Salve a tutti!
Scusate per la lunga attesa, ma quest’anno l’università è stata davvero
impegnativa e stressante, e tra esami, laboratori e tirocinio sono riuscita
solo ora a rimettere mani alla mia fanfic, dopo aver sostenuto ieri l’ultimo
esame! Perdonatemi se vi ho fatto aspettare, cercherò di essere più rapida in
seguito a scrivere i nuovi capitoli! E spero che questo capitolo vi piaccia!
Buona lettura!
Gemini
DESTINI CHE SI UNISCONO
CAPITOLO SETTIMO:
NASCITA DI UN’ AMICIZIA
- Marcus…sentimi
bene…sono stufa marcia di farmi mettere i piedi in testa da te!-, esclamò
Rachel in tono esasperato, guardando il giovane compagno con occhi
fiammeggianti di collera.
L’espressione del
tedesco si fece torva. –Cosa vorresti dire, sentiamo?-, replicò in tono iroso.
La ragazza si scostò
una ciocca di capelli biondi dalla fronte e tirò un profondo respiro nel
tentativo di calmarsi, prima di parlare. –Non capisco che cosa vuoi da me,
semplicemente. Ti sei arrabbiato così tanto solo perché ieri sera me ne sono
andata via dal locale prima di te? Mi sembra molto stupido…considerando anche
che non sembravi affatto avere bisogno di compagnia-, su quest’ultima frase il
tono della giovane si fece sarcastico.
-Cosa vorresti
insinuare?-, ribatté Friedman in tono gelido.
Rachel contorse le
labbra in un amaro sorriso. –Quello che ho detto, Marcus. Smettila di trattarmi
come una stupida. Magari per te è diventata un’abitudine, ma io comincio a
sentirmi veramente stanca-
-Sei stanca di me,
eh? Sei stanca di me? Perché non lo ammetti se è così?-, ringhiò furiosamente
Marcus, avvicinandosi alla giovane e puntandole un dito sotto il mento con aria
minacciosa.
Rachel sostenne il
suo sguardo senza spaventarsi. –Suvvia, Marcus…dovevo essere cieca per non
vedere che eri circondato da tre ragazze adoranti, ieri sera!-, rispose con
calma e con occhi di ghiaccio.
Il portiere della
nazionale tedesca fece un sorrisetto maligno. –Sei gelosa allora…questo spiega
tutto!-, fece inorgoglito, e spostò il dito sulla guancia della ragazza per
carezzarla. La giovane però si scansò, continuando a fissarlo con freddezza.
-Più che gelosia, la
chiamerei dignità, Marcus. Essere trattata da zerbino va bene fino a un certo
punto, se permetti. Vengo in un locale con te e il resto della squadra e basta
che mi allontani un momento per andare in bagno che ti ritrovo a fare il
galletto con le altre! E davanti a tutti i tuoi compagni di squadra, tra cui
anche mio cugino! Cosa dovevo fare se non girare i tacchi e andarmene?-, disse
Rachel, con un tono apparentemente calmo ma da cui traspariva una gelida furia.
Marcus sbuffò,
infastidito. –Stavo solo parlando…e tu, che parli tanto di dignità, non hai
pensato alla figura da cretino che mi hai fatto fare? Ti ho cercato ovunque! Mi
hai piantato in asso come un idiota qualsiasi, senza nessun rispetto!-
La ragazza divenne
rossa in volto per la rabbia. –Proprio tu parli di rispetto?!? Ma non hai
alcuna vergogna!-, gridò alterata. –E’ da quando è iniziata la nostra storia
che mi tratti come uno zerbino! Mi tradisci, mi tratti come una scema in
pubblico…non sono più disposta a sopportarlo Marcus! Non ne posso più della tua
prepotenza, della tua arroganza, della tua superbia! Tu non sei il grand’uomo
che credi…sei solo un povero stupido smidollato! Mi fai pena!-, urlò in faccia
al fidanzato, che diventava sempre più scuro in volto.
-Taci,
schifosa!!!!-, urlò il giovane tedesco completamente fuori di sé, e prima
ancora di rendersi conto di quello che stava facendo, la sua mano si alzò e
colpì la ragazza con due violenti ceffoni.
La guancia di Rachel
divenne rossa, mentre la giovane, incredula, fissava Marcus con occhi inebetiti
e colmi d’odio. Il portiere si sentì immediatamente un verme.
-Oddio Rachel, non
volevo…-, cominciò a dire, ma non fece in tempo a finire la frase, perché una
potente mano lo afferrò per il bavero della maglia e lo allontanò bruscamente
da Rachel con uno spintone.
Colto alla
sprovvista, Friedman cadde a terra. Quando rialzò gli occhi, si trovò di fronte
a un ragazzo alto e scuro di carnagione, che lo fissava con un’espressione di
collera inaudita.
-Come osi mettere le
mani su una ragazza? Non ti vergogni?!?-, gridò Mark Lenders, furioso come mai
si era sentito in vita sua.
Era rimasto nascosto
ad osservare il litigio…non avrebbe voluto farlo, detestava mettere il naso
negli affari altrui, e in questo caso poi si trattava di estranei…ma qualcosa,
una sorta di forza sconosciuta e misteriosa, lo aveva spinto a non andarsene.
Dai concitati scambi di battute tra i due aveva capito che Marcus Friedman non
era altro che un idiota pallone gonfiato…ma non avrebbe mai pensato che sarebbe
arrivato ad alzare le mani sulla sua ragazza. Non riusciva ad immaginare un
atto più ignobile che mettere le mani addosso a una donna. E così non era più
riuscito a rimanere fermo nel suo “nascondiglio”, e prima ancora di comprendere
cosa stava facendo, si era trovato ad afferrare Friedman e spingerlo
violentemente a terra. Ora a trovarselo di fronte con quell’espressione
arrogante sul volto, gli occhi fiammeggianti e una strana aria di sfida, si sentiva
prudere le mani…sentì Rachel gridare, ma non le diede alcun peso. In pochi
istanti si trovò sopra Marcus Friedman, mentre lo colpiva con violenti pugni
ovunque, sul viso, sul torace, sulle spalle…
-Che cavolo vuoi?
