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Autore: Sebastiano Theus    29/10/2012    1 recensioni
Sognano gli alberi? Dormono a volte, vicini gli uni agli altri quanto un battito di foglie, mentre una vita minuscola scorre sotto la loro corteccia? Quali sogni agitano le loro esistenze profonde e silenziose? E se fossero incubi, chi potrebbe vegliare su di loro?
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sognano gli alberi? Si assopiscono a volte, vicini gli uni agli altri quanto un battito di foglie, mentre una vita minuscola scorre sotto la loro corteccia? Quali sogni agitano le loro esistenze profonde e silenziose? E se fossero incubi, chi può vegliare sul loro sonno?

Accadde senza preavviso, avvicinandosi pian piano come una tempesta silenziosa.
Il primo giorno, Brog si alzò di buon mattino come al solito. Era abituato così fin da piccolo e non aveva mai neppure concepito l'idea di alzarsi dopo il sorgere del sole. A dire il vero, c'erano molte cose ben lontano dal concepire, tanto che nel villaggio erano soliti dire che la natura gli aveva dato in altezza ciò che gli aveva tolto in intelligenza.
Brog si alzò sulle gambe poderose, fece una rapida colazione e poi afferrò l'accetta per andare a prendere un po' di legna nella foresta. Uscì dalla porta nell'aria fredda del mattino, come sempre pensando che avrebbe dovuto alzare lo stipite di una decina di centimetri, e come sempre dimenticandosene poco dopo. Da dietro la legnaia gli si fece incontro un grosso cane da pastore, facendo le feste con gioia.
"Buono, Lupo! Buongiorno a te". Deve aver catturato un coniglio, pensò osservando il suo muso sporco di sangue.
"Resta qui mentre vado dalla Vecchia Signora, ok?". Lupo abbaiò e si mise seduto davanti alla porta.
Brog passò nella legnaia a prendere la carriola e ci caricò l'accetta. Guardò giù dalla collina dove sorgeva la sua casa, ma era ancora troppo buio per vedere il villaggio. Si girò e si avviò verso la Vecchia Signora.
Bro
g pensò che Vecchia Signora era un nome strano per una foresta, ma tutti la chiamavano così da sempre. Quel nome poi gli piaceva: ogni volta che andava a far legna si sentiva come il barbiere del villaggio; cercava di abbattere solo alberi già morti per non farle male. In pochi lo avrebbero creduto capace di un simile sforzo d’immaginazione.
Arrivò ai primi alberi dopo circa un'ora di cammino. Mise giù la carriola e afferrò l'accetta, illuminata dai primi raggi di sole. Fece qualche passo nel sottobosco, poi si fermò perplesso: ricordava d'aver visto un albero morto esattamente in quel punto, ma ora non ce n'era traccia, tutti gli alberi sembravano robusti e in buona salute. Temendo di essersi spostato in là senza rendersene conto, provò a camminare un po' per ritrovare l'orientamento.
Più camminava, più la sua perplessità cresceva: gli alberi sembravano uguali gli uni agli altri. Brog si accorse improvvisamente del silenzio che avvolgeva l'intera foresta, rotto solo dal gemito del vento. Scosse la testa cercando di scacciare quelle strane sensazioni, quindi afferrò saldamente l'accetta e si fermò davanti all'albero più vicino. Sussurrò una serie di scuse verso la Vecchia Signora e colpì. Il contraccolpo gli scosse le braccia fino alle spalle. Osservò sorpreso il tronco dell'albero: lo aveva appena scalfito.
"Sei duro".
Continuò a colpirlo per tutta la mattina, dando fondo a tutte le proprie energie. Alla fine si appoggiò stremato al tronco. Aveva raccolto legna per appena una giornata, l'albero aveva perso solo il primo strato di corteccia, la sua accetta era tutta scheggiata.
Brog tornò a casa, la testa piena di dubbi a cui non sapeva dare forma. Lavorò con la cote tutto il pomeriggio per aggiustare la lama, mentre Lupo scodinzolava accanto a lui.

Il secondo giorno, Brog si alzò di buon'ora. Salutò Lupo e si preparò a passare l’intera giornata nella foresta a spaccare legna.
Uscì nell'aria gelida del mattino e si diresse verso la foresta.
Questa volta impiegò mezz'ora in meno ad arrivare alla Vecchia Signora. Si stupì di aver camminato così in fretta, ma non stette molto a pensarci. Sempre con una parola di scuse sulle labbra, cominciò a colpire un albero con tutta la propria forza. La lama rimbalzò contro la corteccia senza produrre nessun effetto. Brog fece una smorfia e colpì con maggiore violenza. Dopo qualche minuto ancora si fermò a guardare incredulo il tronco dell'albero: non un graffio, non un segno.
