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Autore: xnephilm    24/10/2012    1 recensioni
Quando avevo incontrato quello che pensavo fosse il ragazzo della mia vita, il mondo mi era apparso sotto una luce diversa, più bella e splendente. Tornavo a casa fluttuando a pochi centimetri da terra, sentendomi leggera come le farfalle che danzavano nel mio stomaco. Ad innamorarmi di lui ci avevo impiegato il tempo di un ballo e di un paio d’incontri proibiti nel cuore della notte. In tutto tre giorni. Finché alla fine, il mio cuore non era stato calpestato brutalmente, calciato e gettato via come un foglio di carta su cui si era sbagliato a scrivere. Poi, era stato rimesso al suo posto come se niente fosse. Da quel momento però, qualcosa in me si era incrinato.
Breve storia, ispirata dal testo e in particolar modo dal video musicale "Begin Again" di Taylor.
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Era il ventidue ottobre, il numero segnato in rosso sul calendario parlava chiaro.
Da quel giorno preciso erano trascorsi otto lunghi mesi da quando mi aveva lasciato. Otto mesi che non avevo più sue notizie.
Sospirai e mi alzai dal tavolo della cucina, scuotendo la testa per scacciare via quei pensieri infelici.
Ormai, avrei dovuto dimenticarmi di lui, andare avanti per la mia strada a testa alta senza rimuginare troppo sul passato.
Eppure ancora non ne ero capace.
Il sole lì a Parigi era quasi calato, l’aria era fresca e frizzante.
Forse, se fossi scesa a fare una passeggiata sarei riuscita a schiarirmi un po’ le idee.
Aprii il grosso armadio in legno di noce, che dominava l’intera camera da letto in arte povera e scelsi con cura ogni capo, dal vestito con l’ampia gonna a pieghe rosso acceso, al cardigan bianco sbottonato sul davanti.
Infilai le scarpe, le mie preferite, che mi facevano apparire più alta di qualche centimetro. Non che ne avessi particolarmente bisogno.
Osservai la mia figura slanciata, riflessa nello specchio appeso alla parete accanto al letto. Chiunque m’incontrasse diceva che ero bella, invidiava le mie labbra piene e sempre tinte con del rossetto rosso, i capelli dorati piegati in soffici onde che cadevano oltre le spalle, i miei occhi e la mia pelle chiarissima.
Dicevano che assomigliavo ad una bambola di porcellana, dall’ abito impeccabile e con un sorriso dolce e timido a decorarmi il viso.
Tutto ciò che vedevo io, era una semplice ragazza di quasi ventitre anni, dal cuore spezzato.
Presi un profondo respiro e l’immagine dall’altra parte dello specchio fece lo stesso.
Diedi un ultimo rapido sguardo al mio abbigliamento. A lui non era mai piaciuto quando indossavo i tacchi. A me invece, si.
Chiusi la porta di casa alle mie spalle dando solo due mandate perché, se avessi insistito anche una volta in più, sarei stata costretta ad aspettare che qualcuno buttasse già la porta appollaiata sulle scale del mio pianerottolo.
Vivevo in un palazzo molto antico, non era poi così strano se qualcosa non fosse più perfetta e funzionale come un tempo.
Scesi le scale con la gonna che ondeggiava solleticandomi le gambe all’altezza dei polpacci.
Salutai Jean-Pierre, il portinaio, un uomo di mezza età col pizzetto e i baffi a cui piaceva ascoltare la musica di James Taylor per ore e ore, ininterrottamente.
In quel momento stava ascoltando “fire and rain”.
Incapace di evitare il contrario, ripensai a lui, quel ragazzo che si era preso gioco di me che non era mai riuscito a comprendere a fondo il significato di quella canzone. Ma io si.
Uscii in strada, dappertutto si sentiva profumo di castagne arrosto, il tipico odore che associavo all’autunno.
C’erano dei piccoli chioschi disseminati lungo la Senna e tutti, adulti e bambini, si avvicinavano ad acquistarle.
Quel giorno non avevo molto appetito perciò mi limitai a beneficiare soltanto del loro aroma penetrante.
Cominciai a passeggiare, assaporando il lieve tepore degli ultimi raggi di sole della giornata.
Era bello percepire quel calore sulla pelle quando in realtà dentro di me provavo solo un gran senso di gelo.