Chi sei tu?-, gridò il portiere tedesco furibondo, scagliando un sonoro
cazzotto contro la mascella di Mark.
-Sei un lurido
bastardo!-, rispose quest’ultimo, continuando a dargliele di santa ragione.
-Impicciati degli
affari tuoi! Che ti importa di cosa faccio io?-, ribatté arrabbiato Friedman,
mentre i due si rotolavano a terra continuando a picchiarsi.
Alla fine, dopo aver
colpito un’ultima volta l’avversario sulla guancia, Mark si rialzò. Marcus era
disteso a terra, ricoperto di polvere, con alcuni vistosi lividi sugli zigomi e
sulla mascella e il naso sanguinante. Aveva il fiato mozzo e continuava a
guardare Mark con odio.
Il centravanti
nipponico si tolse la polvere dai vestiti e si pulì il sangue che gli era
uscito dal labbro.
Poi si voltò verso
Rachel, che aveva osservato la scazzottata pallida e sconvolta. Tremava e
sembrava sul punto di piangere, ma la sua voce era ferma quando ringraziò Mark
per essere intervenuto in sua difesa.
Il giovane scrollò
le spalle. –Non è nulla…non potevo sopportare che questo idiota ti mettesse le
mani addosso-, rispose, guardando freddamente il giovane tedesco, che intanto
si era rialzato in piedi, anche se un po’ malfermo sulle gambe.
-Non finisce
qui…questa me la paghi!-, ringhiò furibondo, cercando di fermare il sangue che
usciva dal naso con la manica della sua maglia.
-Vattene, Marcus-,
disse freddamente Rachel.
-Non finisce qui…-,
ripeté Friedman, mentre si allontanava velocemente. Continuò a ripetere quella
frase in tono minaccioso finché non scomparve in direzione dell’albergo.
-Stai bene?-, chiese
Mark a Rachel quando se ne fu definitivamente andato. La guancia della ragazza
era ancora piuttosto rossa, ma lei sembrava molto più tranquilla rispetto a
prima.
Gli rivolse un
sorriso. Mark pensò che era veramente carina quando sorrideva, e provò una strana
sensazione alla bocca dello stomaco, che però tentò immediatamente di
rimuovere.
-Sì, sto bene.
Grazie ancora per essere intervenuto-, disse con voce flebile.
-Figurati…te l’ho
detto, non potevo stare a guardare mentre quel bastardo…anzi, scusami se mi
sono impicciato però…-
-Non preoccuparti.
Non devi scusarti di nulla, anzi…grazie-. L’espressione della ragazza si fece
triste e i lineamenti del suo volto si indurirono. –La colpa di tutto questo è
solamente mia. Come una sciocca, ho continuato a sperare che prima o poi Marcus
cambiasse, che diventasse una persona migliore…ma lui è rimasto sempre uguale,
anzi, forse è pure peggiorato. Stavolta però basta, ha veramente passato il
limite. Non intendo più farmi mettere i piedi in testa da lui. È finita-, disse,
rivolta più a se stessa che a Mark.
Il giovane rimase in
silenzio, non sapendo che cosa dire. Era d’accordo con lei, quella ragazza si
meritava sicuramente di meglio…ma forse sarebbe stato inopportuno dirlo.
Dopotutto, neanche la conosceva.
Rachel sospirò, e il
suo volto parve distendersi. Tese una mano a Mark cercando di abbozzare un
timido sorriso. –A proposito, non ci siamo neanche presentati. Io sono Rachel
Schneider-.
Mark strinse con
emozione la piccola mano bianca della ragazza. –Mark Lenders, della nazionale
giapponese-.
-Oh… un calciatore
anche tu…allora sei qui per il torneo-, fece sorridendogli.
Il ragazzo annuì.
–Sì, alloggiamo in quell’albergo…senti…-, esitò per un istante. Non voleva
sembrare inopportuno, lei si era appena lasciata col suo ragazzo in maniera
piuttosto brusca e non voleva dare l’impressione che si stesse approfittando
della situazione, ma…sentiva fortissimo il desiderio di conoscere meglio quella
ragazza, e non si sarebbe perdonato se l’avesse lasciata andare via così, senza
dirle nulla. –Senti…puoi dire di no se vuoi…ti va stasera di bere qualcosa
insieme? Così, per fare due chiacchiere…se non ti va però…-, disse infine,
maledicendo se stesso per quel suo imbarazzo da sciocca donnicciola che lo
rendeva così goffo e imbranato.
Rachel rimase
interdetta per un attimo, e scrutando l’espressione pensierosa della ragazza
Mark si convinse che avrebbe rifiutato. Invece, dopo pochi istanti il suo volto
si rilassò e si aprì in un sorriso, molto più spontaneo e bello dei precedenti.
–Perché no? Ma offro io…è il minimo, dopo che sei intervenuto in mio aiuto!-,
rispose in tono allegro.
Mark esultò in cuor
suo, ma cercò di mantenere un’espressione impassibile. –Bene…allora…ci vediamo
davanti all’albergo…facciamo alle 9?-, domandò.
-Alle nove va
benissimo-, rispose la giovane in tono affabile.
I due ragazzi
allora, dopo essersi accordati per l’appuntamento, si salutarono con un’altra
stretta di mano, avviandosi ognuno ai rispettivi campi di allenamento.
Benji aveva cercato
di riposare un po’ quel pomeriggio, ma non c’era riuscito. Le immagini del suo
breve incontro con Rachel continuavano a tormentarlo impedendogli di prendere
sonno. Rivedeva lei, così bella, così desiderabile e così maledettamente
lontana da lui…da quando l’aveva rivista, tutte le sue fantasie su di lei erano
tornate a prendere corpo e a perseguitarlo, facendolo precipitare in una nera
spirale.
