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Autore: _Rockstar_    23/10/2012    1 recensioni
Che cosa sarebbe successo se i 76esimi Hunger Games fossero stati istituiti veramente? Cosa sarebbe successo se la ghiandaia imitatrice non avesse ucciso la Coin e il loro malvagio progetto fosse andato a buon fine? Cosa sarebbe successo se ventiquattro ragazzi di Capitol City fossero stati gettati in una nuova arena soltanto per vendetta da parte degli altri distretti? Attenzione: Spoiler de "Il canto della rivolta".
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XIV – Era la morte


Quando riaprii nuovamente gli occhi mi ritrovai sdraiata su di un lettino, simile a quelli di un ambulatorio di Capitol City, il cuscino sotto la mia testa era stato rimboccato da poco mentre le lenzuola erano quasi del tutto stropicciate sul pavimento. Vedevo tutto bianco. La mia pelle era bianca, la branda era di colore bianco pallido, le pareti ed il soffitto erano intonacati di bianco, le persone che si muovevano frettolosamente a fianco a me indossavano lunghe tuniche bianche. Provai a muovere lentamente la mano destra e per mia grande sorpresa non avevo perso sensibilità in essa, così provai con tutti gli arti che avevo. Sembravo stare bene, mi sentivo bene. Cercai di alzarmi ma uno degli uomini bianchi mi vide e con parole che feci fatica a comprendere mi obbligò a restare sdraiata. Ma dove mi trovavo, cosa era successo? L’ultima cosa che mi ricordavo erano dei frammenti disconnessi di una stessa immagine: una piccola porta ricoperta di rose rosse. Il mio cuore batteva forte, il freddo mi faceva tremare e la testa mi pulsava. Guardai nuovamente il soffitto chiaro cercando di ricordare cosa era successo, a piccoli passi. Mi ricordavo di essere entrata in un’arena, ricordavo di aver visto Nita uccidere due ragazzini, ricordavo di avere scoperto il segreto che si celava dietro all’acqua di quel luogo e avevo un vago ricordo su di un ragazzo steso ai miei piedi, sperai non fosse Declan, la mia memoria era davvero confusa. I medici, presupponendo che lo fossero davvero, mi aiutarono ad alzarmi molto lentamente. Indossavo ancora gli abiti che avevo nell’arena, ma la chiazza di sangue sul fianco destro era sparita, così come la ferita. Al suo posto si trovava un bendaggio che mi circondava tutto il busto, quasi a sorreggermi. Avvicinai cautamente una mano alla benda ma non sentii nessun dolore, probabilmente nel periodo in cui rimasi svenuta quei tizi dal camice bianco erano riusciti a far rimarginare la lacerazione che mi aveva procurato la spada del ragazzo. Ora mi ricordavo, non era Declan. Fortunatamente. Gli uomini uscirono dalla stanza ma qualche secondo dopo vidi apparire sull’uscio della porta un volto a me molto famigliare. Era Senan.
– Rose, cara – esordì abbracciandomi.
Io rimasi lì immobile, avevo passato quei due giorni praticamente da sola e non avevo mai pensato a quanto potesse mancarmi un po’ di calore umano, la compagnia di un amico.
– Senan – sussurrai io di rimando. Ero davvero felice di rivederlo, non avrei mai pensato di poterlo rincontrare nuovamente.
– Sono felice di poterti rivedere – continuò accarezzandomi dolcemente una guancia. Ora lo capivo. Era il padre che non avevo mai avuto, ecco perché mi ero affezionata così tanto a lui.
– Anche io – gli risposi dolcemente
– C-cosa è successo? – continuai subito dopo.
Non avevo ancora ben chiaro cosa realmente fosse accaduto poco tempo prima, mi servivano degli aggiornamenti.
– Sei stata ottima, hai compreso alla perfezione il messaggio della tua mentore e sei riuscita a trovare l’uscita in un attimo. Ci sono molte persone, là fuori, che tifano per te – mi rispose sorridendo.
Non sapevo se esserne felice oppure no. Potevo accogliere il primo merito, ma forse non il secondo. E poi, avevo veramente bisogno della gente là fuori che mi idolatrava?
– Declan ha trovato l’uscita, non io. A proposito, come sta?  - chissà da quanto tempo non lo vedevo, erano passati giorni, mesi, oppure anni?
