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Autore: Medea00    27/10/2012    16 recensioni
Blaine è un pianista, Sebastian un violinista, entrambi studenti al conservatorio Franz Liszt di New York. Si ritrovano costretti a suonare insieme per un concorso importantissimo che, lo sanno bene, se vinto determinerà la loro carriera.
Ma chi lo dice che non determinerà anche qualcos'altro tra loro due?
Tratto dal capitolo 9:
"Per questo Liszt ammirava molto Chopin. Per questo Liszt era l'unico in grado di suonare i brani di Chopin, come diceva lui stesso. Si capivano. Forse erano gli unici in grado di farlo.”
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15


 

Il sacramento più desiderabile da ricevere mi sembra quello dell'Estrema Unzione.
-- Franz Liszt



Meglio è una piccola verità che una grande bugia.
-- Fryderyk Chopin


 
 


 
Il sonno è un’arma a doppio taglio.
Da un lato ti rilassa, svegliandoti la mattina dopo più calmo e sereno, pronto ad affrontare un’altra lunga giornata con lo spirito giusto. E’ fondamentale: non si può vivere senza, e spesso lo si desidera più di ogni altra cosa.
Ma ha dei lati negativi; delle conseguenze che sono in grado di creare molti, pericolosi problemi. Perchè Sebastian non si era mai dimenticato di nessun sogno fatto durante la notte. Era una cosa indipendente dalla sua volontà: si risvegliava la mattina ricordandosi esattamente tutto ciò che era successo nel suo mondo immaginario, con chi era, cosa aveva fatto. Qualche flash di brevi secondi, e poi, tutto diventava più offuscato e lui poteva tornare a respirare.
Ma ultimamente i suoi sogni si erano fatti più specifici, e le sue fantasie più dettagliate. E così era diventato estremamente difficile ignorare tutti i sogni continui su Blaine Anderson, perchè no, non era assolutamente una buona idea, e la sua mente doveva piantarla.
Erano mesi che andava avanti così; di solito, non ci badava. Ogni tanto, quando il sogno era stato particolarmente eccitante e vivido, si chiudeva in doccia, cercando di sfogarsi come meglio poteva. In generale, aveva imparato ad accettare quella sottospecie di routine notturna sperando che, prima o poi, sarebbe scomparsa.
Ma più passava il tempo, e più quelle notti diventavano complicate da gestire. Così come il suo autocontrollo, la sua voce interiore, il suo istinto, o qualsiasi maledetta cosa lo spingesse emotivamente verso di Blaine ogni volta. E per un periodo ce l’aveva quasi fatta: aveva ricominciato a uscire con uomini, con altri uomini, e sostituiva la loro immagine a quella del pianista soltanto quando era troppo stanco per restare concentrato; in quanto al distacco personale, beh, si era sempre scusato con se stesso dicendo che dovevano suonare insieme, era praticamente impossibile non vederlo. O non parlargli. O non andare a prendere un caffè insieme. O non raccontargli tutte le cose più stupide della sua vita creando un affiatamento e un’intimità piuttosto confortanti.
Ma no, erano tutti dettagli di poco conto, lui poteva essere amico di Blaine senza avere il pensiero fisso di portarselo a letto; davvero.
O meglio, avrebbe potuto. Fino a quando quell’idiota non aveva avuto la brillante idea di baciarlo. Due volte. E se con la prima si era aggrappato all’effetto sorpresa, un piccolo contatto di labbra quasi trascurabile, adesso il suo corpo era una specie di trincea in cui stavano combattendo idee contrastanti.
Quando Sebastian aprì gli occhi di scatto, trattenendo il respiro pesante e affannoso, gli bastarono soltanto pochi secondi per rendersi conto di cosa fosse successo, e per accorgersi di aver sognato. Di nuovo.
Chiuse gli occhi lentamente, cercando di regolare il suo fiato e stringendo inconsapevolmente le lenzuola calde sotto di lui. Non c’era nessun motivo di andare nel panico, doveva rimanere calmo, aspettare pazientemente che il suo corpo si riprendesse, e poi quelle immagini di mani, labbra, lingue che si intrecciavano e gemiti sconnessi sarebbero sparite; ne era certo. Succedeva sempre così.
Aspettò secondi. Minuti. E dopo quella che gli sembrò un’ora abbondante, Sebastian emise un sospiro affranto, perchè continuava a ricordare. In modo breve, e offuscato, magari, ma erano come dei veri e propri flashback; era un problema da non sottovalutare, perchè se non sarebbe riuscito a togliersi Blaine dalla testa, tutti gli sforzi fatti fino ad allora sarebbero andati in fumo.
Era solo un sogno, maledizione. Lui era più forte. Più tenace. E non avrebbe lasciato che una stupida funzione cerebrale-
 

“Sebastian.”
Blaine si accasciò su di lui completamente alla sua mercè, bisbigliando piano all’orecchio, facendo strusciare i fianchi contro i suoi.
“Sebastian, prendimi, prendimi adesso.”