-Perché devo
torturarmi per una donna che non posso avere, maledizione?!?-, si lamentava tra
sé e sé il giovane, ma ogni tentativo di fare appello alla razionalità era
perfettamente inutile. I suoi sentimenti per Rachel restavano lì, impossibili
da estirpare, e insieme ad essi rimanevano tutto il dolore e la frustrazione
del desiderio negato, insoddisfatto.
Alla fine, stanco di
rigirarsi nel letto senza neanche poter chiudere gli occhi, poiché appena li
chiudeva ecco l’immagine di lei stagliarsi nitida nella sua mente, si alzò,
indossò la tuta e decise di scendere a fare una passeggiata. Magari un po’ di
aria fresca lo avrebbe distratto, si disse, anche se non ci sperava troppo.
Le porte
dell’ascensore si aprirono e, mentre scendeva diretto all’uscita del suo
albergo, udì qualcuno pronunciare il suo nome. Una voce inequivocabilmente
femminile aveva domandato di Benjamin Price alla reception.
Meravigliato, il
giovane si diresse verso la reception, e rimase ancora più sorpreso quando vide
chi era la persona che stava chiedendo di lui.
Era una ragazza,
alta, snella e con tutte le curve al posto giusto. I lunghi capelli corvini le
arrivavano fino a metà schiena, lisci e setosi. Indossava una canotta turchese
con lo scollo a barchetta e un paio di jeans attillati e a vita bassa. Ai suoi
piedi aveva una capiente valigia di pelle chiara.
-Samantha…-, mormorò
Benji col fiato mozzo, osservando la sua ex fidanzata come se fosse un
fantasma.
Come se fosse
riuscita a percepire la sua presenza, proprio in quell’istante Samantha si
voltò verso di lui…gli occhi color carbone del giovane portiere nipponico si
incrociarono con gli occhi verde smeraldo della ragazza, che immediatamente
sorrise con espressione un po’ nervosa.
Il ragazzo rimase
immobile, incapace di fare anche un solo passo. La sorpresa lo aveva a dir poco
paralizzato. Cosa ci faceva lì Samantha? Era convinto che dopo l’ultima
telefonata si fosse decisa a lasciarlo finalmente in pace, dato che le aveva
provate tutte per farle capire che non gliene importava davvero nulla di lei.
Come diavolo aveva fatto a sapere del torneo? Dai giornali, ovvio…Ma cosa ci
faceva lì? Cosa voleva ancora da lui?
“Dannazione, ci
mancava solo questa!”, imprecò dentro di sé Benji. Come se non avesse già avuto
abbastanza problemi per la presenza di Rachel e Friedman…
Anche Samantha esitò
qualche istante prima di avvicinarsi a lui. Sapeva che non sarebbe stata
accolta a braccia aperte, anche se una parte di lei si era illusa che Benji
sarebbe stato contento di vederla. Ma dalla sua espressione si capiva benissimo
che era proprio il contrario. Del resto, lui nell’ultimo periodo non aveva
fatto che respingerla, e anche in maniera piuttosto brusca. Ma più lui la
respingeva, più alla ragazza sembrava impossibile che la loro storia fosse
destinata a finire così. E non ci aveva messo molto a capire che non si
trattava solamente di orgoglio ferito…si era veramente innamorata di lui,
perdutamente, come non si era mai innamorata di un ragazzo in tutta la sua
vita. Aveva dovuto perderlo per capirlo, ma adesso che se ne era resa conto non
intendeva assolutamente lasciarlo andare senza prima aver tentato il tutto per
tutto per riconquistarlo. Quando aveva saputo del torneo calcistico in Europa
aveva toccato il cielo con un dito…era un’occasione perfetta, insperata di
rivederlo…non aveva esitato un solo istante. Aveva smosso mari e monti per
sapere in che albergo era alloggiata la nazionale giapponese e quando lo aveva
saputo aveva preso il primo volo per Parigi e si era precipitata da lui.
Ora Benji era lì, di
fronte a lei…bello come l’ultima volta che lo aveva visto, o forse ancora di
più. Il cuore della ragazza batteva velocemente, e Samantha dovette controllare
il tremito del proprio corpo mentre camminava verso di lui. Quanto avrebbe
desiderato gettarsi tra le sue braccia…ma l’espressione fredda di Benji la
tratteneva.
-Ciao Benji-, disse
con voce tremula, quando fu di fronte a lui.
Il giovane portiere
fece un sospiro seccato. –Che fai qui, Samantha?-, rispose bruscamente, senza
nemmeno ricambiare il saluto.
La freddezza nella
sua voce fu un duro colpo per la ragazza, che però era ben decisa a non darsi
per vinta. Continuò a sorridere, cercando di fare finta di nulla e continuando
a ripetersi di stare calma.
-Volevo vederti-,
ammise sinceramente.
Benji rimase colpito
dall’espressione dei suoi occhi. Era diversa…non sembrava più la Samantha
frivola, allegra e un po’ scioccherella che aveva incontrato e frequentato ad
Amburgo, la ragazza vanitosa ed egoista che non considerava altro che se
stessa. Le sue parole non denotavano il capriccio di una ragazzina viziata,
come l’aveva sempre considerata lui, ma un desiderio sincero. Rimase spiazzato
per qualche istante, ma poi si disse che a maggior ragione doveva essere chiaro
e inflessibile con lei. Non voleva illuderla e rischiare di farle del male,
qualora il suo interesse per lui fosse stato reale e non un semplice capriccio.
-Per quale motivo?
Mi sembra di essere stato molto chiaro con te, Samantha. Tra noi è tutto
finito-, disse con durezza.
Samantha si morse
nervosamente le labbra. –Ma per me non è finito niente, Benji, anzi…tu non sai
quante cose ho capito da quando te ne sei andato-, fece in tono quasi
implorante.
Il giovane rimase
colpito da quel tono…ma di nuovo si impose di non mostrare segni di cedimento.
–Non ha importanza, Samantha. Non voglio essere duro o crudele con te, ma te
l’ho detto…non provo più niente per te. Niente.-, rispose in tono freddo,
guardandola negli occhi con espressione a dir poco glaciale.