Il suo respiro affannato era tutto ciò che riusciva a sentire nella foresta. Gli alberi erano immobili, eppure Brog aveva l'impressione che gli si stessero chiudendo attorno.
"Questo è impossibile". Lui digrignò i denti per la rabbia. "Questo è stupido!".
Sollevò l'accetta sopra la propria testa e la abbatté sul legno con tutta la propria forza e la propria frustrazione. La lama si spezzò con uno schianto. Fece appena in tempo a coprirsi il volto con le mani, una scheggia di metallo gli trafisse il palmo sinistro. Si piegò in avanti, trattenendo a stento un grido di dolore. Con la vista offuscata vide la scheggia conficcata nel mezzo della propria mano. Sforzandosi di non sussultare, la afferrò con i denti e la strappò via, quindi stracciò una manica della camicia e si fasciò la ferita.
In tutto questo, l'albero si ergeva dritto, intatto, le rughe del suo tronco piegate quasi in un ghigno.
Brog non riusciva a capire. Ancora scosso dai singhiozzi, raccolse i resti della propria accetta e si avviò verso casa. Doveva essere colpa dell'accetta, pensò lungo la via del ritorno: decise di scendere al villaggio il giorno dopo e comprarne una nuova.
Arrivato davanti a casa, cercò con lo sguardo il proprio cane. Stava per chiamarlo quando quello comparve di nuovo da dietro la legnaia. Rimase fermo sulle quattro zampe, a fissarlo con gli occhi eccitati, quindi scomparve di corsa, come se inseguisse qualcosa. Un altro coniglio, probabilmente.
Lui entrò in casa e si stese sul letto. La mano pulsava dolorosamente, la testa gli pesava, le palpebre gli si chiusero senza che se ne accorgesse.

Brog si svegliò all'alba del terzo giorno.
Si sentiva nervoso: non aveva mai dormito così a lungo. Cercò di alzarsi appoggiandosi senza pensare alla mano sinistra, ma ricadde con un grido. La mano fasciata gli faceva un male d'inferno. Facendo più attenzione si sollevò in piedi sorreggendosi con l'altra. Fece in tempo a fare qualche passo prima di inciampare e finire per terra. Si girò a fissare incredulo che cosa l'aveva fatto cadere: una radice aveva sfondato il pavimento, alzandosi in verticale per qualche centimetro per poi piegare verso il basso con l'estremità libera, quasi come un uncino.
Brog si rimise in piedi, stando a stento in equilibrio per il dolore, poi andò ad aprire la porta. Per un attimo rimase immobile sulla soglia a chiedersi chi poteva avere inchiodato delle assi davanti a casa sua. Poi notò le foglie che sporgevano da quelle assi, il modo in cui queste ultime si intrecciavano l'una nell'altra senza lasciare alcuno spazio, le rughe profonde sulla loro superficie.
Le toccò lentamente con la mano sana, sentendole umide e pulsanti sotto la pelle.
"Rami?".
Ogni tanto si sentiva un rumore all'esterno delle pareti, come se qualcosa strisciasse sopra di esse, qualcosa di profondo, lento e paziente. D'un tratto gli venne in mente il proprio cane. Lo chiamò a gran voce per diversi minuti, ma non gli giunse risposta.
In quel momento, Brog capì di avere un problema.

*

Un mese dopo, un cavaliere con spada e corpetto di cuoio venne visto percorrere al galoppo la vecchia Strada del Re, inoltrandosi nella foresta. I rami e le radici si protendevano ovunque in ogni direzione rendendo quel percorso pericoloso anche per i cavalli più robusti. Il cavaliere si fermò vicino ai ruderi di una torre d'osservazione: gli alberi erano penetrati tra le pietre, spaccando il cemento e sollevando quintali di calce. Da una delle finestre spuntava un ramo ricurvo, come una grottesca lingua di fiamma. Due mesi prima il cavaliere era stato costretto a fermarsi a quella torre d'osservazione, con i soldati che lo fissavano con sospetto, per poi finire ad ubriacarsi con tutti loro. Ora tra le rovine regnava il silenzio più assoluto. Diede di sproni e ripartì.
