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Autore: Jane Ale    27/10/2012    1 recensioni
[Prima storia della serie "Il ciclo di Caterina", ma può essere letta indipendentemente dalle altre storie.]
Caterina e Alessandro sono migliori amici, eppure non riescono ad andare d'accordo per più di qualche minuto. Ma poi Caterina capisce di essere innamorata di Alessandro e tutto si complica. Perché lui è stronzo, ma non ne è consapevole; lei, invece, è isterica, ma non sa come smettere.
Il solito vecchio cliché? Probabilmente (no).
Dalla storia:
-L'avevo capito. Di piacerti, intendo.-
Annuii. -Era piuttosto evidente.-
Si passò le mani sul viso, poi mi fissò di nuovo. -Cate, io mi sento molto attratto da te, non posso negarlo..-
A quelle parole avvampai, ma cercai di restare distaccata. -Ma?- gli chiesi.
-Ma al tempo stesso non riesco a provare quei sentimenti che vorrei. Ti voglio un mondo di bene, ma..-
Ma non sei innamorato di me, conlusi per lui nella mia mente.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e sorrisi. -Non preoccuparti, Ale, non importa. Non è successo niente.-
-Cate, ascoltami.-
-No, va bene così, nessuno si è fatto male.- Sorrisi ancora.
-Tu sì.- disse con semplicità. Ed era vero, io mi ero fatta molto male, più di quello che credevo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo di Caterina'
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Capitolo 7
Perché, forse, anche lei era stronza



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Non so perché fossi già in classe. Erano soltanto le 7.45 ed ero già seduta al mio banco.  Era passato qualche giorno da quando avevo visto Alessandro l'ultima volta, ma sembrava che fossero trascorsi mesi.
Quella mattina mi ero svegliata prima del suono della sveglia ed ero arrivata a scuola con largo anticipo. Avevo inviato un messaggio a Roberta dicendole che non avrebbe dovuto aspettarmi, che ci saremmo viste in classe. Sapevo che non avrei avuto possibilità di evitarlo, era sempre tra i primi ad arrivare, a volte sembrava che avesse passato la notte a scuola. Era solo questione di minuti, poi avrei dovuto affrontarlo.
Stavo scorrendo l'elenco delle canzoni sul mio iPod, quando la porta della classe si spalancò e lui fece la sua comparsa. Quando mi vide si fermò un attimo ad osservarmi, quasi sorpreso, poi, senza una parola, posò lo zaino sul suo banco, ovvero quello accanto al mio. Tenevo la testa bassa, ma sentivo il suo sguardo indagatore su di me. Non avrebbe mai parlato per primo, lo conoscevo fin troppo bene, quindi avrei dovuto fare io il primo passo.
-Ciao.- mormorai, sperando che mi sentisse.
-Ciao.- mi rispose freddamente.
-Come va?- Non sapevo perché stessi cercando di aggirare l'ostacolo. Avevo poco tempo e lo stavo sprecando perché avevo paura di affrontarlo.
-Bene. La mia amica mi ha mandato a quel paese qualche giorno fa, non si è più fatta sentire, né vedere, non mi ha più cercato. Come credi che vada?- Dire che era furioso non era ancora abbastanza, ma io lo ero più di lui, anche in quel momento.
Lo guardai negli occhi. -Va sicuramente bene. Se la tua amica non ti ha cercato ci sarà un motivo, non credi? Forse le hai raccontato troppe bugie e lei si è stancata. Forse si è rotta di doverti cercare anche quando dovresti essere tu a farlo, di chiederti scusa quando non ha colpe, di far finta che vada tutto bene perché non hai il coraggio di affrontare i problemi.-
-Non sono io che ho saltato la scuola pur di non parlarne. Sei una bambina, ti comporti come se fossi l'unica a stare male. Tutte le volte mi rinfacci di essere un egocentrico, ma la prima ad esserlo sei tu, vedi solo te stessa.-
Non l'avevo mai sentito parlare così con nessuno, figuriamoci con me. Mi stava accusando di essere egoista, stava cercando di dare la colpa a me. Certo, io non ero stata del tutto sincera con lui: come potevo spiegargli che il vero problema non era la bugia che mi aveva raccontato, ma il fatto che io non riuscissi a vederlo come un amico? Questo, però, non avrei potuto dirlo; avrei dovuto continuare puntando sulla fiducia tradita. Ipocrita, sono solo un'ipocrita, pensai. Il fatto che lui mi avesse mentito restava, comunque.
-Sono l'unica a stare male, Alessandro! È così, non puoi negarlo: io sto male, ma perché me ne importa. A te, invece, non importa un bel niente. L'importante è che ci sia qualche troia che ti corre dietro in qualsiasi posto andiamo, il resto non esiste. Io non esisto. Mi usi e basta, poi non hai neppure il coraggio di dirmi che vi siete chiusi nei bagni a..- Chiusi gli occhi. Non volevo concludere il discorso, non volevo farmi ancora del male. Avevo deciso di affrontarlo, è vero, ma in quel momento me ne pentivo amaramente. Lui era arrabbiato, mi guardava con odio, accecato dall'ira e deciso ad aver ragione. Io, come sempre, avevo già esaurito le mie forze ed ero a pezzi. Ero sempre la prima, e l'unica, a rivelarsi vulnerabile. Lui era indistruttibile, non c'era modo di toccarlo, smuoverlo, era come se le mie parole non arrivassero neppure al suo orecchio.
-Mi ripeti sempre le stesse cose: che a me non importa niente, che sono egocentrico, che ti sfrutto..credo che tu non ci capisca nulla. Se pensi davvero queste cose sei una cretina!-
-Perfetto, adesso sono anche una cretina!- dissi, facendo un risolino isterico. Sentivo i miei amici, cinismo e sarcasmo, farsi spazio dentro me. Erano i miei anticorpi, il mio muro difensivo.
-Cacchio, Caterina, che palle che fai!- sbottò lui, quasi urlando.
-Ovviamente! Mi mancava questa tua uscita. Lo sai cosa? Vaffanculo Alessandro!-
-Cambia disco!- mi prese in giro lui.
-Ti ripeto, vaffanculo! Lì, forse, troverai qualcuna che sia disposta a dartela senza che tu debba uscire dai confini nazionali.- Era un colpo basso, ne ero consapevole, ma non potevo uscire perdente anche da quella battaglia.
La campanella suonò, la porta dell'aula si spalancò e alcuni nostri compagni entrarono. Lo guardai, ma si era già girato dall'altro lato per togliere alcuni libri dallo zaino. Non aveva avuto il tempo di rispondermi, ma sapevo che me l'avrebbe fatta pagare. Ero stata cattiva, quasi crudele. Mi sarei meritata una risposta altrettanto cattiva, ma Alessandro non si sarebbe mai limitato a questo, si sarebbe vendicato in un modo peggiore, come suo solito. Dovevo aver paura? Se fossimo stati ancora in buoni rapporti e quella fosse stata soltanto una discussione come tante, probabilmente no. Ma quella volta eravamo andati troppo oltre, le parole erano uscite prima che potessimo fermarle e io avevo dato il colpo di grazia.
Sì, dovevo aver paura.

