Stand UP
When it's not decorated, frequently glitter it with a smiling face.
I can approach that sort of laughing person.
[...]
Wake up! You are my rival but you changed me yesterday
Masami Suzuki - Stand UP!
Fingevo con tutte le forze e cercavo di distogliere inutilmente lo sguardo, ma
più passava il tempo e più mi ritrovavo a fissargli la schiena.
Mi coglievo con le mani nel sacco, o meglio con gli occhi sul fatto, tutte le
volte che ci trovavamo a percorrere una strada verso una nuova meta.
Solitamente preferivo essere io a tenere il passo dei nostri viaggi, ma sempre
più spesso avevo bisogno di indietreggiare e osservare.
Gourry aveva una lunga chioma bionda. I suoi capelli
arrivavano quasi sino alle ginocchia, parevano setosi al tatto, non che avessi
mai avuto il coraggio di accarezzarglieli. Risplendevano di una luce
particolare, come tutto il suo essere in fondo. Anche questo non lo saprà mai.
Era decisamente più alto di me, cosa che spesso mi
faceva sentire una piccoletta a confronto. Le sue spalle larghe e muscolose
emanavano una grande forza e senso di protezione, mentre la sua schiena pareva essere calda e accogliente.
Cosa c’era di così strano e disturbante nel guardarlo da dietro?
E’ che non pensavo precisamente a lui quando lo osservavo.
La sua figura mi ricordava terribilmente quella di qualcun altro. Ma non gliene
avrei fatto parola per tutto l’oro del mondo, a meno che
me l’avesse chiesto esplicitamente. Col suo cervello fino non avrebbe mai
notato le mie occhiate ben poco fugaci né quelle di altro tipo.
Ma non potevo continuare a sopportare quella stretta
allo stomaco ancora a lungo.
Una locanda come le altre, una rissa come tante.
Litigio che, soffermiamoci su questo particolare, non aveva nulla a che fare
con incomprensioni tra conoscenti o oggetti di valore valutati male. Si
trattava di cibo e su questo, se avete imparato a conoscermi, non transigo.
L’ultimo, delizioso boccone della mia cena stava per finire in una bocca che
non era la mia, con un permesso che non avevo mai concesso. Ero piuttosto
indecisa su quale arma adottare nella zuffa, forchetta o coltello, e cosa
attaccare precisamente, il pezzo conteso o la mano di chi voleva prenderlo.
I miei occhi si offuscano sempre quando si tratta di mangiare.
- Non ci provare.- minacciai a denti stretti, osservando il mio nemico.
- Se ci provassi, cosa faresti? – sorrise nel farmi quella domanda, un ghigno a
occhi socchiusi come se sapesse bene chi avrebbe trionfato nella battaglia.
La risposta era scontata. – Fallo e sarò costretta a far saltare in aria
l’intero locale.-
Il nemico citato prima era una donna dai lunghi capelli corvini. Vestiva con un
costume discinto terribilmente osceno, non senza menzionare la volgarità della
sua risata. Le piaceva così tanto riprodurre quel
suono orripilante che non faceva caso agli astanti o alla situazione. Rideva e
basta. Naga del Serpente Bianco era
così, una macchinetta dalla molla rotta che ripeteva all’infinito quel verso
stridulo.
Se mi fossi distratta anche solo un secondo, avrebbe colto l’occasione per
attentare alla vita del mio pasto fondamentale e non potevo certo
permetterglielo. I sacrifici di una o due scorribande con dei banditi non
potevano assolutamente essere sprecati nello stomaco di una tizia che, come se
non bastasse, non aveva affatto partecipato al
recupero di uno dei tanti tesori e si era presentata all’ultimo, solo per
mostrare quelle patetiche forme davanti al naso del capobanda ormai
abbrustolito.
Era inconcepibile, e insopportabile a suo modo.
La donna mi osservò sorniona ancora per qualche istante, finchè
non colsi un leggero movimento della sua spalla. Stava per attaccare, ma
l’avevo colta in fallo.
- Ah!- esultai, mentre con un lampo della forchetta mi accaparravo l’ultimo
prezioso boccone, luce dei miei occhi, gioia del mio stomaco. Ne assaporai la gustosa aroma fino a deglutirlo, provando un intimo
piacere nel sentirne ancora il sapore sulla lingua.
