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Autore: Niniane_88    24/10/2012    4 recensioni
Parigi, 1896.
La giovane e ingenua Jacqueline sta per annunciare il suo fidanzamento con l'affascinante Claude. La povera Jeannette invece è sofferente per l'assenza del suo promesso sposo che l'ha inspiegabilmente abbandonata davanti all'altare e sembra scomparso nel nulla. Il giovane Henri è preoccupato per la salute del padre. La bellissima modella Fleur cammina senza timore per i vicoli bui della città. In una lontana abbazia qualcuno sta espiando le sue colpe.
Tante storie di vita, apparentemente senza alcun legame tra loro. Intrighi, equivoci, amori e tradimenti le renderanno un'unica storia: quella che state per leggere!
Genere: Commedia, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo II


Claude Laurent Renard osservò compiaciuto la propria immagine nello specchio.
Non c’era un solo dettaglio fuori posto, il ricevimento era stato organizzato alla perfezione, naturalmente e lui ne era il re indiscusso.
Beh, forse metterla in questo modo era un po’ esagerato… l’indomani tutti avrebbero parlato soprattutto di Jacqueline, del suo vestito bianco, di come danzasse bene e di altre sciocchezze simili. Oltre che dell'Esposizione, naturalmente... che noia, mancavano ancora quattro anni ed era già l'argomento preferito da tutti...
A Claude comunque non dispiaceva che Jacqueline fosse più ammirata di lui, anzi: più si chiacchierava del loro fidanzamento, meglio era, con tutta la fatica che aveva fatto per ottenere il consenso di madame Leclerc!
Alla fine, dopo tante indecisioni la matrona aveva ceduto: il fatto che egli fosse l’ultimo nipote del vecchio, ricchissimo, stimatissimo conte de Rolland le aveva tolto anche gli ultimi dubbi. Quando aveva saputo di questa illustre parentela era stata assolutamente disposta ad ignorare il fatto che Claude non fosse nobile di nascita. E poi aveva dovuto cedere alle preghiere di Jacqueline, la sua adorata bambina alla quale non sarebbe stata capace di negare nulla.
Claude aggrottò le sopracciglia bionde, ricordando che c'era ancora una persona piuttosto scettica sulla legittimità di tutta la faccenda e questa persona era Elenoire Denise de Chalange. Quell’odiosa ragazzina era senz’altro gelosa del fatto che la sua preziosa sorellina si fosse fidanzata: a Claude non sarebbe importato nulla dell' avversione di Elenoire nei suoi confronti, se non fossa stato per il fatto che quella piccola intrigante non faceva altro che mettere la pulce nell’orecchio a sua madre e alla stessa Jacqueline, ponendo loro un mucchio di domande pericolose sulla sua vita. Gli sarebbe piaciuto potersene liberare, non sapeva se doveva preoccuparsi di più dell’influenza che Elenoire avrebbe potuto avere sulla sua fidanzata o delle ansie che avrebbe potuto causare alla marchesa.
Fortunatamente, quella sera madmoiselle Elenoire non sembrava avere l’intenzione di combinare guai: era troppo presa dalla sua prima comparsa in società per preoccuparsi di altre cose e danzava senza posa, ridendo e scherzando con tutti.
Aveva ballato anche con lui e non aveva detto nulla di particolare, si era limitata a cicalare sulla salute delicata di Jacqueline e ovviamente, sul suo vestito bianco. Che sciocchina…
Con un’ alzata di spalle, Claude scacciò i pensieri astiosi verso Elenoire: la serata era perfetta, Jacqueline era ufficialmente la sua fidanzata e avrebbe dovuto aspettare solo un mese e mezzo prima di poterla sposare. Dopo il matrimonio avrebbero continuato a vivere in casa di lei, almeno fino a quando non fossero stati fatti dei lavori di ristrutturazione nella vecchia magione dei Renard, perciò la marchesa non avrebbe potuto lamentarsi: la sua perla di Labuan le sarebbe rimasta accanto.
Certo, fino a quando non avesse portato Jacqueline all’altare, Claude non poteva dirsi perfettamente tranquillo: la marchesa poteva trovare un qualsiasi pretesto per annullare le nozze ed Elenoire restava una pericolosa nemica. 
E poi c’era quella faccenda ancora da chiarire: il piano sembrava destinato al successo, ma chi poteva confermarlo con certezza? E se qualcosa fosse andato storto? Non accaparrarsi l’eredità avrebbe significato la fine, per lui: avrebbe perso il suo prestigio, la sua credibilità e infine la sua fidanzata. 
Già, la sua promessa sposa.
