Accadde senza preavviso,
avvicinandosi pian piano come una
tempesta silenziosa.
Il primo giorno, Brog si alzò di buon mattino come al
solito. Era abituato così
fin da piccolo e non aveva mai neppure concepito l'idea di alzarsi dopo
il
sorgere del sole. A dire il vero, c'erano molte cose ben lontano dal
concepire,
tanto che nel villaggio erano soliti dire che la natura gli aveva dato
in
altezza ciò che gli aveva tolto in intelligenza.
Brog si alzò sulle gambe poderose, fece una rapida colazione
e poi afferrò
l'accetta per andare a prendere un po' di legna nella foresta.
Uscì dalla porta
nell'aria fredda del mattino, come sempre pensando che avrebbe dovuto
alzare lo
stipite di una decina di centimetri, e come sempre dimenticandosene
poco dopo.
Da dietro la legnaia gli si fece incontro un grosso cane da pastore,
facendo le
feste con gioia.
"Buono, Lupo! Buongiorno a te". Deve
aver catturato un coniglio, pensò osservando il
suo muso sporco di sangue.
"Resta qui mentre vado dalla Vecchia Signora, ok?". Lupo
abbaiò e si
mise seduto davanti alla porta.
Brog passò nella legnaia a prendere la carriola e ci
caricò l'accetta. Guardò
giù dalla collina dove sorgeva la sua casa, ma era ancora
troppo buio per
vedere il villaggio. Si girò e si avviò verso
Bro
Arrivò ai primi alberi dopo circa un'ora di cammino. Mise
giù la carriola e afferrò l'accetta, illuminata
dai primi raggi di sole. Fece
qualche passo nel sottobosco, poi si fermò perplesso:
ricordava d'aver visto un
albero morto esattamente in quel punto, ma ora non ce n'era traccia,
tutti gli
alberi sembravano robusti e in buona salute. Temendo di essersi
spostato in là
senza rendersene conto, provò a camminare un po' per
ritrovare l'orientamento.
Più camminava, più la sua perplessità
cresceva: gli alberi sembravano uguali
gli uni agli altri. Brog si accorse improvvisamente del silenzio che
avvolgeva
l'intera foresta, rotto solo dal gemito del vento. Scosse la testa
cercando di
scacciare quelle strane sensazioni, quindi afferrò
saldamente l'accetta e si
fermò davanti all'albero più vicino.
Sussurrò una serie di scuse verso
"Sei duro".
Continuò a colpirlo per tutta la mattina, dando fondo a
tutte le proprie
energie. Alla fine si appoggiò stremato al tronco. Aveva
raccolto legna per
appena una giornata, l'albero aveva perso solo il primo strato di
corteccia, la
sua accetta era tutta scheggiata.
Brog tornò a casa, la testa piena di dubbi a cui non sapeva
dare forma. Lavorò
con la cote tutto il pomeriggio per aggiustare la lama, mentre Lupo
scodinzolava accanto a lui.
Il
secondo giorno, Brog si alzò di buon'ora. Salutò
Lupo e si preparò a passare
l’intera giornata nella foresta a spaccare legna.
Uscì nell'aria gelida del mattino e si diresse verso la
foresta.
Questa volta impiegò mezz'ora in meno ad arrivare alla
Vecchia Signora. Si
stupì di aver camminato così in fretta, ma non
stette molto a pensarci. Sempre
con una parola di scuse sulle labbra, cominciò a colpire un
albero con tutta la
propria forza. La lama rimbalzò contro la corteccia senza
produrre nessun
effetto. Brog fece una smorfia e colpì con maggiore
violenza. Dopo qualche
minuto ancora si fermò a guardare incredulo il tronco
dell'albero: non un
graffio, non un segno.
Il suo respiro affannato era tutto ciò che riusciva a
sentire nella foresta. Gli
alberi erano immobili, eppure Brog aveva l'impressione che gli si
stessero
chiudendo attorno.
"Questo è impossibile". Lui digrignò i denti per
la rabbia.
"Questo è stupido!".