 
 
Riaprì gli occhi di scatto, deglutendo a vuoto.
Odiava i sogni.
“Okay”, sussurrò a se stesso, restando focalizzato sul far scivolare via quelle immagini, fissando il soffitto.
Davanti a lui si presentarono dialoghi confusi e mischiati della sera precedente, ma bastarono a fargli capire esattamente dove fosse, e cosa stesse facendo. In effetti, bastò voltare la testa di lato e incontrare il volto sereno e dormiente di Blaine, a pochi centimetri dal suo.
Immediatamente fu colto dall’impulso di alzarsi di scatto, raccogliere le scarpe ai piedi del letto e fuggire via da quella casa, prima che Blaine potesse minimamente rendersi conto dell’assurda situazione in cui si erano cacciati. Poi, però, la parte lucida e razionale di sè gli ricordò che era inutile fuggire, che Blaine non era uno dei ragazzi occasionali con cui passava la notte, che loro grazie al cielo non avevano fatto sesso e, ah, giusto, tanto prima o poi lo avrebbe dovuto incontrare al conservatorio, quindi tanto valeva parlargli chiaramente sin da subito.
Oppure, poteva aggrapparsi al suo dopo-sbronza, dirgli che non era successo assolutamente niente e andare a casa tranquillo. Poteva farlo? Poteva davvero mentire a Blaine?
Il suono di una testa sbattuta contro la testata del letto fece svegliare completamente Blaine, che si limitò a sollevarsi appena con il busto e guardare Sebastian aggrottando le sopracciglia: “Sebastian... che diavolo stai facendo?”
“Niente.”
Il ragazzo si mise subito a sedere, un po’ troppo velocemente per poter sembrare un movimento naturale, ma Blaine era troppo preso dal suo mal di testa per notarlo: in meno di un secondo era già sprofondato contro il cuscino, emettendo una serie di mormorii sconnessi e per niente promettenti.
“Blaine.” Lo ammnonì Sebastian, e lui in risposta emise un altro gemito, scacciandolo via con il dorso della mano.
“Blaine, non ti azzardare a vomitare accanto a me. Io non ti tengo la testa. Aspetta che me ne vada e poi farai tutto quello che ti pare.”
“Non sto così male”, sbottò, passandosi una mano sulla fronte e voltandosi da un lato per incontrare gli occhi incerti e smeraldini del violinista; la sua espressione, in quel momento, cambiò di colpo. Era come attonita, perplessa, e Sebastian stava già racimolando le parole giuste da usare per dargli la sua versione dei fatti quando lo sentì dire: “Ma tu... che ci fai qui?”
“... Non ti ricordi niente?” Domandò, con un tono un po’ troppo sollevato per le orecchie di Blaine, che infatti lo fissò mettendosi composto a sedere. Impiegò diversi secondi a riconnettere il cervello e rispondere alle tipiche domande post-trauma – chi sono, cosa faccio nella vita, perchè c’è Sebastian nel mio letto -, ma era tutto molto confuso.
“Devo fare mente locale.”
“Sì, devi”, confermò Sebastian, e in quel momento decise di prendere la situazione in mano, afferrando la bottiglietta d’acqua posta sul comodino e passandogliela con fare comprensivo.
“Grazie.” Dopo qualche secondo, Blaine allontanò la bottiglia, con un’espressione strana, indecifrabile. Non prometteva niente di buono.
“Cosa? Che c’è?”
Ma lui continuava ad avere quello sguardo da madre che scopre il proprio figlio con le mani dentro al barattolo di Nutella, e Sebastian cominciava a sentirsi molto, molto stupido.
“... Sebastian.”
“... Sì?”
“Mi hai passato dell’acqua.”
“... Sì.”
“Dell’acqua potabile e non intossicata.”
“Ah.”
"Hai fatto qualcosa di gentile, verso di me. Di tua spontanea volontà."
Maledizione.
“Mi hai fatto pena”, rispose lui stringendosi nelle spalle, sviando lo sguardo verso le coperte rosso scuro “Insomma, hai sempre quella faccia lì, e sembri tipo... tipo un cucciolo bastonato.”
Che diavolo aveva appena detto?
“Ok. Che sta succedendo?”
Strinse le mani a pugno, mordendosi il labbro inferiore: sotto sotto, cominciava a chiedersi se fosse lui, quello ubriaco.
A Blaine non servì molto altro per capire esattamente la gravità della situazione: Sebastian era docile, calmo, quasi, imbarazzato. Non era certo una cosa che vedeva tutti i giorni, e ripensando all’alcool ingerito la sera prima, fu come fare due più due.
"Va bene.” Mormorò, facendosi più vicino a Sebastian e guardandolo di sottecchi, “Dimmi solo quanto ero sbronzo."
Il ragazzo restò in silenzio per una manciata di secondi, prima di dire: "In scala da uno a dieci o da diatonica a bachiana?"
"Anche in una scala a pioli Sebastian, basta che parli."
"...Allora eri uno Skrjabin."
"Oh Dio." Gli occhi di Blaine si spalancarono di colpo. "Ti ho baciato, non è vero?"
“... Non... non la metterei proprio così.”
“E allora come?” Blaine inclinò la testa di lato per niente divertito; non gli piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione. In realtà, sapeva bene che lo stesse pensando anche Sebastian, ma per dei motivi diversi: lui voleva evitarlo. Non voleva parlarne, affrontare l’argomento una volta per tutte, cercare di trovare una soluzione a quella attrazione tra di loro che, ormai, era diventata insostenibile.
Perchè Blaine la sera prima lo aveva baciato per la seconda volta, e non aveva nessuna intenzione di metterci una pietra sopra come prima. Sebastian doveva essere chiaro.
“Blaine, tu eri completamente ubriaco.”
Lo disse come se fosse una scusa, un fattore che giustificava perfettamente quel piccolo errore.
“Non ragionavi, e- diciamo che è stato un incidente.”
“Un incidente.” Ripetè lui, come assimilando con calma quelle parole. Un incidente è qualcosa di brutto; di accidentale. Ma Blaine, anche se non perfettamente sobrio, sapeva benissimo quello che stava facendo in quel momento: sapeva che il ragazzo con cui stava ballando fosse Sebastian, sapeva di volerlo baciare, stringerlo, lasciarsi andare una volta per tutte e, soprattutto, aveva sperato che facesse lo stesso anche lui.
Ma no: Sebastian è troppo razionale, non lascia spazio ai sentimenti. Come nella musica, così nella vita.
“Quindi non ha contato niente per te?”
Non sapeva esattamente cosa aspettarsi nella sua risposta. Forse, sperava che lui parlasse una buona volta e gli dicesse esattamente la fonte del problema: gli piaceva un altro? Non gli piaceva lui, forse?
“Io non ti odio.”
Blaine trasalì per un istante, immerso nei suoi pensieri: giusto, gli aveva detto anche quello. Ma allora, forse, Sebastian provava veramente qualcosa per lui. Con quel dubbio in mezzo al cuore lo guardò a lungo, aspettando una sua risposta; osservò i suoi capelli scompigliati, le sue occhiaie leggermente marcate, la sua mascella coperta da un sottile strato di barba, la sua bocca attraversata da un’espressione incolore.
“Non posso dar peso a un bacio da ubriachi, Blaine.” Proferì con voce gelida.
Fu difficile contenere tutta la rabbia, delusione, amarezza e, sì, anche sconforto, che presero il sopravvento in Blaine.
“Capisco.”
Si alzò in piedi, barcollando appena una volta messi i piedi a terra, ma non aveva nessuna intenzione di farsi aiutare da Sebastian, non aveva nessuna intenzione di stare a sentire le sue parole, qualsiasi cosa volessero dire. Ormai, aveva detto tutto; non c’era molto altro da aggiungere.
“Blaine-“
“No.” Interruppe subito quella specie di appello, con la schiena rigida, i muscoli tesi. “Ho capito. Non ti disturberò più.”
“No Blaine, non volevo dire, io-“
“Ho capito benissimo cosa volevi dire. Non mi odi, ma mi trovi repellente a livello fisico. Lo capisco.”
E con quelle ultime parole, Blaine si diresse verso il bagno rischiando seriamente di rompere la maniglia, e dicendo a Sebastian di lasciare il suo appartamento entro i prossimi cinque minuti.
 