Volsi finalmente lo sguardo alla mia avversaria, mostrando sprezzante il
migliore dei miei sorrisi di vittoria, accomodandomi alla meglio con una mano
sotto il mento e il gomito appoggiato al tavolo. Fui però sorpresa nel vedere
che Naga stava volgendo lo sguardo altrove, fuori
dalla finestra.
- Hey, guarda che ti ho battuta.-
le dissi pungolandole il braccio, continuando a sorridere. La donna girò
lievemente lo sguardo in mia direzione, con un’espressione insolitamente seria,
che però durò l’attimo di constatarlo.
Le sue labbra si piegarono lievemente verso l’alto e gli occhi si socchiusero.
– Ah, si.- fu la sua risposta totalmente
disinteressata, come se la povera diavola che si
portava dietro cercasse di attirare la sua attenzione con un argomento banale
quale l’averla battuta in una rissa da tavola.
Ovviamente non mi andava di essere ignorata, soprattutto dopo tutte le volte
che aveva pensato bene di umiliarmi con il suo
maledetto fare da primadonna, quando le capitava di vincere l’ultimo sacro
boccone.
Guardai anche io fuori dalla finestra, sperando avesse
colto in flagrante un paio di ladruncoli da quattro soldi intenti a borseggiare
una passante. Quella sera il cielo era velato da un gruppo di nuvole poco
consistenti, nulla che promettesse un temporale. Solo dannatissima noia, se
qualcuno non mi avesse dato retta e magari ci fossimo preparate per tempo per
una scorribanda. L’atmosfera e la poca luce erano ottime per cogliere di
sorpresa qualche simpatica vittima nella foresta vicina.
- Sono più di tre anni…- mormorò improvvisamente Naga,
distogliendomi dall’intrigante visione di un sacco di monete d’oro con cui
rimpinzare il mio patrimonio. La mia compagna continuava a guardare altrove,
senza mai far sparire quel sorriso abbozzato sulle sue labbra.
Incrociai le braccia al petto e poggiai la schiena alla sedia. – Tre anni,
cosa?-
Continuava a ignorarmi con lo sguardo e sembrava anche con la mente. Aveva decisamente bisogno di una Fireball
tra capo e collo per farla rinsavire. Quella non era la solita Naga ridarola e attiva che
conoscevo. Ipotizzai che fosse una farsa per farmela pagare dell’ultimo
boccone, che a dirla tutta era nel suo piatto, ma pagato con i miei soldi.
Le sventolai una mano davanti agli occhi, così fu costretta a guardarmi
stupita. Passò un mezzo secondo e mi pentii di averla destata dai suoi
pensieri.
- OHOHOHOHOHOH!!!- fu la sua più intelligente
risposta, mentre si alzava e poneva le mani sui fianchi, alzando il viso verso
il soffitto e dando mostra di sé a tutta la quieta locanda. Superfluo dire che
mi voltai immediatamente, per evitare che gli altri mi guardassero in faccia e
pensassero a che razza di accompagnatrice poteva avere
una tizia folle come quella.
Le mie orecchie chiedevano pietà e decisi di esaudire la loro richiesta.
Tenendo lo sguardo basso, mi alzai da tavola recuperando i guanti e il
mantello; l’armatura e la spada corta li avevo lasciati nella camera al piano
di sopra, ed era lì che ero intenzionata a ritirarmi, lontana da qualsiasi
rumore molesto.
Fortunatamente non incontrai che due anziane nel corridoio, tutte intente nei loro discorsi da decrepite, e non fecero
commenti sulla mia andatura irrequieta. Arrivai alla porta della mia camera,
girai la maniglia e entrai di fretta, sbattendomela
alle spalle e poggiandomici di schiena. Il peggio era
passato.
Avevo un’ampia scelta di cose da fare in quella serata. Tra il bottino
dell’ultima banda avevo trovato un tomo di magia antico ed ero del tutto
intenzionata a dargli un’occhiata, ma dovevo fare anche i conti con la
leggerezza del mio borsello. Fare visita a qualche malcapitato o concedermi una
pausa dalla, seppur divertente, routine? E magari
farlo senza Naga tra le scatole, che era l’ideale per
distendere i nervi dopo la sua ultima uscita.