Sollevò l'accetta sopra la propria testa e la
abbatté sul legno con tutta la
propria forza e la propria frustrazione. La lama si spezzò
con uno schianto. Fece
appena in tempo a coprirsi il volto con le mani, una scheggia di
metallo gli
trafisse il palmo sinistro. Si piegò in avanti, trattenendo
a stento un grido
di dolore. Con la vista offuscata vide la scheggia conficcata nel mezzo
della
propria mano. Sforzandosi di non sussultare, la afferrò con
i denti e la
strappò via, quindi stracciò una manica della
camicia e si fasciò la ferita.
In tutto questo, l'albero si ergeva dritto, intatto, le rughe del suo
tronco
piegate quasi in un ghigno.
Brog non riusciva a capire. Ancora scosso dai singhiozzi, raccolse i
resti
della propria accetta e si avviò verso casa. Doveva
essere colpa dell'accetta, pensò lungo la via del
ritorno: decise
di scendere al villaggio il giorno dopo e comprarne una nuova.
Arrivato davanti a casa, cercò con lo sguardo il proprio
cane. Stava per
chiamarlo quando quello comparve di nuovo da dietro la legnaia. Rimase
fermo
sulle quattro zampe, a fissarlo con gli occhi eccitati, quindi
scomparve di
corsa, come se inseguisse qualcosa. Un altro coniglio, probabilmente.
Lui entrò in casa e si stese sul letto. La mano pulsava
dolorosamente, la testa
gli pesava, le palpebre gli si chiusero senza che se ne accorgesse.
Brog si svegliò all'alba
del terzo giorno.
Si sentiva nervoso: non aveva mai dormito così a lungo.
Cercò di alzarsi
appoggiandosi senza pensare alla mano sinistra, ma ricadde con un
grido. La
mano fasciata gli faceva un male d'inferno. Facendo più
attenzione si sollevò
in piedi sorreggendosi con l'altra. Fece in tempo a fare qualche passo
prima di
inciampare e finire per terra. Si girò a fissare incredulo
che cosa l'aveva
fatto cadere: una radice aveva sfondato il pavimento, alzandosi in
verticale
per qualche centimetro per poi piegare verso il basso con
l'estremità libera,
quasi come un uncino.
Brog si rimise in piedi, stando a stento in equilibrio per il dolore,
poi andò
ad aprire la porta. Per un attimo rimase immobile sulla soglia a
chiedersi chi
poteva avere inchiodato delle assi davanti a casa sua. Poi
notò le foglie che
sporgevano da quelle assi, il modo in cui queste ultime si
intrecciavano l'una
nell'altra senza lasciare alcuno spazio, le rughe profonde sulla loro
superficie.
Le toccò lentamente con la mano sana, sentendole umide e
pulsanti sotto la
pelle.
"Rami?".
Ogni tanto si sentiva un rumore all'esterno delle pareti,
come se qualcosa strisciasse sopra di esse, qualcosa di profondo, lento
e
paziente. D'un tratto gli venne in mente il proprio cane. Lo
chiamò a gran voce
per diversi minuti, ma non gli giunse risposta.
In quel momento, Brog capì di avere un problema.
*
Un mese dopo, un cavaliere con spada
e corpetto di cuoio
venne visto percorrere al galoppo la vecchia Strada del Re,
inoltrandosi nella
foresta. I rami e le radici si protendevano ovunque in ogni direzione
rendendo
quel percorso pericoloso anche per i cavalli più robusti. Il
cavaliere si fermò
vicino ai ruderi di una torre d'osservazione: gli alberi erano
penetrati tra le
pietre, spaccando il cemento e sollevando quintali di calce. Da una
delle
finestre spuntava un ramo ricurvo, come una grottesca lingua di fiamma.
Due
mesi prima il cavaliere era stato costretto a fermarsi a quella torre
d'osservazione, con i soldati che lo fissavano con sospetto, per poi
finire ad
ubriacarsi con tutti loro. Ora tra le rovine regnava il silenzio
più assoluto. Diede
di sproni e ripartì.
Uscì dalla foresta qualche ora dopo, scorgendo in lontananza
un villaggio. Dalle
condizioni precarie di quelle costruzioni, pensò che si
dovevano essere
spostati già molte volte da quando
"Fermo viaggiatore. Chi sei, cosa ti porta qui?".
Lui frenò a pochi metri da loro, tirando con
abilità le redini del cavallo.