 
 
“Che palle.”
“Ma bene, Smythe. E’ sempre bello quando uno studente apprezza le mie lezioni.”
“Non parlavo della lezione, vecchio.”
Sebastian guardò di traverso il professor Cage, intento a sistemare qualche foglio sulla scrivania della lezione ormai terminata. Ignorando completamente il suo sarcasmo antiquato e ormai prevedibile, si mise le mani in tasca, guardandosi intorno: “Ha visto Blaine per caso?”
Robert lo squadrò da sopra i suoi occhiali sottili, prima di dire: “Sì, certo.”
“Era in sala prove a suonare.”
E Sebastian spalancò gli occhi, sorpreso; non fu per la risposta, quanto per la persona che l’aveva data.
Wyatt era a pochi metri da lui, con un immancabile sorrisetto convinto, i suoi capelli perfettamente ordinati che gli conferivano un’aria ancora più strafottente. Accanto a lui, però, c’era una ragazza; impiegò soltanto pochi secondi per ricordare la donna che aveva visto quel giorno al concorso.
“Conosci già la mia partner Jodie?”
Introdotta dal flautista, salutò lui e Sebastian con un piccolo sorriso; adesso che poteva vederla da più vicino, riuscì a osservare con più attenzione la sua carnagione pallida, che risaltava i capelli biondi e gli occhi chiari. Era piuttosto bassa, non aveva un corpo particolarmente attraente e ostentava un atteggiamento timido, ma molto aggraziato; a giudicare da come teneva gli occhi fissi sui suoi piedi leggermente inclinati, e dalla schiena perfettamente dritta, ipotizzò fosse stata una specie di ballerina. Magari era per quello che aveva intrapreso l’ambito musicale: si era innamorata della musica dalla danza classica?
“Piacere.”
“Piacere mio,” rispose Jodie, con fare gentile, “Speravo di potervi vedere prima della seconda fase. Siete stati davvero bravissimi al concorso, e volevo farvi i miei complimenti.”
Non si aspettava una cosa del genere, non dalla partner dell’uomo più viscido della terra; per questo esitò per un momento, cercando di capire se si trattasse di una farsa. Ma no, i suoi occhi sorridevano in modo spontaneo, e le sue labbra erano incurvate in un sorriso sincero, tanto da disorientarlo.
“… Grazie. Credo.” Mormorò, poco convinto, mentre Robert salutò i suoi due allievi chiedendo loro come stessero andando le prove.
“Molto bene.” Rispose Wyatt, con un tono molto sottile, “Jodie sta avendo qualche problema con la scelta del brano, ma io non ho problemi.”
Il professore li guardò per due, brevi, secondi.  Sebastian sapeva che stava provando lo stesso suo desiderio di prenderlo a calci; dopotutto, come si era permesso di denigrare così la sua partner? Non aveva un briciolo di solidarietà?
Ma poi capì: a Wyatt non interessava di quella ragazza, a lui importava solo vincere; e per vincere, aveva bisogno del pianista migliore, e lei non era la migliore. In quel momento, lo stava ostacolando, quindi gli era solo d’intralcio. Strinse le mani dentro alle tasche dei suoi jeans, sperando con tutto il cuore di riuscire a trattenersi dal mettergliele addosso.
Le guance di Jodie si tinsero di un rosa pallido, visibilmente imbarazzata per il commento maleducato del suo compagno. Iniziò a parlare bisbigliando ogni sillaba, come se non sapesse bene cosa dire: “Io… so di non essere alla vostra altezza, né a quella di Anderson… ma sto cercando di fare del mio meglio. La musica è ciò che amo di più al mondo, questo concorso significa molto per me.”
Fu in quel momento che Sebastian prese una decisione: quella ragazza era una povera martire, e Wyatt era ancora più idiota di quanto immaginato.
“Sì, vabé, andiamo a provare.” Wyatt liquidò quel discorso con quelle parole, con il professore che era già in procinto di risponderle. “Arrivederci professore. Ci vediamo in giro, Sebastian.”
Ma lui ignorò completamente il suo saluto, e non si degnò di guardarlo nemmeno quando entrambi si allontanarono dall’aula.
Emise un piccolo sospiro, dandogli la schiena e prendendosi tutto il tempo per offendersi mentalmente: era venuto a lezione solo perché sicuro di trovarci Blaine, così da parlargli con calma, e invece aveva incontrato l’ultima persona che non avrebbe mai voluto rivedere.
“E’ veramente in sala prove, sai.” La voce calma e pacata del professore lo riportò alla realtà, catturando completamente la sua attenzione. “Mi aveva chiesto le chiavi della stanza.”
“E a lei sta bene che abbia saltato la sua lezione?” Sbottò, allibito.
“Blaine non è come te,” rispose calmo il professore, “Lui segue sempre i corsi. Se una volta ha bisogno dell’aula prove per stare un po’ da solo, non boccerà per questo.”
“Stare un po’ da solo? Le ha detto così?”
Ma quel giorno il professore non sembrava intenzionato ad aiutarlo; a dire il vero, aveva un atteggiamento leggermente distaccato, come se stesse cercando di rimanere professionale e imparziale. Ma Sebastian lo conosceva troppo bene per capire che lo stava giudicando; per capire che Blaine doveva essersi presentato da lui distrutto, e lui era un uomo troppo intelligente per non vedere la verità. O troppo simile a lui.
“Va’ da lui, Sebastian.” Fu l’unico consiglio che si sentì in grado di dare, forse, perché un’altra parte di sé era sicura di conoscere bene quel ragazzo, tanto da riuscire a intravedere quel lato nascosto a molti, e che cercava di non mostrare al suo compagno di strumento.
Lui in risposta annuì, mormorando qualcosa di indefinito; era il suo modo per dire “grazie”, e Robert sghignazzò per quello.
Attraversò il lungo corridoio con un passo troppo svelto, per sembrare rilassato. Voleva soltanto ritrovarsi in quella maledetta stanza che aveva condiviso la maggior parte dei loro ricordi insieme, e lamentarsi con Blaine per quanto fosse maledettamente idiota. O ottuso. O irresistibile, a seconda di quale parte del suo cervello avrebbe agito per prima.
No, si corresse mentalmente, scrollando la testa; lui non doveva pensare a quelle cose. Non doveva pensare al sogno che-
 

