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Autore: _Rockstar_    29/10/2012    1 recensioni
Che cosa sarebbe successo se i 76esimi Hunger Games fossero stati istituiti veramente? Cosa sarebbe successo se la ghiandaia imitatrice non avesse ucciso la Coin e il loro malvagio progetto fosse andato a buon fine? Cosa sarebbe successo se ventiquattro ragazzi di Capitol City fossero stati gettati in una nuova arena soltanto per vendetta da parte degli altri distretti? Attenzione: Spoiler de "Il canto della rivolta".
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XV – Invincibile, immortale


Corsi fuori spaventata di non rivederlo mai più. Ero così terrificata che la mia mente non riusciva a produrre un pensiero corretto e coerente, la paura si faceva spazio nella mia testa, sempre di più. Corsi fuori dalla catapecchia, trovandomi davanti soltanto un paesaggio collinare che svaniva a perdita d’occhio, ma di lui nemmeno l’ombra. Girai intorno a quella abitazione ma non sentivo nulla, nessun rumore o suono, niente. Iniziai a chiamare il suo nome ma lui non rispose. Ormai non mi importava più se qualcuno avesse sentito la mia voce e mi avesse trovato, avrei preferito morire piuttosto che non rivederlo più. La morte sarebbe stata molto più dolce della sua mancanza. Iniziai disperata ad addentrarmi nella terrificante e sinistra boscaglia che era situata alla sinistra di quella baracca. I rami degli alberi erano spogli e ovunque mi girassi formavano strane ed inquietanti figure, non vi era molta luce lì dentro, soltanto quella della luna. Correndo completamente circondata dalle tenebre avrei potuto giurare di aver superato un piccolo fiumiciattolo ma di lui ancora nessuna traccia. Mi stavo spaventata girando indietro, a ritroso dei miei passi, quando andai a sbattere contro qualcosa, forse un albero. Accidenti, quanto ero stupida, forse mi ero anche persa. Poi aprii gli occhi ormai rigati da lacrime.
– Declan! – urlai abbracciandolo e asciugandomi il volto con la manica della camicia.
Ora oltre che sollevata mi sentivo arrabbiata.
– Dov’eri? Mi hai fatto prendere paura! -  gli urlai nuovamente, quasi isterica. Stavo diventando pazza, lo sapevo.
– Stai tranquilla – mi rispose lui accarezzandomi i capelli dolcemente.
Quello era il primo gesto gentile che mi rivolgeva da quando eravamo entrati in quella Arena.
– Ti stavo cercando – mi rivelò lui
– Mi sono svegliato e non ti ho visto, così sono venuto a cercarti qui, poi ho sentito il cannone e… - non lo lasciai finire, non mi importava più ormai.
Fu così che, non ne capii mai il motivo, avvicinai il mio volto al suo e molto lentamente gli lasciai un piccolo bacio sulle sue calde e morbide labbra.
– Non farlo mai più – gli sussurrai però all’orecchio. Lui sorrise.
Potrebbe suonare strano e un po’ stupido, ma quello fu il mio primo bacio che mai potrò dimenticare. In quel momento avrei potuto giurare di sentirmi invincibile, immortale. In un secondo momento però ripensai al fatto che tutta la nazione di Panem stava ora guardando quegli schermi ed ecco che in un solo attimo avrei preferito morire. Il mio viso era diventato completamente rosso d’imbarazzo, le mie mani avevano cominciato a sudare e il mio cuore batteva furiosamente, forse per entrambi i motivi. Sperai che tra l’oscurità e la selva non si fosse visto molto. Osservai di sfuggita Declan pulirsi le mani nella maglietta, così guardai anche le mie. Avevo corso per tutta la foresta, mi ero appoggiata a tronchi e avevo toccato terra, fango e fogliame vario. Ritornammo alla nostra per niente accogliente catapecchia che era ormai notte inoltrata se non già quasi l’alba. Nel giro di quelle dodici ore passate quasi tutte all’aperto avevo notato che la temperatura non si era abbassata più di tanto, ma forse non avendo visto ancora il sole non potevo saperlo. Avrei rivisto la luce della mattina o gli strateghi avrebbero preferito un Arena sempre avvolta dall’oscurità? Un cimitero di giorno non faceva molta paura.
