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Autore: Aliens    27/10/2012    6 recensioni
Mosse due o tre passi sulla trave del binario, barcollando appena cercando di mantenere l’equilibrio.
Un equilibrio precario che anche lei sentiva.
Si sentiva oscillare tra la ragione e la superstizione, tra l’accettare e il chiudere gli occhi, per sempre.
Le sarebbe piaciuto chiudere gli occhi e trovarsi a quel maledetto sabato sera e rifiutarsi di uscire, andare a scuola il lunedì e guardare Tom come avrebbe fatto ogni mattina.
Con quella strana attrazione e la sua voce nella testa.
Genere: Commedia, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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TWENTYONE.

 

 

 

 

 

 

 

Bill aveva l’umore sotto i piedi e quello, a conti fatti, non era un buon segno.

Perché Bill era sempre di cattivo umore, ma quella volta lo era davvero.

Una vena pulsava, pericolosamente sul suo delicato collo da cigno, i capelli neri scoprivano un viso che sembra essere di pietra, letteralmente.

I suoi occhi nocciola mandavano lampi incandescenti e sembravano iniettati di sangue, come se fosse pronto a compiere un omicidio.

Si era truccato pesantemente come ad accentuare quell’aria da vampiro che si trascinava dietro nonostante lui li ammazzasse i vampiri.

Una leggera maglietta a maniche lunghe scendeva sul suo addome allenato scoprendo i bicipiti scolpiti, la collana del legame scendeva sfiorando la prima serie di addominali a tartaruga, i pensati pantaloni neri di pelle si andavano ad infilare in degli stivaletti di cuoio neri con punta rinforzata in titanio. Un paio di scarpe molto utili se doveva prendere a calci qualcuno e, per come si sentiva quel giorno, era probabile che succedesse.

La giacca di pelle che era solito portarsi era posata in bilico sulla sua tracolla nera.

Stava macinando, solo e a piedi, la distanza che v’era da casa sua alla scuola.

Aveva bisogno di parlare e per quel motivo quella mattina si era affrettato a uscire prima di tutti. Aveva avuto solo il tempo di salutare Tom che si preparava per il primo pranzo a casa Harper come “boyfriend” di Elisabeth, ed era uscito.

A farlo infuriare era l’atteggiamento di Nemesi.

Non era lei.

Cavolo, Bill conosceva Nemesi da una vita, era stata la sua babysitter, gli aveva cantato ninna nanne medievali, aveva suonato per lui Chopin o Beethoven quando gli incubi lo assalivano, l’aveva aiutato con i compiti e sgridato quando picchiava i suoi compagni alle elementari per il puro gusto di vendicarsi. Era stata lì quando l’avevano Consacrato a dieci anni, dopo tre anni di addestramento, era stata lì quando aveva cominciato a diventare cupo e violento, ossessivo nei suoi confronti, ribelle e volgare, era stata vicino a lui quando, nonostante cercasse di far vedere il contrario, crollava al ricordo dei genitori, era stata con lui quando, infuriato, voleva fare fuori il fratello dopo che aveva scoperto che la sua prima cotta aveva baciato prima Tom, era stata accanto a lui quando era tornato a casa dopo la sua prima volta che, paradossalmente, era arrivata prima di quella di Tom e lui aveva notato lo sguardo dell’angelo fino a farsi instaurare dei sospetti dentro e poi darsi dell’idiota.

Ricordava perfettamente quel primo settembre del duemilasei, il giorno del suo diciassettesimo compleanno.

 

 

Tom aveva ancora i rasta biondi, Bill li ricordava come se fossero ancora sulla testa di Tom.

Una coda fitta di trecce bionde che nascondeva dietro un cappello da rapper.

Ne aveva tantissimi, di tutti i colori.

Quel giorno era di un azzurro che sfumava in un blu elettrico, come la sua maglia da Football, bianca, blu e nere che si abbinava alla fascia nera.

I jeans che portava all’epoca erano enormi, tende da campeggio quasi con due toppe che doveva essere posizionate sulle ginocchia ma che in realtà a Tom arrivavano quasi ai piedi, coperti da Nike bianche dallo stile hip hop.

Eccoli lì, che rideva con quel viso da bambino che ancora non gli si toglieva nonostante fosse arrivato –quasi- alla maggiore età.

Rideva perché Bill  stava cercando, in tutti i modi, di sfuggire all’obbiettivo della macchinetta fotografica di Daren, l’ex ragazzo di Fahara.

L’angelo lo guardava con sfida mentre Bill, decisamente irritato, lo minacciava di morte.

Bill aveva i capelli lunghi all’epoca, lunghi e sparati in aria come se fossero stati colpiti da una scossa elettrica. Erano spruzzati d’oro in più punti a ricordare il suo vecchio colore di capelli cambiato durante la Consacrazione.

Tom non aveva voluto perdere il suo colore, che gli ricordava la madre, ma Bill sì, si era aperto a tutta la trasformazione.

Più in là anche Tom si sarebbe fatto togliere il sigillo per il colore dei capelli, adottando il nero che la Consacrazione aveva imposto a loro, in corrispondenza con il loro diciannovesimo compleanno.

Il Bill diciassettenne vestiva decisamente in modo più allegro di quello che sarebbe diventato più in là.

Quel giorno aveva adottato un abbigliamento composto da una giacca di pelle rossa bianca e nera, una t-shirt nera e un paio di jeans chiari, retti da una cinta con la fibbia a teschio.

«La vuoi smettere di rompere i coglioni?» domandò, furibondo Bill.

La risata di Tom aumentò fino a diventare irritante.

«Eddai, Bill, quanto sei permaloso, sono anche dieci anni che sei qui, sorridi almeno oggi»

«Già, dieci anni» mormorò Nemesi.

L’angelo, con i capelli che le sfioravano le spalle e il viso di una bambina, si stava avvicinando a loro reggendosi in precario equilibrio sui tacchi che aveva indossato.

Bill non poté, con una certa vergogna dovette ammetterlo, non ammirare le lunghe gambe dell’angelo lasciate libere da un paio di short neri di raso che facevano risaltare il corpetto vittoriano beige che indossava.

Si morse un labbro senza volerlo mentre Tom lo osservava decisamente stranito.

Bill se ne accorse subito «Che c’è?» domandò, ma il suo tono diceva “cazzo, mi hai beccato”.

Tom scosse la testa mostrando un viso quasi sconvolto, sconvolto dagli stessi pensieri di Bill. Incrociò le braccia al petto e indicò, con un cenno della testa, l’angelo che si avvicinava a loro quasi sculettando tenendo in mano un vassoio di biscotti appena sfornati.

«Pff…» sbuffò Bill «Sono pensieri irrazionali, Nemesi è una bella ragazza e non posso far altro che guardarla no? Questo non vuol dire che mi farei DAVVERO la ragazza che mi sentiva piagnucolare nel sonno, cioè, NO!»

Tom alzò un sopracciglio senza dire nulla. Quello era più irritante di quando il fratello parlava perché stava a significare che aveva detto una cosa così idiota che non valeva nemmeno la pena di parlare.

