Non
scrivere nulla su quel dannato verbale. Prendiamo pure una pompa e
diamo fuoco all'aula, diamo fuoco a tutta questa scuola di cui non
c'importa nulla.
Chiudiamo
gli occhi, lasciamoci inebriare dalla fresca aria di una serata
estiva, balliamo accanto a un fuoco sulla riva di una spiaggia
illuminata dalla luna, animata dalle nostre risate spensierate.
Gettiamoci nelle onde del mare dalla punta di quegli scogli che ci
sembrano troppo alti, sfrecciamo a tutta velocità in sella a
un
motorino, sotto il sole bruciante di una metropoli, con l'adrenalina
che ci scorre nelle vene.
Facciamo
solo quel che ci fa stare bene e fottiamocene degli altri, dei loro
sguardi, dei loro giudizi, delle loro risate che ci scorrono addosso
ogni giorno.
Cantiamo
a squarciagola le nostre canzoni preferite, pur sapendo di essere
stonati, fingendo che la nostra scopa sia una chitarra. Stendiamoci
su un prato pieno di fiori con un libro in mano, mentre il profumo
della primavera ci pizzica le narici, e prima di iniziare a leggere
lasciamo che il nostro sguardo spazi sul cielo terso che ci sovrasta,
sull'erba e l'esplosione di colori che ci circondano.
Camminiamo
di sera per le strade della nostra città, solitari nella
folla che
si muove allegra davanti ai locali e sotto le luci dei lampioni,
entriamo volontariamente in quei vicoli bui che non conosciamo bene
solo per il gusto di farlo. Riempiamo un foglio di insensati
scarabocchi, per una volta tanto mandiamo a quel paese la linea e
abbuffiamoci dei dolci nascosti in credenza. Passeggiamo lungo il
margine di un fiume durante una bella giornata di sole e ammiriamo lo
spettacolo della natura davanti a noi: l'erba verde dove sbocciano i
fiori, l'acqua trasparente che scorre, le montagne dalle punte
innevate e il cielo sgombro da qualsiasi traccia di grigio.
Andiamocene
da questa casa, prendiamo un treno, un aereo, un autobus o qualsiasi
cosa pur di allontanarci. Trasferiamoci in America, in Francia, in un
elegante appartamento di New Orleans affacciato sulle strade del
quartiere spagnolo o in una rustica casa nelle campagne scozzesi.
Dimentichiamo
la nostra vita passata, la nostra famiglia, i nostri amici. Quel che
conterà sarà essere soli o con le persone che
davvero amiamo, nel
luogo che sentiamo nostro, facendo solo ciò che ci fa
sentire bene.
Alzeremo
lo sguardo alle stelle che ci incantano dall'alto di un cielo
diverso, e sfoglieremo le pagine del nostro libro preferito o
canticchieremo a voce bassa con gli auricolari dell'mp3 alle
orecchie, senza che le preoccupazioni oltrepassino la cortina di
felicità con la quale ci siamo circondati.
Non
saremo più i vecchi noi, le persone che si adeguavano alla
realtà
intorno a loro nell'attesa
apparentemente
infinita che qualcosa cambiasse.
Saremo
semplicemente noi stessi. Liberi. Veri. Felici.
Apriamo
gli occhi. Sono solo sogni. Utopie lontane di una realtà
irraggiungibile.
Sospiriamo,
con la malinconia in ogni senso, in ogni poro di pelle. Ci troviamo
ancora in una realtà alla quale ci dobbiamo adattare,
andando avanti
con un incendio dentro e il volto impassibile, le mani tremanti e la
testa piena di sogni.
Sappiamo
che prima o poi tutto questo finirà. È questione
di tempo: tempo
che sembra non avere un termine.
Forse
un giorno saremo liberi, felici, allo sbando nello scenario che
vogliamo, e i nostri problemi attuali non esisteranno più:
ci
rideremo sopra, per pensare solo a ciò che ci fa stare bene,
ai
nostri sogni che siamo finalmente riusciti a concretizzare.