Era come se il mio cuore avesse smesso di battere e di pompare sangue a tutto il resto del corpo, lasciandolo vuoto e immobile.
Non mi piaceva quella sensazione, era insopportabile e più provavo a scacciarla via più non riuscivo a porvi un rimedio persistente.
Avevo letto una raccolta di poesie qualche anno prima. Era un susseguirsi di vocaboli incantevoli e riflessioni profonde ma fra tutte, solo una piccola frase del celebre Pablo Neruda era rimasta impressa a fuoco nella mia mente: “amare è breve, dimenticare è lungo”.
Non avevo mai dato il giusto peso a  quelle parole o semplicemente non ci avevo creduto fino in fondo.
Come poteva la gente impiegare più tempo a dimenticare che ad amare?
Innamorarsi, non era cosa da poco, non bastava schioccare le dita e rimanere a guardare il risultato.
Essere consapevoli di amare una persona al punto di fare qualsiasi cosa per lei, persino donare la propria vita, mi sembrava un traguardo troppo lontano.
Solo una madre provava per il proprio figlio un sentimento così potente o i personaggi di un romanzo.
Dimenticare invece, era tutta un’altra storia.
In me si era radicata la convinzione che, se qualcuno fosse realmente capace di far soffrire senza alcun rimorso, di macchiarsi l’anima delle lacrime altrui, non meritava il privilegio di sopravvivere nei ricordi ma di essere cancellato con la facilità di un tratto di matita.
Odiare era mille volte più semplice che amare.
Ovviamente, avevo fatto male i miei conti.
Riflettendoci meglio, non ero mai stata brava in matematica.
Quando avevo incontrato quello che pensavo fosse il ragazzo della mia vita, il mondo mi era apparso sotto una luce diversa, più bella e splendente.
Tornavo a casa fluttuando a pochi centimetri da terra, sentendomi leggera come le farfalle che danzavano nel mio stomaco.
Ad innamorarmi di lui ci avevo impiegato il tempo di un ballo e di un paio d’incontri proibiti nel cuore della notte. In tutto tre giorni.
Finché alla fine, il mio cuore non era stato calpestato brutalmente, calciato e gettato via come un foglio di carta su cui si era sbagliato a scrivere.
Poi, era stato rimesso al suo posto come se niente fosse.
Da quel momento però, qualcosa in me si era incrinato.
Ero come la porta d’ingresso di casa mia, all’apparenza intatta ma guasta all’interno, nel meccanismo.
E nonostante tutto, erano passati otto mesi senza che fossi riuscita ad eliminarlo completamente dal mio cuore.
Come se il destino si stesse beffando di me, non riuscivo a non ripensare a tutto ciò che io e lui eravamo stati, ai suoi occhi scuri come la notte, al modo in cui mi aveva confessato di amarmi all’entrata del cinema, al sapore dei suoi baci appassionati e ai brividi che mi procuravano le sue mani sulla mia pelle nuda.
Sradicare una persona dalla propria vita non era per nulla uno scherzo.
Richiedeva un immenso atto di forza di cui io non ero dotata. Ma lui si.
Io ero stata dimenticata, lui tornava ancora a farmi visita nei miei sogni agitati, bello e sfacciato come la prima volta che l’avevo visto.
Temevo di non riuscire più ad amare nessun altro con quell’intensità.
Nella testa sentii riecheggiare ancora quella frase che ormai avevo imparato a condividere a mie spese.

Amare è breve, dimenticare è lungo.

 

                                                                                                      

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                         Continua…

***

Come già anticipato nella descrizione questa storia (che ho deciso di dividere in due o forse tre capitoli) e una trasposizione e un'interpretazione della canzone di Begin Again. Ho intenzione di fare una piccola raccolta di cinque storie tratte dalle canzoni che più mi hanno colpito ed emozionato. Spero che il risultato finale non sia un completo disastro e spero che qualcuno apprezzi. E' un modo diverso dal mio solito modo di scrivere, chi segue l'altra mia storia avrà notato che sono molto differenti l'una dall'altra...mah, vedremo che ne esce fuori lool. xx, Noemi.

  
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