“Blaine.”
Faceva troppo caldo. Il corpo di Blaine, finalmente unito al suo, gli provocava degli spasmi di calore, che si ripercuotevano per tutte le sue membra. Sebastian gli baciò dolcemente la schiena, continuando a muoversi dentro di lui, sempre di più, ed era sempre meglio, sempre più eccitante, sempre più meraviglioso e-

 
Maledetto sogno.
Si permise di riacquistare lucidità per qualche momento, regolarizzando il respiro e rilassando i muscoli, prima di aprire la porta della sala prove senza nemmeno preoccuparsi di bussare.
Blaine era lì, proprio come gli aveva detto il professore; aveva la testa appoggiata al pianoforte, proprio sopra la tastiera. Con la mano destra, emetteva dei piccoli suoni che ricordavano tanto dei frammenti di memoria che sfumavano nell’aria; la sinistra, invece, era adagiata lungo il corpo, inespressiva, così come la sua espressione, vuota, assente.
Fu solo quando si accorse della presenza di Sebastian che i suoi occhi si animarono, sebbene, solo per qualche secondo.
“Vattene via.”
“No Blaine, ascoltami.”
“Vattene via Sebastian.” La sua voce era spezzata; come se avesse pianto da poco, oppure, stava per farlo. Il cuore del violinista soffrì solo un po’ di più, mentre lui si avvicinava al pianoforte, costringendo Blaine ad allontanarsi.
“Blaine, non fare così”, tentò di dire, ma l’altro ragazzo non lo degnò di uno sguardo e fece un altro passo indietro.
“Devi lasciarmi spiegare.”
“Non c’è niente da spiegare.” Detto quello, afferrò la tracolla abbandonata a terra e si diresse verso il corridoio. Sperava soltanto che Sebastian avesse il buon senso di lasciarlo stare, di non inseguirlo, di dimenticarsi di tutto quanto e poi, magari, sarebbe andato con qualche altro collega in un bagno del conservatorio, come tutte le volte.
Il suo stomaco si strinse in una morsa dolorosa, ma Blaine subì un vero e proprio tracollo quando fu afferrato per un braccio da Sebastian, che lo costrinse a voltarsi completamente verso di lui.
“Blaine.”
Pronunciò il suo nome in modo così deciso e intenso che lo fece paralizzare lì, a pochi centimetri da lui, proprio di fronte alla porta semichiusa, con i loro sguardi incatenati che trasmettevano emozioni differenti di secondo in secondo.
“Vuoi fermarti per un attimo, e starmi a sentire?”
Blaine deglutì a vuoto, non sapeva assolutamente come fare, Sebastian sembrava teso, arrabbiato, ma non con lui; piuttosto, sembrava combattere una sorta di istinto interiore, come se fosse indeciso su qualcosa.
“Quando ho detto che non posso dar peso a un bacio da ubriachi-“
“Volevi dire che non è significato niente, lo so”. Tagliò corto lui, freddo. Ma c’era qualcosa, negli occhi di Sebastian, improvvisamente scuri, che gli fece mancare il fiato.
“Possibile che non te ne renda conto?”
E il cuore di Blaine aveva cominciato a battere forte, mentre tutto il resto del mondo, lentamente, stava scomparendo.
“Di… di che cosa?” Balbettò, perché adesso che una sorta di idea frullava nella sua testa, non era più in grado di pensare razionalmente, o di parlare in modo fluido: bastava così poco, per farlo andare completamente in corto circuito. Bastava che Sebastian gli rivolgesse quell’occhiata intensa, che si avvicinasse giusto un altro poco, che parlasse con un tono volutamente basso per dire: “Dio, Blaine, io sto impazzendo qui. Non lo capisci? Non riesco più a toglierti dalla testa.” Ammise, mangiandosi tutte le parole per la fretta e l’imbarazzo.
Sarebbe bastato così poco. Erano a distanza di un bacio. Blaine voleva farlo, e quelle di Sebastian erano tutte belle parole, ma tali restavano, e non cambiano il fatto che lo avesse rifiutato due volte. L’orgoglio ebbe la meglio sull’istinto, e così si limitò a fissarlo sprezzante, con la rabbia annidata dentro di lui che scoppiò tutta insieme.
“Non puoi fare così!” Esclamò. Probabilmente, vista la porta socchiusa, le urla sarebbero arrivate alle orecchie di tutti gli altri studenti, ma a lui non interessava.
“Prima ti allontani, poi ti comporti come il ragazzo migliore del mondo, poi mi ignori per settimane, e alla fine passi ogni sera nelle mutande di un altro. Sei tu che devi renderti conto, Sebastian! Perché io sono sempre stato molto chiaro con te, e fino a oggi pensavo di non piacerti, e-e ok, posso accettarlo, non ho mai detto niente, perché se non ti fossi piaciuto allora tutto questo avrebbe avuto senso. Avrei capito. E adesso, adesso tu vieni qui, e mi dici queste cose, e- e come diavolo dovrei sentirmi, io?! Non riesco a capire cosa pensi veramente, Sebastian. Non riesco a capirlo nemmeno quando suoniamo! E allora mi spieghi come faccio a crederti, adesso che mi hai già fatto soffrire due volte? Mi spieghi che diavolo vuoi da me?!”
“Tu.”
La sua risposta fu chiara, semplice.
“Ti voglio, Blaine.”
In quel momento, fu quasi certo che il suo cuore avesse smesso di battere.
Restarono in silenzio per tutto il tempo necessario, fino a quando sentirono delle voci di ragazzi che si stavano avvicinando all’aula prove. Blaine lo guardò per un ultimo secondo, prima di abbassare lo sguardo e scappare via.
 
