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Autore: Lady_Cassandra    24/10/2012    1 recensioni
"Unforgivable" nasce in una notte d'estate, è una storia che vi porta dentro una vita di Spencer diversa da ciò che conosciamo. Ci troviamo diversi anni avanti, tutto è cambiato, Spencer non è più il "ragazzino" di tempo, è sposato ed è ormai padre.
Ritroverete i personaggi che conoscete, ma nulla sarà come vi aspettate. Spero di avervi incuriosito e gradiate la mia storia. Buona lettura!
[REVISIONATA FINO AL 10° CAPITOLO]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unforgivable.'
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Corsa contro il tempo 

 
“(…)la giustizia del mondo che punisce chi ha le ali e non vola (…)” (Baciami ancora, Jovanotti)
 
Jules guardava fisso la pioggia sbattere contro la finestra mentre sorseggiava una tazza di tè.
Odiava il tè, ma Jane glielo aveva gentilmente offerto e in quella situazione non se l’era sentita di rifiutare.
Erano ormai passate tre ore da quando sua madre aveva dato loro la notizia e ancora non aveva ricevuto nessuna novità. Stava passando in rassegna gli ultimi due giorni per cercare di capire se qualcosa le fosse sfuggito quando le venne in mente la conversazione avuta con Colin quella mattina stessa.
“Che stupida a non averci pensato prima” si disse mordendosi il labbro poi si precipitò di sotto dove suo fratello assieme a Jane e Jake giocava a monopoly.
“Jane, posso usare il telefono? Devo chiamare mamma” le chiese prendendo in mano il cordless.
“Certo tesoro” le rispose annuendo. “Tutto bene?” aggiunse scrutando con attenzione l’espressione di Jules che aveva ancora gli occhi rossi e gonfi dal pianto. “Si, tutto bene. Vado di sopra” le rispose di fretta e salì velocemente le scale. Jane le gettò un’ultima occhiata e ritornò alla propria partita. “Tocca a te, Tom” disse sollecitando il ragazzo che sembrava essersi perso anche lui nei suoi pensieri.
Una volta entrata nella stanza, si chiuse la porta alle spalle e chiamò sua madre; il telefono squillò diverse volte senza alcuna risposta, alla fine quando Jules stava quasi per rinunciare sua madre rispose.
“Pronto?”
 “Mamma, sono Jules. Devo dirti una cosa…” esordì con una voce fioca.
“Dimmi, è successo qualcosa?” le chiese allarmata, non si aspettava una chiamata da sua figlia e dopo il rapimento di Ellie era pronta al peggio.
“No, niente. Mi è venuta in mente la conversazione con Cole stamattina. Credo che Ellie a scuola non sia mai venuta” continuò.
“Come mai venuta?” domandò con espressione incerta. Spencer che era seduto vicino a lei sentì quanto Jules aveva appena detto e le prese il telefono dalle mani. “Spiegati meglio, Jules”
“Stamattina Ellie non era in mensa così ho chiesto a Cole come mai non ci fosse e lui mi ha detto che era uscita con Blair, ma poi all’uscita ho visto Blair e lei non c’era. Credo che Blair avrebbe riferito qualcosa se Ellie fosse sparita mentre era con lei” disse tutt’un fiato “Penso che Cole la stesse coprendo, questo spiegherebbe perché si è inventato una bugia” continuò.
“Coprendo? Per fare cosa? Oddio…” esclamò al telefono. Improvvisamente tutto gli fu chiaro, Davis non aveva premeditato il rapimento di Ellie, ma era stata lei ad andare da lui; avrebbe dovuto capirlo subito, sua figlia era rimasta profondamente scossa dall’annuncio della chiusura delle indagini al punto da decidere di procedere da sola per cercare una prova incriminante e aveva i mezzi per farlo. Lui lasciava sempre i fascicoli dei vari casi in casa, le era bastato entrare nello studio e prenderli. In quel momento si maledisse per aver compiuto il tremendo errore di condividere con Ellie il suo lavoro. Non aveva la maturità per affrontarlo e perlopiù era molto impulsiva come dimostrava la decisione avventata che aveva preso senza consultarsi con nessuno.
“Papà… ci sei?” domandò Jules che aveva per un momento pensato che fosse caduta la linea.
“Sì, tesoro. Grazie, questo ci è di aiuto” la salutò e chiuse la telefonata.
“Lo pensi davvero?” le domandò Madison mentre Spencer andava verso Anne. “Cosa?”
“Che Ellie abbia fatto una cosa tanto stupida come questa” sottolineò.
 “Sì, lo penso davvero…” e se ne andò. Madison intanto che osservava la magra figura di suo marito dileguarsi dietro la porta di sala riunioni pensò che questa era la prima volta in tanti anni di matrimonio che metteva piede nel bureau, per un momento si pentì di esserci andata, la sua presenza in quel luogo non avrebbe che reso le cose più difficili a Spencer, ma d’altra parte sentiva il bisogno di stargli vicino per ricordargli che non era da solo ad affrontare quella situazione.