Ma quel libro richiamava troppo la mia attenzione. A
pensarci bene, considerando la levatura di quei banditi, non doveva trattarsi
di un formulario così particolare. Presi posto alla
scrivania direttamente sotto la finestra, accesi il lume sulla parete a fianco
e iniziai la lettura.
Come il mio infallibile intuito aveva previsto, tutto ciò che teoricamente insegnava era come preparare dei decotti medicativi. Roba
che la magia attuale aveva declassato da anni. Un Recovery
ben eseguito ci metteva pochi minuti a chiudere una ferita, al contrario di un
impacco di erbe di montagna.
Ferite, eh? Si parlava anche di quello, tra le tante pagine. Tagli da arma,
abrasioni, punture e quant’altro. Già più interessante. Non avevo idea di
quanti tipi di lesioni esistessero al mondo e si potessero infliggere con così
tanta facilità.
Forse avrei imparato qualcosa di realmente utile.
O almeno ebbi il tempo di pensarlo, finchè qualcuno
non bussò alla porta. Diedi uno sguardo all’esterno, doveva essere molto tardi.
Chi poteva farmi visita se non un sicario stranamente educato? – Chi è?- chiesi
con falsa gentilezza. La risposta si fece aspettare, cosa che mi fece dubitare dell’educazione dell’altra persona.
- Posso entrare, Lina?- era la voce di Naga. Che
diavolo volesse a quell’ora era un totale mistero. Sbuffai sonoramente, chissà
se l’aveva sentito al di là della porta, infine mi
alzai e gliela aprii, sperando cogliesse la nota di disappunto sul mio
sopracciglio tremolante. Un tic che compariva spesso in sua presenza.
- Se sei qui per chiedermi perché sono scappata, si,
te lo dirò. – le dissi, quasi ringhiandolo a denti
stretti, mentre la osservavo totalmente contrariata della sua entrata non
gradita nella mia stanza. In tutta risposta ricevetti uno dei suoi sorrisi
altezzosi, giusto per non perdere l’abitudine. – E non è stato per qualche
assurda invidia verso la tua persona. – conclusi, ribattendo la porta e
chiudendone il chiavistello.
- Non farmi ridere, Lina.-
Come come? Avevo sentito bene? Non dovevo farla…
ridere? Questa era buona.
- Bè, che c’è? Stavo per andare a dormire e non ho
alcuna voglia di ascoltare la tua voce stridula per il fine
serata.- mentii simulando quanto più disprezzo provassi per la sua
presenza, incrociando le braccia e assumendo uno sguardo torvo.
Senza nemmeno ascoltarmi, lo faceva troppo spesso di recente, si apprestò a
osservare il libro ancora aperto sulla scrivania. Sogghignò, forse aveva capito
che la stavo prendendo in giro, ma si disinteressò presto della cosa e andò a prendere posto sul mio letto. Il mio sacro letto.
- Naga, scordatelo. – le dissi con tono fermo,
avviandomi in sua direzione, afferrandola per un polso. – Con l’ultimo bottino
hai ricavato una buona somma e i soldi per una camera tutta tua ce li hai,
quindi non venirmela a raccontare.-
Era tipico: occasionalmente, all’ultimo minuto, saltava fuori che aveva speso
tutto il denaro in beveraggi vari e non poteva permettersi la stanza. Con tutta
la bontà di questo mondo l’ho sempre accolta nella mia camera, purchè dormisse rigorosamente sul pavimento, cosa che
avveniva altrettanto raramente dopo le peggiori scenate sull’amicizia e il
senso del dovere.
La tirai per farla alzare ma sembrava irremovibile. Dei, voleva
davvero farmi penare, sarei dovuta passare alle maniere forti e sinceramente
non mi andava di pagare eventuali danni, del tutto accidentali, alla locanda.
Notai solo in quel momento che mi stava fissando, e con una certa fastidiosa
intensità. I suoi occhi erano ben aperti e la bocca stranamente era chiusa.
Aspettavo un commento sarcastico sulla mia persona tra
tre… due… uno…
- Sono tre anni che viaggiamo assieme e non mi hai mai chiesto una sola ragione.-
Mi colse totalmente alla sprovvista. Il mio cervello ci mise qualche secondo a
registrare le sue parole, non del tutto convinta che
ci fosse un nesso tra la sua presenza in quel momento e il fattore denaro. No,
probabilmente non centrava affatto, ma parlando di Naga dare per scontato qualsiasi cosa significava zapparsi
sui piedi da soli.