 


 

“Aspetta Sebastian, sì, così…”
“Ti voglio Blaine.”
“Anche io ti voglio.”
“Shh, non parlare.”
E poi continuarono a baciarsi, un bacio che sapeva di passione, di attesa, di trepidazione, un bacio che era tutto.

 
 
Era quello il problema con i sogni. Ogni tanto, si provava il desiderio che diventassero realtà.
E Sebastian non riusciva a credere di averlo detto sul serio; non nella realtà, non di fronte a Blaine.
Circondò il viso con le braccia e si accasciò sul tavolo della sua cucina, con Santana che si limitava a fissarlo inespressiva, intenta a mettere su l’acqua per un tè caldo. Prima che potesse fare qualsiasi uscita infelice, il coinquilino la fermò con un gesto secco della mano, mormorando: “Non parlare.”
“Va bene.”
“Non ti azzardare a dire una parola.”
“Okay.”
“Lo stai facendo.”
“Solo per risponderti, Sebastian. Non ho tempo da perdere con te, devo vedermi con Brittany tra mezz’ora.”
A quella risposta, il violinista alzò la testa di scatto, non riuscendo a credere alle sue orecchie: “Tu… cosa?”
“L’accompagno a prendere un nuovo cinturino per il suo gatto”, spiegò lei, con una naturalezza disarmante. Come se fosse normale uscire con la ragazza con cui era andata a letto due giorni prima, invece di liquidarla con il suo classico “Non siamo fatte per stare insieme”.
Sebastian in quel momento pensò che il mondo stesse davvero finendo; gli ricordò quasi la predizione dei Maya del duemiladodici, che non si era mai avverata. Chissà, magari, avevano sbagliato solo di qualche anno.
Santana lesse la sua espressione sbigottita come se gli avesse appena spiattellato tutto ciò che non voleva sentire, e così mise le mani sui fianchi, voltandosi completamente verso di lui e sentenziando: “Ascoltami bene. Io non commento quello che sta succedendo tra te e il pianista e tu non proferisci parola su di me e Brittany. Intesi?”
“… Intesi.”
La ragazza gli lanciò un’ultima occhiata minacciosa, e poi si ritirò in camera sua, con la sua tazza di tè alle erbe.
Sarebbe stato un week-end molto lungo.
 