La ragazza vacillò
sotto quelle parole dure come macigni. Sentì le lacrime cominciare a pizzicarle
gli occhi, ma non voleva che lui la vedesse piangere. Sarebbe servito solamente
a innervosirlo di più.
-Ma Benji, io…-,
esclamò, pronta a dichiarargli il suo amore, quell’amore che aveva scoperto di
provare dopo che lui l’aveva lasciata da un giorno all’altro, ponendo fine a
una storia vissuta con leggerezza, senza comprenderne la reale importanza,
almeno per lei.
-Ma Benji niente. Mi
spiace, ma hai fatto un viaggio a vuoto. Tornatene ad Amburgo e dimenticami,
Samantha…te ne prego-, rispose il giovane in tono deciso, e risolutamente voltò
le spalle alla ragazza e si diresse nuovamente verso l’ascensore per tornarsene
in camera sua, lasciando Samantha triste e abbattuta al centro della hall.
La ragazza si lasciò
cadere seduta su un divanetto, mentre suo malgrado le lacrime cominciavano a
rigarle le guance perfettamente truccate. Ma non intendeva assolutamente
lasciarsi andare alla disperazione. No, questo mai. Né tantomeno intendeva
rinunciare e tornarsene ad Amburgo come aveva detto lui, niente al mondo
l’avrebbe convinta a lasciar perdere tutto così, alla prima sconfitta.
“Io voglio riaverti,
Benji…e ci riuscirò, vedrai…ci riuscirò ad ogni costo-, promise
appassionatamente a se stessa, asciugandosi le lacrime e dirigendosi a testa
alta verso la reception per domandare se vi fossero camere libere nell’hotel.
Le ore del
pomeriggio trascorsero velocemente per tutti. Benji si rinchiuse nella sua
stanza, per evitare Samantha a tutti i costi. Continuava ad arrovellarsi
chiedendosi cosa ci facesse la ragazza a Parigi, perché diavolo le fosse
saltato in mente di raggiungerlo lì dopo che lui aveva provato in tutti i modi
a farle capire che tra loro era tutto finito, che non gliene importava
assolutamente niente di lei. Non riusciva a scacciare dalla sua mente il
comportamento della giovane, così insolito…era così diversa la ragazza che
aveva incontrato nella hall quel pomeriggio dalla Samantha che lui conosceva.
L’aveva sempre considerata una ragazza frivola e superficiale, la classica
bambina viziata e capricciosa che non vede al di là del proprio naso e a cui
importa solamente di se stessa. E in fondo a lui era andata bene così, visto
che l’ultima cosa che gli passava per la testa era impegolarsi in un legame
serio e impegnativo. Tutto sommato, Samantha era identica a tutte le altre
donne che aveva frequentato ad Amburgo prima di conoscere Rachel: belle,
disponibili e superficiali, interessate a godersi la vita e nulla più. Proprio
come era lui.
Ma la Samantha che
si era trovato di fronte poco prima non era affatto così. Prima di tutto, la
Samantha che aveva conosciuto lui non si sarebbe mai sognata di umiliarsi per
un uomo che l’aveva rifiutata arrivando a raggiungerlo in Francia e quasi ad
implorarlo di starla a sentire: avrebbe pestato i piedi per un po’, come un
bimbo capriccioso a cui è stato tolto un bel giocattolo, ma ben presto il suo orgoglio
ferito si sarebbe risanato e lei avrebbe concluso che non ne valeva la pena.
Aveva letto sincerità nei suoi occhi, una sorta di dolore che l’aveva sorpreso
e commosso allo stesso tempo. Pareva veramente interessata a lui, aveva una
luce sconosciuta negli occhi, una luce che Benji non aveva mai visto in nessuna
donna che aveva frequentato….sembrava quasi innamorata. Questo lo spaventò e lo
intenerì allo stesso tempo. Era spaventato perché sapeva che non avrebbe mai
potuto ricambiare i sentimenti della ragazza, e gli dispiaceva essere costretto
a farla soffrire, perché in fondo erano stati bene insieme e un po’ si era
affezionato a lei. Ma anche intenerito, perché era la prima volta in vita sua
che pensava che una donna potesse essere innamorata di lui. Forse non lo era,
ma finora questo pensiero non lo aveva mai neanche lontanamente attraversato:
aveva considerato le donne come semplici oggetti di divertimento e aveva sempre
pensato che per loro fosse la stessa cosa, che le sue relazioni fossero un gioco
in cui nessuno metteva in ballo i sentimenti. Ma Samantha non stava giocando
poco prima, nella hall. E questo per lui era qualcosa di stupefacente: perché
mai Samantha avrebbe dovuto innamorarsi di lui? Non era mai stato
particolarmente gentile o affettuoso con lei, anzi, forse erano state più le
volte in cui si era comportato in modo sgradevole e l’aveva trattata male.
Erano stati bene assieme, è vero: ma lui non le aveva mai dato altro
all’infuori del sesso. Aveva mostrato il suo pessimo carattere fin negli
aspetti più sgradevoli, e onestamente doveva ammettere di non aver fatto
proprio nulla per meritarsi di essere amato da lei. Eppure, forse questo era
successo, e gli procurava anche un sottile piacere. Si vergognava per questa
soddisfazione, dato che non amava Samantha e avrebbe solamente continuato a
farle del male, però non poteva negare che dentro di sé gli faceva piacere
pensare che c’era una persona che lo amava, senza che lui avesse fatto niente
per meritarselo. Cercò di scacciare questo pensiero il più lontano possibile da
sé, ripetendosi che si era sbagliato. Samantha non poteva essere innamorata di
lui, non ce n’era motivo. Evidentemente era più orgogliosa di quello che
pensava. Ed era lì per riaverlo ad ogni costo. Ma ecco che il dubbio nuovamente
si insinuava dentro di lui…possibile che fosse solo per capriccio? Nuovamente,
si trovava ad affrontare l’ipotesi che la ragazza fosse innamorata di lui,
sempre con sentimenti contraddittori e ambivalenti. Basta, si disse, era
inutile lambiccarsi il cervello con supposizioni senza né capo né coda.