Era con quelle facce che Tom ti faceva capire che sotto quello strato di razionalità e bontà che si era cucito addosso dopo la morte dei genitori c’era ancora quel bambino bastardo che aveva chiuso il protagonista della recita scolastica nel bagno scaricando la chiave in un altro solo perché a lui era capitato il ruolo minore.

Era strano pensare che quel fatto era successo qualche mese prima che i loro genitori morissero ma appariva come un’altra vita.

Tom ridacchiò quando lesse il flusso dei suoi pensieri.

«Oh ma andiamo!» piagnucolò Bill «Davvero, io non riuscirei mai a scoparmi Nemesi sapendo cosa ha fatto per me quando ancora pisciavo nel letto o mi faceva il bagno»

«Ti piaceva quando lei ti faceva il bagno»

«Ero piccolo Tom, smettila di dire cazzate»

Il fratello roteò gli occhi e voltò la sua attenzione verso il tavolo su cui Julie aveva messo delle bevande «Come dici te, Bill… vuoi una Red Bull?»

Era un palese tentativo di troncare quel discorso, lo sapeva, solo perché Tom aveva pietà di lui.

Vide il fratello sparire e sospirò.

Era vero, da qualche tempo provava una certa attrazione per Nemesi, si sentiva spinto verso di lei e il suo fare così ingenuamente malizioso ma aveva attribuito tutti i suoi sogni erotici su di lei e quelle fantasie solo al fatto che fosse maturo, come Cacciatore, e che fosse perennemente arrapato (cosa che non c’entrava nulla con la sua natura ma più sul suo sesso).

Nemesi era obbiettivamente la ragazza più bella che avesse avuto il modo di conoscere perché, di fatti, era un angelo e tutti gli angeli erano bellissimi. Perfetti.

Ma Tom, per fare un esempio, non guardava in quel modo Nemesi.

Tom si era anche imposto la castità, gli ricordò la sua mente.

Georg anche non pensava a Nemesi in quel modo e Gustav meno di lui.

Allora perché lui subiva quel fascino?

Tom riapparve qualche secondo dopo con una lattina di quella bibita tanto buona e Bill gliela strappò di mano portandosela alle labbra. Ne bevve un lungo sorso rabbioso mentre con gli occhi nocciola seguiva la bionda avvicinarsi a loro fino a fermarsi definitivamente davanti a loro.

Sorrise a Tom che, con uno sguardo furbo, si girò sui talloni e si esibì in un poco intelligente «Oh, mi sono ricordato di fare una cosa» che sapeva tanto di “Vi lascio soli, ho paura di vedervi pomiciare”.

Bill lo fulminò indirizzando alla mente del fratello un epiteto non proprio gentile nei suoi confronti.

Tom ridacchiò ed esclamò allontanandosi «Anche io ti voglio bene, fratellino»

Ricordandogli che no, il piccolo bastardo biondo non era mai morto.

Nemesi fissò il biondo sparire ridendo e guardò Bill con sguardo confuso «Che ha fatto tuo fratello?»

Bill fece spallucce «Anche Tom ha un lato oscuro»

Nemesi rise e la sua risata fece divertire anche Bill. Nemesi aveva una risata bellissima.

«Oh sì, come tutti no?»

«Già.»

Seguì un silenzio abbastanza imbarazzante, di come non ce ne erano mai stati tra di loro.

In fondo quale imbarazzo dovrebbe esserci tra di loro se Nemesi faceva il bagnetto a Bill quando era un poppante?

L’angelo fece un profondo respiro e parlò «Senti Bill, possiamo parlare?»

«Di cosa?»

Nemesi fece una smorfia «Devo dirti una cosa in provato»

Bill annuì e posò una mano sul suo polso «Andiamo in camera mia, ok?»

Nemesi tremò ma era davvero il posto giusto, nessuno disturbava mai Bill in camera, a parte lei.

Lo seguì lungo le scale inebriandosi del tocco incandescente del cacciatore aveva su di lei e sorrise.

Stava andando tutto secondo il piano.

Bill aprì la porta della sua stanza e fece segno a Nemesi di precederlo.

Cosa c’era di male in quello? Nemesi passava gran parte delle giornate in camera con lui, senza fare nulla, da dieci anni.

Cosa c’era di male nel farla entrare di nuovo nella sua camera?

Eppure si sentiva strano come la prima volta che aveva portato una ragazza a casa, sotto consiglio di Georg, e aveva perso la verginità.

Lui sentiva una strana consapevolezza dentro di lui, come quando sai cosa farai.

Nemesi entrò e lui, afferrando la maniglia entrò chiudendo la porta.

Non fece in tempo a concentrarsi sulla bionda che lei requisì le sue labbra. Le prese tra le proprie in un semplice e casto bacio a stampo che diede a Bill solo il tempo di realizzare quello che era successo.

Nemesi lo aveva baciato.

Certo, un bacio a stampo frettoloso e senza un minimo di lingua, ma era un bacio.

Un bacio che mandò in tilt il controllo di Bill.

La bionda lo guardava mortificato mentre faceva un passo indietro «Scusami Bill, io…»

Ma il Cacciatore non le diede il tempo di parlare. Afferrò la sua vita e con uno strattone violento la spinse verso di sé.

Il corpo all’apparenza fragile di Nemesi andò a scontrarsi contro quello duro e compatto di Bill mentre Bill serrava le braccia sulla sua vita spingendo il viso verso il suo.

Posò le labbra su quelle di lei con furia, reclamando, imperiosamente, un contatto più intimo.

Nemesi glielo concesse subito e sentì la lingua piercingata del ragazzo inclinando appena la testa.

Un’esplosione di colore colpì la testa di Bill quando incontrò la lingua di Nemesi.

Non riusciva a credere che la stesse baciando e con una tale intensità, non riusciva a credere di sentirsi tanto scombussolato.

Affondò la lingua nella bocca dell’angelo mentre lei gemeva dentro le sue labbra aggrappandosi al suo collo.

Lo strinse con potenza e Bill ricambiò la stretta facendo salire la mano lungo il mento dell’angelo stringendolo delicatamente imponendo alla ragazza il ritmo che lui voleva.

E quel contatto piacque ad entrambi in un modo quasi pauroso.

Bill incontrava furiosamente la lingua di lei mentre gli cingeva le spalle accarezzandole.

La loro finta fragilità l’aveva sempre eccitata.

Quando l’ossigeno cominciò a scarseggiare, Bill si allontanò e la guardò negli occhi.

Non gli diede nemmeno il tempo di replicare che l’angelo scivolò lontano da lui chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

Nel turbine dei suoi ricordi Bill andò a sbattere contro qualcuno.

Una puzza di fumo gli saturò il suo olfatto fin troppo sensibile mentre l’idiota che l’aveva urtato cadeva a terra mentre Bill rimase in piedi come ancorato alla terra su cui camminava.

«Pezzo di merda!» sibilò il moro alzando appena la testa verso il gruppo che si stava parando davanti al ragazzino biondo che era caduto davanti a lui.

La smorfia che aveva sul viso non aveva nulla di rassicurante.

«Dovresti stare più attento a dove metti i piedi, Marilyn Manson frocietto» esclamò uno dei ragazzi mentre il biondino si alzava.

Bill lo guardò con finto interesse. Doveva ammettere che era imponente e che poteva incutere terrore a qualcuno. Lui, però, non era quel qualcuno, non lo era mai stato.