Le ore successive furono silenziose come non mai. Non solo non ci parlavamo, ma evitavamo persino di volgere lo sguardo l'uno nella direzione dell'altra. Dire che eravamo infantili non era abbastanza: due bambini avrebbero litigato fino a risolvere la situazione, non avrebbero mai permesso che il discorso finisse così, lasciato a metà dopo essersi lasciati trascinare dall'impulso. Persino un bambino avrebbe capito quanto stupido fosse il nostro comportamento.
Quando la campanella suonò per la ricreazione, Alessandro si alzò velocemente ed uscì dalla classe, seguito dal fedele Emanuele. I due erano inseparabili: si muovevano sempre in coppia, si capivano con un semplice sguardo, avevano espressioni simili, si atteggiavano nello stesso modo. Con il tempo, però, avevo imparato a riconoscere quanto realmente fossero diversi: Emanuele era solare ed espansivo, riservato per ciò che lo riguardava da vicino, disposto ad ascoltare chiunque volesse confidarsi, ma, incomprensibilmente, apatico; Ale, al contrario, era sempre serio, quasi arrabbiato, non parlava con tutti, anzi, sceglieva i pochi "eletti" a cui concedere qualche parola e non usciva mai dal gruppo prescelto. Non raccontava niente di sé, se non quando capiva di potersi fidare realmente; a prima vista si sarebbe potuto affermare che fosse totalmente privo di sentimenti verso ogni creatura vivente che non fosse se stesso, ma sapevo che non era così: si affezionava alle persone fin da subito, si gettava anima e corpo in relazioni impossibili, ma alla fine rimaneva sempre deluso. Per questo si era costruito una barriera per non permettere ai sentimenti di annientarlo. Avevo sempre ammirato questa sua capacità, fin quando non aveva spinto anche me al di là della barriera.
Ancora persa nelle mie riflessioni, appoggiai la testa sul banco, non accorgendomi dello sguardo indagatore di Roberta, seduta di fronte a me.
-Non dovevi sistemare la situazione?- mi chiese, quasi rimproverandomi.
-L'ho fatto. O meglio, ci ho provato.- le risposi.
-Quando?-
Sbuffai. -Stamani, prima dell'inizio delle lezioni.-
-E?- Sapevo che non avrebbe mollato finché non avessi sputato il rospo. Volevo raccontarle cosa ci fossimo detti, ma allo stesso tempo non volevo ripercorrere il dialogo avvenuto quella mattina.
-E niente. Non siamo riusciti a risolvere. In compenso sono stata una stronza, dicendogli che deve sempre cercare
all'estero qualcuna con cui andare, o qualcosa di simile.- dissi sentendomi ancora peggio.
-Se sapesse che tu saresti felice di dargl...-
Non le feci terminare la frase. -Cazzo Roberta, tatto zero!-
-Ma è vero!- disse lei con fare ovvio.
Scossi la testa, sorridendo. Negare sarebbe stato da sciocchi, nessuno ci avrebbe creduto e, forse, nemmeno io. Il fatto era che il problema tra me ed Alessandro non si sarebbe mai potuto risolvere con il sesso, non sarebbe mai stato un punto di arrivo, un metodo risolutivo, ma soltanto una fase. Forse, se gli avessi proposto di diventare trombamici, lui avrebbe accettato e considerato la cosa come un modo alternativo di essere amici; io non avrei mai potuto accettare la situazione: ero già troppo oltre per considerare Alessandro in questi termini.
Guardai Roberta e la trovai intenta a fissarmi con un'espressione quasi pietosa sul volto.
-Roby, puoi smetterla di guardarmi come se volessi farmi la carità?-
-Non voglio farti la carità!- mi rispose sulla difensiva.
-Allora?-
-Vai a parlare con Ale.-
-No.- risposi con fermezza.
-Sai che più tempo passa, più la situazione peggiore. Vai da lui, chiedigli scusa per quello che hai detto stamani e chiarite.-
Aveva ragione, ma non volevo essere io la prima a buttare al vento il mio orgoglio.
-Sono sempre io a fare il primo passo, non è giusto.-
-Caterina, quando fai così sei proprio una bambina. Non ti lamentare se poi non vi parlate. Sai che ho ragione, ma ti ostini a non volerlo ammettere. Fai come vuoi, ma smettila di piangerti addosso allora!-
-Sei una..una merda, ecco!- le dissi alzandomi in piedi.
-Lo so, sono la migliore.- mi rispose sorridendo.