Uscì dalla foresta qualche ora dopo, scorgendo in lontananza un villaggio. Dalle condizioni precarie di quelle costruzioni, pensò che si dovevano essere spostati già molte volte da quando la Vecchia Signora aveva cominciato ad espandersi. Diverse persone si raggrupparono al suo passaggio e gli vennero incontro capeggiati da un vecchio con una benda sull'occhio destro e pochi capelli chiari.
"Fermo viaggiatore. Chi sei, cosa ti porta qui?".
Lui frenò a pochi metri da loro, tirando con abilità le redini del cavallo. "Il mio nome è Heskel, vecchio. Sono qui per risolvere il problema della Vecchia Signora".
A quelle parole si levò un immediato brusio dalla folla. Il vecchio girò il capo con un sorriso di scherno verso i suoi compaesani. Quindi, rivolto al cavaliere, disse: "E cosa vi fa pensare di riuscirci? Non troverete nessuna fanciulla da salvare in mezzo a quegli alberi, nessuna torre oscura a minacciarci con la sua ombra. Non abbiamo bisogno di un altro sedicente eroe buono a nulla".
Il cavaliere estrasse la spada dal fodero con tanta velocità che tutti videro solo un lampo argenteo nelle sue mani. "Frena la lingua! Ho combattuto da Niveria fino alle torri di Astaria, dai mari del nord ai monti di Helger. Puoi dire lo stesso di te, capelli bianchi?".
Vedendo la punta dell'arma rivolta su di sé, quello indietreggiò istintivamente con un grido, ma si ritrovò spinto in avanti dai suoi compaesani. Tossicchiò cercando di riprendersi dallo spavento.
"Vi chiedo scusa, nobile signore. Cercate di capirci, siamo in fuga da un mese ormai, siamo allo stremo delle forze"
"Scuse accettate. Conducete il mio cavallo in un posto dove possa riposare"
"Naturalmente. Potete venire con me: immagino avrete molte domande".

Heskel afferrò la coscia di pollo e strappò un morso senza badare al grasso che gli colò sulle dita e sul collo.
"Fate come se foste a casa vostra".
Heskel finì di bere e picchiò il bicchiere sul tavolo con un lungo sospiro di soddisfazione.
Il vecchio lo prese come un segnale: "Davvero siete qui per risolvere il nostro problema?"
"Non è il -vostro- problema: quello che sta accadendo qui minaccia tutti i Regni Centrali", Heskel finì di succhiarsi le dita unte e poi lo fissò a lungo negli occhi: "E sì, sono venuto a risolvere il problema"
"Sapete quante volte ho già sentito questa frase prima di voi?"
"No. Ditemelo, è importante"
"Ce ne sono stati altri quattro prima di voi. Tutti giovani e baldanzosi. Sono entrati nella foresta e non sono più tornati", sospirò guardando verso la porta della capanna: "È un mese che scappiamo".
"Ricordate i loro nomi?"
"No, a che serve? Forse uno, mi sembra si chiamasse Mika. Un uomo grosso, scuro, con la testa quadrata"
"Lo conosco. Abbiamo passati diversi anni assieme sotto le armi".
Il vecchio annuì lentamente: "be', adesso è scomparso, come gli altri".
Questa volta fu Heskel ad annuire: "Voi siete stati i primi ad essere entrati in contatto con... La calamità. Com'è iniziata?"
"Calamità? Non c'è nulla di naturale in quello che sta accadendo! Il nostro villaggio è stato invaso in una notte. Una! E la chiamate calamità!".
Heskel rimase impassibile. "Com'è iniziata?".
L'altro si lasciò cadere sulla sedia: "Nessuno lo sa. Non c'è stato nessun presagio. Solo la terra che si muoveva, le radici che spuntavano dalle rocce, fiori che spaccavano i pavimenti come una grottesca primavera. Per fortuna abbiamo fatto in tempo a scappare"
"Siete scappati tutti?"
"No, in effetti: c'era un uomo che viveva fuori dal nostro villaggio ai piedi della foresta. Nessuno l'ha più visto. Non era molto furbo, ma era un brav'uomo, mi dispiace per lui. Si chiamava Brog"
"Quindi viveva più vicino di tutti voi alla foresta? Potrebbe sapere qualcosa".
L'altro si strinse nelle spalle: "Chi lo sa. Ormai è scomparso da più di un mese".
Heskel abbassò il capo e rimase pensieroso per un po'. Poi alzò lo sguardo verso il vecchio: "Asce e fuoco sono stati inutili, vero?"
"Vero. Ho visto l'acciaio spezzarsi contro il tronco di quegli alberi. Nessun fuoco dura più di qualche secondo. È la fine".