La paura aveva già prosciugato molto di lui quando era bambino, non si sarebbe mai spinto ad avere paura.

Ciò che doveva essere classificata paura veniva rimpiazzata dall’ira funesta.

Il bamboccio moro lo guardava con un ghigno che avrebbe dovuto essere sornione ma che risultava ai suoi occhi irati estremamente ridicolo.

Bill ringhiò appena mostrando di denti. In altre circostanze quel bulletto di periferia lo avrebbe fatto quasi ridere, sarebbe risultato persino divertente davanti a Tom, ma quel giorno l’aria tirava da un’altra parte.

Quando il gruppo cominciò a ridere per la brillante battuta Bill fece scivolare giù dalle sue spalle lo zaino nero facendolo atterrare con pesantezza e si portò davanti al petto nascondendo il pugno contro un palmo.

«Non sono dell’umore giusto per giocare con coglioni tutti muscoli e senza cervello, oggi» sbottò «A chi devo spaccare il culo per primo?»

Il gruppo rise e si face avanti l’imponente muro.

Bill capì immediatamente che non era della sua scuola. I bulletti, appena perdeva la pazienza, andavano a nascondersi dietro un cespuglio tremanti. Si chiudevano loro stessi negli armadietti e si buttavano nei secchi dell’immondizia pur di non farsi notare da lui.

La mente dei normali era semplice da decifrare. Un ghigno cattivo, una forza soprannaturale come quella dei Cacciatori, un effetto scenico dovuto ai vestiti neri –perché Bill era l’unico Cacciatore ad andare vestito come cacciava- e loro ti consideravano una minaccia.

«Voglio davvero vedere» soggiunse il bullo mentre si parava davanti a Bill.

Era alto come lui, notò Bill, ma questo non gli impedì di sogghignare malefico.

«Non sei della Mistery Fall High School, immagino» sibilò Bill facendo scrocchiare le ossa del suo pugno destro.

«No»

«Peccato» commentò Bill mentre lo afferrava per il colletto «Avresti evitato di innervosirmi se fossi stato di quella merda di scuola»

Il pugno si infranse contro la guancia del ragazzo con una precisione e una velocità che stupì molti, Bill osservò la testa del ragazzo piegarsi di lato e per un attimo credette che gli avesse rotto il collo.

Ma il gemito che mandò il ragazzo mentre barcollava indietro gli diede il via libera per continuare.

Si avvicinò e con un calcio circolare colpì dietro le ginocchia facendolo cadere a terra. Due mosse e il grande bullo era K.O.

Bill si avvicinò a quel ragazzo mentre la sua banda si tirava indietro. Fece passare la mano tra i capelli del ragazzo e li strinse. Il ragazzo mandò un lungo gemito di dolore che fece sorridere Bill. Lo tirò su usando i capelli mori e lo colpì sotto il mento.

Adorava il sangue, doveva ammetterlo Bill, per quanto odiasse i vampiri –Jessica esclusa- amava quando loro il sangue umano.

Gli dava un senso di onnipotenza.

Continuò a mulinare pugni al suo viso mentre gli altri lo guardavano inermi.

Solo quando uno di loro si staccò dal gruppo pronto ad accorrere, Bill mise in uso i suoi sensi di Cacciatore. Seguì l’odore del ragazzo che si mischiava a quello del sangue dell’altro e nel momento esatto che quello si slanciò verso di lui, si abbassò lasciando andare il primo e afferrò per un braccio l’altro. Usò la sua spinta per farlo volare al di là del suo corpo e nel farlo gli spezzò, con facilità, un braccio.

Il Crack secco dell’osso riempì l’aria facendo cadere anche il silenzio.

L’urlo del ragazzo arrivò in ritardo riempiendo l’aria e inebriando Bill. Si sentiva cattivo ma anche sempre più tranquillo.

Si voltò verso gli ultimi due rimasti e li guardò intensamente «A chi tocca adesso?»

«Tu…» un ragazzo, balbettando, gli puntò il dito contro «Tu… tu non sei…»

«Non sono cosa?» tuonò Bill «Non sono uno frocio? Non sono un cagasotto? Non sono una mammoletta?» gli domandò sprezzante avvicinandosi «No, non lo sono mai stato e mai lo sarò, quelli come voi mi fanno solo ridere» spiegò «Oggi, però, non sono del verso giusto per prendervi per il culo a dovere»

Scavalcò il corpo agonizzante del primo bullo e si avvicinò agli altri due che indietreggiavano spaventati.

Fiutava la loro paura, il suo olfatto da segugio ne era inorridito e inebriato allo stesso tempo. Fece scricchiolare di nuovo le ossa dei pugni e si apprestò ad attaccare.

«Tu sei pazzo» esclamò uno dei bulli «Non sei umano»

Nel momento Bill non si accorse del furgoncino arancione che si era accostato al marciapiede. Avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco che quella era opera di Cassie. La porta del furgoncino si aprì e Elisabeth si riversò sull’asfalto prendendolo per un braccio.

I bulli trasalirono mentre Bill si voltava, furente, verso di lei.

«Bill» lo richiamò piano e il moro capì.

Guardò i due, poi di nuovo la rossa e annuì leggermente. Con un gesto secco si liberò della presa della ragazza e si fece ricadere i pugni lungo i fianchi sciogliendoli.

Elisabeth gli sorrise. Sentiva il turbamento del ragazzo, lo aveva sentito da quando era uscita di casa.

Non continuare, ti prego. Lo implorò nella testa e Bill sospirò sconfitto «Va bene».

Elisabeth lo spinse per un braccio sotto gli occhi esterrefatti degli altri.

Come poteva una ragazzina rossa e dall’aspetto fragile calmare quella furia dai capelli neri e dallo sguardo spirato e cattivo?

Guarda che non scappo, lasciami. Imprecò Bill nella sua testa.

Elisabeth lasciò la mano del ragazzo e lo guardò.

«Okay, okay, sarei scappato per finirli, ma non lo farò, va bene?»

«Bravo Bill» lo lodò lei mentre si avvicinava al furgoncino «Che ti è preso?»

«Beh, ti stavo venendo in contro prima di incontrare quelle teste di cazzo, abbiamo, diciamo, discusso e…»

«Okay, ho capito» lo bloccò la rossa con una mano «Cassie, va da sola, io e Bill dobbiamo parlare un po’»

La bionda fece sbucare la testa dal finestrino. Fece scorrere lo sguardo sui due cacciatori notando il viso contratto del cacciatore più inquietante e capì il problema. La sua capacità di lettura del futuro non era utile quando la risposta era stampata nel viso della persona che aveva accanto.

Bill era furioso e, anche se di normale non era proprio una cima in fatto di solarità e allegria, solo una persona poteva ridurlo nella condizione di non giocare con i bulli.

Nemesi.

Che fosse strana in quel periodo se ne erano accorti tutti, più che gli altri se ne era accorto Bill che di conseguenza, diventava irritabile più del normale.

Cassie annuì e si rinfilò nel furgoncino. I Cacciatori avevano supervelocità e resistenza, una camminata non avrebbe fatto male a nessuno dei due. Salutò l’amica e il moro e ripartì, lasciandosi alle spalle la nuvoletta di mal umore che Bill si portava dietro.

