Capitolo
1
Era
il ventidue ottobre, il numero segnato in rosso sul calendario parlava
chiaro.
Da
quel giorno preciso erano trascorsi otto lunghi mesi da quando mi aveva
lasciato. Otto mesi che non avevo più sue notizie.
Sospirai
e mi alzai dal tavolo della cucina, scuotendo la testa per scacciare
via quei
pensieri infelici.
Ormai,
avrei dovuto dimenticarmi di lui, andare avanti per la mia strada a
testa alta
senza rimuginare troppo sul passato.
Eppure
ancora non ne ero capace.
Il
sole lì a Parigi era quasi calato, l’aria era
fresca e frizzante.
Forse,
se fossi scesa a fare una passeggiata sarei riuscita a schiarirmi un
po’ le
idee.
Aprii
il grosso armadio in legno di noce, che dominava l’intera
camera da letto in
arte povera e scelsi con cura ogni capo, dal vestito con
l’ampia gonna a pieghe
rosso acceso, al cardigan bianco sbottonato sul davanti.
Infilai
le scarpe, le mie preferite, che mi facevano apparire più
alta di qualche
centimetro. Non che ne avessi particolarmente bisogno.
Osservai
la mia figura slanciata, riflessa nello specchio appeso alla parete
accanto al
letto. Chiunque m’incontrasse diceva che ero bella, invidiava
le mie labbra
piene e sempre tinte con del rossetto rosso, i capelli dorati piegati
in
soffici onde che cadevano oltre le spalle, i miei occhi e la mia pelle
chiarissima.
Dicevano
che assomigliavo ad una bambola di porcellana, dall’ abito
impeccabile e con un
sorriso dolce e timido a decorarmi il viso.
Tutto
ciò che vedevo io, era una semplice ragazza di quasi
ventitre anni, dal cuore
spezzato.
Presi
un profondo respiro e l’immagine dall’altra parte
dello specchio fece lo
stesso.
Diedi
un ultimo rapido sguardo al mio abbigliamento. A lui non era mai
piaciuto
quando indossavo i tacchi. A me invece, si.
Chiusi
la porta di casa alle mie spalle dando solo due mandate
perché, se avessi
insistito anche una volta in più, sarei stata costretta ad
aspettare che
qualcuno buttasse già la porta appollaiata sulle scale del
mio pianerottolo.
Vivevo
in un palazzo molto antico, non era poi così strano se
qualcosa non fosse più
perfetta e funzionale come un tempo.
Scesi
le scale con la gonna che ondeggiava solleticandomi le gambe
all’altezza dei
polpacci.
Salutai
Jean-Pierre, il portinaio, un uomo di mezza età col pizzetto
e i baffi a cui
piaceva ascoltare la musica di James Taylor per ore e ore,
ininterrottamente.
In
quel momento stava ascoltando “fire and rain”.
Incapace
di evitare il contrario, ripensai a lui, quel ragazzo che si era preso
gioco di
me che non era mai riuscito a comprendere a fondo il significato di
quella
canzone. Ma io si.
Uscii
in strada, dappertutto si sentiva profumo di castagne arrosto, il
tipico odore
che associavo all’autunno.
C’erano
dei piccoli chioschi disseminati lungo la Senna e tutti, adulti e
bambini, si
avvicinavano ad acquistarle.
Quel
giorno non avevo molto appetito perciò mi limitai a
beneficiare soltanto del
loro aroma penetrante.
Cominciai
a passeggiare, assaporando il lieve tepore degli ultimi raggi di sole
della
giornata.
Era
bello percepire quel calore sulla pelle quando in realtà
dentro di me provavo
solo un gran senso di gelo.
Era
come se il mio cuore avesse smesso di battere e di pompare sangue a
tutto il
resto del corpo, lasciandolo vuoto e immobile.
Non
mi piaceva quella sensazione, era insopportabile e più
provavo a scacciarla via
più non riuscivo a porvi un rimedio persistente.