Heskel rise con voce ruvida: "Sapete quante volte ho sentito questa frase, prima di voi?"
"No. È importante?"
"No, l'importante è che sono ancora qui". Detto ciò si alzò e si diresse verso l'uscita della capanna.
"Aspettate! Dove state andando?"
"Nella foresta. Vi affido il mio cavallo. Indicatemi la direzione per il vostro vecchio villaggio".
 
Heskel camminò per un giorno procedendo verso nord. A mezzogiorno, superata una collina, vide in basso gli alberi della Vecchia Signora. Le radici spuntavano ovunque, dalla terra o dalla roccia più dura. Heskel individuò quello che doveva essere stato il letto di un fiume, ora completamente prosciugato. Saltò tra i sassi evitando le radici, poi si addentrò nel sottobosco tenendo una mano sull'elsa della spada. I suoi piedi affondavano nel terreno, ogni suo rumore si amplificava enormemente nel silenzio assoluto che regnava attorno a lui. C'era freddo sotto l'ombra di quegli alberi: vedeva il suo fiato condensarsi mentre procedeva il suo cammino. Gli alberi non somigliavano a nulla che avesse già visto. Non erano querce, pini o pioppi. Erano identici l’uno all’altro, rugosi, contorti e scuri nella corteccia e nelle foglie.
"Sognano gli alberi?".
Le parole gli attraversarono la mente come una freccia, pronunciate con una voce non sua, una voce di donna. Lui impugnò la spada con un guizzo, girò su se stesso cercando tra le foglie che gli chiudevano la vista.
"Chi ha parlato? Fatti vedere!".
Un movimento leggero, un'ombra comparve e scomparve tra i rami. Heskel si gettò dietro l'albero dove aveva visto l'apparizione, ma non c'era nulla. Poi rivide lo stesso movimento, dietro un altro tronco. Lui scattò di nuovo, ma girato l'ostacolo si paralizzò per la sorpresa: davanti a lui gli alberi avvolgevano una casa intrecciandosi davanti alla porta e alle finestre. Sembrava che si muovessero piano, soffocando lentamente la costruzione.
Heskel si avvicinò chiedendosi perché al villaggio non gli avevano parlato di una casa così vicina. Si fermò davanti alla porta: i rami si intrecciavano senza lasciare nessuno spazio. Provò a menare un fendente contro di loro, ma non ottenne nessun risultato. Vicino c'era un'altra piccola costruzione non ancora avvolta dagli alberi, piena di un gran numero di attrezzi ammucchiati alla rinfusa. Heskel prese un piccone e poi tornò verso la casa. Si fermò davanti a una parete non del tutto coperta dai rami, quindi cominciò a colpire le assi, aprendosi in breve un passaggio abbastanza largo. Accese una delle torce che portava nello zaino ed entrò.
L'interno puzzava di muffa. La polvere cominciò a sollevarsi e volteggiare nell'aria mentre Heskel passava accanto al tavolo, all'armadio, alle pentole. Accanto al camino c'era quel che restava di un'accetta spezzata. si voltò, la luce della torcia illuminò un letto e un uomo enorme disteso sopra di esso. D’un tratto quello si mosse e bofonchiò qualcosa inspirando sonoramente. Heskel si domandò se poteva davvero essere addormentato. Da quanto tempo era lì? I muscoli poderosi non lasciavano pensare che stesse soffrendo la fame. La sua perplessità crebbe vedendo la polvere che rivestiva i suoi abiti e i suoi capelli. Afferrò l'uomo per una spalla e lo scosse con decisione.
Quello si agitò, si voltò di scatto con gli occhi spalancati per lo spavento. Dopo qualche istante, L'uomo si mise a sedere asciugandosi un filo di bava che gli era colato dalla bocca. Aveva la mano sinistra fasciata.
"Chi sei?", gli chiese.
Quello lo osservò, ancora intontito dal sonno: "Io? Brog. E tu? È casa mia!"
"Brog? Non è possibile, non posso essere già arrivato così lontano".
Il gigante gli lanciò un'occhiata perplessa.
"Da quanto tempo sei qui?".
"Non lo so. Avevo sonno: ho dormito. "
"Per un mese?"
"Nessuno dorme per un mese, è stupido".
Heskel faceva di tutto per stare lontano da quelle braccia spesse come colonne.
"Cosa ti sei fatto alla mano?".
Brog si portò la mano sinistra davanti agli occhi. Attraverso le bende si vedeva la carne gonfia e gialla: "Mi sono ferito tagliando legna. È colpa dell'accetta, non degli alberi: era fatta male, si è rotta"
"Ti fa male?"