«Allora» iniziò la rossa «A cosa è dovuto quest’umore mortale, Bill?»

Il moro sospirò e guardò la cognata. I capelli rossi erano nascosti sotto un simpatico cappellino nero con paraorecchie prolungate in due file terminanti con un palla di lana nera, aveva anche le orecchie quel cappellino e sembravano quelle di un gatto come constatò dal piccolo disegno del muso di un gatto nero con occhi rossi, quasi quanto i capelli della proprietaria. Il pesante trucco nero intorno agli occhi evidenziava il verde inteso dei suoi occhi carichi diapprensione verso di lui mentre le labbra piene erano solcate da uno strato leggero di burrocacao. Un felpone nero, molto più grande della sua taglia originale, era aperto su un top senza spalline nero impreziosito da complicate stampe bianche, grigie e rosse recanti anche l’effige di una rosa. La cinta borchiata che reggeva i jeans logori neri faceva risaltare anche il teschio bianco su un fianco della felpa. Ai piedi i suoi classici anfibi neri a quattro passanti con pesante fibbie e merletti in cui sparivano i jeans attillatissimi. Alle orecchie brillavano dei pentagrammi d’argento. La Consacrazione aveva portato ad Elisabeth un ossessione per il nero, come ripeteva sempre Tom.

«Beh» cominciò Bill «Il problema è Nemesi»

«Perché? Vuoi due vivete in simbiosi» Elisabeth lo guardò «Non litigate mai»

«Al contrario» la contraddì il ragazzo «Io e Nemesi litighiamo spesso, ma sono cazzate da nulla che passano dopo cinque minuti» spiegò «Ma non abbiamo litigato, semplicemente sento che Nemesi mi sta nascondendo qualcosa»

«Non ti seguo»

«Beh, tu non conosci Nemesi come la conosco io, oltre ad essere il suo ragazzo da cinque anni, lei mi ha cresciuto e ormai posso leggerle quasi nel pensiero» la guardò intensamente «Sento quasi quello che sente lei, e mi sembra che c’è qualcosa che la turba e mi fa incazzare il fatto che non me lo dica» continuò «Lei mi ha sempre detto tutto e da quando le ho giurato amore, facendo il legame, tra noi dovrebbero MAI esserci segreti, eppure sento che lei, in qualche modo, mi sta allontanando da qualcosa»

«Magari lo fa per proteggerti Bill» anche alle orecchie di Elisabeth quella sembrò una cazzata.

Bill, di fatti, la guardò alzando un sopracciglio «Ti sembro uno che non sa pararsi il culo da solo, Liz?»

La rossa scosse la testa. Bill era così implacabile che il suo nome faceva tremare qualsiasi essere vivente e non. Era l’incubo di ogni creatura si presentasse davanti a lui tant’era che pochi riuscivano ad affrontarlo.

L’aveva visto lei stessa durante quelle lunghe cacce in cui le prede si arrendevano solo alla sua vista.

«Allora perché cazzo non vuole dirmi cosa la fa stare in quel modo di merda?» sbraitò Bill «Perché fa stare me di merda?»

Elisabeth lo guardò senza sapere come parlargli o consolarlo.

Lei non aveva provato mai uno sconvolgimento tale, nemmeno quando Travor l’aveva tradita per quella puttana di Ronnie, per la sua migliore amica.

Si bloccò in messo alla strada sapendo di non poter trovare le parole aiutarlo e fece il gesto più spontaneo che le venne in mente. Afferrò un braccio di Bill bloccandolo per la strada e lo spinse verso di lei, racchiudendo il corpo caldo del cacciatore in un caldo abbraccio che lo lasciò smarrito per un paio di secondi.

Poche persone abbracciavano Bill nonostante ci provassero. Bill odiava gli abbracci perché sua madre lo abbracciava sempre, era il suo cocco. Eppure quello di Elisabeth non gli dispiaceva, come non gli dispiaceva abbracciare Tom. Era uno di quegli abbracci che ti sciolgono il cuore. Senza esitazione strinse il corpo della cognata e posò la testa su quella di lei ringraziandola silenziosamente per l’appoggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bella Harper, quel giorno, era di mal umore.

O, almeno, lo era perché sua sorella aveva deciso di portare a casa il suo nuovo ragazzo.

Lo era perché ci sarebbe stato anche Josh, il suo di ragazzo, e tutta l’attenzione non sarebbe stata concentrata su di lei.

Aveva tredici anni e la voglia di superare la sorella era troppa da contenere.

Aveva imparato che i ragazzi della sorella erano sempre bellissimi, fieri e atletici, e grandi.

Sì, erano molto più grandi di lei.

Josh, il suo di ragazzo, non era grande, aveva la sua età e frequentava una classe diversa. Certo, era il più bello della scuola ma questo decantato Tom –che aveva visto di sfuggita solo una volta- prometteva di essere più perfetto della perfezione stessa.

Se era riuscito a conquistare il quel modo Cam, beh, qualcosa aveva in più.

Eccolo lì, il suo fratellone ad aiutare la madre ad apparecchiare e fischiettando in quel caldo maglione grigio a righe orizzontali nere che mostravano bene tutta la sua massa muscolare tonica e allenata. Josh lo fissava quasi con invidia.

Josh era acerbo come ogni ragazzino di tredici anni, alto, allampanato, biondo e con una faccia da schiaffi, così l’aveva descritto Cam la prima volta che l’aveva conosciuto.

Allison, la piccola di casa, cercava le attenzioni del ragazzo, ma Josh non gliele dava, anzi, si sentiva anche abbastanza irritato da quella bambina biondissima con gli occhi azzurri.

Iniziò a piangere allungando le manine e il ragazzo la guardò in panico «Che ho fatto?» le domandò.

«Non le dai attenzioni, ecco che hai fatto!» sbottò Cam avvicinandosi.

Il passo prepotente del fratello avrebbe potuto far paura a qualcuno, ma non a lei.

A Josh, infatti, fece paura.

Cam si piegò verso Allison e la prese in braccio con facilità facendola appoggiare al suo petto. La bambina si quietò all’istante stringendo il collo possente del fratello maggiore.

Bella mandò uno sguardo di fuoco al suo ragazzo che cercò di discolparsi.

«Io non ci so fare con i bambini, baby, lo sai!» si difese da quello sguardo inquisitore.

Anche lui era curioso di conoscere la famosa sorella della sua ragazza. Il “Diavolo” secondo Bella.

«Perché Elisabeth non è tornata con te?» domandò alzandosi dal divano spolverandosi i jeans scuri scoloriti.

Cam si voltò e la guardò «Perché c’è Tom con lei, viene con lui» disse sbrigativo «Mi pare di averlo già detto, no?»

«Probabilmente non ti ascoltavo»

«Dovevo immaginarlo» rispose Cam facendo roteare gli occhi «Comunque passavano da Tom a prendere la sua macchina e poi venivano»

«Quello ha la patente?» domandò Bella incredula.

Allora aveva più di sedici anni.

Cam annuì distrattamente «Ha quasi ventitre anni, Bella, certo che ha la macchina».

Un piccolo sorriso le sfiorò le labbra.

