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Autore: Writer96    28/10/2012    6 recensioni
"Andava avanti così da un po’, la notte che dormiva troppo poco, il giorno che faticava e correva ovunque, la mente sempre impegnata in qualcosa di diverso da ciò che faceva il corpo.
Spesso era Eleonora la causa di quel tutto. Eleonora che era fastidiosa, irriverente, piccola, saputa. Eleonora che faceva sempre quelle battutine che ti rimanevano impresse addosso e non si lavavano via nemmeno con tre quintali di sapone. Eleonora che ti guardava e ti capiva e poi rideva, perché capiva come i tuoi problemi fossero così piccoli, così infinitesimali."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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Spesso un amore è determinato da delle fasi.
Un bisogno, sempre più forte.
La rabbia che segue il bisogno.
L'accettazione del bisogno stesso.






Manchi.

Giacomo entrò in casa e buttò lo zaino accanto al divano, guardando gli spallacci che si piegavano e andavano a raccogliere tutta la polvere che si era accumulata accanto ai piedi del tavolino. Represse una smorfia e uno sbuffo arrabbiato quando vide che la tasca davanti era aperta e un pacchetto di gomme che c’era lì dentro era caduto sotto al divano.
Si inginocchiò e allungò una mano, le dita che annaspavano sul parquet alla ricerca del pacchetto viola di Vigorsol e le sopracciglia che si aggrottavano.
Avrei bisogno di una mano più piccola.

Si tirò su di scatto, rimproverandosi da solo per quel pensiero. Non tanto per il pensiero stesso, insomma, quello era pur legittimo, quanto piuttosto per l’immagine che l’aveva accompagnato.
La mano di Eleonora, così piccola che entrava perfettamente nella sua, così piccola che le sue dita non sfioravano nemmeno i suoi polpastrelli. Aveva bisogno di Eleonora in tutti i sensi in quel momento, aveva bisogno della sua mano che arrivasse lì dove non poteva lui, aveva bisogno del suo sorriso che appariva da sotto le sopracciglia un po’ aggrottate, una presa in giro velata dall’affetto.

Tanto.

Si riscosse e allungò un po’ ancora la mano, sfiorando le gomme con le dita e tirandole indietro con un sospiro soddisfatto. Nel tirare indietro il gomito urtò nuovamente lo zaino, che si rovesciò ancora un po’ e fece cadere fuori anche l’astuccio. Un brontolio gli uscì dalla gola e si acciuffò per recuperare anche quello, il cappuccio che ormai gli era completamente caduto sul volto, la schiena che faceva male dopo due ore di ginnastica.

Sei un vecchio sfaticato...”
Eleonora era più piccola di lui di due mesi e lo chiamava vecchio. Gli diceva che stava già iniziando a soffrire di Alzheimer, che avrebbe avuto presto bisogno di un’infermiera e che a volte era proprio noioso. Lo diceva con quella sua risata sempre stampata in faccia, il mento tondo delle persone buone che si increspava quando lo vedeva offendersi, le braccia che lo circondavano, avvolgendolo dal basso, per farsi perdonare.
Scusa” diceva “Sei il vecchietto più adorabile che conosca. E mi sembri anche piuttosto arzillo. E... niente. Su, avanti. Attraversa ora, che sennò diventa rosso ed è un problema dopo...”

Troppo.

Giacomo recuperò l’astuccio macchiato e sporco e lo rimise dentro allo zaino, spazzolando gli spallacci impolverati e iniziando a tirarsi su senza stirarsi i muscoli della schiena. Andava avanti così da un po’, la notte che dormiva troppo poco, il giorno che faticava e correva ovunque, la mente sempre impegnata in qualcosa di diverso da ciò che faceva il corpo.