- E che ragioni dovrei chiederti? Del perché hai un pessimo gusto nel vestire?-
domandai con un sopracciglio alzato, sempre trattenendola per il polso.
Sorrise lievemente. – Anche.- per poi tornare ad
assumere un tono serio. – E molte altre cose.-
Non mi ero mai interessata a chi fosse quella donna né
per quale dannata ragione si considerasse mia rivale. Non avevo la minima
intenzione di ascoltare degli strampalati dettagli sul suo costume di pelle,
figuriamoci delle “molte altre cose” a cui si
riferiva.
Non mi interessava nulla di lei. Mi bastava quella che
era, e a volte era anche troppo.
Certo non potevo ignorare il suo comportamento del tutto insolito. Le uniche volte
in cui l’avevo vista così seria si trattava di contare
minuziosamente le monete di un bottino o pianificare un attacco. Quest’ultimo
suona un po’ ridicolo, visto che la sua strategia
preferita era buttarsi di testa in tutte le avventure senza stare un attimo a
ragionarci.
Sospirai, scuotendo il capo e prendendo posto al suo
fianco. – Fa solo in fretta, non ho voglia di… insomma, parla.- le dissi gesticolando con una mano, per farle capire che
prima tagliava corto e meglio era per tutte e due. O meglio, per me.
- Sei la solita opportunista, Lina.-
fu la sua constatazione, accuminata e dritta al mio
ego. – Ti ho appena fatto notare che non mi hai mai chiesto nulla, e ora giri
la frittata come ti fa comodo. Non si fa così. – vidi con la coda dell’occhio che
stava scuotendo un indice puntato in alto, mormorando qualche verso di
disapprovazione. Chi diavolo si credeva di essere?
Mi arresi al suo giochino infantile. – Va bene, allora! – incrociai le gambe e
battei le mani sulle ginocchia, pronta ad ascoltare le sue fantomatiche
informazioni personali. – Se proprio devo accontentare il tuo esibizionismo, la
prima cosa che non ho il piacere di chiederti è da dove diavolo
sei spuntata fuori!-
Una lunga risatina, per fortuna sommessa, riecheggiò come una campana nelle mie
orecchie, nonostante non fosse una delle sue fragorose esternazioni di ilarità.
Prima mi provoca e poi crede di fare la splendida in quel modo… con me!
Davvero, chi credeva di essere?
Bè,
era proprio ciò che le avevo chiesto, in fondo.
Sentii una mano battermi sulla spalla più volte ma non mi voltai verso di lei.
– Oh, Lina, Lina… sicuramente non da sotto un cavolo.- e ci credevo, con quei
dirigibili che si trovava non ci sarebbe stata. – E nemmeno nel profondo delle
viscere terrestri. - …hey, adesso si metteva anche ad
anticipare i miei pensieri?
- Da dove allora?- cercai di simulare un po’ di interesse
verso le sue origini. Faticavo ad ammetterlo, ma sinceramente un po’ mi incuriosiva: una tizia stramba come lei, vestita in modo
strano, dalla risata stramba, dall’atteggiamento strambo, da quale strambo
paese proveniva proprio non riuscivo ad immaginarlo. Dubitavo comunque che mi avrebbe dato una risposta sincera, ma attesi ugualmente.
La mano si levò dalla mia spalla e si accomodò sul materasso. Con un colpo
d’anche, Naga appoggiò la schiena alla parete dietro
di noi e distese una gamba, l’altra piegata. Aveva almeno avuto il buongusto di
levarsi i calzari quando entrò in camera mia, altrimenti l’avrei affettata se
osava sporcarmi le lenzuola.
Effettivamente anche io ero stanca della mia
“posizione di attesa” e seguii il suo gesto, mettendomi al suo fianco. Potevo
osservarla con la coda dell’occhio e mi pareva che avesse perso completamente
il suo atteggiamento strafottente.
- Non aspettarti che ti dica quale sia il mio paese di origine, - iniziò così
la sua risposta, come se non mi aspettassi che avrebbe omesso qualcosa – ma
posso dirti che si tratta di una grande capitale. –
Ottimo, ciò restringeva notevolmente le possibili locazioni. Di tutte le grandi
città esistenti nel continente, riuscivo già a scartarne alcune; era del tutto
improbabile che una come lei venisse da Elmekia, per esempio, visto che è una regione di grandi
spadaccini e lei portava una spada con sé per mera decorazione.
