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Autore: BlueSkied    25/10/2012    1 recensioni
Emily Rochester, giovane addestratrice di cavalli dal passato difficile, è assunta nelle prestigiose scuderie LaMosse, dove, tra adolescenti teneri e stravaganti e padroni senz'anima, il suo cuore si dividerà tra due modi diversi, ma complementari, di amare qualcosa e qualcuno.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Non è stato facile fingere distacco.
Quando Hades si è messo a sgroppare, ho tremato, come se in sella ci fossi io. Speravo che Emily riuscisse a resistere, l’altra volta ce l’ha fatta, ma non è stato così.
Ho lasciato che fossero gli uomini a soccorrerla, non avrebbe avuto senso correre da lei. Ai loro occhi, per me Emily Rochester è una semplice sottoposta.
Si è tirata su, ma non riusciva a reggersi sulle gambe. Si è appoggiata ad Art per uscire dal recinto, e ha guardato verso di noi. Mi ha chiesto scusa, muovendo appena le labbra, ma non ho potuto rispondere niente, perché Marine mi osservava. Per reprimere l’impulso di tirarle un altro ceffone, sono tornata a casa, adducendo come scusa il mal di testa.
Stanotte non ho dormito affatto, in ansia, e credo mi si legga in faccia.
– Liza, cara, ma che brutta cera hai oggi – nota Florence, scrutandomi dal’altro lato del tavolo della colazione.
– L’emicrania non mi ha fatto chiudere occhio – dico, stancamente
– Ma ora va meglio – aggiungo, per chiudere l’argomento. Florence annuisce, in segno di compiacimento e fa girare il caffè nella tazza: - Che affare imbarazzante – commenta, tirando su col naso
 – Devo ammettere che credevo fosse più abile. Maud Porter mi ha telefonato ieri sera, e mi ha detto che quel cavallo ha buttato giù dalla sella la Rochester come una pivellina qualsiasi! – racconta, con una risatina sgradevole.
Sobbalza, quando sbatto la tazza sul tavolo: - Oh, Maud Porter, la donna che non distingue un cavallo da un somaro, chissà quali altre brillanti opinioni ha in merito! – scatto, in tono velenoso.
Mia cognata mi fissa con gli occhi sbarrati:
- Ma Liza! – esclama, indignata – Non capisco cosa ci sia da innervosirsi tanto. È solo uno stalliere – dichiara, indifferente. Questo mi fa imbestialire anche di più:
- Ti ricordo, Florence, che quella ragazza ha salvato la pelle a tuo marito, e stava cercando di aiutare tua figlia – sibilo, gelida. Lei mi lancia un’occhiata altezzosa: - Tutta fortuna. Marine ha dimostrato di cavarsela molto meglio di lei – afferma.
Vorrei replicare dell’altro, ma ho l’impressione che Maud Porter abbia detto ancora qualcosa che mi interessa.
M’impongo la calma e chiedo: - Comunque, Maud ti ha detto come sta? -
Florence annuisce, in tono vago: - Non si è fatta niente di grave. Il dottore le ha dato una settimana di riposo – spiega, annoiata. Io mi sento diventare molle dal sollievo.
 – Bene – commento, neutra. Florence attacca una lunga filippica sulle gare e sulla partenza di domani di Art e Ashton, ma io l’ascolto a malapena: devo trovare un modo di sfruttare questi sei giorni in cui avrò la possibilità di stare da sola con Emily, e in realtà, ho già un’idea. Spero di avere il coraggio di portarla fino in fondo.
 
Juno impreca. La guardo, sorpresa, perché lei assai raramente si lascia sfuggire insulti più pesanti di “scemo”, ma la capisco.
 Si è appena versata la pomata per i miei lividi su una mano e qualcuno sta bussando alla porta.
Mi lancia uno sguardo di scuse, e afferra una manciata di fazzoletti di carta, gridando:
- Arrivo,un attimo! – Scalpiccia in fretta verso la porta e io sbuffo, tirando giù la maglietta con una smorfia, e ficcandomi di nuovo sotto le coperte. Sento un breve scambio di battute, e dopo un istante, Elizabeth LaMosse appare a fianco del mio letto, l’aria imbarazzata e stanca, con una scatola di dolci fra le mani.