Ma
ora non è così. Ora siamo limitati, continuamente
alla ricerca dei
sempre nel mai che ci strappino da queste catene, che almeno per
pochi minuti ci facciano assaporare la soddisfazione più
immacolata
che la nostra vita non ha mai avuto: un libro che ci fa piangere, una
canzone che ci rapisce, una risata condivisa, una passeggiata nel
verde che amiamo.
Un
altro sospiro. Vorremmo altre persone al nostro fianco. Altri
paesaggi che ci accolgono quando usciamo di casa la mattina.
Semplicemente un'altra vita. Ma siamo ancora prigionieri di questa
lunga, soffocante realtà.
Chiudiamo
ancora gli occhi. Noi non ci vogliamo adattare. Forse è
arrivato il
momento di adattare la realtà a noi.
Note.
Lo so, la frase iniziale di questa "storia" necessita di una spiegazione. Probabilmente avrete pensato "Verbale? Quale verbale? Cosa diamine c'entra il verbale, che senso ha?"
L'ho scritta l'anno scorso, durante il periodo scolastico. Un periodo in cui sono scoppiati discussioni e litigi tra me e i miei compagni di classe. Per un po' di tempo ci sono stata male; non mi ero mai trovata bene con gli altri, né alle elementari né alle medie, quello era il mio primo anno di liceo e non volevo che andasse così. Non volevo essere di nuovo la tipica asociale scontrosa della situazione.
Comunque, durante un'assemblea di classe i miei compagni hanno deciso di discutere su quello che era successo tra di noi. Avevamo già chiarito la situazione con una professoressa, perciò ho chiesto loro cosa si aspettassero che dicessi. E loro insistevano senza darmi una risposta precisa, probabilmente al solo scopo di litigare.
Durante le assemblee, una mia amica ha il compito di scrivere il verbale, cioè quello di cui abbiamo discusso. Durante l'intervallo tra la prima e la seconda ora di assemblea, la mia amica è venuta da me e ha detto "Non so cosa scriverci su quel verbale."
E così è nata la prima frase di questa specie di storia. All'inizio era solo una bozza negli sms del mio cellulare. E' uno sfogo rivolto a tutte le persone che non si trovano bene nella loro realtà, che vorrebbero scappare, liberarsi dai loro limiti, dimenticare i problemi e trovare una felicità che stanno cercando invano. In quel periodo mi sono sentita così più che mai.
Rileggendola non mi piace tantissimo... forse non è uscita un granché bene, se la scrivessi ora sarebbe migliore. Comunque ci tengo molto e spero che l'apprezzerete. A presto.:D
Note.
Lo so, la frase iniziale di questa "storia" necessita di una spiegazione. Probabilmente avrete pensato "Verbale? Quale verbale? Cosa diamine c'entra il verbale, che senso ha?"
L'ho scritta l'anno scorso, durante il periodo scolastico. Un periodo in cui sono scoppiati discussioni e litigi tra me e i miei compagni di classe. Per un po' di tempo ci sono stata male; non mi ero mai trovata bene con gli altri, né alle elementari né alle medie, quello era il mio primo anno di liceo e non volevo che andasse così. Non volevo essere di nuovo la tipica asociale scontrosa della situazione.
Comunque, durante un'assemblea di classe i miei compagni hanno deciso di discutere su quello che era successo tra di noi. Avevamo già chiarito la situazione con una professoressa, perciò ho chiesto loro cosa si aspettassero che dicessi. E loro insistevano senza darmi una risposta precisa, probabilmente al solo scopo di litigare.
Durante le assemblee, una mia amica ha il compito di scrivere il verbale, cioè quello di cui abbiamo discusso. Durante l'intervallo tra la prima e la seconda ora di assemblea, la mia amica è venuta da me e ha detto "Non so cosa scriverci su quel verbale."
E così è nata la prima frase di questa specie di storia. All'inizio era solo una bozza negli sms del mio cellulare. E' uno sfogo rivolto a tutte le persone che non si trovano bene nella loro realtà, che vorrebbero scappare, liberarsi dai loro limiti, dimenticare i problemi e trovare una felicità che stanno cercando invano. In quel periodo mi sono sentita così più che mai.
Rileggendola non mi piace tantissimo... forse non è uscita un granché bene, se la scrivessi ora sarebbe migliore. Comunque ci tengo molto e spero che l'apprezzerete. A presto.:D