“Madison, come stai?” le chiese JJ e si sedette vicina a lei. Le rivolse un sorriso per infonderle coraggio, riusciva a capire come dovesse sentirsi in quel momento, aveva troppi anni di lavoro alle spalle e aveva ormai visto molte scene come questa. Nonostante ciò non sapeva cosa dirle, non si trattava del famigliare di una vittima a cui rivolgere qualche parola di conforto, si trattava di Madison, la moglie di un suo collega, ma prima di tutto una sua amica. “Cerco di resistere…” rispose lei, JJ le fece un mezzo sorriso e rimase in silenzio.
“Henry come se la passa? Quando torna dall’università?” domandò Madison per cercare di distrarsi.
“Bene, è alle prese con gli esami. Si sta impegnando moltissimo. Penso che rimarrà a Providence per un po’” le spiegò.
“E alla sua Dada non la viene più a trovare?”
“Ti ricordi quando ti chiamava così?” disse JJ, Madison abbozzò un sorriso. “Veramente mi chiama tutt’ora così” aggiunse.
“Scusa JJ, ma ti vuole Morgan” le interruppe Anne, rivolgendo un saluto a Madison che ricambiò.
“Certamente” disse alla giovane. “Scusami” salutò Madison e se ne andò seguita da Anne che con la coda dell’occhio lanciò un’occhiata alla signora Reid scorgendo nei suoi occhi una preoccupazione sempre più viva.


“JJ, mi serve che tenga a bada i media. Il fatto che la figlia di un agente federale sia stata rapita non sfuggirà di certo alla stampa, ma dobbiamo evitare che lo rendano di dominio pubblico; potrebbe incoraggiare ancora di più Davis”
“Certo” gli rispose annuendo energicamente con il capo e lasciò subito la stanza.
“Noi dobbiamo tracciare un profilo, ma soprattutto dobbiamo capire quale sia il modus operandi” riprese Derek rivolgendosi ai suoi vecchi colleghi seduti sulle poltrone di sala riunioni come un tempo.
“Cosa sappiamo di questo Davis?” chiese Rossi.
“Non molto” gli rispose rammarico. “A quanto pare, si è laureato in Economia e Management sei anni fa ed è subito stato assunto dalla Disc Enterprises di Richmond”
“Come mai si trova qui adesso?” domandò ancora Rossi.
“Ha chiesto il trasferimento poco meno di tre mesi fa e l’hanno mandato alla sede di Washington” spiegò Lucas.
“Le date sembravano coincidere” azzardò il ragazzo girandosi verso Morgan in segno di approvazione, il quale annuì. “Così pare” confermò poi, guardando Spencer che sembrava sempre più assente.
“Bene, Walker vai con Reid a casa di Colin, chissà magari sa qualcosa riguardo i piani di Elizabeth” disse in seguito ad Anne che scattò subito in piedi e si precipitò alla porta. “Spencer, mi raccomando” si raccomandò  Morgan poco prima che uscisse.
Nell’ascensore Spencer non scambiò nemmeno una parola con Anne, continuava a pensare ad Elizabeth, a cosa dovesse sentire in quel momento. Si augurava ardentemente che stesse bene, ma soprattutto che si tenesse duro fino a che non l’avesse trovata, non avrebbe sopportato di perderla. A quel pensiero sentì gli occhi inumidirsi, cercò di trattenere le lacrime, “Non è momento di lasciarsi andare” si disse facendo un respiro profondo.
“Guido io” affermò Anne, scuotendo le chiavi dell’auto, Spencer annuì. Poi aspettò che aprisse l’auto e vi salì. A quel punto, Anne mise in moto e partì, ogni tanto si voltava in direzione di Spencer che fissava il finestrino con uno sguardo inespressivo.
“Vedrai che la troveremo e andrà tutto bene” provò a confortarlo non sopportando più di vederlo in quello stato. Spencer sorrise senza dirle nulla poi non appena notò casa di Colin la invitò ad accostare e scese dalla vettura senza aspettarla. Anne parcheggiò in una manovra e scese velocizzando il passo per raggiungere Spencer che oramai era arrivato alla porta. Spencer bussò e poi guardò l’orologio, erano le undici e mezza di sera passate, aspettò qualche minuto e non sentendo nessun passo all’interno della casa bussò di nuovo. A quel momento la porta si aprì ed uscì Florence, la madre di Colin.
“Spencer?” chiese sorpresa di vederlo lì a quell’ora. “Scusa l’orario, ma è urgente” le spiegò.
“Entra pure” disse che nel frattempo era stata raggiunta dal marito, Michael.
“E’ successo qualcosa ad Ellie?” gli chiese Michael notando l’espressione angosciata di Spencer. “Sì…” confermò Anne.
“Vorremmo parlare con suo figlio se non le dispiace” continuò con tono cortese.
“Certo” disse Florence che si alzò per andare a chiamare il figlio che era nella sua stanza.
“Che ha combinato Ellie?” domandò Michael che non aveva ancora ben capito la gravità della situazione. “E’ stata rapita” disse Spencer guardando per terra.
“Come sarebbe rapita?” chiese Colin appena arrivato. “Tu ne sai qualcosa?” gli domandò Spencer.
“No, assolutamente. L’ho vista stamattina, mi ha chiesto di coprirla perché doveva fare una cosa” spiegò ragazzo terrorizzato da quanto aveva appena scoperto.
“Non ti ha detto dove stesse andando?” chiese ancora Spencer scrutando il ragazzo per assicurarsi che dicesse la verità.
“No, non mi ha detto nulla. Non sarà mica andata…” disse senza completare la frase.