Qualunque fosse il motivo che aveva spinto Samantha a raggiungerlo a Parigi,
non cambiava la sostanza dei fatti: lui non provava niente per lei, quindi non
doveva assolutamente illuderla. Doveva essere chiaro con lei e farle capire che
doveva rassegnarsi e tornare ad Amburgo. Sperava che se ne fosse già andata, ma
qualcosa dentro di lui gli diceva che non era affatto così…
Quel qualcosa aveva
perfettamente ragione. Samantha era ancora lì, in albergo. Era riuscita a
trovare una stanza, e mentre sistemava le sue cose nell’armadio ripensava a
Benji e alla sua freddezza. Ogni volta che ricordava le dure parole che lui le
aveva rivolto sentiva una spina conficcarsi nel suo cuore, ma cercava di farsi
forza. Non voleva arrendersi. Anche se lui le aveva detto di tornare ad Amburgo
e dimenticarlo una volta per tutte, la ragazza non aveva la minima intenzione
di ascoltarlo. Lui era diventato troppo importante perché si rassegnasse a
perderlo così, senza aver lottato fino in fondo. Era la prima ad essere
meravigliata che un semplice capriccio, una relazione superficiale come le
tante che avevano costellato la sua esistenza, si fosse trasformato in un
sentimento così intenso e profondo. Eppure era successo: dopo che Benji l’aveva
piantata senza troppe spiegazioni e se n’era tornato in Giappone da un giorno
all’altro, Samantha aveva sentito moltissimo la sua mancanza, e si era accorta
che tornare alla sua vita normale, senza di lui, non sarebbe stato affatto
facile come aveva creduto. Pensava sempre a lui, ricordava con struggente
nostalgia i momenti passati insieme, e non era più riuscita a tornare nel
locale in cui si erano visti per la prima volta, le faceva troppo male…non
aveva mai provato niente di simile in vita sua, allora aveva cominciato a
guardare dentro se stessa, interrogandosi sulla vera natura dei suoi sentimenti
per il giovane portiere nipponico. E alla fine aveva capito: si era innamorata
di lui. Samantha non era mai stata innamorata in vita sua, fino a quel momento,
e questa consapevolezza all’inizio l’aveva spaventata. Ma poi, col passare dei
giorni, si era sentita inondata di una grande forza: quella stessa forza che
l’aveva spinta fino a Parigi, pur sapendo che Benji non l’avrebbe accolta a
braccia aperte, anzi, quella stessa forza che ora l’aiutava a rimanere lì e a
lottare, nonostante la fredda indifferenza che lui le aveva manifestato…
Ma Benji e Samantha
non erano le sole persone a tormentarsi, mentre il pomeriggio scorreva
velocemente avviandosi verso la sera. Non molto distante, immersa in una vasca
ricolma di acqua calda e profumata, Rachel Schneider stava ripercorrendo
mentalmente la sua relazione con Marcus Friedman…dall’inizio della loro storia
al brutto epilogo di poche ore prima. Non avrebbe mai pensato che Marcus
sarebbe arrivato addirittura a metterle le mani addosso…si sfiorò leggermente
la guancia con due dita, e le parve di sentire ancora la mano di Marcus che si
abbatteva violentemente contro di lei. L’umiliazione tornò a bruciare nel suo
cuore, accompagnata da una violenta rabbia. Basta, ripeté nuovamente a se
stessa, ora era finita per sempre. Ripercorse tutte le umiliazioni che aveva
dovuto subire dal fidanzato: le imposizioni, le menzogne, i tradimenti, i
rifiuti…Come aveva potuto essere così cieca, così stupida, da farsi trattare in
quel modo? Ora, pensandoci a mente fredda, le sembrava inconcepibile aver
sopportato tutto ciò che aveva tollerato per mesi e mesi. Si era fatta trattare
da Marcus come uno zerbino, lasciandosi incantare ogni volta dalle sue ridicole
promesse, dalle sue scuse tutt’altro che sentite, ma che lei voleva considerare
ad ogni costo sincere, dalle sue grandi manifestazioni di pentimento e dai suoi
continui propositi di un cambiamento che invece non avveniva mai, semplicemente
perché lui non aveva alcuna intenzione di cambiare. Ma adesso era veramente
stanca. Non si meritava di essere trattata così, stavolta Marcus aveva toccato
veramente il fondo e lei non era più disposta a tollerare i suoi soprusi, la
sua incorreggibile mancanza di rispetto. Che ci provasse, a ripresentarsi
davanti a lei mostrandosi pentito, chiedendole perdono con la sua falsa
tenerezza e promettendole di non ricomportarsi mai più così: stavolta non aveva
la benché minima intenzione di ascoltarlo. La sua storia con Marcus Friedman
era per lei un capitolo chiuso, per sempre.
Le venne in mente,
un’immagine repentina e improvvisa, il modo in cui Mark Lenders l’aveva difesa,
e la sincera indignazione che aveva letto nei suoi occhi. Nessuno l’aveva mai
difesa in quel modo: gli amici di Marcus rimanevano in silenzio a guardare
quando lui la tiranneggiava, anzi celavano a fatica la loro ammirazione per
come Friedman sapeva farsi rispettare dalla sua donna (così dicevano loro), e
anche suo cugino Karl, pur consigliandole spesso di troncare la sua storia
d’amore, non è che si era mai fatto in quattro per impedire a Marcus di
trattarla come una pezza da piedi. Non che la colpa fosse degli altri, era
stata lei a voler tenere in piedi il suo rapporto con Marcus ad ogni costo, era
stata lei la stupida e non era affatto giusto che si considerasse una vittima,
ma il modo in cui Lenders, un perfetto sconosciuto, era intervenuto in suo
soccorso, l’aveva colpita profondamente. Per questo aveva accettato il suo
invito a rivedersi quella sera: sicuramente gli doveva un ringraziamento, ma in
realtà era curiosa di conoscerlo meglio, di vedere se l’impressione che le
aveva dato di un ragazzo un po’ impulsivo ma con un profondo senso di giustizia
fosse giusta, di capire meglio che tipo di persona era. Non pensava minimamente
a “sostituire” Marcus…era proprio l’ultimo dei suoi pensieri! Però non poteva
negare che l’idea di conoscere meglio Mark la stuzzicasse e non poco, ammise a
se stessa mentre riemergeva dall’acqua e, avvolta in un asciugamano bianco, si
dirigeva verso la sua stanza per scegliere cosa indossare.