Attraversai l'aula e mi affacciai sul corridoio. Ale stava parlando con Giovanni, Emanuele e una ragazza della nostra classe, Azzurra. Andai da lui, senza pensarci due volte.
-Posso parlarti?- gli chiesi, concentrandomi sul suo naso per evitare di guardarlo negli occhi.
-Che c'è?-
-Possiamo parlare o no?- insistetti. Lui annui impercettibilmente con il capo.
Ci spostammo, dirigendoci verso l'uscita di emergenza.
-Allora?- mi chiese freddamente, guardandomi con odio.
-Scusa.- riuscii a dire, fissandomi le scarpe.
-Come hai detto?-
-Ti ho chiesto scusa, non volevo dire quella cosa stamani.- dissi con più audacia.
-Però l'hai detta. E non solo quella.-
-Quella è l'unica che non avrei voluto dire, il resto lo penso.- Puntai il mio sguardo nel suo.
-Perché sei troppo orgogliosa per ammettere più di un errore alla volta.-
No! Lui che dava dell'orgogliosa a me? Quale stupido scherzo mi stava giocando l'universo?
-Orgogliosa? Io? Sono qui a chiederti scusa, per chiarire. Come sempre sono io a fare il primo passo verso la "pace", perché tu sei troppo impegnato a giocare a "sono figo e non mi interessa di ciò che mi circonda" per vedere i tuoi errori.- dissi con cattiveria.
-Quanto sei stronza!- mi rispose.
-Cambia disco!- lo provocai. Ma lui scosse la testa.
-Aveva ragione Marica, sei proprio infantile.-
-Cosa c'entra Marica?- gli chiesi in un sussurro.
-Niente, ieri abbiamo parlato un po'.- mi disse con leggerezza.
-Di me?-
-Siamo capitati per caso nel discorso.-
-Certo, come no. Dopo mesi che non vi parlate, vi ritrovate a conversare amabilmente come due amici intimi e, perché no, ad offendermi. Alla fine è quello che riesce meglio ad entrambi.- Acidità portami via.
Scosse di nuovo la testa, ridendo amaramente.
-Caterina, il mondo non gira intorno a te. Se io ho voglia di parlare con Marica, ci parlo, a prescindere dal fatto che abbiamo discusso o meno. Ti fai troppi problemi, categorizzi tutto. È per questo che non riusciamo ad andare d'accordo: io sono fatto così, tu non mi accetti e ti arrabbi per tutto.-
-No, Alessandro. Non è per questo che non andiamo d'accordo. Io e te non ci sopportiamo perché entrambi vogliamo bene ad un'unica cosa che, guarda caso, è quella sbagliata.-
-Cosa?- mi chiese confuso.
-A te.- Non seppi se capì il mio messaggio, la mia intrinseca dichiarazione, il mio "ti voglio bene" celato, ma fin troppo esposto.
Mi girai e feci per andarmene. Prima di rientrare, però, mi girai e affondai il coltello nella piaga.
-A proposito, come sta Marica? Sempre cornuta?-




Note dell'autrice:

Buonasera a tutti!

Per prima cosa mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, spero di non metterci più così tanto.

Questo capitolo, il primo senza ricordi passati, vede Caterina ed Alessandro immersi nella loro discussione ancora irrisolta. Alla fine viene fuori il nome di un nuovo personaggio, Marica. Anche se per adesso è stata soltanto citata, in seguito assumerà un ruolo importante nelle vicende dei due personaggi.

Come sempre ci tengo a ringraziare tutti coloro che leggono la storia. Spero che continuerete a farlo! :)

Mi raccomando, se avete tempo (e voglia) recensite.

Un bacio,
Jane Ale







  
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