Stavo iniziando a ipotizzare altre possibili città, quando proseguì: - E la mia
famiglia è, diciamo, molto importante.-
…
Come, scusa?
Cioè, voleva veramente rifilarmi una storia del genere?
- E sentiamo, di che famiglia si tratta?- le chiesi con nonchalance. Volevo proprio
sentire cosa si sarebbe inventata.
Regnava il silenzio. Erano trascorsi già alcuni minuti, in cui ostentavo una fintissima calma. Mi aveva messo la pulce nell’orecchio e
ora pretendeva pure che aspettassi i suoi comodi. Alla faccia della signorina dalla
famiglia importante.
Spazientita mi girai per guardarla in viso. Il suo
sguardo perso nel vuoto, gli occhi socchiusi e le labbra serrate mi fecero
presto perdere tutto lo spirito ardente che si era formato nell’attesa.
Era una Naga fin troppo insolita, e questo non riuscivo a tollerarlo. Ma ancora di più, non riuscivo a comprenderlo.
Anche lei si voltò verso di me e, dopo un intenso scambio di sguardi, abbozzò
un sorriso. – Quando sei in una posizione alta nella società, ti fai anche
molti nemici.-
Forse voleva confondermi, forse voleva portarmi su un
altro discorso ancora. Non la capivo, non volevo capirla,
mi mancavano troppi indizi per decifrare quel suo enigma e, se c’era una cosa
che mi mandava in bestia, era non riuscire a cogliere al volo il significato di
qualsiasi cosa.
Era troppo difficile, per una testa calda come me, essere arrabbiati in quel
momento.
E soprattutto, mi frullava in testa una domanda.
Perché mi stava dicendo quelle cose?
Tornai a guardare il lato opposto della stanza davanti a me senza fare alcuna
domanda. Con la mano sinistra le feci un gesto, per farla
proseguire. Non volevo metterle fretta, anche se la curiosità mi premeva in
testa.
Sospirò. – Se ti dicessi il nome della mia famiglia, non mi crederesti.- ottimo intuito, però non fermarti adesso. – Se ti dicessi
qualcosa tipo che sono una principessa, non mi crederesti ancora di più. –
esattamente, non hai la grazia necessaria per essere una
sangue blu… - E se ti dicessi, invece, che ho ucciso una persona?-
Deglutii.
Per quanto Naga fosse
appunto Naga, dubitavo fortemente che si sarebbe
inventata una balla così grande.
Insomma, quando confessi di aver tolto la vita a qualcuno o sei totalmente
folle o dannatamente serio. Sì, effettivamente quella donna era più che fuori di testa, ma quando voleva sapeva parlare. E bene. Lo
riconoscevo, quanto il fatto che suonava davvero seria.
I miei occhi saettavano da un lato all’altro della stanza, un nodo alla gola mi impedì di fare qualsiasi commento sconsiderato, anche se
in cuor mio avrei voluto spingerla a proseguire. Non volevo mostrarmi così tanto insensibile da metterle fretta.
Annuii, semplicemente.
Le volevo credere.
Sentii un movimento sulle lenzuola e sbirciai: aveva appoggiato il braccio sul
ginocchio piegato e stava di nuovo osservando fuori dalla finestra. Una
composizione romantica, se non fosse per l’argomento che stavamo trattando. Il
sorriso non riusciva ad abbandonarla.
- Quale è il modo più efficace per minacciare
qualcuno?-
Bella domanda, ma di facile risoluzione.
Esiste un solo modo più diretto degli altri, per ottenere qualcosa da qualcuno.
- Attentare alla vita dei suoi cari?- risposi col tono più ovvio di questo mondo.
Era un metodo banale e abusato: in quell’epoca, come in questa, si sente
parlare quasi ogni giorno di un ferimento, un sequestro o addirittura un
omicidio per creare scompiglio nella vita di chi è un po’ più potente. C’è chi
ama tagliuzzare la propria vittima e spedire il ricordino, chi va direttamente
al sodo della questione e chi chiedeva un riscatto. Devo ammettere che
quest’ultima soluzione mi si addiceva proprio, anzi avrei potuto metterla in
atto prima o poi. Magari con qualcuno di non così tanto potente e in alto nella società.