Anche Mark in quel
momento stava pensando a lei. Ancora non riusciva del tutto a capacitarsi di
quello che era successo poche ore prima: aveva preso a pugni Marcus Friedman,
un tizio che conosceva a malapena di vista, per difendere una ragazza
altrettanto sconosciuta, che però lo aveva colpito profondamente. E come se non
bastasse, le aveva chiesto di uscire con lui quella sera stessa. Proprio lui,
solitamente così timido ed imbranato quando si trattava di avere a che fare con
le donne: persino con Maki ci aveva messo secoli prima di farle capire che era
interessato a lei! Il pensiero di Maki gli provocò una bruciante fitta al
petto: tutte le volte che ripensava all’ultima conversazione avuta con lei,
quando gli aveva confessato di avere davvero una relazione con Brian Carpenter,
sentiva lo stomaco torcersi con violenza e una rabbia sorda invadere tutto il
suo animo. Eppure, nonostante i suoi sentimenti per Maki fossero ancora tanto
intensi, aveva provato interesse per un’altra…A spingerlo contro Friedman era
stato l’istinto, il suo senso di giustizia che non sopportava di vedere un uomo
fare il prepotente contro una ragazza: quando aveva visto il tedesco prendere
Rachel a schiaffi non ci aveva visto più, ed era intervenuto ancor prima di
rendersi conto di quel che stava facendo. Però doveva ammettere che, se non
fosse già stato colpito in precedenza da Rachel, non sarebbe rimasto ad
ascoltare il loro litigio, ma se ne sarebbe andato per la sua strada. C’era
qualcosa in quella ragazza che lo attirava, anche se non avrebbe saputo dire
che cosa e in che modo…sapeva solo che voleva conoscerla meglio, comprendere
che cosa lo aveva colpito fin dalla prima volta che l’aveva vista, per questo
l’aveva invitata ad uscire. Ed era rimasto sinceramente meravigliato che avesse
risposto di sì, dopotutto lui era un perfetto estraneo, e lei si era appena
lasciata col suo ragazzo, e anche in maniera piuttosto brusca. Ma forse lo
aveva fatto solo per ringraziarlo di averla aiutata. Stanco di pensare, Mark si
disse che, qualunque fosse il motivo, non gli importava. Quella sera sarebbero
usciti insieme e basta, ripeté a se stesso, ponendo fine alle sue riflessioni e
dirigendosi in bagno per schiarirsi le idee con una bella doccia tonificante.
Nel frattempo, in
un’altra stanza del grande albergo, Patty stava nervosamente passando in
rassegna tutto il suo guardaroba, visibilmente agitata, mentre Amy e Jenny, sue
compagne di stanza, la guardavano incuriosite.
-Questo?-, domandò
la giovane alle amiche mostrando con un’aria non troppo convinta un abito blu
scuro smanicato, con la gonna stretta e lo scollo a V.
-Dove te ne vai?-,
chiese Amy incuriosita. Quando lei e Jenny erano tornate in stanza dopo l’allenamento
della squadra, tra l’altro meravigliate dall’assenza di Patty, avevano trovato
l’amica in accappatoio, con i capelli messi accuratamente in piega e tutta
intenta a scegliere un abito adatto per non si sa quale occasione tra quelli
che aveva portato con sé dal Giappone.
-A cena fuori-,
rispose Patty laconicamente, rimettendo il vestito blu nell’armadio con una
smorfia e prendendo invece una gonna nera a pieghe. –Questa può andar bene-,
disse poi rivolta a se stessa più che alle due amiche, chiudendo le ante
dell’armadio e cominciando a rovistare tra i cassetti.
-A cena dove?-,
insistette Jenny, meravigliata dall’insolita reticenza dell’amica. Patty si era
sempre confidata a cuore aperto con loro, su qualunque cosa, e questo suo
comportamento era più che strano. L’unica cosa certa era che non andava a cena
con Holly, altrimenti sarebbe stata al settimo cielo e non avrebbe aspettato un
attimo a dare la bella notizia alle due fedeli amiche. E poi sarebbe stato
alquanto strano che uscisse col capitano, visto che quest’ultimo invece
sembrava presissimo da Rosemarie. Giusto pochi istanti prima di salire in
camera li avevano visti passeggiare insieme nel giardino dell’albergo, e davano
proprio l’impressione di filare d’amore e d’accordo come due piccioncini.
Patty arrossì
furiosamente. –Ecco…Pierre mi ha invitato fuori a cena-, ammise, nascondendo il
suo volto per non far vedere alle amiche che era diventato color porpora e
osservando con aria critica due top che aveva estratto dal cassetto.
Amy e Jenny sgranarono
gli occhi esterrefatte, mentre l’amica prendeva un top rosso con lo scollo a
barchetta e lo appoggiava sul letto insieme alla gonna con aria d’approvazione.
-Con Pierre?!?-,
esclamò Jenny superata l’iniziale meraviglia.
Patty divenne ancora
più rossa e annuì con un cenno del capo.
-Ma sei sicura di
quello che fai?-, domandò Amy in tono preoccupato.
L’amica si alzò di
scatto, con la bocca storta in una smorfia di disappunto. –Certo che sono
sicura!-, si inalberò. –E poi non vedo per quale motivo avrei dovuto rifiutare!