 
Il tempo si diverte un po’ a prendere in giro.
Quando si desidera che non finisca mai, ecco che i secondi scorrono veloci come un lampo, e ti ritrovi amareggiato alla fine della giornata; quando, invece, vuoi solo che trascorrano il prima possibile, ti ritrovi a osservare quell’orologio appeso al muro della sala, ma quelle lancette sembrano destinate a non proseguire.
Blaine contò il tempo, secondo dopo secondo, ma quel sabato pomeriggio sembrava completamente statica e con pochissime cose da offrirgli.
Avrebbe potuto guardate la televisione; ma non era mai stato un amante del via cavo, e senza Brittany che commentava ogni programma rendendolo incredibilmente interessante non aveva molto senso. Purtroppo per lui, la sua coinquilina era uscita di buon’ora per prendere un caffè con Santana, e lui ancora doveva assimilare bene la notizia. Lei e Santana. Roba da non credere.
Così come non riusciva ancora a credere a quella conversazione avuta con Sebastian, giusto il giorno prima.
Bastò tornare per un attimo con la mente a quel ricordo, e il suo cuore già aveva preso a battere freneticamente come se stesse correndo una complicatissima salita; non c’era molto da fare, non poteva certo ordinargli di stare calmo. Era stata una cosa troppo inaspettata. Troppo forte.
E il pensiero che, superato quel week-end, si sarebbero rivisti proprio in quella sala prove, era davvero insostenibile.
Afferrò i vari fogli di spartiti sparsi per tutto il divano, decidendo di alzarsi e fare qualcosa di produttivo; se non riusciva a smettere di pensare a Sebastian, allora, avrebbe incanalato tutte le sue emozioni suonando. In fondo, lo faceva da sempre. Solo che quella volta non c’era modo di riuscire a formulare un pensiero concreto; era più una matassa aggrovigliata di sensazioni, cose che aveva sentito, cose che avrebbe voluto sentire.
Non riusciva a pensare a quello che sarebbe potuto succedere lunedì; non voleva.
Sarebbe entrato in quella stanza, come tutte le altre volte, e poi gli avrebbe detto qualcosa. Sì, sicuramente, sarebbe andata così.
 
 

Sebastian di solito passava la domenica dormendo, oppure ascoltando di fila tutti i suoi compositori preferiti, assaporandone con piacere ogni nota. Tuttavia, essendo vicino al concorso, si costrinse a prendere in  mano il violino cercando di migliorare la sua tecnica già pressoché perfetta, ma mai sufficiente.
Non se ne sarebbe stato con le mani in mano. Non avrebbe aspettato inesorabile l’arrivo della nuova settimana; dopotutto, non c’era proprio niente da aspettare, no?
Ma mentre cominciava a far scivolare l’archetto lungo le corde sottili, dentro di sé sentiva che il giorno dopo sarebbe successo qualcosa: solo, non sapeva che cosa.
 
 