–Sei uscita senza un’ arma? – mi chiese d’un tratto lui. Mi accorsi solo ora quanto ero stata stupida
– Si… sono stata presa dall’ansia e non ci ho pensato. Ero venuta fuori a vedere i tributi – quanto ero felice di non aver visto nessuna faccia amica
– Qualcuno…? – mi chiese subito dopo, intendeva sicuramente dire “E’ morto qualcuno che conosciamo?”
– Fortunatamente no – sembrava sollevato, io ero sollevata. Stavo per aprire la porta quando la mano di Declan mi fermò
– Aspetta –  non riuscivo a capirne il motivo ma poi sentii dei rumori provenire dall’interno, come se qualcuno stesse freneticamente cercando qualcosa mettendo sottosopra tutto la casa.
Mi fece segno di seguirlo sul retro, dove riuscimmo ad entrare dalla finestra della stanza in cui ci stavamo addormentando poche ore prima. Fortunatamente chiunque fosse entrato lì non aveva ancora cercato in quel luogo, le nostre armi e i nostri zaini erano ancora lì. Afferrai senza fare nessun rumore l’arco e la faretra dalla quale estrassi una freccia che incoccai subito. Non ci avrebbe importato molto degli zaini, in caso di pericolo probabilmente avremmo corso verso l’uscita dell’Arena ormai già aperta, dovevamo soltanto trovarla. Declan aprii cautamente la porta ma io insistetti ad andare per prima. L’unica nota negativa era il rumore che le assi di legno producevano ad ogni nostro singolo passo. Il buio sicuramente non ci aiutava ad essere più sicuri o a vedere meglio ma sentivo di essere sempre più vicina al nostro nemico. Fu in quel momento, proprio quando mi ero incautamente allontanata troppo da Declan e abbassato per un secondo la guardia che qualcuno mi aggredì apparendo chissà da dove. Fui abbastanza pronta per schivare il colpo ma quella ragazza, i suoi capelli lunghi e castani legati in una lunga coda di cavallo era l’unica cosa che ero riuscita a vedere, riuscii comunque a disarmarmi e a farmi cadere a terra. La colpì con un calcio serrato, l’unica cosa che sarei riuscita a fare in quella posizione. Approfittai del tempo che lei impiegò a rialzarsi per correre verso il mio arco ma la ragazza si aggrappò ai miei piedi e riuscì a trascinarmi nuovamente verso di lei. Il mio arco doveva aspettare. Solo ora riuscivo a vederla bene. Aveva appunto dei lunghi capelli castani con riflessi biondi, gli pupille di un azzurro particolare con qualche sfumatura verde e nocciola e una espressione davvero spaventata. Provava una di quelle paura più spaventose, forse la più pericolosa. Era così spaventata che per salvarsi avrebbe fatto di tutto, non era più in se stessa, lo si vedeva negli occhi quasi vitrei. La colpì nuovamente con un pugno al naso doloroso sia per me che per lei. Non feci però in tempo ad assicurarmi dei danni che aveva subito, sapevo solo di aver udito un crack provenire da lei, probabilmente le avevo rotto il naso. Mi alzai di corsa e mi diressi verso il mio arco che per mia grande sorpresa era sparito. Ora ero davvero terrificata, sapevo di aver una ragazza che avrebbe provato ad uccidermi alle mie spalle e che probabilmente si stava ora rialzando e stava correndo verso di me con un pugnale in mano e il mio arco era scomparso. Presa dall’ansia e dalla frustrazione decisi di salire freneticamente le scale e dirigermi ai piani superiori, stavo letteralmente scappando. Lei era la cacciatrice ed io la sua preda. Sentivo i suoi passi salire velocemente e quasi raggiungermi quando giunsi alla fine della mia fuga. Ero arrivata ad un punto morto, le scale erano finite, ero arrivata all’ultimo piano. Mi guardai frettolosamente prima a destra e poi a sinistra ma ero intrappolata in una prigione di legno decadente senza via d’uscita. Poi guardai in alto, da una piccola botola scendeva una catena di ferro arrugginito che mi bastò tirare lievemente per aprire. Feci leva sulle mie braccia aiutandomi con la ringhiera del pianerottolo sollevandomi a fatica, poi finalmente rividi la luce della luna. Ero ora arrivata sul tetto di quella catapecchia che probabilmente si sarebbe disintegrato al mio primo passo, ma cos’altro potevo fare? Richiusi la botola e mi incamminai avanti, la tettoia non