Se Tom aveva ventitre anni e frequentava la stessa scuola di Elisabeth significava che era un idiota colossale, forse più di Travor.

Guardò il fratello cercando di capire qualcosa di Tom ma quello che vide furono solo le spalle di Cam che si piegavano per rimettere giù la piccola mentre la porta si apriva.

La prima ad entrare fu Elisabeth.

Si tolse il cappello che indossava facendo ricadere la lunga chioma rossa che non aveva niente a che fare con i capelli di tutti i membri della famiglia. Lo buttò di un lato mentre Allison si fiondava verso di lei.

Elisabeth la prese al volo e le sorrise «Come sta la mia piccola eh?»

La loro sorellina muoveva i piedini contenta ridendo, prima di irrigidirsi quando entrò l’estraneo.

Sia Josh che Bella spalancarono gli occhi.

Il primo davanti alle spalle larghe, il fisico tonico e all’altezza da giocatore di Basket, la seconda incantata da quel visino dolce.

Tom era davvero bello con quei cornrows neri che gli ricadevano sulle spalle e sul collo possente, il visino perfetto, limpido e solare, con i dilatatori alle orecchie neri come il piercing al labbro. Una t-shirt nera di intravedeva da sotto l’enorme felpa rossa che arrivava a metà coscia coperta da un jeans chiaro largo che copriva delle Nike nere lucide.

Era davvero bello.

Elisabeth mise giù Allison che corse a nascondersi dietro Cam che rise.

«Oh, ha paura di me?» domandò il ragazzo piegandosi appena.

Anche la sua voce era bella, dava sicurezza e calore.

Cam annuì posando la mano sulla testa della sorellina «Non ama gli estranei»

Tom sorrise e Bella dovette ammettere che quello era il sorriso più bello che avesse mai visto. Solare, aperto, buono.

Il ragazzo posò gli occhi nocciola sulla bambina e si piegò sulle ginocchia tirando su i suoi jeans «Hai paura di me, bellissima?»

La bambina fece uscire la testa da dietro le gambe del fratello e lo guardò con quei profondi occhioni blu «Tu sei un gigante»

Tom rise «Beh, in Germania siamo tutti alti» le disse con dolcezza «Ma non voglio farti male» allungò una mano, grande e dall’aspetto sexy «Io sono Tom, sono davvero incantato di conoscerti, tu chi sei?»

Non parlava come un idiota. No.

Non guardava la sua sorellina come un alieno.

Ci sapeva davvero fare, constatò Bella con stupore.

Allison lo fissò guardinga per alcuni secondi, poi posò la manina su quella enorme del ragazzo e ne strinse due dita «Io mi chiamo Allison»

«Che bel nome» sorrise Tom «Come i tuoi occhi, sai, hanno il colore del mare quando c’è il sole»

La bambina arrossì visibilmente sorridendo.

Tom le sorrise ancora.

«Sei il fidanzato di Leli?» le disse la bambina indicando la sorella che fissava la scena sorridendo, con le braccia conserte sotto il petto.

Osservare la dolcezza di Tom era la cosa più bella che potesse fare.

Ricordava quando Travor arrivò a casa, qualche anno prima, Allison si chiuse in camera per la paura.

Tom ci sapeva fare anche con i bambini, poteva essere più perfetto?

Tom annuì «Io la chiamo Liz» le disse sorridendo «Ma Leli è davvero bello!» la face sorridere «Sì, sono il fidanzato di Leli»

«E il mio?» la bambina fece un passo avanti «Vuoi essere anche il mio fidanzato?»

«Ali, mi vuoi rubare Tom?» chiese divertita Elisabeth mentre Tom le sorrideva allungando una mano per accarezzarle una gamba rimanendo all’altezza della bambina che lo guardava negli occhi.

«È bello» esclamò la bambina arrossendo «E bravo, come un principe»

«Lo stai dicendo a me, Ali eh?» sorrise al profilo di Tom che guardava la bambina.

Tom la guardò e le fece l’occhiolino «Certo che sono anche il tuo fidanzato, basta che non dici niente a Leli perché è gelosa, okay?» Tom si portò un dito sulle labbra e mimò il segno del silenzio.

La bambina sorrise ancora e annuì energicamente correndo poi verso la cucina.

Tom si alzò, sistemandosi i pantaloni e allungò una mano per prendere quella di Elisabeth.

Bella diede una botta a Josh «Lo vedi come si fa con i bambini?»

«Ma quel tizio da dov’è uscito?» domandò il ragazzino «Cioè è… strano»

«Sa farci, deficiente» lo rimproverò Bella.

Cam allungò una mano e Tom la prese «Ciao Tom»

«Cam!» sorrise Tom ricambiando la stretta di mano con una pacca sulla schiena, un segno fraterno.

Poi Elisabeth si girò verso di lei, squadrandola.

Gli occhi della sorella la studiarono prima di tirare la mano di Tom, attirando la sua attenzione. C’era qualcosa di diverso in Elisabeth da quando Tom era arrivato e non parlava del suo nuovo stile dark e dei lunghi capelli rossi che mossi cadevano fino a sfiorarle il punto vita.

No.

Era lei che era cambiata.

Il ragazzo la sovrastava di qualche spanna puntando gli occhi su di lei. Quando puntò gli occhi ambrati su di lei si sentì perforare l’anima. Tom la stava studiando con interesse e quello la innervosì.

La stava guardando come se fosse un animale, una bambina.

Certo, i dieci anni che li separavano erano un’enormità, ma non era una bambina.

Elisabeth si fermò davanti alla sorella e si spostò in modo che Tom potesse mettersi al suo fianco «Lei è mia sorella Bella» disse rivolgendosi al ragazzo «Bella, lui è Tom, il mio ragazzo»

L’aveva capito, non era scema.

Tom allungò una mano e si accorse di quanto fosse mascolina e venosa, da uomo.

Senza volerlo fece correre lo sguardo sulla mano di Josh e la trovò abbastanza infantile e piccolina. Capì immediatamente che Tom era incredibilmente forte e capace.

Allungò la mano e strinse quella calda e ruvida del ragazzo «Piacere di conoscerti, Bella, sai, assomigli ad Elisabeth in modo incredibile»

Glielo dicevano spesso eppure detto da Tom suonava come un complimento.

Da quando, poi, Elisabeth era diventata rossa, le loro somiglianze si affinavano.

Avevano lo stesso viso, gli stessi lineamenti, i capelli di Bella erano di un ramato pallido che sembrava un biondo sporco, i suoi occhi erano castani come quelli della madre ma avevano la stessa forma di quelli della sorella maggiore, era piccola e minuta come la sorella che, però, la sovrastava di altezza.

Di fatti lei, a Tom, arrivava a una spalla mentre Bella arrivava a malapena al suo petto.

«Grazie» balbettò ritirando la mano «Anche per me è un piacere conoscerti, Tom»

Tom le sorrise e poi guardò la sua ragazza che sembrava ribollire di rabbia. Il suo sguardo era rivoltò al ragazzino dietro la sorella. C’era qualcosa –e anche di abbastanza divertente, Tom doveva ammetterlo- che gli diceva che Elisabeth fosse molto protettiva nei confronti delle sorelle.