I miei pensieri poco ortodossi furono interrotti da un’illuminazione.
- Naga, tu hai…?- domandai, voltandomi a guardarla,
lasciando in sospeso la frase. Con quella domanda mi stava facendo capire
qualcosa di veramente grosso e terribile. Stavo già immaginando la possibile
scena e ciò mi aveva impedito di proseguire.
Non mosse il capo né appiattì la linea delle sue labbra. La sua voce ne uscì
muovendole appena. – Ho ucciso. Ma non per ricavarne
una somma. Ho ucciso per vendetta. – fece una breve pausa, chinando lievemente
il capo verso la spalla. – Ho tolto la vita a chi voleva attentare alla mia.-
Ah.
Ciò faceva precipitare la mia ipotesi.
Aveva iniziato il discorso parlando di una famiglia importante, che ovviamente
era finita nelle mire di qualcuno. Ha proseguito dichiarando di aver
assassinato qualcuno, per poi chiedermi il metodo di minaccia più efficace.
Non sono pazza, vero? I due discorsi si sono incrociati inaspettatamente e ciò
che avevo compreso, alla fine, era che lei stessa era stata il sicario per
conto di un’altra famiglia di rilievo.
Dovevo ammetterlo, mi veniva quasi spontanea un’idea simile, considerando che
talvolta sembrava più l’antagonista di una storia di demoni che una persona che
aveva subito delle terribili conseguenze.
Dopo un attimo di silenzio, decisi che se proprio doveva confessarsi avrebbe dovuto farlo per intero. E non mi importava
quanto potessi sembrarle insensibile.
Se aveva scelto di parlarne a me, poteva significare un paio di cose.
- Non voglio biasimarti, immagino che la situazione non fosse a tuo favore.-
rabbrividii nel dirlo, non avevo mai ucciso qualcuno e non intendevo farlo, la
sola idea mi faceva rivoltare le budella. – Puoi
spiegarmi com’è andata?-
- Come vuoi che sia andata?- notai che il suo tono era
diventato piuttosto seccato. Bingo, Lina Inverse, il tuo
incredibile tatto a volte fa degli scivoloni altrettanto incredibili.
Sospirò e sembrò calmarsi, forse aveva bisogno di esternare della rabbia
repressa. – Non è andata come l’assassino sperava, questo è certo. Aveva
sbagliato obiettivo… - aggrottò le sopracciglia - …non ricordo con esattezza
l’incantesimo, ma sono certa di non averlo mai più usato. L’avevo sorpreso e,
prima che si avventasse anche su di me, mi difesi.-
- Anche… su di te?- mormorai, continuando a osservarla.
Naga si volse e affrontò il
mio sguardo sorridendo, un sorriso davvero triste. Avrei preferito che
scoppiasse in una delle sue solite risate, facendomi pentire di averle dato
retta e aver trasformato la mia serata solitaria in un discorso dalle atmosfere
cupe. Sì, sicuramente l’avrebbe fatto di lì a poco, schernendomi di quanto
fossi ancora una bambina ingenua che credeva a tutto ciò che le veniva detto. Ne ero convinta.
No, non ne ero affatto convinta, ma avrei preferito
fosse così.
Più di tutto, mi premeva ancora la domanda di qualche attimo prima, dovevo
assolutamente avere una risposta.
- Perché mi stai dicendo tutto questo?-
- Perché mi sei molto cara. – non ci mise nemmeno un attimo a rispondere, e
dovevo ammettere che una frase del genere faceva un certo effetto. Arrossii
violentemente, pur essendo oscurata dalla penombra di quell’angolo di stanza
che forse impediva che si vedesse.
Quindi la mia sensazione non era errata. Contavo
qualcosa per lei, e non come una rivale da battere a tutti i costi.. mi faceva enormemente piacere scoprire di essere
importante per quella donna, che raramente si mostrava una vera e propria
amica, ma allo stesso tempo provavo un grande disagio.
Lo sentivo indistintamente. Quella risposta non era completa. C’era dell’altro
e stava per arrivare, ma volevo sentirlo dalla sua bocca.