– Sta bene, ha riportato qualche ferita ma niente di grave – disse serrando la mascella e con voce più dura del solito ma non ci feci caso.
– Che Arena era quella? Non mi sembra di averla mia vista prima – confessai, non l’avevo ancora capito.
– Era l’Arena della cinquantesima edizione, la seconda della memoria. Il vincitore fu Haymitch Abernathy, distretto dodici, l’uomo che hai incontrato quel giorno dei punteggi degli sponsor, ricordi? – annuì. Mi era sembrato un uomo davvero spaventoso, mi dicevano che fosse sempre e perennemente ubriaco ma a quanto pare  si rivelò molto utile a Katniss e Peeta, chissà…
- E ora cosa succederà? – gli chiesi timorosa. La risposta che mi aspettavo suonava più o meno così: “ Ora puoi tornare a casa, Rose. E’ tutto finito”
– Dovrai affrontare la seconda Arena, ma ricorda i consigli che ti ho dato due giorni fa e nulla andrà storto, te lo prometto – Oh, erano passati due giorni.
Mi porse poi i nuovi abiti, quelli che avrei dovuto indossare ora i quali non erano molto differenti dai precedenti ma almeno erano puliti e profumati. Non potevo e non volevo credere di dover affrontare quell’inferno nuovamente ma che altro potevo fare? Nulla, esatto. Mi vestii molto lentamente, quasi a rallentatore. Stavo cercando di fermare il tempo forse. Non volevo che quel momento arrivasse, non ero pronta e probabilmente non lo sarei mai stata. Due pacificatori mi accompagnarono nella seconda sala di lancio. Bevvi nuovamente un bicchiere d’acqua. Le mie labbra erano davvero secche e screpolate e non vedevano l’ora di essere bagnate, me ne accorgevo soltanto ora. Senan mi applicò nuovamente la spilla alla maglietta, non l’avevo notato ma probabilmente me l’avevano tolta subito dopo essere uscita dall’arena. Il mio stilista l’aveva presa, forse per non rischiare che la confiscassero.
– Sei pronta? – mi chiese sussurrando. Io annuii poco convinta. Dovetti risentire nuovamente la voce della donna che annunciava i secondi rimanenti, ah quanto la detestavo, mi dava sui nervi. Mancavano dieci secondi così a piccoli e lenti passi mi posizionai sulla stessa piattaforma su cui avevo appoggiato i piedi due giorni fa, o almeno una identica. Presi un profondo respiro e chiusi gli occhi. Quando gli riaprii non vidi ciò che mi aspettavo di vedere. Non vidi la luce del sole come in precedenza, vidi il buio. Il buio totale. Mi guardai intorno ma lo spazio che avevo per muovermi non era abbastanza sufficiente. Dove diamine di trovavo? Qualcosa mi diceva che non ero nemmeno in piedi perché le mie mani potevano sentire del terreno freddo e bagnato proprio sotto la mia schiena. Portai le mani in avanti ma vennero subito bloccate da una barriera, come se una lastra di legno fosse stata posizionata sopra il mio corpo.  L’unica piccola luce che vedevo proveniva da un piccolo forellino che era stato lasciato aperto, largo più o meno quanto il mio indice. La cosa che mi traumatizzò di più fu l’udire il countdown dell’inizio dei giochi ma non vedere da dove il suono provenisse. Avevo paura che sarei rimasti ferma lì per tutta la durata dei giochi e probabilmente sarei morta senza riuscire a rivedere la luce. Appena ebbi sentito il fischio di inizio cominciai a battere furiosamente sulla parete di legno, non causando danni relativamente gravi. Con le mani cercai nel mio piccolo spazio qualcosa che avrebbe potuto rompere quella lastra e lo trovai. Afferrai qualcosa che basandomi soltanto sul mio tatto poteva assomigliare ad un chiodo di lunga fattezza e con esso cercai di rompere la lastra, iniziando proprio dall’unico spiraglio di luce, aiutandomi anche con le mie stesse mani e unghie se fosse stato necessario. Dopo qualche minuto di intenso nervosismo, paura e ansietà, sentii la prima asse cominciare a muoversi, così continuai a colpirla ripetutamente ancora ed ancora, finché essa non saltò via. Adesso potevo vedere uno scorcio molto più ampio del paesaggio, ma l’unica cosa che vidi fu un ombra che tornò a coprire lo spazio che mi ero ricavata. Lo sentivo respirare, sentivo il suo cuore battere e avevo sentito i suoi passi avvicinarsi. Era la morte. Chiusi gli occhi e qualche secondo dopo sentii il rumore delle assi restanti che si disintegravano. Poi rividi la luce. Qualcuno mi afferrò per un braccio e con molta forza mi tirò fuori dal quel terrificante luogo.