Tom sorrise e allungò una mano per posarla sulla vita della sua ragazza.

Sei furente, calmati! L’ammonì nella sua testa.

Sto studiando quel coso lì, non mi sembra affidabile rispose Elisabeth allungando lo sguardo «Lui chi è?» domandò senza premurarsi di essere gentile.

Tom scosse la testa ridacchiando.

Aveva ragione. 

Elisabeth era un tipo protettivo.

Bella si destò appena e scosse la testa «Lui è Josh, il mio ragazzo» lo presentò.

«Mmm…» Elisabeth si avvicinò a lui con un passo leggero «E già lo porti a casa?»

«Anche tu hai portato lui» indicò Tom «Che c’è di male?»

Tom afferrò la mano di Elisabeth e la costrinse ad indietreggiare «Ha ragione» le disse stringendole la mano «Anche io sono qui».

Era lo sguardo di Tom che creava qualcosa in Elisabeth.

Era il ragionevole modo di porsi di Tom che conquistava lei e chi aveva intorno.

«Sì» annuì lei voltandosi verso il ragazzino «Scusa, sono stata maleducata» gli si avvicinò di nuovo «Sono Elisabeth»

«Josh» rispose tremante il ragazzino.

Tom ebbe una leggera pietà di lui. Non bastava il fratello maggiore, ci si metteva anche una strana sorella protettiva con la chioma rossa come il sangue. Fosse stato in lui sarebbe scappato a gambe levate. Gli sorrise facendogli capire la sua solidarietà e poi guardò la cognatina.

Bella la stava guardando con gratitudine e capì che anche lei lo aveva accettato, come non aveva fatto dall’inizio.

 

 

Camille Harper sentiva che Tom non era umano.

Un po’ come sua madre.

Lo sentiva dal modo in cui le formicolava la pelle quando era vicino a lui. Come succedeva da un periodo a quella parte con Elisabeth.

Non che fosse una sensazione sgradevole –come a volte capitava- ma era comunque qualcosa di “diverso”.

Liam, invece, pareva adorarlo.

«Dimmi Tom, hai fratelli o sorelle?» domandò Camille cercando di stare il più lontano possibile da lui.

Tom, che stava bevendo un po’ d’acqua, posò il bicchiere e si tamponò la bocca con il tovagliolo «Sì, ho un fratello gemello, due fratellastri e tre sorellastre» spiegò.

«Siete tanti!» esclamò Liam «I tuo genitori si danno da fare, eh?» lo guardò ammiccando.

«In realtà» lo contraddì Tom cercando di nascondere il suo reale stato d’animo «Io e mio fratello, come il resto dei miei fratelli, siamo stati adottati dalla mia tutrice» spiegò «I miei genitori sono morti quando avevo sette anni, mentre i miei fratelli hanno storie simili, Julie ci ha presi sotto la sua ala per toglierci ha varie situazioni scomode»

Sulla tavola calò il silenzio.

Anche nell’animo di Tom si mosse qualcosa. Era fastidioso ricordare a chiunque che fosse un orfano che aveva perso i genitori, era davvero doloroso mentire su di loro.

La verità la sapevano davvero in pochi e, magari, un giorno l’avrebbe raccontata anche ad Elisabeth ma non era ancora pronto a condividere con lei quell’informazione.

Gli occhi di Liam lampeggiarono di pietà mentre posava la forchetta «Oh» esclamò timido «Non pensavo… mi dispiace»

«Stia tranquillo, signor Harper» sorrise Tom, ricacciando dentro la tristezza «Ormai è passato, per quanto mi faccia ancora male pensare ai miei genitori, non posso farci altro, penso che sarebbero davvero scontenti di me se sapessero che mi piango ancora addosso per qualcosa che non posso cambiare»

Liam lo guardò con ammirazione.

Oltre al suo discorso così scorrevole nonostante fosse tedesco, Tom aveva davvero forza da vendere.

Non capì perché la moglie lo guardasse in cagnesco e si complimentò mentalmente con la figlia per la perla che aveva trovato. Tom non era un’idiota, un adolescente, una cattiva persona.

Tom, davvero, rasentava la perfezione.

 

 

«Finalmente soli» esclamò Elisabeth chiudendo la porta della sua stanza.

Tom entrò dentro prima che Elisabeth potesse fare lo stesso.

La camera di Elisabeth non gli era del tutto sconosciuta, vi passava molto più di tempo di quello che si credeva.

La ragazza lo sorpassò appena parandosi davanti a lui.

Tom ne seguì la siluette con evidente desiderio.

Trovarsi in una camera da letto, con lei, ora che sapeva di volerla a tutti i costi, risultava pericoloso per il suo autocontrollo.

Cinque anni di astinenza forzata potevano minare anche un santo, e Tom non lo era mai stato su quel fronte.

Afferrò per i fianchi la sua ragazza e se la portò verso di sé, facendola adagiare completamente a lui.

Elisabeth alzò gli occhi e trovò subito gli occhi del ragazzo su di lei, intrisi di quella malizia che piano piano si stava impossessando di lei. Passò le sue mani intorno al suo collo e annullò la distanza che c’era tra loro. Posò le labbra su quelle carnose di lui mentre Tom la stringeva saldamente per la vita. Elisabeth dischiuse la bocca e la lingua di Tom entrò nella bocca della ragazza cercando quella di lei.

Era bello baciarla, ma sarebbe stato più bello sentirsi dentro di lei, sentirsi vicino alla sua anima.

Quella voglia che incontrollata saliva in lui traspariva nei suoi baci a cui lei rispondeva con uno slancio quasi imbarazzante. Gli accarezzò il petto con le mani, sopra la grande felpa rossa che sembrava un ingombro.

Quando si staccarono Elisabeth gli sorrise «Che dici di fare delle foto?»

«Foto?» domandò Tom.

«Sì, con la web!» esclamò lei eccitata «Quando stavo con Travor lo facevo sempre, sono tutte sul mio contatto facebook, ma da quando sei arrivato tu non ho avuto più il coraggio di controllarlo» gli spiegò «Mi diverte farlo, lo sai?»

«Tu hai facebook?» chiese Tom scioccato «Pensavo di no»

«Perché ti stupisce tanto?» domandò Elisabeth mentre intrecciava le dita con le sue e lo spingeva verso il computer «Sono ancora una ragazza normale»

«Mai pensato il contrario» rise Tom «Ma non ti facevo una tipa da Facebook»

Elisabeth lo prese come un complimento mentre si sedeva sulla poltrona a sacco dalle fantasie chiare e indicava a Tom una sedia. Accese il computer e attese.

Tom afferrò la sedia e si mise accanto alla sua ragazza, il più vicino possibile. Si piegò verso di lei e affondò la testa sulla sua clavicola. Una scia di baci le inondò il collo facendola ridere.

Tom succhiava la sua pelle con languida dolcezza ed Elisabeth, istintivamente, reclinò la testa di un lato.

«Che dici se mi siedo in braccio a te?» domandò con un filo di voce Elisabeth.

Voleva sentirlo sotto di lei, vicino, come ad inondarla del suo calore.