Sono libera di fare quello che voglio, no? Pierre mi ha invitato a cena, io
avevo bisogno di distrarmi ed ho accettato! Non mi pare che devo rendere conto
a nessuno di quello che faccio!-
-Scusa, non volevo
dire questo…è solo che…ecco, pensavo che Pierre non ti interessasse-, fece Amy
in tono pacato, stupita dalla reazione così accalorata della giovane manager.
-Il fatto che ci
esca a cena non vuole mica dire che mi interessa-, rispose freddamente Patty.
–Se poi anche mi interessasse, non vedo cosa ci sarebbe di male!-
-E Holly?-, domandò
a bruciapelo Jenny, pentendosi subito dopo quando vide il volto dell’amica
rabbuiarsi e i suoi lineamenti indurirsi violentemente.
-Holly?!?-, fece
Patty in tono stizzito. –Cosa c’entra Holly con me? Lui ha Rosemarie, se non
sbaglio. Penso di avere il suo stesso diritto di crearmi una vita sentimentale,
qualora lo volessi. E ora scusatemi, devo andare a prepararmi-, disse,
raccogliendo le sue cose e dirigendosi verso il bagno, dove si chiuse sbattendo
violentemente la porta e facendo rimanere di sasso le due amiche.
Pierre,
elegantissimo con pantaloni neri e camicia bianca aperta sul torace ben
scolpito, aspettava nervosamente Patty nella hall dell’albergo. Era davvero
soddisfatto che la giovane manager giapponese avesse accettato di uscire con
lui, anche se sapeva che lo aveva fatto solamente perché aveva notato che tra
il suo adorato Holly e sua cugina Rosemarie c’era del tenero e ne era rimasta
tremendamente ferita. Quella ragazza gli piaceva moltissimo, e ormai da
parecchio tempo, e sperava che questa fosse l’occasione propizia per
persuaderla a lasciar perdere quel pesce lesso di Hutton una volta per tutte e,
perché no?, magari a interessarsi un pochino di più a lui.
Le porte
dell’ascensore si aprirono e Pierre vide uscire Patty. Rimase profondamente
ammirato alla vista della ragazza, davvero affascinante con la gonna nera che
metteva in risalto le sue splendide gambe, il top rosso che si addiceva
perfettamente al colore del suo rossetto, i capelli corvini sciolti sulle
spalle e i grandi occhi neri messi sapientemente in risalto dal mascara. Il
giovane capitano francese le andò incontro con un sorriso ammirato.
-Benvenuta, chérie.
Sei davvero bellissima stasera-, le disse in tono galante, baciandole una mano.
Patty arrossì. Non
era abituata a tutte queste attenzioni e galanterie…anche perché, come ricordò
con un pizzico di rammarico, aveva sempre allontanato tutti i suoi
corteggiatori, non avendo occhi che per Holly. Cercò di allontanare quel
pensiero sgradevole e ricambiò il sorriso di Pierre. –Grazie, sei molto
gentile-, disse con una lieve nota di imbarazzo nella voce.
-Andiamo?-, domandò
il ragazzo, porgendole il braccio.
Patty annuì, prese
Pierre a braccetto e insieme si avviarono all’uscita dell’hotel. Proprio in
quel momento, Holly stava entrando,da solo.
-Buonasera, Holly-,
lo salutò il capitano francese in tono sostenuto, mentre Patty, a disagio,
distoglieva lo sguardo.
Il capitano
nipponico ricambiò in tono cordiale il saluto di Pierre…ma rimase decisamente
di stucco quando riconobbe la ragazza, elegantissima e affascinante, che lo
accompagnava. Patty?!? Che ci faceva Patty insieme a Pierre Leblanc? E dove
stavano andando così eleganti?
-Porto la vostra
manager fuori a cena, se non ti dispiace-, fece Pierre come se gli avesse letto
nel pensiero.
-Ah…no, certo che
no-, farfugliò Holly ancora più meravigliato. Patty continuava a evitare il suo
sguardo, Pierre trasudava orgoglio da tutti i pori e lui era decisamente
stupito. In quei giorni era stato talmente preso da Rosemarie da dimenticare
quasi del tutto il resto del mondo, doveva riconoscerlo, ma l’ultima cosa che
si sarebbe aspettato era di trovare la sua manager insieme al capitano
francese…anche perché, da quel che sapeva lui, Patty non aveva mai potuto
soffrire Pierre, e invece ora se ne andava a cena con lui.
-Se non ti dispiace,
abbiamo fretta-, lo salutò sbrigativamente Pierre, notando che la sua
accompagnatrice pareva in preda a un forte imbarazzo. Holly ricambiò il saluto
un po’ titubante, e con una gran confusione in testa rimase ad osservare i due
che si allontanavano camminando ancora a braccetto, mentre il giovane francese
sorrideva beato e iniziava una conversazione con l’imbarazzatissima manager.
Anche quando furono
giunti al ristorante, Patty non riuscì a rilassarsi. Il posto era stupendo: un
tipico ristorante francese, elegante, con un’atmosfera estremamente romantica,
le candele accese e la musica classica in sottofondo. Il cameriere, anch’egli
elegantissimo e impettito, li scortò fino a un tavolino appartato, e spostò la
sedia per farvi sedere la ragazza, che arrossì ancora una volta di fronte ad
attenzioni alle quali non era abituata. L’incontro con Holly le aveva messo
addosso un’agitazione incredibile…come se già non fosse stata abbastanza tesa!
Cominciava quasi a pentirsi di aver accettato l’invito di Pierre…si sentiva
terribilmente fuori posto, e le occhiate languide che il bel capitano francese
continuava a lanciarle la mettevano profondamente a disagio.