Spesso era Eleonora la causa di quel tutto. Eleonora che era fastidiosa, irriverente, piccola, saputa. Eleonora che faceva sempre quelle battutine che ti rimanevano impresse addosso e non si lavavano via nemmeno con tre quintali di sapone. Eleonora che ti guardava e ti capiva e poi rideva, perché capiva come i tuoi problemi fossero così piccoli, così infinitesimali.
Gli capitava di immaginarsi la risata di Eleonora, di tanto in tanto. Quella risata gutturale, un po’ risucchiata, che dava fastidio all’inizio, ma che poi era così spontanea e così vera che te ne innamoravi in cinque secondi. Se l’immaginava quando inciampava, quando arrivava tardi, quando un suo compagno gli dava una botta sul braccio e lui sbaffava il segno di penna appena tracciato.
Si sentiva un pazzo, uno di quelli che sentono le voci e la cosa lo irritava. Lui era sempre stato normale, banale, tranquillo, padrone della sua vita e delle sue emozioni, uno di quei ragazzi che mangiano le gomme alla menta semplice, che mangiano una pizzetta a ricreazione e bevono la Coca-Cola direttamente dalla lattina. Non era un tipo strano e perciò non capiva cosa ci fosse a legare tanto lui ed Eleonora.

Vaffanculo.

Si alzò in piedi e diede una botta allo zaino per farlo stare dritto, con l’unico risultato di farlo rovesciare ancora di più. Le gomme nella sua mano ora erano l’unica cosa in ordine in quel macello, mentre i raccoglitori erano scivolati fuori, uno sopra all’altro, e le cartacce della sua ultima merenda erano sparse in mezzo ad esse, il brick di succo di mirtillo che non si capiva bene cosa c’entrasse in tutto ciò.
Represso un grido irato e guardò per qualche istante tutto quello.

“Prova le gomme alla cannella, andiamo. Sono diverse da quelle solite!”
“Una pizza? Spiegami perché non dovresti prendere quella piadina...”
“Non ti piace il succo di mirtillo?”
Eleonora l’aveva riempito di chiacchiere, di idee, di sensazioni, di impressioni e di commenti non richiesti. Eppure, lui aveva fatto ciò che aveva fatto lei, distraendosi un po’ dalla sua monotonia, seguendola in quella pazzia del tutto normale in confronto alla normalità del momento.
Eleonora se l’era preso, l’aveva risucchiato e lui non sapeva neanche bene come mai lui gliel’avesse permesso.
Era arrabbiato con lei, perché l’unica cosa che ci aveva guadagnato era stato un casino in testa, nello zaino, nella vita e niente era cambiato, perché Eleonora era sempre rimasta lì, abbastanza vicina, abbastanza lontana, guardinga, una volpe furba che lo studiava senza malizia.

Mi piaci.


Eleonora gli piaceva troppo, Giacomo l’aveva capito con stizza quel giorno, davanti allo zaino rovesciato, la polvere sulle mani e le gomme che erano cadute dal pacchetto, come zucchero a velo sopra tutto quel casino di oggetti ordinari.
Giacomo lo sapeva, però non aveva fatto molto. Aveva preso i libri, li aveva rimessi dentro, li aveva riordinati e spolverati, aveva chiuso lo zaino e lo aveva portato in camera.
E poi si era messo in bocca una gomma alla cannella.







Writ's Corner
Innanzitutto, facciamolo. Dedichiamo questa storia a due persone.
All'Ali, che l'ha betato (non l'ha scelto proprio liberamente, ma ormai mi conosce).
E a un te un po' vago che non specifico, un te vago che aspetto, che prende forma nella mia testa e svanisce come nebbia nei film di vampiri.

C'è poco da dire.
Sono fasi d'amore, fasi arrabbiate, malinconiche, maleducate (non userò più parolacce nelle fic, non mi piacciono. Però qui ci stava), fasi che tutti abbiamo passato.
Parla un ragazzo, senza identità, senza volto o caratteristiche. Un ragazzo, proprio con l'articolo indeterminativo davanti.
Spero vi sia piaciuta.
Un bacio

Writ
   
 
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