 “A questo punto credo proprio di si” concluse Spencer con tono rammaricato. “E come lo sai che è stata rapita?” gli domandò il ragazzo ancora incredulo. “Ho ricevuto una telefonata dal rapitore” rispose Spencer senza accennare alle fotografie per non spaventarlo ancora di più.
“Oddio, se lo avessi saputo non l’avrei mai coperta!” esclamò il ragazzo.
“Ma come le è saltato in mente di fare una cosa simile?” chiese Florence scioccata da quanto aveva sentito.
“Non lo so... Scusatemi ancora per il disturbo” ripeté e salutò i genitori di Colin seguito da Anne che strinse la mano ai due. “Mi raccomando, se dovessi ricevere qualche squillo o messaggio, chiamami subito” raccomandò al ragazzo e uscì dalla casa.
“Bene, perlomeno ora sappiamo che non è stato premeditato” affermò Anne riferendosi al rapimento di Elizabeth mentre salivano di nuovo in automobile. “Questo non migliora la situazione in ogni caso” disse Spencer, cercando di capire cosa avesse fatto sua figlia per cacciarsi in un simile guaio.
“Quello che ancora non riesco a capire è il modus operandi” disse poi Spencer riflettendo sulle precedenti vittime. “Come mai sembrano dei suicidi…” continuò, parlando più con se stesso che con la collega.
“Io avrei un’idea. Ma devo fare prima delle ricerche” affermò invece Anne mentre guidava concentrata sulla strada.
“Che hai in mente?” le chiese Spencer incuriosito dalla sicurezza con cui Anne si espresse.
“Droga” gli rispose con tono secco e senza aggiungere nulla di più. Spencer la guardò, era sul punto di replicare, ma fissando lo sguardo di Anne si convinse che aveva sicuramente avuto un’intuizione geniale. D’altronde, si è rivelata spesso un elemento valido e utile proprio per il suo pensare fuori dagli schemi.
“Mi fido di te. Tienimi informato” le disse infine per incoraggiarla. Rimasero in silenzio del tragitto, giunti al bureau si separarono. Anne andò subito da Lucas, mentre Spencer raggiunse Derek che stava ancora discutendo sul caso con Hotch e Rossi.
“Devi andare dal ‘capo’ ” gli comunicò Derek appena lo vide entrare.
“Dal capo?” domandò Spencer sconcertato. “Sì, ti ha chiamato prima” confermò Derek.
Spencer annuì ed uscì immediatamente dalla stanza. Mentre si dirigeva verso lo studio che un tempo era stato della Strauss, ripensò ai suoi primi anni alla BAU, tantissimi ricordi gli affiorano alla mente. Erano cambiate tante cose, lui era cambiato da allora al punto da non riconoscersi più.
Si diede una sistemata e aprì la porta richiudendosela immediatamente alle sue spalle dopo essere entrato.
“Reid, accomodati” gli disse Emily indicando con la mano di fronte a lei.
“Preferisco rimanere in piedi” rispose. “Come preferisci”
“Allora, quello che sto per chiederti non è affatto semplice, ma purtroppo sono costretta. Spencer mi dispiace ma devo chiederti di lasciare il caso, sei coinvolto emotivamente, com’è normale che sia, e questo potrebbe offuscare il tuo giudizio”
“Offuscare il mio giudizio? Prentiss che diavolo stai dicendo?” le gridò contro Spencer inorridito dalla proposta.
“Non ho intenzione di abbandonare il caso. Si tratta di mia figlia” continuò.
“Proprio per questo ti chiedo di farti da parte, Spencer” gli disse Prentiss mantenendo lo stesso tono di calmo d’inizio conversazione. “Credimi, è la decisione più saggia” aggiunse alzandosi dalla sedia e raggiungendolo in mezzo alla stanza.
“Prentiss, mi dispiace ma non mi è possibile” le rispose lasciandole intendere che non sarebbe riuscita ad ottenere alcun compromesso.
“Mi costringi a prendere provvedimenti” lo minacciò Emily nella speranza che desistesse dal continuare a seguire il caso.
“Fai quello che ti pare” le rispose e si avviò verso la porta dello studio, era sul punto di aprire la porta quando si voltò verso di lei; “Non sei più la Emily che conoscevo, lei non mi avrebbe mai chiesto una cosa simile” le disse guardandola negli occhi. Emily non rispose e abbassò subito lo sguardo in segno di scusa.
“Ciao Emily” la salutò ed uscì dalla stanza. Non aveva intenzione di perdere altro tempo, doveva ritrovare sua figlia.
 
“Lucas, ho bisogno che tu faccia una ricerca per me” disse Anne sedendosi accanto a Lucas che si girò verso di lei con espressione incerta. “Che tipo di ricerca?” le chiese inarcando un sopracciglio.
“Droghe che provocano allucinazioni, qualcosa tipo LSD ma che possa passare inosservato in un esame non molto accurato” gli spiegò.
“Mhm…vediamo” e cominciò subito a digitare sulla tastiera sotto lo sguardo incuriosito di Anne che tentava di seguire le scritte che apparivano sullo schermo senza molto successo.
“Vediamo se sei più bravo di Garcia” lo sfidò dandogli un colpetto sulla schiena.
