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Autore: Artemisia89    13/05/2007    2 recensioni
[Harry Potter's Kysa: spin off dal capitolo 62] Seguiamo Asteria nel suo percorso verso la torre, annuiamo alle sue visioni, urliamole contro per la vigliaccheria e il coraggio che ha avuto. [Maledetti i suicidi]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I corvi.

I corvi mi guardano. Ce ne sono tanti, troppi. Tutti appollaiati su quegli alberi dei morti che m’inseguono dovunque vada. Sembrano una maledizione scagliata da qualcuno che conosco bene, sembro maledetta fin dentro l’anima.

Qualcuno sta gridando forse? Mi è sembrato di sentire l’urlo stridulo di una donna levarsi nell’aria fredda, destare un’attenzione parziale degli animali neri.

Non me ne curo: un suono è solo un suono, niente è più di quello che è, la verità è solo un gelido specchio che riflette impudicizia.

I miei tacchi sul selciato sono il rumore degli zoccoli di un cavallo, un cavallo che trascina una bara, una bara che racchiude un segreto perso nel tempo.

Zittito, sgridato, ignorato. In malo modo.

Penso benissimo che quell’urlo potrebbe essere il mio, ma non uscirà suono dalla mia bocca.

Io starò in orgoglioso silenzio, e guarderò tutti gli altri dall’alto, beffeggiando la rabbia, sputando in terra attraverso le nuvole.

Dove corrono quei ragazzi facendo tanto chiasso? Non si accorgono del fastidio che recano ai suicidi?

C’è una piccola del primo che cammina lentamente, da sola, gli altri non se ne preoccupano, la lasciano in balia della sua solitudine, della nostalgia di casa, della paura di tornare e di non trovare, della paura di sparire senza riuscire a dire una parola.

La lasciano in balia del mio sguardo, che, freddo, la gela per un attimo, la scuote dentro, la denuda e poi se ne libera, rigettandola in strada.

Vedo le sue lunghe trecce rosse che esitano per un attimo nel vuoto, per poi ricadere sul suo piccolo seno, con un movimento soffice e veloce.

Ci guardiamo per un attimo: sarà lei a dire "l’ho vista per ultima?"

Lei dirà, mi ha gelato. No, non sarà lei.

Dovrà ancora aspettare perché le luci la illuminano. Ancora tempo per la vita, altro tempo per il divenire, per la vergogna.

La mia vergogna, la mia eredità nera.

I corvi, ancora loro.

Mi seguono, spostandosi leggeri da ramo in albero, nascondendosi tra i rami scuri, tra il fogliame che disegna ombre poco nitide sul selciato.

Continuo a ripetere di non avere paura, di non infastidirmi, di non liberarmi della sensazione di follia che mi ha pervaso, del dolore di cui mi farò vanto davanti a chi verrà a prendermi.

Cadono foglie e piume nere, cade sangue e urla di donna.

Avrei voglia di tornare in dormitorio e chiudermi in camera per qualche giorno, ma cerco di ripetermi che sarà lo stesso. Che sentirò il becco di uno di quegli odiosi uccelli, che cercano solo di ricordarmi ciò che devo fare, beccare il vetro della mia finestra e a nulla serviranno le lenzuola con cui mi coprirò, la magia con cui insonorizzerò la mia camera, la magia con cui la farò sprofondare nelle viscere della terra, perché so che mi troveranno e basta.

Non sto piangendo.

Asteria non piange, perché i corvi guardano, il mondo guarda e ne riderebbe.

Asteria non si guarda indietro, non si pente di nulla, continua per la sua strada tinta di rosso e basta.

In questo momento non penso a nulla di particolare: sto raggiungendo la torre, sto solo cercando la strada che mi porta in un luogo che è un limbo, un luogo da cui verrò cacciata presto, un luogo in cui non mi è permesso restare.

La ragazza con le trecce rosse diventa soltanto un pallido ricordo, sparisce dietro di me, come pian piano la mia vita fa.

Respiro, alzo gli occhi così ben truccati sulla strada lastricata che si muove sinuosa davanti a me. È un rombo di tuono quello che sento?

Il temporale giunge in lontananza, ma non farà in tempo a bagnare la mia vita.

A mondarla.

Ho dimenticato: sto cancellando ad ogni passo ogni giorno.

Alla fine rimarremo io, i corvi e la torre.

Io, i corvi, la torre.

Tutti quanti…tutti quanti fraintenderanno il mio gesto. Di questo ne sono più che certa, ma non me ne meraviglio.

Per loro, Asteria McAdams potrebbe morire solo di vergogna, per vergogna.

Sorrido con amarezza, mentre pian piano la luce – la luce – diventa meno intensa e si lascia filtrare dalle nubi grigie che si stanno addensando.

Loro non capiranno…

Neanche Thomas capirà.

Lui, e i suoi occhi gelidi, il suo animo intaccato ma non corrotto.

Sarò sola, fino in fondo, come non mai e come sempre.

Io, il mio corpo, la distanza che mi separa dal suolo, le nuvole che i miei fianchi tagliano come lame.

Mia madre era una donna molto bella, ma era veramente stupida.

Fiera della sua bellezza che diventava la sua vera forza, passava le ore a rimirarsi allo specchio, a provare abiti, a truccarsi sempre più pesantemente. Lei era preda di mio padre.

Dei suoi occhi pari a gemme nere, pari a piume di corvo. Era diabolico a volte, era amabile a volte.

Un altro passo verso la torre.

Ci vedremo entrambi all’inferno.

 

 

Perché ho scelto l’entrata esterna? Ho paura forse? Tutto questo giro inutile per arrivare alla torre.

Sto fuggendo come una reietta ad un destino già segnato, scegliendo sentieri circolari, per ammorbidire il dolore, confondere la paura, sfumare i contorni neri.

Tutto questo tempo che per quanto io voglia dilatarlo, passa troppo velocemente, troppo in fretta, mi sfugge dalle dita, spinge e guida i miei passi per questa via, per questa scale, che salgo, salgo, salgo.

La mia mano scivola sulla ringhiera, sul corrimano in legno. Ad ogni passo che faccio il mio cuore perde un battito, mi chiedo se avrò veramente il coraggio di andare fino in fondo.

La lunga scalinata.

La lunga scalinata della mia vita.

Quando ho cominciato a scivolare?

Quando ho deciso di vendere la mia anima al mio assassino.

E prima?

Perché mi sembra di ricordare tutto in maniera così vivida?

Non voglio, non voglio, non ora…

Le lacrime, lacrime sul fuoco, su una terra distrutta.

Scritta da troppe mani senza alcun diritto.

 

 

Quando spalanco la porta di una delle tante terrazze della torre capisco che il vento si è alzato.

I miei capelli volano come mossi da una forza magica, naturale e irrazionale. Danzano attorno a me come un manto di seta, è piacevole.

Guardo giù e giudico che l’altezza è più che sufficiente, ma facendo in modo di cadere di testa, non ci sarà alcun problema.

Dondolo un po’ sulla balaustra e lascio vagare per un’ultima volta il mio sguardo – perché proprio ora mi sembra di poter essere capace di guardare tutto quanto diversamente? No, no, no, no… - : Hogwarts, la foresta, il lago, l’aria il mondo.

 

Il mio corpo scatta velocemente, le lunghe gambe snelle fanno il loro effetto nel movimento sinuoso e suicida e mentre cado, mentre con velocità impressionante il mio corpo fende l’aria a raggiunge il suolo, spero solo che la mia coscienza si spenga, si spenga, si spenga, si…

  
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