– Sei tu! – urlai di gioia abbracciando Declan che era venuto a salvarmi.
Mi guardai intorno. Era notte e l’unica fonte di luce era la luna, pallida e fioca. Ci trovavamo in un antico cimitero, dietro, a fianco e davanti a me potevo vedere soltanto lapidi e macabre statue a perdita d’occhio. Mi portai le mani al volto, non potevo credere di essere stata seppellita viva. Mi venne quasi da piangere ma non feci nemmeno in tempo ad urlare che il ragazzo mi tirò su quasi di peso e mi trascinò correndo fuori di lì, lontano da quell’incubo. Mi girai indietro e in lontananza potevo vedere delle braccia che si facevano spazio tra la terra e le assi di legno, gli altri tributi che cercavano di uscire dalle loro bare. Avevamo poco tempo prima che ci venissero incontro. Corremmo giù per una lunga scalinata che ci portò direttamente all’interno in una cripta oscura, la cornucopia. Gli zaini e le armi erano state poste proprio lì, affianco a tombe di persone di cui non volevo nemmeno leggere il nome
– Prendi tutto ciò che puoi, non abbiamo molto tempo – mi sussurrò in grande fretta Declan mentre racimolava zaini su zaini.
Io mi addentrai nelle armi, ce n’erano di tutti i tipi, dalle spade, alle asce, ai pugnali, all’arco…l’arco. Lo vedevo scintillante proprio davanti a me, ve n’era soltanto uno, forse fatto apposta per me. Lo afferrai e con un mezzo sorriso sul volto me lo rigirai in mano ancora ed ancora.
– Rose, muoviti! – mi gridò Declan con un tono decisamente più alto del sussurro.
Afferrai la faretra e senza nemmeno pensarci afferrai il primo zaino che vidi. Potevo chiaramente sentire dei passi avvicinarsi, erano sicuramente gli altri tributi. Inseguii Declan fuori dalla cripta ritornando sulla collina sulla quale erano sparse le lapidi. Iniziai ad osservare ed ad ascoltare attentamente i passi e ciò che vedevo all’orizzonte. Poi ad un tratto vidi il primo ragazzo avvicinarsi anche lui correndo… anzi mi correggo: era una ragazza. Più la vedevo avvicinare e più la riuscivo a distinguere. Fui felice di comprendere che fosse Abigail ad arrivarci incontro. Probabilmente si era accorta di noi perché ora aveva aumentato il passo e stava correndo felice verso di me per abbracciarmi o per uccidermi, l’avrei scoperto molto presto. Ci abbracciammo purtroppo per troppo poco tempo. Potevo considerarla la mia migliore amica e non potrei mai trovare le parole per descrivere quanto mi fosse mancata e quanta paura avevo di perderla.
– Sei qui, sei qui…- ripeteva lei sussurrando mentre mi stringeva quasi a stritolarmi, ma ne ero felice
– Si e anche tu. Questo è l’importante – eravamo entrambe vive, non mi importava d’altro.
– Non hai molto tempo Abby, prendi tutto ciò che riesci e corri via – la implorai quasi, lei annuì.
Declan sembrava non gradire le nostre chiacchiere, lo potevo notare dalla sua impazienza che stava mostrando proprio in quel momento
–Rose, dobbiamo muoverci – mi spronò lui. Abigail mi lasciò subito andare, non gradendo particolarmente la maleducazione del ragazzo, probabilmente. Però potevo capirlo, non avevamo molto tempo per i convenevoli
– Stai attenta Rose – mi sussurro all’orecchio in modo che nessun’altro potesse sentire.