“Non provare a distrarmi” gli disse rivolgendo un sorriso e aumentando ancora di più la velocità con cui muoveva le dita sulla tastiera.
“Forse ho qualcosa per te” le disse con tono serio. “PCP e ketamina provocano forti sensazioni di distacco e dissociazione fra l’ambiente e se stessi” continuò.
“Ketamina e PCP? Mi serve qualcosa di più…”
“Che ne dici del destrometorfano? È una medicina contro la tosse molto diffusa, insomma qualcosa che l’SI può procurarsi facilmente e che mischiato a qualche altra droga un po’ più forte…”
“…può provocare effetti come quelli della ketamina e PCP senza lasciare tracce evidenti” concluse Anne, alzandosi e avviandosi verso la porta.
“Grazie” gli disse poi lanciandogli un bacio con la mano che Lucas finse di acchiappare, adorava quei giochetti che facevano ogni volta che erano certi che nessuno li vedesse.
“Comunque Garcia era più brava” esclamò Anne sulla soglia della porta e immediatamente corse via senza lasciare il tempo a Lucas di replicare.
 
“Forse ho capito il modus operandi” annunciò Anne facendo irruzione in sala riunioni dove erano tutti riuniti.
“Illuminaci” le disse Rossi invitandola a sedere accanto a lui.
“Le droga. Molto probabilmente utilizza il destrometorfano, è una medicina contro la tosse, ma se modificata può indurre allucinazioni tali da indurre qualcuno a suicidarsi senza che possa opporre resistenza”
“Le modificherebbe Davis queste droghe?” chiese JJ.
“Beh, questo in effetti mi lascia perplessa. Non credo che lui abbia le conoscenze per poterlo fare, ma soprattutto il tempo infatti bisogna somministrarle più volte per avere l’effetto desiderato”
“Quindi pensi che abbia un complice?” le domandò Spencer.
“Non so, potrebbe?” chiese Anne girandosi verso Morgan. “Beh in effetti non avevano preso in considerazione la possibilità che avesse un complice, ma sicuramente questa possibilità spiegherebbe molte cose” disse lui.
“Dobbiamo cercare qualcuno che abbia una certa dimestichezza con le droghe e i loro trattamenti, qualcuno laureato in farmacia o in chimica” affermò Hotch.
“Scusate ma cosa ne ricaverebbe?” domandò Anne.
“Non so, magari Davis lo paga” azzardò Rossi. “Qual è il pagamento per l’uccisione di una ragazzina?” domandò Spencer, sempre più turbato.
Rossi lo guardò e non rispose, in quel momento pensò che forse la decisione di Emily non fosse del tutto sbagliata, Spencer era troppo coinvolto per ragionare in maniera lucida e nel loro lavoro farsi coinvolgere equivaleva a commettere un grosso errore.
“Non credo si tratta di un semplice pagamento, deve esserci qualcos’altro dietro” disse invece Hotch riflettendo su cosa potesse indurlo ad aiutare Davis.
“E se fosse sotto ricatto?” domandò JJ. “Che tipo di ricatto?” chiese Rossi.
“Forse tiene in ostaggio la sua famiglia” ipotizzò lei. “La famiglia? Non credo” rispose Hotch. “Se consideriamo i primi due suicidi, stiamo parlando di un periodo di tempo di oltre un anno. Avrebbe ormai trovato una soluzione” concluse.
“Sono d’accordo. Forse si tratta di qualcuno che inizialmente era in difficoltà tali da non poter farne a meno e che ora non sa come uscirne” suggerì Anne.
“Vai da Cooper, cercate qualcuno che abbia perso in lavoro poco prima dell’inizio degli ‘omicidi-suicidi’, magari qualcuno fortemente indebitato che abbia subito qualche trauma anche a livello affettivo nello stesso periodo” le ordinò Derek, Anne annuì e senza perdere altro tempo si diresse verso l’ “ufficio-sgabuzzino” di Lucas.
“Noi andiamo a casa di Davis, magari troviamo qualche indizio” propose Derek rivolgendosi a Rossi e Hotch.
“JJ, rimani con Anne e informateci se avete trovato un possibile sospettato” ordinò alla collega che lasciò la stanza per raggiungere gli altri due.
“Tu, Reid rimani qui. Stai con Madison, credo che abbia bisogno di te …” gli disse abbassando la voce mentre gli altri uscivano.
“Si …” sussurrò lui annuendo con il capo, Derek gli diede un pacca sulla spalle ed uscì.
“Tienimi informato” gli disse Spencer, Derek si girò e annuì poi affrettò il passo per raggiungere gli altri due che ormai erano quasi all’ascensore.
Spencer raggiunse Madison che era seduta alla sua scrivania con una tazza fumante di tè in mano. Aveva ancora gli occhi arrossati dal pianto ed un’espressione funerea dipinta sul volto. Appena la notò, pensò di non averla mai vista in quelle condizioni e si sentì male, ma soprattutto in colpa. Era sua la colpa di quello stavano vivendo, sua e della sua distrazione che non l’aveva fatto accorgere di quello che sua figlia stava progettando proprio sotto il suo naso. Si avvicinò nel tentativo di abbracciarla, ma lei schivò l’abbraccio.
