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Autore: Giuacchina    28/10/2012    2 recensioni
«Gigì» la voce squillante della mia coinquilina mi fece distrarre, cosa che mi fece irritare e non poco.
Stavo leggendo una delle opere più importanti della storia, non poteva irrompere nel silenzio della mia stanza mentre nella mia mente si inseguivano parole piene di significato del libro in sé.
1984 di George Orwell non doveva essere interrotto durante la sua lettura.
«Spero ci sia qualcosa di plausibile, perché ero davvero concentrata»
Tolsi gli occhiali e li poggiai sul letto accanto a me, sistemandomi seduta con le spalle verso il muro.
«Gigì» ripeté ancora.
Sghignazzai impaziente. «So come mi chiamo. Ora, di grazia, vorresti dirmi che succede?»
«Oggi» fece un passo verso di me.
La guardai con sguardo interrogativo. Che diamine stava farneticando?
«Gigì» disse per l’ennesima volta «Oggi ho invitato a cena un ragazzo e dovresti aiutarmi in cucina»
Ancora non sapevo che quel ragazzo ne avrebbe portato un altro al seguito, rovinandomi i piani per la serata.
«Va bene. Ma sappi, carissima la mia Eleanor Calder, che mi dovrai un sacco di favori»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Umbrella





«Winston si grattò il naso con una graffetta. Nel cubicolo di fronte al suo, il compagno Tillotson era ancora acquattato con aria furtiva nel suo parla scrivi. Alzò un istante la testa. Di nuovo quel rifles-»
«Gigì» la voce squillante della mia coinquilina mi fece distrarre, cosa che mi fece irritare e non poco.
Stavo leggendo una delle opere più importanti della storia, non poteva irrompere nel silenzio della mia stanza mentre nella mia mente si inseguivano parole piene di significato del libro in sé.
1984 di George Orwell non doveva essere interrotto durante la sua lettura.
«Spero ci sia qualcosa di plausibile, perché ero davvero concentrata»
Tolsi gli occhiali e li poggiai sul letto accanto a me, sistemandomi seduta con le spalle verso il muro.
La figura snella della ragazza davanti a me si muoveva ininterrottamente avanti e indietro, quasi come se fosse ansiosa per qualcosa. Spostava convulsivamente i capelli scuri e mossi indietro e sospirava.
Era risaputo che Eleanor avesse in sé l’ansia di cinquanta persone messe insieme, ma quella volta mi preoccupai davvero che ne avesse combinata una delle sue. Magari aveva perso il lavoro o era stata bocciata in un corso all’università. Magari semplicemente voleva darmi fastidio, cosa che ultimamente si divertiva a fare.
«Gigì» ripeté ancora.
Sghignazzai impaziente. «So come mi chiamo. Ora, di grazia, vorresti dirmi che succede?»
Si voltò di scatto verso di me, con gli occhi sbarrati.
Non so come interpretare quella sua mossa: in quel momento sembrava sorpresa, spaventata e allegra. E allora perché tanta ansia?
«Oggi» fece un passo verso di me.
La guardai con sguardo interrogativo. Che diamine stava farneticando?
«Gigì» disse per l’ennesima volta «Oggi ho invitato a cena un ragazzo»
Sospirai. Mi aveva tenuta sulle spine per… per una cena con un tizio che aveva conosciuto?
Di certo farmi prendere un accidente era nelle priorità vitali.
«E allora?» sì, ero spazientita: non solo mi aveva interrotta durante la mia seduta di lettura pomeridiana, ora mi stava anche tenendo sulle spine. Non andava bene, sapeva sempre come far partire il lato del cervello dell’arrabbiatura.
Come una molla raggiunse il mio letto e mi fissò quasi implorante. Come faceva a cambiare espressione nell’arco di dieci decimi di secondo?
«Io non so cucinare»
Non vuoi andare a parare dove stai andando a parare, vero?
«Quindi ho bisogno che mi aiuti» sussurrò velocemente, sperando che non capissi e accettassi su due piedi.
Non nascondo che appena me lo disse mi fece quasi cedere: era la mia migliore amica da un paio d’anni, dirle di no sarebbe stato brutto per entrambe, perché ci volevamo troppo bene e, sinceramente, lei mi aveva sempre aiutata in tutto. Solo che il promemoria che avevo appeso sulla bacheca sulla scrivania fece accendere una lampadina nella mia testa.
«El, oggi ho l’appuntamento con Josh!»
La mia amica strabuzzò gli occhi – cosa che da un po’ aveva imparato a fare, da quando le avevo detto che aveva begli occhi – e mi strinse il polso con fare indagatore.
«Appuntamento romantico?»
Scossi il capo. Io e Josh eravamo solo due compagni di classe, frequentavamo insieme il corso di Lettere Inglesi, il nostro era solo un incontro di confronto. Nient’altro.
«E allora che ci vai a fare?»
«Evito di restarmene chiusa in casa?» chiesi retoricamente.
Sbuffò contrariata e si alzò facendo la finta sconsolata – e sì, la conoscevo bene: la sua era davvero una finta – facendomi sentire in colpa. Perché sapeva come rendermi debole?
«Ok» concessi mentre, con molta lentezza, svoltava a destra della porta.
Corse di nuovo davanti a me. «Ok cosa?»
«Ti aiuterò»
«E Josh?» sorrise a trentadue denti.
«Ci andrò dopo»
Mi abbracciò forte e mi costrinse ad aiutarla a vestirsi in modo adeguato.
Dopotutto era un giusto compromesso.