Tom acconsentì e si alzò. Non le lasciò il tempo di fare lo stesso che la prese in braccio e la fece accomodare sulle sue ginocchia. Elisabeth mandò uno squittio contento e gli circondò il collo con le mani. Con pazienza si collegò ad internet e poi entrò sul social network. Aveva molte richieste d’amicizia (tra cui quelle di Nemesi, Fahara e Jessica), centinaia di notifiche e qualche messaggio.

Li ignorò tutti, avrebbe avuto modo di controllarli tutti e cliccò sull’icona “Foto” della bacheca indicando di voler usare la sua web cam.

Sullo schermo apparvero lei e Tom. Sorrise a quell’immagine mentre Tom le circondava il collo con un braccio e la guardava. Senza pensarci scattò. Sorrise a quell’immagine così carina.

La prima foto che facevano lei e Tom insieme.

Lei allungò il volto e Tom si abbassò togliendo il braccio, incrociandosi a metà strada. Unirono le labbra in un semplice bacio a stampo e Elisabeth scattò. Scattò anche una seconda foto mentre lasciava che la lingua di Tom entrasse nella sua bocca.

Si allontanarono appena e i capelli di Elisabeth le coprirono appena il viso mentre Tom la guardava. Scattò ancora.

Tom posò una mano sulla sua guancia ed Elisabeth accarezzò il suo possente avambraccio accogliendo ancora il suo bacio. Scattò ancora.

Lei inclinò la testa e posò a sua volta una mano sulla guancia di Tom come ad accarezzare la sua guancia morbida. Tom fece scendere la mano sull’addome di Elisabeth. La webcam scattò ancora.

Elisabeth si mosse appena e si lasciò baciare mentre Tom l’alzava.

Ormai era chiaro che se avessero continuato quella webcam avrebbe ripreso cose che non doveva riprendere. Tom la fece voltare verso di lui facendola sedere a cavalcioni su di lui mentre spegneva l’applicazione.

Non aveva voglia di esporsi a quella cosa.

Alzò Elisabeth costringendola ad incrociare le gambe al suo addome e continuò a baciarla mentre si dirigeva verso il letto.

Elisabeth sentì tutta la forza di Tom e si sentì eccitata.

Non doveva controllarsi, lui la faceva sentire tremendamente femminile.

Tom si sedette sul letto ed Elisabeth si accomodò su di lui piegando le gambe ai lati dell’addome del ragazzo.

Aveva una voglia matta di lui e sapeva che lui la stesse percependo, dai suoi movimenti, dalla sua mente, dai suoi pensieri che si susseguivano.

Tom fece scendere le mani lungo la schiena della ragazza arrivando alle sue natiche. La spinse di più verso di lui ed Elisabeth annullò ancora la distanza che c’era tra loro posando una mano sul suo collo e baciandolo.

Quel che seguì fu il bacio più infuocato che si erano mai scambiati.

Tom la spingeva verso la sua erezione che stava, via via, prendendo forma.

Elisabeth fece scivolare le mani sulle spalle del ragazzo e vi si strinse piegando le ginocchia e issandosi meglio su di lui.

Presto si trovò a muoversi su di lui mimando una penetrazione.

Il desiderio li avvolgeva in un modo quasi insostenibile. Il caldo li avvolgeva facendogli venire voglia di spogliarsi e toccarsi.

Tom fu il primo a cedere a quell’impulso.

Afferrò la felpa della ragazza e la fece scendere la stoffa dalle spalle lasciandola solo con quel top a fascia che copriva il suo seno piccolino e sodo. Tom non si resse, fece salire la mano e ne accarezzò la forma da sopra il top, poi con uno strattone lo tirò già mostrando un eccitante reggiseno a fasce nero di pizzo.

Abbandonò la bocca di Elisabeth e scese al suo collo dopo aver leccato la sua mandibola. Elisabeth tirò indietro la testa lasciando che Tom la marchiasse con la lingua e denti.

Nel frattempo infilò le mani sotto la sua ed entrò sotto il suo maglione e superò la t-shirt per arrivare alla pelle liscia e tirata del ragazzo. Una sensazione bellissima al tatto.

«Dove hai il marchio, Tom?» gli domandò sospirando appena.

Tom si staccò appena da lei, sorridendole «Non te l’ho mai detto?»

Lei scosse la testa.

«Per fartelo vedere mi devo togliere la maglia, lo sai?» le disse malizioso mentre Elisabeth lo precedeva e tirava su sia la t-shirt che la felpa.

Era curiosa ed eccitata, doveva ammetterlo.

Non aveva mai visto Tom a dorso nudo.

Tom si lasciò togliere gli indumenti e scoprì il suo bellissimo dorso allenato e muscoloso. Tutti i muscoli erano al posto giusto, sviluppati e seducenti. Elisabeth li toccò con brama e si sporse per vedere la sua schiena. Aveva la sensazione che fosse lì.

Si sentì ancora più eccitata quando lo vide.

Era al centro della schiena, proprio sulla spina dorsale. Grande e nero. Il simbolo del drago che circoscriveva il sole del Cacciatori troneggiava al centro di due paia di ali tribali che ricoprivano la larghezza delle sue spalle.

Uno dei tatuaggi catalizzatori.

Sui bicipiti di Tom vi erano due identici disegni tribali conditi da rune magiche, ancora più sexy.

Guardò quei tatuaggi estasiata e sempre più eccitata «Questi tatuaggi mi eccitano» gli sussurrò ad un orecchio mentre con la mano li accarezzava con lasciva curiosità.

Le mani di Elisabeth scendevano lungo quei segni facendo eccitare ancora di più Tom, i brividi salivano direttamente della spina dorsale.

«Davvero?» Tom la guardò ammiccando, le morse il lobo dell’orecchio mentre mormorava sensuale «E non hai visto ancora nulla»

Non si riferiva ai suoi tatuaggi, ovviamente.

Il doppio senso di quella frase la colpì. Tom era sempre gentile con lei, quasi innocente.

Eppure le aveva insegnato che i Cacciatori, i maschi in particolare, era accecati dal sesso. Potevano trasformarsi in veri pervertiti con le proprie conquiste. Era un fatto di sopravvivenza, le aveva detto Tom durante una lezione, i Cacciatori devono salvaguardare la propria specie e l’impulso sessuale, delle volte, sfuggiva dalle loro mani.

Elisabeth aveva ascoltato rapita. Poteva vedere in Georg e Bill quella descrizione e quando Nemesi aveva elencato le amiche di letto di Bill, prima di lei, aveva impiegato circa tre ore e alcune, aveva detto, non se le ricordava nemmeno.

Tom e Gustav non li aveva mai immaginati in quel frangente.

Tom le aveva detto che non esisteva dolcezza in un amplesso con un Cacciatore ma lei non riusciva ad immaginare Tom violento.

Eppure la sentiva la sua indole passionale, focosa e perversa.

La sentiva dentro di lei scorrere nelle sue vene che sentivano bollire il sangue di desiderio.

E la voracità con cui Tom si impossessò delle sue labbra le fece capire che anche Tom poteva essere davvero perverso e preda ai suoi estinti animali.

Elisabeth lo assecondò ammettendo a se stessa che quel lato di Tom le piaceva.

Con Travor doveva stare sempre attenta, fargli credere di dominare, non esagerare.