“Novità?” gli chiese posando la tazza sulla scrivania. “Stiamo seguendo una pista. Anne forse ha capito il modus operandi” sciorinò senza scendere nello specifico, non c’era bisogno di spiegarle tutto nei minimi dettagli, stava già soffrendo abbastanza così, si disse.
“Ho saputo che ti ha convocato Emily” affermò lei cercando di sviare il discorso.
“Chi te l’ha detto?” gli chiese. “JJ quando eri con Anne. E’ successo qualcosa?” gli domandò notando l’espressione un po’ amareggiata di Spencer.
“No, nulla. Tutto sistemato” mentì lui e cambiò subito argomento: “Vai a casa, Maddie. Che devi fare qui? Ti accompagno io …” gli propose, augurandosi che accettasse, averla lì gli rendeva tutto più difficile.
“Va bene …” acconsentì senza opporre molta resistenza. “Comunque non c’è bisogno che mi accompagni” continuò mentre Spencer l’aiutava ad alzarsi.
“Sei sicura? Per me non è un problema” le domandò ancora.
“Sicura, stai tranquillo” gli ripeté, abbozzò un sorriso e si strinse a lui; “La troverai, vero?” gli sussurrò all’orecchio.
“Ad ogni costo” le rispose dandole un bacio sulla fronte, Madison si staccò e annuì, dopodiché lo salutò e lasciò immediatamente la sede della BAU.
Mentre tornava a casa, Madison ripensò a quelle ultime ore, le sembrava tutto così irreale, come se non fosse mai successo, come se fosse un incubo da cui presto si sarebbe svegliata.
Chiuse gli occhi per un attimo e le parse di vedere sua figlia in cima alle scale che la salutava, era sporca di terra e aveva una coperta bianca che reggeva con una sola mano; “Ho freddo, mamma”  le disse guardandola con un’espressione vuota e priva di vita. “Ellie!” urlò aprendo gli occhi, in quel momento ebbe il crollo tanto sperato. Cominciò a singhiozzare senza riuscire a controllarsi, aveva il respiro affannato come se ogni singhiozzo le impedisse di respirare, le lacrime le annebbiarono completamente la vista e a quel punto dovette accostare.
Cercò di calmarsi, fece diversi respiri profondi e si asciugò le lacrime con la manica della camicia che indossava, era sul punto di immettersi nella carreggiata quando squillò il cellulare. “Pronto?” disse senza controllare chi fosse. “Maddie, sono mamma, senti arriviamo verso le quattro e mezza del mattino, prima non c’è nessun volo … Tu come stai?” le chiese anche se sapeva che tale domanda fosse completamente inutile.
“Non benissimo. Sono preoccupata, non so cosa fare” rispose con la voce ancora rotta dal pianto.
“Oh tesoro, devi aver fiducia, vedrai che tutto si sistemerà” disse cercando di rabbonirla. “I ragazzi come l’hanno presa?” domandò.
“Sono scoppiati a piangere appena l’hanno saputo, soprattutto Thomas. Lui vive nel terrore per Spencer, quando ha saputo di Ellie …” s’interruppe; non riusciva a continuare, si sentiva di nuovo sul punto di crollare.
“Maddie? Stai bene?” le chiese sua madre allarmata. “Sì… scusa mamma, ma devo chiudere adesso” le disse cercando di ricacciare indietro le lacrime.
“Va bene. Chiama se hai bisogno di una qualsiasi cosa, noi arriviamo presto comunque” rispose, Madison la salutò e chiuse la telefonata. Rimase un attimo ferma cercando di raccogliere le poche forze che le erano rimaste e partì. Durante il tragitto verso casa, non fece altro che pensare ad Ellie, cercava inutilmente di convincersi che sarebbe andato tutto bene, ma non ci riusciva, aveva paura che Ellie potesse cedere, che non riuscisse a superarlo, pensando ad una simile eventualità provò una forte fitta allo stomaco. Cercò di scacciare quel pensiero ed accelerò, voleva arrivare a casa, aveva un urgente bisogno di stendersi.
 
“Come sta andando?” chiese JJ entrando nella stanza. “Non bene” le rispose Anne. “Abbiamo 30 nomi e non sappiamo più come restringere il campo” continuò Lucas al posto di Anne.
“Abbiamo cercato persone licenziate da aziende farmaceutiche nei dintorni di Richmond, che abbiano affrontato divorzi difficili, la perdita di qualche persona cara, che abbiano compiuto qualche reato minore…” elencò Anne con aria sconsolata.
“Avete provato con i debiti di gioco?” domandò JJ dopo aver ascoltato accuratamente le parole di Anne.
“Debiti di gioco, eh? Cerco subito!” esclamò Lucas cominciando a digitare velocemente le varie informazioni sulla tastiera.
“Allora, forse abbiamo qualcosa: licenziato da un’azienda farmaceutica di Richmond a febbraio dell’anno scorso” lesse Lucas.
“Due mesi prima della morte di Duff e Brown” disse JJ ripensando alle informazioni raccolte fino ad allora.
“Ha divorziato poco dopo da sua moglie a causa dei suoi problemi con il gioco d’azzardo. E sentite qui, poco più di tre mesi fa si è trasferito a Washington ma non risulta impiegato presso qualche azienda” concluse Lucas girandosi verso le due colleghe. In quel momento entrò Spencer che era al telefono con Derek.
“Forse sappiamo cosa faccia Davis con le vittime prima di ucciderle” li informò Spencer riferendo le parole di Derek.