"Il mio nome è Heskel, vecchio. Sono qui per risolvere il
problema della
Vecchia Signora".
A quelle parole si levò un immediato brusio dalla folla. Il
vecchio girò il
capo con un sorriso di scherno verso i suoi compaesani. Quindi, rivolto
al
cavaliere, disse: "E cosa vi fa pensare di riuscirci? Non troverete
nessuna fanciulla da salvare in mezzo a quegli alberi, nessuna torre
oscura a
minacciarci con la sua ombra. Non abbiamo bisogno di un altro sedicente
eroe
buono a nulla".
Il cavaliere estrasse la spada dal fodero con tanta velocità
che tutti videro
solo un lampo argenteo nelle sue mani. "Frena la lingua! Ho combattuto
da
Niveria fino alle torri di Astaria, dai mari del nord ai monti di
Helger. Puoi
dire lo stesso di te, capelli bianchi?".
Vedendo la punta dell'arma rivolta su di sé, quello
indietreggiò istintivamente
con un grido, ma si ritrovò spinto in avanti dai suoi
compaesani. Tossicchiò
cercando di riprendersi dallo spavento.
"Vi chiedo scusa, nobile signore. Cercate di capirci, siamo in fuga da
un
mese ormai, siamo allo stremo delle forze"
"Scuse accettate. Conducete il mio cavallo in un posto dove possa
riposare"
"Naturalmente. Potete venire con me: immagino avrete molte domande".
Heskel afferrò la coscia
di pollo e strappò un morso senza
badare al grasso che gli colò sulle dita e sul collo.
"Fate come se foste a casa vostra".
Heskel finì di bere e picchiò il bicchiere sul
tavolo con un
lungo sospiro di soddisfazione.
Il vecchio lo prese come un segnale: "Davvero siete qui per risolvere
il
nostro problema?"
"Non è il -vostro- problema: quello che sta accadendo qui
minaccia tutti i
Regni Centrali", Heskel finì di succhiarsi le dita unte e
poi lo fissò a
lungo negli occhi: "E sì, sono venuto a risolvere il
problema"
"Sapete quante volte ho già sentito questa frase prima di
voi?"
"No. Ditemelo, è importante"
"Ce ne sono stati altri quattro prima di voi. Tutti giovani e
baldanzosi.
Sono entrati nella foresta e non sono più tornati",
sospirò guardando verso
la porta della capanna: "È un mese che scappiamo".
"Ricordate i loro nomi?"
"No, a che serve? Forse uno, mi sembra si chiamasse Mika. Un uomo
grosso,
scuro, con la testa quadrata"
"Lo conosco. Abbiamo passati diversi anni assieme sotto le armi".
Il vecchio annuì lentamente: "be', adesso è
scomparso, come gli
altri".
Questa volta fu Heskel ad annuire: "Voi siete stati i primi ad essere
entrati in contatto con... La calamità. Com'è
iniziata?"
"Calamità? Non c'è nulla di naturale in quello
che sta accadendo! Il
nostro villaggio è stato invaso in una notte. Una! E la
chiamate calamità!".
Heskel rimase impassibile. "Com'è iniziata?".
L'altro si lasciò cadere sulla sedia: "Nessuno lo sa. Non
c'è stato nessun
presagio. Solo la terra che si muoveva, le radici che spuntavano dalle
rocce,
fiori che spaccavano i pavimenti come una grottesca primavera. Per
fortuna abbiamo
fatto in tempo a scappare"
"Siete scappati tutti?"
"No, in effetti: c'era un uomo che viveva fuori dal nostro villaggio ai
piedi della foresta. Nessuno l'ha più visto. Non era molto
furbo, ma era un
brav'uomo, mi dispiace per lui. Si chiamava Brog"
"Quindi viveva più vicino di tutti voi alla foresta?
Potrebbe sapere
qualcosa".
L'altro si strinse nelle spalle: "Chi lo sa. Ormai è
scomparso da più di
un mese".
Heskel abbassò il capo e rimase pensieroso per un po'. Poi
alzò lo sguardo
verso il vecchio: "Asce e fuoco sono stati inutili, vero?"
"Vero. Ho visto l'acciaio spezzarsi contro il tronco di quegli alberi.
Nessun fuoco dura più di qualche secondo. È la
fine".