 
Paradossalmente, quel lunedì mattina era iniziato in modo calmo e rilassato.
Quando Blaine entrò nell’aula prove, trovò il professor Cage e Sebastian già pronti a suonare, il primo con il suo immancabile bastone e un’aria serena, il secondo, invece, stranamente silenzioso, ma apparentemente calmo.
Si guardarono per un attimo; Sebastian osservò i suoi jeans aderenti, i suoi occhi color miele, le sue labbra carnose; Blaine, invece, i capelli setosi e la sua maglietta, che evidenziava i muscoli allenati delle braccia e del petto. Si salutarono educatamente. Poi, proiettarono tutta la loro attenzione su di Robert, e per molto tempo non dissero altro.
Il professore diede loro degli spartiti su cui lavorare, niente di troppo complicato, aveva detto, giusto qualcosa con cui sgranchirsi le articolazioni dopo la pausa dettata dal week-end. Raccontò qualche aneddoto sulle piccole pause che aveva durante la guerra, spese a festeggiare con gli amici o in compagnia di qualche bella ragazza; portò i saluti di sua moglie, disse per l’ennesima volta quanto fosse stata contenta di conoscerli, ed erano fortunati ad avere l’apprezzamento di una donna come lei, perché era più unica che rara, ma loro erano troppo giovani per capirlo. Soltanto mezz’ora dopo cominciò a spiegare attentamente il brano da suonare, soffermandosi sui punti tecnici e evidenziando la parte interpretativa. Blaine e Sebastian annuivano, ogni tanto commentavano in modo piuttosto pacato, si rivolgevano qualche domanda: sul testo c’è scritto piano, io lo farei pianissimo, potresti respirare in questo punto qui, su questa scala voglio che tu sia più veloce.
Conversarono come due colleghi farebbero, e Robert ascoltò convinto la loro esecuzione interrompendoli poche volte per dar loro maggiori consigli. Quel giorno aveva scelto per loro una Sonata di Franck, dal carattere brusco e tempestivo, come di un fiume in piena. Era un potenziale spartito per il concorso, e i due musicisti lo suonarono con la dovuta attenzione; l’inizio fu piuttosto scollegato, il violino di Sebastian sovrastava il suono del pianoforte, che invece doveva essere dirompente, dovevano sfidarsi, come in una lotta continua.
Non c’erano pause, in quell’esibizione. Doveva essere un movimento continuo dei due musicisti, dovevano equipararsi, soprattutto nella fase iniziale, e poi sciogliersi lentamente in un periodo malinconico e di esitazione. Il violino, in teoria, doveva dare l’idea di riflessione; il pianoforte, doveva essere un segreto compagno, come un amante che ascolta silenziosamente i respiri dell’altro, durante la notte.
Dopotutto, Robert lo aveva detto chiaramente, sin dall’inizio: duettare era come fare sesso.
Blaine e Sebastian finirono quel brano, ma contrariamente a quanto immaginato, erano incredibilmente tranquilli.
“Siete andati molto bene”, commentò il professore. Stava per aggiungere qualcosa, ma poi il suo cellulare squillò insistentemente, e lui fu costretto a uscire dall’aula, premurandosi di chiudere la porta in modo che i due ragazzi potessero continuare a suonare senza essere disturbati.
Approfittarono di quella piccola pausa per riesaminare il brano e fare i dovuti commenti, parlando anche dell’eventualità di portarlo al concorso, ma non raggiungendo una vera e propria decisione: poteva andare bene, ma uno non era particolarmente attratto dalla tecnica di quel compositore, l’altro, invece, voleva qualcosa di più impegnativo.
Continuarono a parlare di musica per diverso tempo; Sebastian posò il suo violino con cautela, sapeva bene, ormai, che le telefonate di Robert duravano sempre delle ore. Una volta avevano perso un’intera lezione, ma lui e Blaine ne avevano approfittato per parlare e rilassarsi un po’.
Convinto da quella idea, andò a sedersi proprio accanto a lui, come faceva sempre da un po’ di tempo a quella parte.
“Com’è andato il week-end?”
“Bene. E il tuo?”
“Normale. Niente di emozionante.”
“Mhm, già.”
Dopo un po’ di tempo, Sebastian cominciò a premere qualche tasto del pianoforte, come se volesse interrompere quel silenzio sin troppo strano.
“Non sapevo suonassi”, commentò Blaine, osservando affascinato le sue dita affusolate intente a eseguire una scala.
“Ho fatto un anno di pianoforte complementare.”
“Oh. Giusto.”
Era una parte del programma, e Blaine si chiese come avesse fatto a non pensarci. Forse, perché in quel momento ogni sua facoltà intellettiva era completamente offuscata da qualcosa.
“Non è niente di ché,” Ammise il violinista, cominciando a usare entrambe le mani, “Voglio dire, non sono bravo quanto te, ma so fare un paio di cose.”
Blaine non seppe esattamente come rispondere a quel complimento. Era il primo che Sebastian gli avesse mai fatto. Lo ascoltò in perfetto silenzio, ma se gli avesse chiesto di ripetere quanto suonato, probabilmente avrebbe fatto scena muta: nemmeno il suo orecchio assoluto, in quel momento, lo poteva aiutare. Perché Sebastian stava suonando il suo strumento, e aveva un’espressione assorta, gli occhi chiari, e lui parlò prima ancora che potesse veramente rendersi conto di quello che aveva chiesto: “Insegnami a suonare il violino.”
Sicuramente, lo aveva preso in contropiede, a giudicare dalla sua espressione stupita.
“Non è così facile”, mormorò, un paio di secondi dopo, “Ci vogliono giorni per imparare la postura corretta e effettuare un suono limpido.”
“Fammi provare.”
Non era niente di strano. Blaine voleva ricambiare Sebastian di quello che gli aveva suonato, e per farlo avrebbe dovuto imparare un po’ della sua tecnica.
Non c’era nessuna intenzione nascosta sotto a quella richiesta. Eppure, nel momento in cui entrambi si alzarono in piedi, e lui si ritrovò a stringere il suo violino, un brivido caldo corse lungo tutta la sua schiena, facendogli venire la pelle d’oca.
“Stai dritto.” La voce di Sebastian era ferma, ma attraversata da un velo di esitazione. Lo guidò passo dopo passo in tutte le cose; come impugnare il violino, come tenere l’archetto. Gli fece alzare il mento per farlo appoggiare sullo strumento, ma quando Blaine provò a suonare, dalle sue mani uscì soltanto un fastidioso stridio.
“Non così.” L’altro ragazzo si posizionò esattamente di fronte a lui, e poi, lo fece provare di nuovo.
C’era qualcosa di terribilmente sensuale, nel modo con cui Sebastian correggeva la sua postura, o gli faceva impugnare l’archetto. Non aveva mai visto il violino sotto quell’aspetto, ma era completamente diverso da come poteva risultare un pianoforte, o qualsiasi altro strumento. Era elegante; metteva in risalto il fisico, le mani, le spalle. Era davvero difficile ignorare il corpo di Sebastian dietro il suo, intento a dargli la giusta postura da seguire; Blaine fu costretto a muoversi con molta calma, facendo attenzione ad ogni minuscolo movimento.
“Blaine”, mormorò, afferrandolo delicatamente per le braccia. “Devi essere rilassato.”
“Non riesco a essere rilassato.” Ammise, abbassando lo strumento lungo i fianchi.
“Perché?” Chiese lui.
Si guardarono dritto negli occhi. E poi, si fermarono.
Perché avevano aspettato per troppo tempo. Perché Robert non accennava a tornare. Perché Sebastian non lo aveva mai guardato in quel modo, non apertamente, e Blaine cominciava già a sentire le sue gambe cedere.
"Adesso basta.”
Avvenne in un attimo.
Sebastian spinse Blaine contro di sé, e poi le loro labbra si scontrarono in un bacio famelico, facendo dimenticare loro tutto il resto.
Blaine provò a cingergli il collo con le mani, dimenticandosi, per un momento, di avere ancora il violino in mano, e facendolo urtare contro la sua spalla. In poco tempo gli fu sottratto dalle mani e fu abbandonato con nessuna delicatezza a terra, e il resto fu un groviglio di respiri, lingue e gemiti, sparsi per tutta la stanza. Non si era nemmeno accorto che Sebastian, nel frattempo, lo aveva spinto contro il pianoforte, fino a quando non sentì il legno freddo contro la schiena; invece di fermarsi, venne afferrato per le gambe, trovandosi sollevato da terra con la sua lingua che accarezzava languidamente quella di Sebastian. Si aggrappò a lui, non aveva nessuna intenzione di cadere, o di interrompere quel contatto, perché adesso Sebastian aveva cominciato a succhiargli avidamente il labbro inferiore e, sinceramente, non si era mai sentito meglio in tutta la sua vita. Cominciando a sentire le gambe del violinista cedere per il troppo peso, si strinse ancora di più a lui, e lo sentì soffocare un gemito tra le sue labbra, al contatto delle loro eccitazioni da sopra i jeans.
Quel contatto fece mancare l’aria a entrambi, e furono costretti a staccarsi un minimo per poter respirare. Blaine rabbrividì, quando Sebastian fece scorrere una mano lungo tutta la schiena, fino a sotto i suoi jeans, mentre con l’altra lo afferrò possessivamente per i capelli; con un’angolazione più favorevole, le loro labbra si incontrarono di nuovo, stavolta, in modo più languido e sensuale. Era quasi convinto che sarebbe potuto venire solo per quello, perché non era mai stato baciato così, perché Sebastian era irresistibile e forse tutto quello faceva parte di un sogno meschino. Ma poi, arrivò il momento in cui si ritrovò sdraiato sulla cassa del pianoforte e, subito dopo, Sebastian fu su di lui. Solo allora capì di trovarsi nella realtà: nessuna sua fantasia sarebbe stata all’altezza di loro due su un pianoforte a coda.
Il suo corpo rispose automaticamente a quel contatto, inarcandosi senza vergogna e guadagnando una piacevole frizione.
“Cazzo Blaine”, gemette Sebastian, cominciando a succhiare e mordicchiare avidamente una parte del suo collo.
In risposta, lui aprì le gambe per lasciare più libertà di movimento ai loro bacini, e poi sentì la sua mano intrecciarsi a un’altra, premuta saldamente contro il legno del pianoforte; e poco importava che fosse di proprietà del Franz Liszt. Per un momento, Blaine considerò perfino l’idea di fare piano, ma poi Sebastian si spinse contro di lui spostando perfino i loro corpi, e i gemiti che susseguirono non riuscirono più a essere camuffati.
“Sì, forse dovrei avere quelle carte in ufficio, puoi rimanere un momento in linea?”
Dovettero ringraziare il loro udito allenato per poter riuscire a captare quella voce, perché Robert era lì, a pochi metri dalla porta, e la sua voce si faceva sempre più vicina. Si allontanarono l’uno dall’altro con uno scatto, guardando verso direzioni opposte, pallidi in volto.
 