Quella ragazza, senza volerlo affatto, gli aveva causato un grattacapo dopo l’altro. A causa sua gli era toccato ascoltare le scenate e i pianti di Fleur, la quale proprio non riusciva a capire come lui potesse preferire una signorina d’alto rango a lei. Ci era voluto del bello e del buono per convincerla che lui non era innamorato di Jacquelinei, che quel fidanzamento non avrebbe cambiato nulla nel loro rapporto e che si trattava solo di un affare conveniente.
Ah, le donne! Erano tutte uguali! Ma come poteva pensare Fleur che lui si sarebbe adattato a commerciare vini per il resto della vita? Non lo conosceva bene, forse? Sapeva quanto fosse ambizioso e quanto considerasse importante la posizione sociale. Ma no, Fleur era stupida e noiosa come tutte le donne, si aspettava l’amore romantico, che trionfasse su ogni avversità… proprio lei che faceva la modella, che avrebbe dovuto essere la ragazza più cinica di Parigi! Proprio lei che per denaro si era data a uomini di ogni genere, alcuni dei quali erano sicuramente meno onesti e timorati di Dio di quanto non lo fosse Claude Renard.
Eh già, le donne si somigliavano tutte. Fleur era gelosa di Jacqueline e Jacqueline era gelosa di qualunque donna gli rivolgesse anche solo un’occhiata. Claude si augurava soltanto che non scoprisse l’esistenza della sua amante, altrimenti sarebbe stata una catastrofe. Grazie al Cielo, sembrava che Fleur avesse sotterrato l’ascia di guerra: l’aveva addirittura pregato di raccontarle del ricevimento!
Claude si voltò quando sentì un fruscio di sottane che si avvicinava e fu pronto in un attimo a sorridere alla sua fidanzata, la quale gli si avvicinò, emozionata come sempre.
- Che cosa fai qui tutto solo, caro? – gli chiese con dolcezza – Pensavo tu volessi ballare questo valzer con me…-
- Mio tesoro, io voglio sempre ballare con te! – le rispose teneramente, prendendola per mano e rientrando con lei nel salone.
Si mescolarono agli altri ballerini: Claude vide Elenoire ballare tra le braccia di suo cugino, Jean Micheal.
Incuriosito chiese a Jacqueline: - Credi che ci sia qualcosa tra quei due? -
La ragazza spalancò i grandi occhi castani: - Tra Elenoire e Jean? Oh, non credo… Sono molto affezionati l’uno all’altra, ma a parte questo non c’è nulla. Credo che mio cugino sia innamorato di una ragazza più grande, anche se fino ad ora non sono riuscita a scoprire di chi si tratti. -
- Formerebbero una bella coppia, però. -
Jacqueline arrossì e sussurrò: - Non come noi. -
Claude avvicinò il volto a quello della fanciulla: - No, non come noi. – le sussurrò appassionatamente all’orecchio.
Continuarono a ballare per un po’, poi Jacqueline si allontanò per andare a salutare qualcuno.
Claude la osservò mentre si aggirava per il salone e pensò che non aveva nulla di cui lamentarsi: era una ragazza bellissima, con quei capelli color rame, gli occhi castani e la pelle di porcellana; sarebbe stata stupenda anche negli anni a venire. Molti trovavano che Elenoire sarebbe diventata più bella perché era bionda, ma lui preferiva i capelli scuri, soprattutto se erano di un colore tendente al nero, come quelli di Fleur.
Nel guardare Jacqueline che rideva felice, il cuore di Claude ebbe un piccolo sobbalzo, qualcosa che somigliava vagamente a uno slancio di pietà: povera bambina, ingenua e romantica, povera anima candida. 
Era stata davvero sfortunata a incontrare uno come lui.


 
Jeannette Françoise de Meunier si svegliò nel cuore della notte, madida di sudore. Aveva fatto ancora quel terribile incubo.
Le succedeva ormai quasi ogni volta che si addormentava, perciò ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma non per questo era diminuito il terrore che quel sogno le provocava. Il suo sonno era costantemente turbato dall’apparizione di Maximillen, solo, sofferente e irraggiungibile. Jeannette lo chiamava, urlando con tutto il fiato che aveva, ma sembrava che lui non riuscisse a sentirla. Ogni volta si svegliava piangendo, sudata e tremante di paura.
Jeannette si alzò, si avvicinò alla finestra e guardò fuori. La carrozza non c’era, quindi sua madre e suo padre erano ancora al ricevimento.
Il ricevimento per… quale occasione? Ah, giusto, il fidanzamento di Jacqueline con… con chi?