“Noi invece abbiamo un nome: John Martin” disse Anne.
 
 
“Senza la speranza è impossibile trovare l'insperato.”  Eraclito
 
 
Elizabeth si svegliò, immediatamente si accorse di essere in un’altra stanza. Guardandosi intorno notò delle fotografie sparse su un tavolo in fondo alla stanza; dalla finestra penetrava una luce molto debole, “sarà sicuramente l’alba” si disse, fu in quel momento che sentì un gemito proveniente dall’angolo opposto dalla stanza. “C’è qualcuno?” chiese la ragazza cercando di individuare il punto da cui proveniva la voce.
“Stai tranquilla, andrà tutto bene” cercò di rassicurarla. “Vedrai che riusciremo ad uscire da qui”
A quel punto la ragazza tentò di alzarsi, ma non ci riuscì, anche il minimo sforzo le causava un forte senso di nausea. “Non provare ad alzarti” le consigliò Elizabeth “Stai ferma”.
“Dove siamo?” le chiese la ragazza tentando di rizzarsi sulla schiena.
“Siamo appena fuori Washington”. “Quando ti ha catturata?” le domandò poi.
“Non so, forse ieri. Io non ricordo nulla…” esordì la ragazza con evidente tono confuso.
“Mi aveva dato appuntamento in un locale, io ero fuori che aspettavo. Poi tutt’un tratto ho sentito un uomo dietro le mie spalle, e da quel punto tutto è diventato buio” spiegò.
Elizabeth si chiese come fosse possibile che fosse stata catturata davanti ad un locale senza che nessuno se ne accorgesse.  “Mi chiamo Elizabeth, tu?”
“Lucy. Scusa, ma anche tu sei qui…”
“No”  la interruppe.  “Sono finita qui per altri motivi…”
“Non ricordi nulla di quello che ti è successo?” le chiese cercando di sviare il discorso.
“No, solo quell’uomo che m’iniettava qualcosa” le rispose, poi si bloccò e rimase ferma con lo sguardo fisso nel vuoto. “Ricordo dei lampi di luce e una strana melodia di sottofondo” aggiunse.
“Le fotografie”  pensò subito Elizabeth. “Ma la musica cosa ci conta?”. Troppi dubbi aveva ancora, era riuscita a comprendere il modus operandi, non riusciva a capire ancora cosa facesse alle vittime prima di ucciderle, si chiese se quelle fotografie posate sul tavolo non le svelassero il segreto.
“Scusa, come mai sei così sicura che usciremo fuori da qui?” le chiese Lucy.
“Mio padre è un agente, ci troverà” o almeno così credeva, era sicura che suo padre non avrebbe mai smesso di cercarla, non si sarebbe mai arreso, ma allo stesso tempo si augurava che suo padre la trovasse prima che fosse troppo tardi.
“Speriamo…” sussurrò la ragazza. Elizabeth tentò di alzarsi, ma venne spinta verso giù dalle corde, erano troppe corte. Doveva assolutamente riuscire ad allentarle, si sentiva il corpo totalmente addormentato.
Stava cercando di allentare i nodi quando la porta si aprì, “Ragazzina risparmia la fatica” le disse Davis appena entrato.
“Tu prendi l’altra e portala di là. Io mi occupo di lei” continuò rivolgendosi a John che aveva la testa abbassata. L’uomo prese la ragazza che tentò di inutilmente svincolarsi. “Sssh” disse alla ragazza. “Tra poco tutto sarà finito” gli sentì dire Elizabeth in corridoio. Si chiese se anche per lei tra poco sarebbe tutto finito. Sentì un brivido lungo la schiena e le lacrime inumidirle gli occhi, le ricacciò indietro facendosi forza. Lei sarebbe uscita da quella situazione, lei ne sarebbe stata capace, “Non devi cedere Ellie, se cedi è finita” si disse.
“Cosa le farete?”chiese con tono di sfida a Davis che la scrutava con aria interrogatoria.
“Sei curiosa?” le domandò. “Papino non lo sa?”
“Io non lo so…” sussurrò la ragazza. Non poteva confessare che nemmeno suo padre sapeva cosa facesse alle sue vittime, non poteva confessare che l’ufficio aveva addirittura smesso di seguire il caso. Elizabeth preoccupata si chiese se suo padre avesse già capito cosa facesse alle vittime, se suo padre sapesse già dove si trovava.”Non mi cercheresti se io mi perdessi”  gli aveva urlato una volta dopo che era tornata ubriaca da una festa, qualcosa che capitava spesso di recente, suo padre che prima l’aveva rimproverata si sedette: “Non smetterei mai cercarti”  le aveva detto; il ricordo di quelle parole la rincuorarono; “Papà non mi lascerà marcire qui dentro” si ripeté più di una volta.