La osservai poi allontanarsi e scendere verso la cripta. Chissà quando l’avrei rivista. Seguii allora Declan dalla parte opposta da cui eravamo arrivati. Il cimitero sembrava non terminare mai, vi erano tombe e tombe a perdita d’occhio. Ormai ci eravamo allontanati abbastanza. Qualche metro più avanti del luogo in cui ci eravamo fermati due secondi a respirare, trovammo una piccola catapecchia malandata e abbandonata, probabilmente l’abitazione del custode del cimitero, se mai ce ne fosse stato uno. Declan riuscì con un solo calcio a sfondare la porta e con una torcia che avevamo trovato negli zaini entrammo all’interno. Non avevo mai amato particolarmente il buio, anzi lo detestavo e ne avevo paura. A casa ero solita dormire con una piccola lucina. Solo ora mi rendevo conto di quanto potessi essere infantile e vigliacca a volte. Era difficile descrivere quella casa perché non vi era nulla di particolare, nulla di diverso che qualcuno si aspetterebbe di trovare all’interno di una catapecchia come quella. Le pareti e il soffitto erano costituite da assi di legno ormai derose completamente dal tempo, le tende erano polverose e stracciate, così come le sedie e le poltrone. La sala principale era stranamente piena di specchi, in alcuni punti del salotto potevi vedere la tua immagine rispecchiata in più punti. Dopo aver dato un’occhiata a tutta l’abitazione decidemmo che almeno per una notte saremmo potuti restare lì. Quelle stanze, quelle porte, quelle finestre, quegli specchi mi rendevano alquanto inquieta, come biasimarmi però. Non era esattamente il posto dove avrei voluto passare una notte, ecco. Ci sistemammo in una piccola sala quasi completamente vuota, al suo interno vi era soltanto uno specchio, immancabile, e una finestra, nient’altro. Da quando incontrammo Abigail, Declan non mi aveva ancora rivolto la parola, doveva essere arrabbiato con me, ma per cosa, cosa avevo fatto? Non lo capirò mai.
–Sei arrabbiato? – gli chiesi innocentemente, lui non mi rispose.
Si limitò a rigirarsi nel suo sacco a pelo dall’altra parte e non dire niente.. gentile, davvero. Roteai gli occhi e mi misi anche io a dormire. Era strano come da quando fossi entrata nell’arena quegli incubi che mi avevano infestato la testa le settimane precedenti fossero del tutto svaniti, ero sollevata, un problema in meno a cui pensare. La mattina sarei stata riposata e in piena forma, pronta per combattere. A dire il vero però, feci un po’ di fatica ad addormentarmi, non per la paura dei brutti sogni ma per il terrore di qualcosa di più reale. Avevo l’impressione che qualcuno fosse entrato ora e pronto ad ucciderci, ne sentivo i passi ed il respiro, ma era tutto frutto della mia immaginazione. Mi rigirai e rigirai nel mio sacco a pelo ma finalmente presi sonno. Mi svegliai poi nel mezzo della notte e cominciai a pensare a quanti colpi di cannone avevo udito nella strada per arrivare lì. La battaglia alla cornucopia era probabilmente cominciata dopo la nostra fuga. Cinque tributi erano morti e ora eravamo soltanto in undici e se la conoscenza della matematica mi assisteva, l’uscita dall’arena era a distanza di un solo unico tributo.  Sentii il suono dell’inno di Capitol City provenire attraverso quelle finestre dai vetri rotti, così senza svegliare Declan mi precipitai cautamente e attentamente fuori. Nel cielo non apparve nessun volto di ragazzi a me particolarmente famigliari. Il mio pensiero si rivolse poi ad Abigail che per mia gioia era ancora viva. Sorrisi, sapevo che ce l’avrebbe fatta. Mi sarebbe mancata molto ma ripensandoci avrebbe davvero importato se fossimo morte entrambe? Ritornai a piccoli e leggeri passi all’interno della catapecchia ma fui sorpresa e terrorizzata contemporaneamente nel vedere che Declan era sparito. Fu proprio in quel momento, appoggiata allo stipite della porta, che sentii un altro colpo di cannone.   


Risponde l'autore:
Ok, avete già indovinato di che Arena stiamo parlando e chi fu il vincitore? Ve lo dirò nel prossimo capitolo. Vi ricordo che mancano soltanto altre due arene alla fine dei giochi, chi pensate potrebbe essere il vincitore? Pensateci bene ;D Spero vi sia piaciuto il capitolo, mi raccomando recensite.

 

  
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