Heskel rise con voce ruvida: "Sapete quante volte ho sentito questa
frase,
prima di voi?"
"No. È importante?"
"No, l'importante è che sono ancora qui". Detto
ciò si alzò e si
diresse verso l'uscita della capanna.
"Aspettate! Dove state andando?"
"Nella foresta. Vi affido il mio cavallo. Indicatemi la direzione per
il
vostro vecchio villaggio".
Heskel camminò per un giorno procedendo verso nord. A
mezzogiorno, superata una collina, vide in basso gli alberi della
Vecchia
Signora. Le radici spuntavano ovunque, dalla terra o dalla roccia
più dura.
Heskel individuò quello che doveva essere stato il letto di
un fiume, ora
completamente prosciugato. Saltò tra i sassi evitando le
radici, poi si
addentrò nel sottobosco tenendo una mano sull'elsa della
spada. I suoi piedi
affondavano nel terreno, ogni suo rumore si amplificava enormemente nel
silenzio assoluto che regnava attorno a lui. C'era freddo sotto l'ombra
di
quegli alberi: vedeva il suo fiato condensarsi mentre procedeva il suo
cammino.
Gli alberi non somigliavano a nulla che avesse già visto.
Non erano querce,
pini o pioppi. Erano identici l’uno all’altro,
rugosi, contorti e scuri nella
corteccia e nelle foglie.
"Sognano gli alberi?".
Le parole gli attraversarono la mente come una freccia, pronunciate con
una
voce non sua, una voce di donna. Lui impugnò la spada con un
guizzo, girò su se
stesso cercando tra le foglie che gli chiudevano la vista.
"Chi ha parlato? Fatti vedere!".
Un movimento leggero, un'ombra comparve e scomparve tra i
rami. Heskel si gettò dietro l'albero dove aveva visto
l'apparizione, ma non
c'era nulla. Poi rivide lo stesso movimento, dietro un altro tronco.
Lui scattò
di nuovo, ma girato l'ostacolo si paralizzò per la sorpresa:
davanti a lui gli
alberi avvolgevano una casa intrecciandosi davanti alla porta e alle
finestre. Sembrava
che si muovessero piano, soffocando lentamente la costruzione.
Heskel si avvicinò chiedendosi perché al
villaggio non gli avevano parlato di
una casa così vicina. Si fermò davanti alla
porta: i rami si intrecciavano
senza lasciare nessuno spazio. Provò a menare un fendente
contro di loro, ma
non ottenne nessun risultato. Vicino c'era un'altra piccola costruzione
non
ancora avvolta dagli alberi, piena di un gran numero di attrezzi
ammucchiati
alla rinfusa. Heskel prese un piccone e poi tornò verso la
casa. Si fermò
davanti a una parete non del tutto coperta dai rami, quindi
cominciò a colpire
le assi, aprendosi in breve un passaggio abbastanza largo. Accese una
delle
torce che portava nello zaino ed entrò.
L'interno puzzava di muffa. La polvere cominciò a sollevarsi
e volteggiare
nell'aria mentre Heskel passava accanto al tavolo, all'armadio, alle
pentole.
Accanto al camino c'era quel che restava di un'accetta spezzata. si
voltò, la
luce della torcia illuminò un letto e un uomo enorme disteso
sopra di esso.
D’un tratto quello si mosse e bofonchiò qualcosa
inspirando sonoramente. Heskel
si domandò se poteva davvero essere addormentato. Da quanto
tempo era lì? I
muscoli poderosi non lasciavano pensare che stesse soffrendo la fame.
La sua
perplessità crebbe vedendo la polvere che rivestiva i suoi
abiti e i suoi
capelli. Afferrò l'uomo per una spalla e lo scosse con
decisione.
Quello si agitò, si voltò di scatto con gli occhi
spalancati per lo spavento.
Dopo qualche istante, L'uomo si mise a sedere asciugandosi un filo di
bava che
gli era colato dalla bocca. Aveva la mano sinistra fasciata.
"Chi sei?", gli chiese.
Quello lo osservò, ancora intontito dal sonno: "Io? Brog. E
tu? È casa
mia!"
"Brog? Non è possibile, non posso essere già
arrivato così lontano".