Quando il professore entrò di nuovo nella sala prove, il pianoforte era leggermente spostato verso destra, ma Blaine e Sebastian erano molto lontani.
“… Che succede qui?”
“Niente.” Dissero in coro. Giusto per aumentare ancora di più i dubbi. Fece per parlare, ma la voce al telefono chiamò di nuovo il suo nome, e allora tornò ad occuparsi della chiamata facendo un gesto convesso con la mano, come per indicare che avrebbero continuato più tardi.
Ma ormai non potevano più continuare. E non c’era più modo di tornare indietro.
La porta si chiuse di nuovo, con un tonfo secco, quasi, solenne.
Blaine guardò Sebastian solo per un istante, quello in cui i suoi occhi smeraldini erano ancora attraversati da un bagliore scuro di lussuria; ma quando la  fibrillazione lasciò spazio alla mente, e ai ragionamenti, tutto apparve terribilmente affrettato e impulsivo. Non era così che dovevano andare le cose. Non era così che doveva finire. Prese fiato un paio di volte, prima di riuscire a trovare le forze per pronunciare il suo nome.
Uscì piano, dolce. Quel suono spaventò Sebastian, che indietreggiò di un passo, cominciando a scuotere la testa. Non c'era nemmeno bisogno di aggiungere altro: si capirono, si capivano sempre, anche senza bisogno delle parole.
"Che cosa stiamo facendo", dicevano gli occhi di Blaine, caldi, confusi.
Quelli di Sebastian, invece, erano più fermi. Risposero con un debole, "Non lo so. Ma ora ho capito."
"Capito cosa?" Chiese silenziosamente, inclinando la testa da un lato, completamente catturato da quel dialogo di sguardi.
L'ultimo fu quello che fece gli fece battere il cuore, ma non nel modo in cui sperava.
"Non vogliamo le stesse cose."
Probabilmente no. Sebastian voleva passione, sesso, era stato molto chiaro a riguardo. E Blaine? Lui non aveva mai pensato esattamente a cosa volesse; forse, perchè non ce n'era mai stato bisogno: non riusciva a mettere da parte i sentimenti come faceva lui. Non riusciva a vedere quello che avevano appena avuto come vuoto e superficiale.
Sebastian sì?
“Tu non vuoi questo, Blaine.”
Aveva ragione. Forse, per un attimo, aveva creduto che avrebbe potuto funzionare. Ma lui non voleva il suo partner soltanto a livello fisico. Lui lo voleva in tutti i modi possibili.
Per quello il battito del suo cuore gli faceva male; perché, tutto d'un tratto si rese conto di provare una cosa completamente diversa da lui, che considerava quasi, sbagliata.
"Non possiamo stare insieme, lo capisci, vero?”
“… Sì.”
“Finiresti per odiarmi.”
Blaine in quel momento lo guardò con un moto di disperazione dentro di sé, perchè voleva dirgli che non era assolutamente vero, che non avrebbe mai potuto odiarlo; ma non ci riuscì. Dopotutto, ci era andato molto vicino dall’odiare Sebastian Smythe, all’inizio della loro conoscenza. Potevano rischiare tutto, la loro carriera, il concorso, solo per un’attrazione reciproca?
La risposta la lesse negli occhi del suo partner. Erano di un verde limpido, come, trasparenti: era un no.
“Io non voglio ferirti."
Blaine ricacciò indietro a fatica delle lacrime, sviando la testa di un lato, facendo per andarsene.
“Lo so.” Sussurrò, con le mani strette a pugno e un'intensa fitta allo stomaco.
“Mi dispiace.”
“Anche a me”, bisbigliò.

Perchè ormai lo aveva già fatto. Era troppo tardi.












***
Angolo di Fra


... Potete respirare ora.

Volevo ringraziare Carlotta e Martina che mi hanno dato l'ispirazione per Franck. Ho ascoltato quella Sonata e ho detto "è lei". Grazie mille.
E poi permettetemi di fare la Robert della situazione: Skrjabin ha inventato quella scala perchè cercava qualcosa di "mistico". Spero si capisca la metafora!
E poi boh, spero vi piaccia. Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori.

 

   
 
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