Avevo
letto una raccolta di poesie qualche anno prima. Era un susseguirsi di
vocaboli
incantevoli e riflessioni profonde ma fra tutte, solo una piccola frase
del
celebre Pablo Neruda era rimasta impressa a fuoco nella mia mente: “amare è breve, dimenticare
è lungo”.
Non
avevo mai dato il giusto peso a quelle
parole o semplicemente non ci avevo creduto fino in fondo.
Come
poteva la gente impiegare più tempo a dimenticare che ad
amare?
Innamorarsi,
non era cosa da poco, non bastava schioccare le dita e rimanere a
guardare il
risultato.
Essere
consapevoli di amare una persona al punto di fare qualsiasi cosa per
lei,
persino donare la propria vita, mi sembrava un traguardo troppo
lontano.
Solo
una madre provava per il proprio figlio un sentimento così
potente o i
personaggi di un romanzo.
Dimenticare
invece, era tutta un’altra storia.
In
me si era radicata la convinzione che, se qualcuno fosse realmente
capace di
far soffrire senza alcun rimorso, di macchiarsi l’anima delle
lacrime altrui,
non meritava il privilegio di sopravvivere nei ricordi ma di essere
cancellato
con la facilità di un tratto di matita.
Odiare
era mille volte più semplice che amare.
Ovviamente,
avevo fatto male i miei conti.
Riflettendoci
meglio, non ero mai stata brava in matematica.
Quando
avevo incontrato quello che pensavo fosse il ragazzo della mia vita, il
mondo
mi era apparso sotto una luce diversa, più bella e
splendente.
Tornavo
a casa fluttuando a pochi centimetri da terra, sentendomi leggera come
le
farfalle che danzavano nel mio stomaco.
Ad
innamorarmi di lui ci avevo impiegato il tempo di un ballo e di un paio
d’incontri
proibiti nel cuore della notte. In tutto tre giorni.
Finché
alla fine, il mio cuore non era stato calpestato brutalmente, calciato
e
gettato via come un foglio di carta su cui si era sbagliato a scrivere.
Poi,
era stato rimesso al suo posto come se niente fosse.
Da
quel momento però, qualcosa in me si era incrinato.
Ero
come la porta d’ingresso di casa mia, all’apparenza
intatta ma guasta all’interno,
nel meccanismo.
E
nonostante tutto, erano passati otto mesi senza che fossi riuscita ad
eliminarlo completamente dal mio cuore.
Come
se il destino si stesse beffando di me, non riuscivo a non ripensare a
tutto
ciò che io e lui eravamo stati, ai suoi occhi scuri come la
notte, al modo in
cui mi aveva confessato di amarmi all’entrata del cinema, al
sapore dei suoi
baci appassionati e ai brividi che mi procuravano le sue mani sulla mia
pelle
nuda.
Sradicare
una persona dalla propria vita non era per nulla uno scherzo.
Richiedeva
un immenso atto di forza di cui io non ero dotata. Ma lui si.
Io
ero stata dimenticata, lui tornava ancora a farmi visita nei miei sogni
agitati, bello e sfacciato come la prima volta che l’avevo
visto.
Temevo
di non riuscire più ad amare nessun altro con
quell’intensità.
Nella
testa sentii riecheggiare ancora quella frase che ormai avevo imparato
a
condividere a mie spese.
Amare è breve, dimenticare è lungo.
Continua…
***
Come già anticipato nella descrizione questa storia (che ho deciso di dividere in due o forse tre capitoli) e una trasposizione e un'interpretazione della canzone di Begin Again. Ho intenzione di fare una piccola raccolta di cinque storie tratte dalle canzoni che più mi hanno colpito ed emozionato. Spero che il risultato finale non sia un completo disastro e spero che qualcuno apprezzi. E' un modo diverso dal mio solito modo di scrivere, chi segue l'altra mia storia avrà notato che sono molto differenti l'una dall'altra...mah, vedremo che ne esce fuori lool. xx, Noemi.