Il gigante gli lanciò un'occhiata perplessa.
"Da quanto tempo sei qui?".
"Non lo so. Avevo sonno: ho dormito. "
"Per un mese?"
"Nessuno dorme per un mese, è stupido".
Heskel faceva di tutto per stare lontano da quelle braccia spesse come
colonne.
"Cosa ti sei fatto alla mano?".
Brog si portò la mano sinistra davanti agli occhi.
Attraverso le bende si
vedeva la carne gonfia e gialla: "Mi sono ferito tagliando legna.
È colpa
dell'accetta, non degli alberi: era fatta male, si è rotta"
"Ti fa male?"
"prima sì, ora meno. Tu chi sei?"
"Mi chiamo Heskel. La foresta sta male, sto cercando di aiutarla".
Brog sembrò agitarsi all'improvviso: "
"Sì. Sai qualcosa di quello che è successo?"
"No, io non so niente di importante"
"Pensaci, qualsiasi cosa può essere utile"
"Non so nulla, io sto sempre qui con Lupo"
"chi è Lupo?"
"Il mio cane. L'hai visto?"
"No"
"Devo cercare il mio cane". Brog fece per uscire senza più
badare ad
Heskel, quando d'un tratto si fermò e si voltò
verso di lui: "C’è un
posto. È strano, ti ci porto. Forse Lupo è
là"
"Benissimo. Fammi strada".
Uscirono, Heskel dietro sempre con la spada in mano. Brog aveva preso
una
direzione con passo deciso, senza degnare gli alberi di un solo
sguardo. Non
aveva un'aria molto intelligente, ma nei suoi movimenti sembrava quasi
un
sonnambulo.
Il sentiero era sempre più impervio: gli alberi si
avvicinavano gli uni agli
altri avvolgendo i propri tronchi in strette spirali. Infine, tra gli
alberi si
aprì una piccola radura invasa da una strana luminescenza.
Brog indicò davanti a loro: "È qui".
Heskel avanzò con la spada in pugno, pronto a reagire ad
ogni evenienza. Urtò
qualcosa alla sua sinistra. Abbassò lo sguardo e vide un
uomo steso a terra, quasi
del tutto coperto dall'erba. Heskel si chinò su di lui e gli
prese il polso:
non era morto, sembrava addormentato.
"Benvenuto, ti stavo aspettando".
Nella radura davanti a lui gli alberi si erano piegati a formare un
letto sul
quale era steso un bambino dal quale si irradiava quella luce. Rami
sottili
come fili di spago avvolgevano le sue braccia e penetravano nella sua
pelle.
Accanto al bambino, alla destra del letto, Brog stava fermo con lo
sguardo
perso nel vuoto. Dalla parte opposta un vecchio vestito con una tunica
azzurra
coperta da una lunga barba grigia lo osservava con attenzione.
"Benvenuto".
"Tu?".
"Mi riconosci?"
"Ghelefer, la tua abilità con la magia è famosa
in tutti i regni, così
come la tua malvagità".
Il vecchio fece un leggero inchino: "Tu mi onori"
"Tutto questo è opera tua?"
"Mi dispiace deluderti, ma non c'entro nulla. Non c'è nessun
piano
malvagio da sventare, solo lui", disse indicando il bambino
addormentato.
"Ci siamo già incontrati in passato, sai che non ti temo".
Heskel
spostò lo sguardo su Brog, il quale sembrava inconsapevole
della loro presenza.
"L'hai usato per attirarmi in trappola?"
"No, non in trappola!", il tono del mago sembrava quasi dispiaciuto
mentre con una mano accarezzava i capelli del bambino. "La sua mente
è
facile da raggiungere: gli ho solo chiesto di portarti qui
affinché tu potessi
vedere"
"Che cosa?"
"Lui", disse sfiorando la fronte pallida del ragazzino. "Non
l'hai ancora degnato di uno sguardo, ma è per lui che siamo
tutti qui".
Heskel decise di farlo parlare, provare a distrarlo. "Cosa intendi?",
chiese cominciando ad avvicinarsi.
Ghelefer fece finta di non notare il suo movimento: "Anch'io giunsi qua
per
mettere fine a ciò che stava sconvolgendo la foresta, la sua
avanzata
minacciava tutti noi"
"Parli al passato? Ci sta ancora minacciando!". Un altro passo.