- Tutto qui? Hai fiducia a confidare determinate cose perché ti sei affezionata
a me e basta? – simulai un tono di sfida, anche se recitare
mi riusciva piuttosto male in quel momento, e accompagnai le mie parole con dei
gesti per aria, sperando capisse che la risposta di poco prima non mi aveva
accontentata.
Sapevo essere molto infida, se era necessario.
Ebbi il tempo di poggiare la mano sul letto, che lei me la catturò. Guizzai
dalla sorpresa e, sì, anche dall’imbarazzo. Un gesto del genere non era adatto
a lei, forse alla situazione ma non a… lei. E poi non era
affatto il caso di prendersi certe confidenze con la sottoscritta. O sì.
- Tu hai conosciuto questa Naga, e lei ti ringrazia
di ogni momento vissuto assieme. Sono stati tre lunghi e intensi anni. –
abbassò lo sguardo e nel farlo mi strinse la mano. – Ma
è ora di mettere la parola fine a tutto questo.-
- Mi stai abbandonando?- chiesi senza rifletterci troppo. Era assurdo. In un
qualsiasi altro frangente, avrei esultato di gioia nel liberarmi di lei. Non
era per le parole che mi aveva rivolto, ma per la verità che stava al fondo di esse.
Ne avevamo passate tante assieme, non riuscivo a tenerne il conto. Ero
cresciuta con lei, non sapevo dire se la cosa fosse reciproca, e non sapevo
cosa mi sarebbe aspettato in futuro. Desideravo continuare su una strada ricca
di avventura e divertimento, e perché no, con lei non sarebbe stato male,
bastava che non tirasse fuori quell’orrenda risata.
Volevo davvero che ridesse e mi dicesse che non mi avrebbe mai lasciata in pace, seguendomi in capo al mondo in qualità di
mia più sedicente rivale.
Lo volevo davvero, e stentavo ad ammetterlo.
La sua risposta mi fece anche più male. – Ho vissuto anni di terrore
guardandomi sempre alle spalle. Non mi sono mai relazionata
a qualcuno per paura di qualsiasi genere di conseguenza. Poi ho trovato te. –
mi rivolse un sorriso affettuoso, forse era stata la prima e ultima volta che
mi fu concesso di ammirarlo. – Una maga brillante sotto ogni punto di vista,
che viaggiava da sola e non temeva i pericoli del mondo. Dovevo… imparare, da te.-
In altre circostanze, avrei pensato che mi avesse sfruttata
per tutto il tempo.
In quelle circostanze, pensavo semplicemente di essere stata utile a farla
diventare in qualche modo forte.
- Fammi indovinare, - iniziai a dire, sperando di risultare
meno odiosa del mio solito, oh, non che io sia mai realmente odiosa – vuoi
mettere in pratica i miei preziosi insegnamenti di vita e andartene in giro per
il mondo da sola, sperando di combattere una volta per tutte i tuoi demoni?-
Finalmente rividi la compagna con cui avevo viaggiato: si sollevò a sedere,
incrociando le gambe e le braccia sotto l’enorme seno, piegando il viso verso
l’alto e in direzione opposta a me, assumendo un atteggiamento di superiorità.
– I miei demoni interiori non sono altro che sciocchezze di fronte alla mia
immensa persona. Del resto i demoni stessi provano terrore di fronte a Naga del Serpente Bianco.-
- Ma tu non sei Naga, giusto?-
Quanto amavo spiazzarla. Dopo tutto quel cupo discorso, potevo tornare ad essere la solita maga-genio dalle lampanti intuizioni e
giocare un po’ al gatto col topo con lei.
Del resto, lei stessa aveva detto che avevo conosciuto “questa” Naga. Ciò premetteva che tutto il suo essere o almeno una
parte era una grande farsa, per questa o quella ragione, e che quindi nemmeno
il suo nome corrispondeva a quel titolo altisonante, che la faceva sembrare più
che altro la gerente di qualche banda di delinquenti.
La mia compagna assunse una posa di difesa, come se la
stessi attaccando fisicamente. Aggrottò le sopracciglia, storcendo le labbra. –
Non ti dirò mai il mio vero nome. –
Bè, grazie
per aver confermato i miei sospetti.
Mi venne improvvisamente un’idea per sbloccare la situazione.