 

Eleanor era frenetica. Fremeva dalla voglia di vedere questo ragazzo che a detta sua era «bello, intelligente e carismatico. Per non parlare dei suoi occhi!» mentre io leggevo le ricette sul libro che mia madre mi aveva ceduto sperando che potessi seguire le sue orme di cuoca casalinga.
In realtà imparai a cucinare solo per una questione di sopravvivenza: non appena incontrai la mia coinquilina nell’appartamento imparai che non bisogna fidarsi mai di qualcuno che ti dice di saper fare la banana flambé. Quella potrebbe portarti al disgusto e, quindi, allo stare male per una settimana.
Concordammo che io cucinassi e lei lavasse i piatti. Accordo piuttosto equo.
Correva avanti e indietro dal primo pomeriggio e per poco non le avrei buttato la padella piena di acqua bollente in testa. Ma poi mi avrebbe rinfacciato il fatto che lei era sempre stata buona con me e bla bla bla.
«Mi presti il tuo cardigan beige?» irruppe correndo sulle ciabatte nella piccola cucina.
Annuii divertita. Sembrava davvero un fenomeno da baraccone: correva, saltava le scarpe che aveva sparso per la casa e lanciava per aria tutti gli abiti che le capitavano sottomano.
Accesi un po’ la tv, mentre lasciavo che l’acqua continuasse a bollire.
Mtv, mio amato canale prediletto.
La voce di Rihanna nella sua Umbrella iniziò a riempire la piccola stanza, mentre alzavo sempre di più il volume, per evitare di sentire le urla disperate della mia amica.
Col mattarello feci finta di avere un microfono in mano e, senza emettere alcun suono, imitai la sexy Rihanna nei suoi movimenti. Di sensuale, però, non avevo niente.
Con le ciabatte scivolavo intorno al tavolo e con gli occhi chiusi immaginavo di stare davanti ad un pubblico che urlava per me. Mi poggiai con una mano al muro e mossi i capelli su e giù – pensando di essere arrivata ad un livello di sensualità inaudita – e per poco non mi girò la testa.
Riaprii gli occhi per riprendermi e tornare in me, trovando una sorpresina per niente carina.
Davanti a me tre paia di occhi mi scrutavano divertiti e spaventati allo stesso tempo.
Diventai rossissima: avrei voluto seppellirmi lì in quel preciso momento.
Eleanor fece qualche passo verso di me, mettendomi un braccio intorno alle spalle.
«Lei è Ginevra» esordì cominciando a ridere.
I due ragazzi rimasti ancora all’entrata mi fissarono stranamente.
Ero in pigiama, con le ciabatte ortopediche fucsia e la mia prima presentazione non era stata delle migliori, il loro sguardo era comprensibile. Probabilmente, fossi stata in loro, io avrei riso di me stessa.
E così successe, effettivamente. Entrambi risero, tanto che uno, quello riccio, si piegò sulle gambe per il divertimento. Che figura, che figura, che figura.
«Piacere» balbettò tra le risate l’altro «sono Louis»
Mi si parò davanti porgendomi la mano, mentre con i suoi occhi azzurri guardava di sottecchi Eleanor. Oh, allora doveva essere lui il famoso ragazzo. E l’altro allora chi era?
Quello parve leggermi nel pensiero e si presentò con il nome di Harry. Al contrario dell’amico, però, non aveva smesso di ridere e stava urlando come una scimmia.
Davvero, l’imbarazzo era arrivato alle stelle.
«Devo andare» dissi d’un fiato.
La mia coinquilina mi prese per un braccio e mi tirò indietro.
«Non essere scortese, abbiamo ospiti» disse calcando sulla parola “abbiamo”.
«Ma io ho un impegno» risposi a tono.
Harry smise di ridere e per mezzo secondo – giusto il tempo di parlare – rimase quasi serio.
«Oh, ma io non vorrei essere il terzo incomodo» e ricominciò a ridere vedendo la mia espressione disperata.
«Non vorrai lasciarlo solo, vero, Gigì? Perché io e Louis avremo da fare» ammiccò la mia amica.
No, no, no. E Josh? Sensi di colpa, vi prego, non fatevi sentire, vi prego.
Lo sguardo allegro di Harry – che avevo notato fosse chiaro e limpido, di un color indefinibile ma profondo – mi stava scrutando aspettando una mia risposta. Probabilmente nemmeno io avrei voluto stare al suo posto nello stare in una coppietta che si sbaciucchiava.
«Va bene. Ma sappi, carissima la mia Eleanor Calder, che mi dovrai un sacco di favori»
«Quindi, che si mangia?» esordì Louis interrompendo il contatto di fuoco tra me e la sua (forse) ragazza.
E allora mi ricordai della cucina. Il pollo stava andando a fuoco nel forno.

  
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