Tom dominava davvero. Nel bacio, nel gioco di lingue che si incontravano e intrecciavano, nel modo in cui la toccava.

Lei era sua schiava, imprigionata nella loro passione.

E la connessione mentale non faceva altro che aumentare la connessione tra di loro.

Elisabeth accarezzò la pelle di Tom mentre lui faceva scendere la lingua lungo il suo mento per poi percorrere il perimetro della mandibola, scese fino alla giugulare facendo tirare indietro la testa ad Elisabeth. La cascata di capelli rossi ricadde all’indietro sfiorando i jeans del ragazzo. Tom prese a baciarle il collo e la face inarcare posando le mani sul punto vita  e affondò la testa nell’incavo che formavano i suoi seni retti dal reggiseno.

Fu abbastanza veloce, Tom scostò la coppa del seno sinistro e lo fece uscire appena. Con un dito tracciò la circonferenza dell’aureola e poi toccò il suo capezzolo.

Elisabeth mandò un leggero sospiro che fece sorridere Tom. Con la mano che la reggeva ancora la spinse verso la sua erezione dura e calda ed Elisabeth constatò che fosse quasi incandescente anche attraverso i pantaloni. Fece scivolare una mano verso i suoi pantaloni e afferrò un bottone. Intanto Tom aveva posato la bocca sul suo seno, giocando con il capezzolo con la lingua.

Elisabeth mandò un altro sospiro di puro piacere e infilò la mano nei pantaloni di Tom sorpassando la barriera dei boxer. Tom si staccò dal suo seno e si rimpossessò delle sue labbra, il bacio era così incandescente che Elisabeth pensò di ribollire.

Era bagnata, forse non lo era mai stata tanto in vita sua.

Era il corpo di Tom, la sua mente che gli mandava l’immagini di quello che lui desiderava fargli in quel momento, l’attrazione estrema che aveva sempre provato per lui, lui stesso, che l’attiravano come non mai. Se era stato un obbligo perdere la verginità con Travor qualche anno prima, adesso si sentiva coinvolta ed egoista.

Voleva disperatamente Tom, voleva donarsi a lui ma goderne lei stessa. Voleva scoprire come si ci sentisse a lasciarsi completamente andare a qualcuno, sentirsi femminile e dominata e amata.

Voleva scoprire la dimensione completa del sesso.

Toccò la pelle dell’inguine di Tom finché sorrise e si staccò appena da lui «Eccolo!» mormorò eccitata prendendo in mano il membro del ragazzo.

Tom le sorrise malizioso e il suo sorriso sembrava promettere cose davvero sconce «Già» le disse posando un bacio infuocato sulle sue labbra «Toccalo!»

Più che un incitamento sembrava un ordine.

Elisabeth gli sorrise e fece scivolare la sua mano contro la lunghezza –considerevole, constatò ammirata- del pene di Tom.

Il ragazzo le sorrise mentre socchiudeva gli occhi. Elisabeth ripeté la stessa manovra nel verso inferiore e Tom strinse i denti mandando un ringhio eccitato.

Eccolo, la parte perversa di Tom.

Fece la stessa cosa per due o tre volte finché Tom non lanciò un gemito abbastanza sonoro.

Era così bello mentre ansimava e teneva gli occhi socchiusi.

E lei voleva davvero di più, si sporse verso Tom e gli sussurrò una cosa nell’orecchio che lo fece sorridere tremendamente famelico.

Strinse il pene del ragazzo proprio mentre la sua porta si apriva.

«Liz, senti, mamma ha...» Cam si bloccò alla porta notando i due che, come presi da una scossa elettrica, si staccarono. Non ci voleva un genio per capire cosa stesse per succedere in quella stanza. Elisabeth si tirò su il top anche se il reggiseno le creava una scollatura decisamente asimmetrica che mostrava perfettamente il capezzolo turgido. Tom, anche se goffamente, si stava tirando su la zip dei pantaloni e cercava la sua maglia.

Sorrise anche se la gelosia del fratello maggiore avrebbe dovuto farlo incazzare, e aspettò che una tremante Elisabeth si alzasse dal letto ravvivando i capelli scompigliati e che Tom si rivestisse alla bene meglio.

Era una situazione abbastanza imbarazzante, doveva ammetterlo.

Tom, sbrigativo, si coprì l’erezione con un cuscino e gli sorrise imbarazzato.

Anche il buon Tom aveva una vita sessuale e, dalle condizioni della sorella, non doveva essere per niente calma come lui.

Elisabeth arrivò a lui e lo guardò «Che c’è?»

«Ho interrotto qualcosa?» domandò ironico Cam, guardando l’amico che si sistemava alla bene e meglio e lo compatì per il dolore assurdo che sentiva.

Elisabeth gli scoccò un’occhiataccia che parlava da sola.

Aveva interrotto davvero qualcosa, un qualcosa che la sua sorellina, probabilmente, aspettava da un bel po’.

«Che vuoi?» domandò Elisabeth.

«Mamma ha preparato il dolce e mi ha detto di chiamarvi» gli sorrise innocente «Ma le posso dire che sua figlia è impegnata a fare porcate con il suo ragazzo»

Elisabeth allungò una mano e lo colpì, abbastanza piano, sulla spalla «Idiota» esclamò «Scendiamo subito»

Cam annuì e sorrise «E mettiti a posto il reggiseno, io, il tuo bottoncino non lo dovrei nemmeno vedere…»

E Elisabeth arrossì di rabbia e imbarazzo.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bill infilò la pistola nella fondina.

Fumava ancora.

Guardò di sfuggita Georg dietro di lui che si avvicinava alla carcassa del demone che, piano piano, andava a polverizzarsi.

«Non era proprio al massimo delle forze questo stronzo, eh?» esclamò Georg passando accanto al cacciatore che aveva sostituito il suo compianto mantello rosso con una più pratica (e meno appariscente) giacca di pelle da motociclista.

Dalla canotta Georg poteva ammirare il nuovo catalizzatore di Bill tatuato sul petto.

Il moro divaricò le gambe coperte da un pantalone di pelle e guardò la polvere accumularsi accanto a una boccetta dall’aspetto innocuo.

Bill la guardò con un sopracciglio alzato «E quello che cazzo è?» disse indicandolo.

Georg si fermò e si piegò sulle ginocchia.

Prese la boccetta che sotto le sue mani palpitava quasi avesse una vita. Era calda e pulsava.

La esaminò con attenzione e poi guardò Bill.

Non era un osservatore come Gustav ma quella boccetta poteva contenere solo una cosa. Il cacciatore moro alzò un sopracciglio «Beh?»

«Penso di sapere perché quel demone era una merda…» sussurrò.

Bill lo guardò ancora «Pensi che…?»

«Che l’energia che ha rubato questa sera era destinata a qualcun altro» si alzò dalla sua postazione mostrando la boccetta a Bill «Qui dentro c’è l’energia vitale di qualcuno».

Calò un denso silenzio. Niente sembrava scalfirlo.

Bill si soffermò appena sul profilo di Georg prima di afferrare la boccetta «Sento puzza di guai, e, fattelo dire, Hobbit, sanno davvero di merda e morte».

Mai parole furono più vere, ma Bill ancora non lo sapeva.

   
 
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