“Vuoi vedere cosa le facciamo? Te lo faccio vedere subito” affermò Davis, sciolse le corde e la trascinò con veemenza, prendendola per un braccio, lungo il corridoio. Quando aprì la porta della stanza dove si trovava Lucy, Elizabeth rimase pietrificata davanti alla scena che le si aprì davanti agli occhi, la stanza le sembrò un set cinematografico; notò tutta l’attrezzatura necessaria per girare, diverse macchine fotografiche professionali e i pannelli fotografici riflettenti accalcati sullo sfondo; seduta al centro della stanza vide Lucy, era vestita di bianco, si rese conto anche che l’avevano truccata e pettinata, sulle palpebre era stato applicato un ombretto grigio fumé sfumato mentre sulle labbra un rossetto rosso fuoco, i capelli erano stati raccolti in un chignon mentre alcune ciocche erano state lasciate libere. La ragazza era immobile, aveva lo sguardo fisso come se fosse una bambola di pezza, “Adesso giochiamo” annunciò Davis che fece segno a John di accendere la cinepresa. “Che lo spettacolo cominci” dichiarò l’uomo una volta acceso l’attrezzo, a quel punto su Lucy venne puntata un occhio di bue. “Canta” le ordinò, la ragazza bisbigliò qualcosa e cominciò a cantare, Elizabeth la guardava sconcertata, non capiva cosa stesse succedendo, poi tutto le fu chiaro: Lucy era drogata, non era in grado di comprendere cosa stesse facendo, non sentiva altro che le parole di Davis, come se fosse ipnotizzata, solo che era un’ipnosi da cui non si sarebbe più svegliata.
Rimase impalata in piedi senza sapere cosa avrebbe potuto fare, capì immediatamente che i progetti di Davis si sarebbero spinti molto più in là di una semplice canzone, per Lucy era arrivata la fine, ora restava solo da capire quale fine le fosse stata destinata.
Davis si avvicinò alla ragazza e le sussurrò qualcosa all’orecchio, poi le consegnò in mano un cofanetto di raso nero e tornò a sedere. Elizabeth non riuscì a vedere cosa fosse custodito nel cofanetto, notò solo qualcosa scintillare nella penombra, ma non poté identificare cosa fosse.
Fu allora che successe qualcosa che Elizabeth non si aspettava, Lucy estrasse un’arma dal cofanetto e se la portò alle tempie, Davis annuì e la ragazza pose il dito sul grilletto.
Elizabeth urlò inutilmente alla ragazza pregandola di non farlo, ma lei non poteva sentirla. Di fronte alla reazione di Elizabeth, Davis rise: “Non capisci che è troppo tardi?” disse l’uomo prendendosi gioco della ragazza, che chiuse gli occhi, non voleva vedere, non poteva vedere Lucy distruggere la propria vita in pochi secondi.
La ragazza gemette, quasi avesse avuto per un attimo coscienza di quello che stava per succedere, ma quel momento di lucidità fu veloce come un lampo; la ragazza premette il grilletto tra le risate di Davis e le preghiere di John, ponendo fine alla propria vita in un boato.
Il suono dello sparo penetrò nelle orecchie di Elizabeth che si sentì mancare, scoppiò in lacrime cadendo a terra.
Il corpo ormai abbandonato da ogni soffio di vita fu spostato da John che si allontanò dalla stanza passando accanto ad Elizabeth che stava rannicchiata per terra dondolandosi, Davis si diresse verso di lei: “Adesso hai paura, vero?” le disse alzandole il mento per guardarla negli occhi annebbiati dalle lacrime, poi se ne andò chiudendosi la porta dietro le spalle e lasciando Elizabeth piangere al buio.
 
Le continue vibrazioni del suo cellulare svegliarono Nicole addormentata sul libro di spagnolo, con gli occhi ancora chiusi cercò il cellulare che smise di suonare quando lo prese in mano. “Sei chiamate perse” lesse sul display, “Colin!” esclamò sorpresa dopo aver controllato il registro delle chiamate, dal momento che le parse strano che Colin avesse insistito più di una volta non esitò a richiamare l’amico.
“Cole che succede?” gli chiese dopo che il ragazzo ebbe risposto. Colin con la voce rotta dal pianto farfugliò il nome di Ellie seguito da una frase che Nicole non riuscì a capire. La ragazza capì subito che doveva trattarsi di qualcosa di grave e si allarmò: “Che è successo? Che è successo ad Ellie?” chiese. Colin fece un respiro profondo per cercare di calmarsi e rispose: “E’ stata rapita”.
“Come rapita?”  domandò, per un momento pensò che Colin si fosse sbagliato. “Ma sei sicuro?”
“Sì, me l’ha detto Spencer…” spiegò deglutendo per mandare già il grappolo che gli si era formato.
“Oddio, ma non si sa nulla?”, ora anche Nicole era prossima alle lacrime, non sopportava l’idea che ad Ellie potesse capitare qualcosa di brutto. “No, niente…”
“Hai chiamato Blair?” gli chiese tentando di controllarsi. “No, ancora no…”
“La chiamo io” gli disse. “Stai tranquillo, vedrai che Spencer la troverà, è il suo lavoro” cercò di rassicurarlo, sapeva quanto a Colin stesse a cuore Ellie perciò le fu facile immaginare quanto potesse farlo soffrire una simile situazione.
 “Già… Chiamami se ci sono novità” le rispose e riattaccò.