Aveva letto stupore
e meraviglia negli occhi di Holly, mai si sarebbe aspettata una reazione del
genere, e si scoprì a provare una gran rabbia…con che diritto si meravigliava
che uscisse con Pierre? Proprio lui, che aveva passato gli ultimi giorni a
tubare affettuosamente con Rosemarie! D’accordo, lei stessa si era stupita di
aver accettato l’invito di Pierre…ma Holly non aveva alcun diritto di
intromettersi, no e poi no! Ma che intromettersi poi? Si era solamente
meravigliato, e questo era anche normale, visto che lei non aveva mai manifestato
apprezzamento per Pierre, anzi…e inoltre, la giovane non avrebbe ammesso
neanche con se stessa che sarebbe stata felicissima se Holly si fosse
intromesso, se si fosse mostrato geloso…cosa che però non era minimamente
accaduta, né sarebbe successa in futuro…
-Un soldo per i tuoi
pensieri!-, fece Pierre sorridendo, notando che la sua giovane amica sembrava
mille miglia lontana da lui e che si era rabbuiata, come se le fosse venuto in
mente un pensiero negativo.
Patty sorrise
nervosamente. –Oh…niente di importante!-, disse, giocherellando con il
tovagliolo.
-Si tratta di
Hutton, vero? Ho visto che hai cambiato umore dopo che lo abbiamo incontrato!-,
insistette il ragazzo, profondamente irritato verso Holly.
La giovane scosse il
capo, ma senza riuscire ad essere convincente. –Holly non c’entra nulla-,
rispose secca.
Pierre decise di
lasciar cadere il discorso, e le prese una mano. La ragazza sobbalzò. –Ti ho
già detto che sei bellissima stasera?-, fece in tono suadente, guardandola
intensamente.
Patty distolse lo
sguardo, sentendosi ancora più a disagio. –Pierre, per favore…-, disse in tono
di supplica.
-Non dirmi che ti
danno fastidio i miei complimenti perché non ci credo. A tutte le ragazze piace
essere ammirate-, insistette il giovane sfoderando il più seducente dei suoi
sorrisi.
-Forse sì, ma…mi
metti a disagio, te ne prego-.
-D’accordo. Ogni tuo
desiderio è un ordine-, si arrese Pierre. Patty lo gratificò con un luminoso
sorriso.
-Comunque…sono
felicissimo che tu abbia accettato il mio invito-, tornò alla carica il
capitano francese, accarezzando la mano della giovane.
Patty sorrise
nervosamente e prese il menu nel tentativo di cambiare argomento alla
conversazione. –Ordiniamo?-, domandò, sfogliandolo, e cercò di mostrarsi briosa
mentre chiedeva consiglio a Pierre sulle varie pietanze.
Il giovane le
consigliò cosa prendere, cercando di non mostrarsi infastidito dal fatto che
Patty sviava abilmente le sue avances. Dopo che ebbero fatto le ordinazioni al
cameriere però, le prese nuovamente una mano e intrecciò le dita con le sue. La
ragazza, imbarazzatissima, continuava a guardare qua e là, evitando di
incrociare lo sguardo del capitano francese.
-Non ti piace la mia
compagnia, Patty?-, domandò lui sfoderando un affascinante broncio.
La ragazza arrossì violentemente.
–Non è per questo…è che…ho l’impressione che tu stia correndo troppo-,
farfugliò.
-Correndo troppo?-,
ribatté Pierre in tono sarcastico.
-Sì…-, mormorò Patty
cercando di dominare l’imbarazzo. –Io ho accettato il tuo invito per passare
una piacevole serata e soprattutto per conoscerti meglio ma tu…ecco, io
apprezzo i tuoi complimenti e questo posto mi piace davvero tantissimo, però…le
tue avances mi mettono un po’ a disagio, ecco-.
Pierre tirò un
profondo sospiro. –Capisco…hai ragione, forse ho esagerato un po’…ma tu mi
piaci moltissimo, Patty, dico sul serio. E non riesco a comportarmi
diversamente…sai che sono attratto irresistibilmente da te…-, disse,
lanciandole una languida occhiata.
-Lo so, forse è
colpa mia…però per favore…cerchiamo solo di conoscerci meglio e…diamo tempo al
tempo, d’accordo?-, insistette la ragazza, arrossendo ancora di più.
Il giovane chinò il
capo, la delusione chiaramente leggibile sul suo bel volto. –D’accordo, ho
capito. Faremo come vuoi tu-, disse in tono piuttosto freddo e distaccato.
Patty aprì la bocca
per dire qualcosa, ma in quel momento arrivò il cameriere con i loro piatti.
La cena proseguì in
un’atmosfera abbastanza pesante. I due conversarono del più e del meno, ma il
disagio di Patty e il freddo distacco di Pierre, deluso nelle sue aspettative
romantiche, impedirono alla conversazione di decollare e la mantennero su uno
spiacevole livello di formalità. Terminato di mangiare, i due decisero di
comune accordo di fare ritorno in albergo…era inutile proseguire una serata che
si era rivelata un fiasco colossale.
Pierre salutò Patty
davanti all’entrata dell’albergo, baciandole la mano con la solita impeccabile
cortesia. –Buonanotte, mia cara-, disse in tono galante.
La ragazza abbassò
la testa dispiaciuta. La serata era andata malissimo, ma del resto cosa aveva
sperato? Aveva accettato l’invito di Pierre solo per ripicca, comportandosi
come una ragazzina viziata, e a chi aveva fatto danno? Solamente a se stessa.
–Buonanotte Pierre. Grazie della bella serata-, disse con un sorriso forzato.
Il giovane francese
si comportò da perfetto gentiluomo, senza dare affatto a vedere che la serata
era stata tutt’altro che bella. –Figurati, è stato un piacere! Spero che ce ne
saranno altre-, rispose. Dopo averle baciato nuovamente la mano, si allontanò,
seguito dallo sguardo corrucciato di Patty.
Fine settimo capitolo
Le cose si
complicano per i nostri amici…Cosa succederà tra Mark e Rachel? Nascerà una
semplice amicizia o…un nuovo amore? Come reagirà Benji? E il nostro portiere
come deciderà di comportarsi con la sua ex Samantha, disposta a tutto pur di
riconquistarlo? Cosa accadrà tra Patty, Holly e Pierre? La risposta nei
prossimi capitoli!! Ciao a tutti!!