"Ti sbagli. Voglio che tu capisca. Non ci misi molto a trovare la causa
di
questo fenomeno, emanava un'energia estremamente intensa, quasi
dolorosa per le
persone sensibili ad essa come me. E alla fine ho trovato lui"
"E chi sarebbe?".
La risposta gli bloccò il passo a metà: "Dio".
“Non quel dio", il mago si spostò lentamente
dietro la testa del letto.
"Ma il nostro: Il nostro dio addormentato".
Heskel stava per ribattere quando vide il volto del ragazzino come
vedeva il
proprio ogni volta che si guardava allo specchio. Ghelefer stesso
sembrava
straordinariamente simile a lui, come se entrambi fossero una sua
emanazione.
Gli mancò il fiato.
"Non è possibile"
"È la stessa cosa che ho detto io quando l'ho visto. Ma in
fondo è
confortante sapere di esistere per uno scopo..."
"Stai cercando di confondermi!"
"Non ne ho bisogno: mi sembri abbastanza confuso. Ma cerca di capire
cosa
sta succedendo".
Heskel inspirò profondamente, si rese conto con una punta di
panico che aveva
abbassato la propria spada, aveva aperto la guardia.
Risollevò la lama, deciso
a non lasciarsi sviare. "Perché sta dormendo?"
"Non lo so. Si è addormentato. È questo che ha
sconvolto la foresta: lui
dorme e la foresta si espande, copre ogni cosa, rende tutto uguale.
È la sua
mente a fare tutto ciò "
"È per questo? Dobbiamo svegliarlo immediatamente!".
Il mago gli lanciò un'occhiata raggelante: "Non deve
svegliarsi, non
conviene a nessuno"
"Sei veramente pazzo? Nessuno sopravviverà se questa foresta
mostruosa
ricoprirà tutto il mondo!"
"No! Qui ti sbagli!", Ghelefer si piegò sul letto, prendendo
la testa
del bambino tra le mani. "Questo dio crescerà, l'ho visto!
Noi siamo solo
una distrazione per lui, questo è il nostro scopo.
Probabilmente preferivo
restare nell'incertezza di quale fosse il mio".
Una luce di follia animava gli occhi dello stregone. Heskel
avanzò con cautela,
osservando quei rami che si infilavano sotto la pelle del bambino,
pompando
fluidi nelle sue vene. Capì cosa fare. "Non capisci?",
Heskel non
riusciva più a capire se stesse parlando a lui o ai fantasmi
della sua follia.
"Lui ci dimenticherà. Si trastullerà con noi e
poi ci abbandonerà in un angolo
della sua mente. È questo che vuoi? L'oblio? Il nostro dio
continuerà a dormire
e anche noi ci addormenteremo. Prima o poi lo faremo tutti.
Così resteremo per
sempre come siamo, non conosceremo mai l'oblio!"
"Sei pazzo, Ghelefer! Non ti lascerò trascinare tutto il
mondo in un sonno
eterno!".
Heskel si gettò verso il letto, mulinò la spada
contro quei rami sottili che
avvinghiavano il bambino. Al mago bastò un movimento delle
dita. Heskel sentì
qualcosa di invisibile colpirlo con la forza di un toro, si
trovò sollevato in
aria e scagliato a metri di distanza. Rotolò per terra e si
scontrò con un
albero. Aveva lasciato cadere la spada; fece una capriola da terra,
pronto a
scattare come una molla. Con una mossa fulminea estrasse un pugnale
dallo
stivale ma lo stregone urlò: "Lupo! Ora!".
Un enorme cane da pastore apparve dal nulla e gli azzannò il
braccio sinistro.
Heskel rotolò per terra mentre il cane cercava di squarciare
il suo bracciale
di cuoio per arrivare alla carne viva. Il suo muso era sporco di
sangue, i suoi
occhi offuscati da un'insana voglia di morte.
Ghelefer osservava la scena con un ghigno appena nascosto dalla sua
barba
grigia. Si avvicinò, sussurrò parole
incomprensibile mentre dalle sue dita
cominciavano a scaturire scintille. Aprì le mani e
liberò l'energia in un lampo
bianco, fulminando il cane e l'uomo. Heskel urlò mentre Lupo
si staccava da
lui, ridotto a un cadavere carbonizzato.