La contessina si sforzò di ricordare, ma senza riuscirvi. Era troppo tempo ormai che non usciva di casa: da mesi era totalmente all’oscuro di ciò che accadeva a Parigi, non sapeva più niente delle sue amiche, o dei suoi parenti, né tanto meno era a conoscenza delle novità politiche o economiche o tecnologiche.
Tutto quello che le veniva in mente era che ormai a Parigi cominciavano a circolare parecchie automobili, ma i suoi genitori si ostinavano ancora a girare in carrozza, ritenendo che fosse più sicuro. 
Chissà a che ora sarebbero tornati… il ricevimento in casa de Chalange era stato sicuramente organizzato nei minimi dettagli. Forse avrebbero fatto ritorno la mattina seguente.
Jeannette si sedette nuovamente sul letto. Doveva seguire i consigli del dottore e cercare di riposare. Era difficile, ma doveva almeno provarci.
Anche quella sera monsieur Gaillard era venuto a visitarla e per l’ennesima volta aveva cercato di farla stare meglio. Jeannette pensò che forse, per una volta quel bravo medico ci era riuscito e non tanto con i calmanti che le aveva somministrato, ma piuttosto con le parole gentili che le aveva rivolto. Poche parole, semplici, non ricercate, ma efficaci:
- Cercate di vivere, Jeannette. Se finiste con l’uccidervi, noi perderemmo un tesoro prezioso. -
Noi… aveva incluso sé stesso nella cerchia di persone che le volevano bene e questo particolare aveva aperto una piccola breccia nel cuore straziato di Jeannette.
Da quello sciagurato giorno non era più uscita dalla sua stanza. All’inizio nessuno si era stupito della cosa, lo scandalo era stato senza precedenti ed era naturale che lei volesse nascondersi dalle chiacchiere malevole. Con il passare del tempo però, i suoi genitori avevano faticato sempre di più a nascondere ad amici e parenti la triste verità. Erano stati sufficienti un paio di episodi imbarazzanti perché tutta l’alta società parigina venisse a conoscenza delle sue reali condizioni di salute, fisica e mentale.
La contessina si avvicinò al grande specchio che teneva in camera e osservò la propria immagine. Anche se la stanza era semioscura riuscì ugualmente a notare i propri occhi, gonfi e cerchiati di nero.
E pensare che tutti mi hanno sempre detto: Jeannette, hai degli occhi meravigliosi!
Un tempo, forse. Adesso erano orribili.
E i capelli…i suoi favolosi riccioli color mogano avevano lasciato il posto a una massa informe di capelli secchi e senza vita, eccessivamente lunghi e neanche tanto puliti.
Anche la sua pelle era cambiata: sparita la bella carnagione ambrata. Ora la sua pelle era pallida e chiazzata qua e là di rosso.
Che vergogna! pensò con un brivido. Come ho fatto a ridurmi in questo stato? Sono inguardabile, sembro una pazza da rinchiudere in manicomio!
Monsieur Gaillard aveva ragione, avrebbe dovuto lasciare la città, farsi ricoverare in un luogo adatto. Jeannette però non voleva: in qualche modo era convinta che se avesse abbandonato Parigi, avrebbe perso ogni speranza di ritrovare Maximillen. E ritrovarlo era più importante della sua salute, del disonore che questo poteva causare al suo nome.
Perché Maximillen non l’aveva lasciata di proposito, non poteva averla lasciata di proposito, punto e basta. Jeannette ne era assolutamente certa. Qualcosa o qualcuno l’avevano costretto a questo e lei doveva assolutamente ritrovarlo, vivo o morto. E se voleva ritrovarlo, Jeannette doveva vivere.
Ogni molecola del suo corpo le diceva di rinunciare, magari di gettarsi dalla finestra senza indugio, ma avrebbe provato a non pensarci. Avrebbe cercato di ritrovare la dignità che aveva perso, avrebbe guardato in faccia il suo dolore.
Maximillen sarebbe tornato. Vivo o morto.
Con questi pensieri, Jeannette si infilò nuovamente sotto le coperte e si addormentò.


 
Henri fu svegliato di soprassalto da un insistente bussare alla porta.
- Henri! Henri, svegliati, presto! Ragazzo mio, vieni fuori, è importante! -
Ancora stordito, chiedendosi perché mai il vecchio Francis l’avesse disturbato prima dell’alba, Henri si infilò in fretta gli abiti del giorno prima e andò ad aprire.
Francis non gli diede nemmeno il tempo di chiedere cosa fosse successo, lo prese per un braccio e lo trascinò con sé lungo il marciapiede.