Stavo ammettendo a me stessa troppe cose, ancor più di quante
ne avevo ammesse in tutta la mia vita fino a quegli anni. Mi disturbava
non conoscere la verità, ma ancora di più dovermi
separare da lei da un momento all’altro.
Sono Lina Inverse, sono un genio e sono anche originale.
Mi alzai sulle ginocchia e mi avvicinai a lei, sempre pronta a difendersi.
Puntai il dito indice della mano destra verso il suo viso e le feci
l’occhiolino.
- Facciamo una scommessa. – dissi con tono allegro, o fintamente tale, e posi
le mie condizioni – Se riuscirò a strapparti di bocca il tuo vero nome, sarò io
a decidere quando e se te ne andrei. In caso contrario, sarai libera di agire
come preferirai.-
La donna mi guardò piuttosto confusa e scosse lievemente il capo. – Lina, io ho
comunque intenzione di…- - Non mi interessa cosa hai
intenzione di fare, questa è una scommessa, la accetti?-
Spalancò gli occhi e rimase con la bocca semi-aperta dallo stupore. L’avevo
interrotta e mi ero precipitata per conoscere il suo pensiero inerente alla
questione, tutto il resto non aveva importanza.
Se proprio dovevamo separarci, che almeno fosse accaduto secondo il nostro
stile.
Attese ancora un lungo e snervante attimo, poi rispose, assumendo uno sguardo
deciso e intrigato dalla proposta. – Accetto la scommessa, ma sappi che perderai.
– concluse con uno dei suoi più smaglianti sorrisi.
Sorrisi anche io, socchiudendo gli occhi.
Le braccia volevano muoversi, forse trattenerla, forse abbracciarla per dirle
addio. L’orgoglio mi impediva qualsiasi mossa, sarebbe
stato inusuale per la mia persona mostrare sentimenti quali la tristezza e la
gratitudine per la sua presenza. Mi sarebbe mancata, e avrei conservato il suo
ricordo senza farne parola con nessuno.
- Lo so.-
Gourry si voltò verso di me, cogliendomi mentre gli
osservavo intensamente la schiena.
La mia reazione fu l’imbarazzo più totale.
- Lina, c’è qualcosa che non va? – mi chiese con il suo solito fare da
ragazzone premuroso. Mi si avvicinò e mi scompigliò i capelli con la sua grande
mano, come se quello risolvesse qualsiasi cosa non andasse.
Rossa in volto, gli misi le mani sul fianco e lo spinsi via, tenendo lo sguardo
basso e proseguendo la nostra strada.
- Stavo solo pensando. Sai, ogni tanto lo faccio, a differenza tua. – devo
essere stata dannatamente simpatica, visto che sentii
indistintamente uno sbuffo da parte sua, per poi proseguire con me.
Mi chiedevo se un giorno avrebbe desiderato tornare alla sua vita prima di
incontrarmi.
La via innanzi era ora libera da qualsiasi ostacolo o
visione. Era ingiusto liberarsene, ma sapevo che prima o poi,
in una forma o nell’altra, avrei incontrato di nuovo quella donna che si faceva
chiamare Naga.
Ah, dimenticavo.
Avevamo passato tutta la notte a discutere, cercai in tutti i modi di spillarle
anche solo una lettera del suo nome. Con uno stratagemma, che speravo fosse
infallibile, riuscii a farle dire un “Gr…” che si
trasformò in “Gr…azie”. Non
sono del tutto sicura che fossero le sue vere iniziali; in compenso, fece
quello che per orgoglio non avevo fatto io e mi ringraziò realmente, abbracciandomi.
In tutto questo, non avevo osato chiederle informazioni sul suo assurdo
costume.
Quando mi svegliai il giorno dopo, era già partita.
Il vuoto che provai nei tempi a venire si espandeva sempre di più, dovevo
abituarmi a non sentire la sua presenza, anche se per fortuna se n’era andata
la sua risata. Già, sentirla ridere colmava a suo modo le mie giornate, e
improvvisamente vi era il nulla.
Se ci penso bene, la cosa che più rifiutavo, all’epoca e adesso, non era tanto
il fatto di separarci improvvisamente.
Ero più abbattuta dall’aver perso una scommessa iniziata da me.
Naga sarebbe partita
comunque.
E io, testarda, ho voluto perdere, consapevolmente.