"Notevole". Il mago fissò con freddo occhio clinico
l'avventuriero
che cercava di rialzarsi, quindi scaricò un altro lampo su
di lui.
"È inutile", Ghelefer parlava ad alta voce per sovrastare le
urla di
Heskel e il crepitio del proprio incantesimo. Odiava parlare ad alta
voce.
"Non ti permetterò di rovinare l'unica occasione che abbiamo
di raggiungere
l'eternità! Non verrò mai gettato nell'oblio.
Rimarremo sempre quello che
siamo, mi senti? Sempre! Io il mostro, tu l'eroe fallito!".
Brog vide i lampi scaturire dalle mani dello stregone.
Spostò lo sguardo, quasi
accecato dalla luce. Cominciò solo allora a chiedersi cosa
stesse succedendo.
Vide il bambino disteso sul letto, sentì qualcosa
stringergli il cuore nel
vedere tutte le somiglianze tra il suo viso e il proprio. Gli sembrava
di
rivedersi da piccola, al lavoro con suo padre. Spostò il
piede e urtò la spada
di Heskel arrivata fino a lui. Si chinò a raccoglierla e nel
prenderla rivide
suo padre al lavoro con la pialla in mano. Suo padre lo
guardò con occhio
severo.
"Che succede? Perché piangi?"
"I bambini nel villaggio sono cattivi", non riusciva quasi a parlare,
le lacrime gli chiudevano il naso e gli velavano la vista. "Mi hanno
detto
che non posso giocare con loro, che sono stupido. Che sarò
sempre stupido
perché sono figlio di stupidi e sarò sempre
così"
"Vieni qui', suo padre lo prese sulle ginocchia, quelle ginocchia
enormi
sulle quali avrebbe potuto addormentarsi felice. "Non usare quella
parola:
sempre. Non esiste, è una parola stupida, e solo gli stupidi
la usano".
Brog annuì.
"Che stai facendo, idiota?". Ghelefer si era voltato verso di lui,
lasciando Heskel a terra, immobile, con un fumo sottile che saliva dai
suoi
vestiti.
Brog strinse la spada. La mano gli faceva un male d'inferno. "Non
voglio
essere stupido per sempre". E colpì.
*
Il bambino dormiva sul letto
d'ospedale. I fili delle flebo
e dei macchinari lo avvolgevano come liane. Accanto a lui sedeva una
donna, con
gli occhi fissi sulle sue palpebre chiuse nell'inutile speranza che
questo
servisse a fargliele aprire di nuovo. Lei abbassò
il capo, prese uno dei
fazzoletti e si asciugò una lacrima. Sentiva i rumori dei
macchinari che
monitoravano e regolavano le funzioni di quel piccolo corpo. Li
conosceva,
sapeva riconoscere i loro ticchettii, ormai sapeva anche prevederli.
Lei,
quelle macchine, quel bambino: da troppo tempo questo era diventato
tutto il
suo mondo.
I dottori avevano detto che era un vegetale, come se fosse un fiore, un
frutto
o un albero.
Sognano gli alberi? Il pensiero le attraversò il cervello
come una pallottola. Si
piegò in avanti, schiacciata dal dolore. Si assopiscono a
volte, nelle loro
esistenze profonde e silenziose? Si prese la testa tra le mani,
schiacciandosi
le tempie come se potesse soffocare quelle parole. E se fossero incubi,
chi
potrebbe vegliare su di loro?
Finalmente riuscì a controllare i singhiozzi e si
raddrizzò sulla sedia. Un
trillo improvviso proveniente dalla sua borsetta la scosse.
Osservò l'orologio
sul proprio polso che le ricordava che il suo tempo era finito e si
alzò. Si
allontanò dal letto, ma lei rimaneva sempre lì,
non importava dove fosse, lei
era sempre accanto a lui. Sempre.
Era sulla soglia della stanza quando le macchine emisero un rumore
nuovo, un
rumore che le avevano tenuto segreto per tutto quel tempo. Ma non fu
quello a
bloccarla, a farle cadere la borsa ai piedi. Fu un sussurro: "Mamma?"