– Buongiorno. Mi scuserà se non mi alzo – la saluto, invitandola a sedersi sullo sgabello traballante che Juno mi ha caritatevolmente portato.
– Scusa se ti disturbo, ma volevo…ecco, vedere come stavi, Emily – dice, accomodandosi.
Mi stringo nelle spalle, automaticamente, senza pensare che mi fa male: - Ahi…beh, poteva andarmi peggio. Ho ematomi enormi dalla spalla al fianco e una micro frattura al gomito – replico.
Juno sta lì, dondolando sulle scarpe da tennis multicolor , in evidente difficoltà: - Allora, Emily, magari torno più tardi, eh? – dice.
La famiglia la intimidisce, tranne Art, che non intimidirebbe nemmeno un porcellino d’India.
Annuisco: - Grazie, Juno, casomai lo chiedo a Sasha – ribatto, sorridendole. Lei ci saluta entrambe con la mano ed esce, chiudendo piano la porta.
La signora si rilassa vistosamente. Posa la scatola sul comodino e si sporge verso di me, prendendomi una mano: - Dio, non sai quanto mi dispiace. L’ho detto e ridetto a Ashton, ma lui non mi ha ascoltato. Ha insistito per vedere se Marine riusciva a portare il cavallo – spiega, sull’orlo delle lacrime.
Per un attimo, la consapevolezza di avere la sua mano nella mia mi distrae, ma riesco a essere presente a me stessa:
- Signora LaMosse, non deve scusarsi. Marine ha avuto quello che voleva, e io ho fatto la figura dell’allocco. Scommetterei ogni dollaro che possiedo che la cosa che è esplosa nel recinto era un petardo, e che a farlo esplodere sia stato Porter, ma non posso provarlo, quindi ho chiuso. Spero solo che adesso sua nipote sia soddisfatta – dichiaro, incupendomi.
La sua espressione non si attenua: - Non saresti dovuta finire nelle grinfie di Marine, è colpa mia – dice, con un sospiro.
Sembra che voglia sdebitarsi con me in ogni modo. Si guarda intorno e nota il tubetto di pomata ancora quasi pieno: - è per i lividi?- chiede. Faccio segno di sì.
Lo prende e gira dall’altra parte del letto, a sinistra: - Pensi che potrei aiutarti io?- chiede ancora, arrotolandosi le maniche della maglia.
– Oh, no, signora LaMosse, la prego, non è necessario…- mi oppongo, debolmente.
Devo essere arrossita. Non posso impedire alla mia mente di slittare verso la sensazione che mi darà essere toccata da lei, ma sarebbe stupido da parte mia fare i capricci come una bambina.
Annuisco e mi tolgo la maglietta, stendendomi sul fianco sano. Cerco di concentrarmi su qualcos’altro, mentre inizia ad applicare la medicazione con precisi movimenti circolari, ma ogni pensiero s’incastra nella rete leggera che i polpastrelli mi disegnano sulla pelle, soffici come velluto. Vorrei non smettesse mai.
Sto fremendo, ma è una reazione che si può attribuire al freddo, volendo. In prossimità del seno, la mano esita, quasi con pudore, ed Elizabeth sussurra: - Un corpo così bello, devastato –
Sospira di nuovo e prosegue. L’ha detto così piano che posso far finta di non aver sentito, ma adesso mi sembra d’avere le viscere annodate.
Vorrei fare una cosa qualsiasi, ma ho paura. Come ho già detto, non sono un tipo impulsivo.
Dà gli ultimi tocchi, ma lascia la mano poggiata sul fianco, pronta a parlare di nuovo: - Domani mio marito e mio cognato partono per i mercati annuali. Abbiamo un posto, un cottage, a una decina di miglia da qui, e pensavo di passarci qualche giorno. Ti andrebbe di farmi compagnia? Là ti riposeresti meglio che qui – dice, in tono morbido.
Cerco la mano che lei tiene ancora sul mio fianco e la stringo, voltandomi.
Lascio che le mie dita scivolino fra le sue, ancora inumidite di crema, e la guardo.
C’è esattamente quello che spero nei suoi occhi, e non esito ad accettare.
  
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