia, non poté fare a meno di pensare a quanto le sue donne fossero simili.


1 Minutae res: piccole cose
2 Torcinello: specialità tipica della provincia di Foggia. Potremmo definirlo una sorta di involtino fatto con budello di agnello, farcito con pezzi di interiora (fegato, polmone, cuore).
   
 
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