Nicole rimase ferma incerta su cosa dire a Blair, doveva calibrare bene le parole, Blair era una persona molto sensibile, si sarebbe senz’altro subito spaventata. Una volta decise le parole da rivolgere all’amica, compose il numero e aspettò che la ragazza rispondesse. “Blair, scusa per l’orario ma devo dirti una cosa…” esordì un po’ titubante Nicole, non appena Blair rispose. “Che cosa è successo?” le chiese preoccupata, Nicole cercando di calmarla le consigliò di non agitarsi, poi le spiegò il motivo della sua telefonata: “Ellie si è cacciata nei guai”
“Che ha combinato adesso?” domandò seccata, era abituata alle continue stupidaggini di Elizabeth perciò non si sorprese.
“Colin mi ha detto che è stata rapita, glielo ha riferito Spencer”.
“Rapita? Ma che dici? Ieri sera era collegata con il cellulare…” Blair si bloccò di colpo, come se avesse appena ricordato qualcosa. “Non mi ha risposto però”
“E’ ancora collegata?” le chiese Nicole, forse Spencer e la sua squadra avrebbero potuto rintracciarla pensò.
“Ehm...controllo” e digitò subito sul portatile la password. Dopo qualche minuto di attesa Blair rispose: “Sì, è ancora in linea”
“Lo dobbiamo dire a Spencer…” osservò l’altra mordicchiando il labbro. “Hai il numero?”
“Sì, ma forse loro hanno già provato a rintracciarla in questo modo” disse la ragazza riflettendo.
“Non puoi saperlo, diciamoglielo lo stesso”
 “Ok, chiamo subito”
Dopodiché salutò l’amica e riattaccò. Ora doveva chiamare Spencer.
 
 
Erano nella casa di John Martin, quando il cellulare cominciò a squillare. Sussultò, ogni chiamata poteva essere una cattiva notizia, certo poteva essere anche buona, ma l’ottimismo in questa fase della sua vita l’aveva abbandonato e non sarebbe di certo tornato in questa particolare situazione.
Prima di rispondere, lesse il numero sul display, non lo riconobbe. “Chi è questo?” pensò prima di rispondere.
“Pronto…” disse la ragazza, la voce gli era famigliare, ma non era riuscito ad identificarla.
“Chi sei?” chiese Spencer. “Sono Blair, l’amica di Ellie…”
“Blair!” esclamò l’uomo, riconoscendola immediatamente. “Hai qualche notizia?” le domandò, infatti pensò che quello poteva essere l’unico motivo che avrebbe potuto spingere la ragazza a chiamarlo.
“Ehm… non esattamente. Ellie è collegata su Internet con il cellulare, non so magari riuscireste a rintracciarla…”
“Su Internet hai detto? Ma il cellulare non è raggiungibile…” gli sembrava impossibile che potesse essergli sfuggito.
“Non so, a me appare in linea” confermò la ragazza un po’ stranita.
“Blair, facci un favore, prova a contattarla. Io adesso chiamo il nostro analista informatico che si metterà in contatto con te. Forse riusciamo a rintracciare Ellie” disse alla ragazzina che non tardò a mettersi in contatto con l’amica e riattaccò.
Questa possibilità di rintracciare sua figlia lo rincuorò, la possibilità di riabbracciarla non gli sembrò più così lontana. “Chi era?” chiese Anne, non appena Spencer ebbe concluso la telefonata.
“Blair, un’amica di mia figlia. Forse abbiamo un modo per rintracciare Ellie” disse con un sorriso, sapeva che era sbagliato illudersi, ma non riuscì a trattenersi. “Dobbiamo chiamare subito Lucas e dirgli di mettersi in contatto con Blair”
“Ottimo! Faccio subito”  e chiamò subito Lucas aggiornandolo sul da farsi. Poi insieme si diressero verso il bureau speranzosi; finalmente dopo una notte insonne con la stanchezza che cominciava a farsi sentire, sentirono di essere vicini ad una possibile soluzione.
 
“Blair, sono Lucas, l’analista informatico” si presentò l’uomo dopo essersi messo in contatto con la ragazza.
“Adesso entrerò nel tuo sistema e insieme proveremo a rintracciare Ellie, va bene?”
“Sì…” e notò subito delle finestre sul suo portatile aprirsi. “Ok, ci sono”
“Prova a rintracciare Ellie. Io controllo le ricetrasmettenti delle zone, se è collegata un qualche segnale, anche se debole, lo dovrò pure avvertire”
“Va bene” rispose Blair, e inviò subito all’amica un messaggio sul social network dove solitamente si contattavano.
“Ok… usate una rete protetta tra di voi?” chiese Lucas, afferrando subito il motivo per cui prima gli era sfuggito il segnale del cellulare di Ellie.
“Sì, è un regalo di Penny” rispose Blair con tono affermativo. “Garcia…” farfugliò l’uomo, qualunque cosa facesse sembrava che avrebbe dovuto fare i conti con lei.
“Benissimo… sono quasi riuscito a rintracciare il punto da cui proviene il segnale” disse Lucas.
“Provo a inserire le coordinate…” continuò.
“Grazie, Blair il tuo aiuto è stato prezioso” la ringraziò calorosamente.  “Riuscirete a rintracciarla adesso?”
“Penso di sì” esclamò con tono speranzoso, non era ancora sicuro che il segnale gli avrebbe garantito la possibilità di rintracciare l’esatto punto dove si trovava Elizabeth, ma almeno avrebbe ristretto l’area di ricerca.
“Va bene…” rispose la ragazza immediatamente salutata da Lucas che si rimise subito al lavoro. Ora sapeva dove cercare.
 
 
 
  
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