- Per l’amor di Dio, Francis, che cos’hai? – sbottò il giovane, sempre più interdetto e un po’ irritato da quell’atteggiamento allarmante.
Il vecchio maggiordomo si fermò, un po’ ansante.
- Vostro padre… sono dolente, monsieur, vostro padre è morto un’ora fa. -
Henri lo guardò come se fosse pazzo.
- Mio padre? Morto? Ma com’è possibile? Cosa gli è accaduto? -
Francio gli posò una mano sul braccio.
- Da qualche giorno il conte si sentiva poco bene. All’inizio nessuno di noi si è preoccupato, ma ieri abbiamo deciso di chiamare il dottore, perché respirava sempre peggio. Forse avremmo dovuto agire prima, non lo so! Mi sono stupito del fatto che voi non ci foste, pensavo di vedervi arrivare da un momento all’altro, dopo che il dottore ha detto che ormai era questione di ore. -
Henri non riusciva a credere alle proprie orecchie: - E chi avrebbe dovuto avvisarmi, se non tu? Io pensavo di andarlo a trovare al mattino, per prudenza! Credevo non fosse nulla di grave! Mi meraviglio di te, Francis! Avresti dovuto venire da me immediatamente! -
- Perdonatemi, io credevo che l’avrebbe fatto monsieur Renard. -
A quel nome, Henri ebbe uno scatto d’ira:
- Renard, Renard, non ne posso più di quell'uomo! Altro che avvisarmi! Non vede l’ora di intascare l’eredità di mio padre e farà di tutto per mettermi in cattiva luce. Sono certo che mi intenzionalmente tenuto all’oscuro di tutto. Adesso starà tramando perché tutte le sostanze del conte passino a lui… e io temo che riuscirà ad ottenere ciò che vuole. -
Francis lo guardò con occhi pieni di tristezza.
- Farò il possibile per aiutarvi. Io so chi siete, vedrete che ogni cosa si aggiusterà. -
Henri scosse il capo sconsolato:
- Ti ringrazio, Francis, ma non credo che tu possa aiutarmi. Su, adesso andiamo da lui, costi quel che costi, voglio vederlo prima che sia seppellito. -
Si avviarono, sempre a piedi, verso la casa del conte Rolland. Quando giunsero a destinazione furono accolti prima da un paio di cameriere piangenti, poi da Claude Renard in persona, il quale disse, bruscamente:
- E così siete arrivato, finalmente, Dupois! Ce ne avete messo di tempo. -
Il giovane nipote del conte Rolland se ne stava appoggiato allo stipite di una porta e osservava Henri, con la consueta luce enigmatica negli occhi verdi. Era ancora abbigliato da gran ricevimento, doveva essersi precipitato lì dopo i festeggiamenti in casa di Jacqueline. I suoi bei capelli biondi erano appena arruffati, ma a parte questo era perfettamente in ordine, come al solito. Non sembrava certo prostrato dal dolore e Henri avrebbe potuto giurare che interiormente stesse esultando.
Quanto lo odiava! Quel ragazzo era più giovane di lui e mille volte più scaltro. Henri avrebbe voluto potergli somigliare un pochino: Claude era il genere d’uomo che riesce a piegare chiunque alla sua volontà.
Non come lui, che era stato educato ad anteporre i bisogni degli altri ai suoi…
- Non sono stato avvisato della cosa. – rispose freddamente all’imperturbabile Claude – Chissà come mai. -
Poi, senza un’altra parola si diresse verso la camera del conte.
Era in parte oscurata e disseminata di candele, un particolare che Henri trovò irritante. Era certo che non fosse stato suo padre a chiedere che fossero accese, ma le domestiche, sempre in prima linea quando si trattava di fare piagnistei.
Henri si avvicinò al letto e osservò attentamente il volto di suo padre. Ogni traccia di sofferenza l’aveva abbandonato, sembrava sereno, perfettamente in pace con sé stesso e con il resto del mondo. Henri si augurava che la sua agonia non fosse stata troppo lunga.
Gli toccò una mano e la sentì ancora tiepida. Allora la strinse delicatamente e mormorò.
- Addio, padre, addio. Riposate in pace. -





Ben ritrovati! Questo era il secondo capitolo che già, credo, dovrebbe aver risposto ad alcune vostre domande! Spero che vi sia piaciuto! Ringrazio chi ha recensito (devo ancora rispondere, ma provvederò al più presto!) e vi do appuntamento nei prossimi giorni con il capitolo tre!
Un bacione
Niniane
   
 
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