era molto ampia ma si poteva comodamente camminare su di essa, ovviamente rischiando di cadere. La ragazza di cui nemmeno conoscevo il nome non era di certo stupida e sicuramente sarebbe salita da un momento all’altro. Non sembrava ma lo spazio che intermediava tra il tetto e il terreno non era di certo minimo e da sottovalutare, se mi fossi buttata avrei rimediato soltanto la mia stessa morte. L’unica cosa che mi restava da fare era quella di combattere per la mia vita, proprio lì sopra ed in quel momento, avevo finito di scappare. Sentii la botola muoversi e successivamente aprirsi, non dovetti aspettare nemmeno pochi secondi per vedere prima i lunghi capelli castani e poi il viso della ragazza spuntare e senza nemmeno tanta fatica poggiare i propri piedi sulla tettoia. Appena mi vide non si fece di certo aspettare e mi corse incontro urlando tutta la sua rabbia e paura con in mano soltanto un pugnale. Lei aveva paura, io stranamente no. La calma e la ragione vincono sempre sul terrore, o almeno la maggior parte delle volte. Riuscii a toglierle di mano l’arma in pochissime mosse, si vedeva che non aveva nessuna base di lotta a corpo libero, le sue azioni erano spesso non ragionate ed istintive. Il pugnale volò giù e quasi senza fare rumore si schiantò sul terreno, ora eravamo pari. Mi distrassi per un secondo e lei ne approfittò per colpirmi prima allo stomaco e poi al volto. Certo, faceva male ma non le avrei mai permesso di cavarsela. O io o lei, e in quel momento non avrei accettato la mia sconfitta. Più lei mi colpiva più io mi arrabbiavo; più io mi arrabbiavo e più la colpivo. Era uno scontro ad armi pari, entrambe riuscivamo ad eguagliare l’altra ma mai a superarla di abilità, fino a quando non ebbi un colpo di fortuna. Lei era riuscita a bloccare le mie braccia che teneva stette in un morsa ma non si era di certo preoccupata dei piedi che erano ancora liberi di agire ad ogni mio comando. Notai velocemente le sue gambe appena aperte, così mi ricordai di un consiglio che mi era stato dato durante una seduta di allenamento a Capitol City, non tanto tempo prima. “Usa la forza del tuo avversario a tuo vantaggio” ed era proprio quello che avevo intenzione di fare. Repentina gli disarcionai il piede dalla sua posizione originaria facendole perdere l’equilibrio e fu proprio in quel momento che approfittai della sua instabilità per colpirla e purtroppo per lei e per la mia anima, lasciarla cadere. Ero sempre stata convinta che ogni volta che si uccidesse qualcuno la propria anima si dividesse in tanti pezzi che pian piano se ne andassero, proprio come la vita delle tue vittime, e ti lasciassero il vuoto dentro, colmato da così tanto dolore e rimpianti che ti avrebbero portato alla pazzia e successivamente alla morte. Era così che mi sentivo in quel momento. Poi sentii il cannone che rappresentava soltanto una cosa: ero diventata una assassina. Scesi con lo sguardo basso verso i piani inferiori, ritrovai il mio arco nascosto dietro ad un angolo e mi precipitai fuori dove incontrai nuovamente Declan
– Dove sei stato? – gli chiesi seria e furiosa ma non con lui, con quello che era appena successo. Non mi piaceva sentirmi così
– Non era da sola. C’era qualcun altro. L’ho seguito e appena mi ha visto quel codardo è scappato. Sono tornato indietro e tu non c’eri –
Non volevo nemmeno ascoltarlo, non mi interessava più di niente
– Andiamo, voglio andarmene da qui, ora! – affermai camminando a grandi passi verso l’uscita di quella dannata Arena.


Risponde l'autore:
Capitolo un po' corto, non credete? Avete ragione ma almeno avvengono molti fatti, alcuni buoni e alcuni cattivi. Sapete che quel momento (si proprio quello ;D) lo avrei inserito primo o poi, lo avevate già immaginato suppongo. Bene, nel prossimo capitolo usciranno da questa spaventosa Arena e entreranno nella prossima, la penultima. La fina si avvicina sempre più, credo di potervi dire che i capitoli diventeranno, spero, un po' più lunghi d'ora in poi. Quale pensate sarà la prossima arena? Continuate a recensire, mi raccomando ;D

  
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