"prima sì, ora meno. Tu chi sei?"
"Mi chiamo Heskel. La foresta sta male, sto cercando di aiutarla".
Brog sembrò agitarsi all'improvviso: "La Vecchia Signora?"
"Sì. Sai qualcosa di quello che è successo?"
"No, io non so niente di importante"
"Pensaci, qualsiasi cosa può essere utile"
"Non so nulla, io sto sempre qui con Lupo"
"chi è Lupo?"
"Il mio cane. L'hai visto?"
"No"
"Devo cercare il mio cane". Brog fece per uscire senza più badare ad Heskel, quando d'un tratto si fermò e si voltò verso di lui: "C’è un posto. È strano, ti ci porto. Forse Lupo è là"
"Benissimo. Fammi strada".
Uscirono, Heskel dietro sempre con la spada in mano. Brog aveva preso una direzione con passo deciso, senza degnare gli alberi di un solo sguardo. Non aveva un'aria molto intelligente, ma nei suoi movimenti sembrava quasi un sonnambulo.
Il sentiero era sempre più impervio: gli alberi si avvicinavano gli uni agli altri avvolgendo i propri tronchi in strette spirali. Infine, tra gli alberi si aprì una piccola radura invasa da una strana luminescenza.
Brog indicò davanti a loro: "È qui".
Heskel avanzò con la spada in pugno, pronto a reagire ad ogni evenienza. Urtò qualcosa alla sua sinistra. Abbassò lo sguardo e vide un uomo steso a terra, quasi del tutto coperto dall'erba. Heskel si chinò su di lui e gli prese il polso: non era morto, sembrava addormentato.
"Benvenuto, ti stavo aspettando".
Nella radura davanti a lui gli alberi si erano piegati a formare un letto sul quale era steso un bambino dal quale si irradiava quella luce. Rami sottili come fili di spago avvolgevano le sue braccia e penetravano nella sua pelle. Accanto al bambino, alla destra del letto, Brog stava fermo con lo sguardo perso nel vuoto. Dalla parte opposta un vecchio vestito con una tunica azzurra coperta da una lunga barba grigia lo osservava con attenzione. "Benvenuto".
"Tu?".
"Mi riconosci?"
"Ghelefer, la tua abilità con la magia è famosa in tutti i regni, così come la tua malvagità".
Il vecchio fece un leggero inchino: "Tu mi onori"
"Tutto questo è opera tua?"
"Mi dispiace deluderti, ma non c'entro nulla. Non c'è nessun piano malvagio da sventare, solo lui", disse indicando il bambino addormentato.
"Ci siamo già incontrati in passato, sai che non ti temo". Heskel spostò lo sguardo su Brog, il quale sembrava inconsapevole della loro presenza. "L'hai usato per attirarmi in trappola?"
"No, non in trappola!", il tono del mago sembrava quasi dispiaciuto mentre con una mano accarezzava i capelli del bambino. "La sua mente è facile da raggiungere: gli ho solo chiesto di portarti qui affinché tu potessi vedere"
"Che cosa?"
"Lui", disse sfiorando la fronte pallida del ragazzino. "Non l'hai ancora degnato di uno sguardo, ma è per lui che siamo tutti qui".
Heskel decise di farlo parlare, provare a distrarlo. "Cosa intendi?", chiese cominciando ad avvicinarsi.
Ghelefer fece finta di non notare il suo movimento: "Anch'io giunsi qua per mettere fine a ciò che stava sconvolgendo la foresta, la sua avanzata minacciava tutti noi"
"Parli al passato? Ci sta ancora minacciando!". Un altro passo.
"Ti sbagli. Voglio che tu capisca. Non ci misi molto a trovare la causa di questo fenomeno, emanava un'energia estremamente intensa, quasi dolorosa per le persone sensibili ad essa come me. E alla fine ho trovato lui"
"E chi sarebbe?".
La risposta gli bloccò il passo a metà: "Dio".
“Non quel dio", il mago si spostò lentamente dietro la testa del letto. "Ma il nostro: Il nostro dio addormentato".
Heskel stava per ribattere quando vide il volto del ragazzino come vedeva il proprio ogni volta che si guardava allo specchio. Ghelefer stesso sembrava straordinariamente simile a lui, come se entrambi fossero una sua emanazione. Gli mancò il fiato.
"Non è possibile"
"È la stessa cosa che ho detto io quando l'ho visto. Ma in fondo è confortante sapere di esistere per uno scopo..."
"Stai cercando di confondermi!"
"Non ne ho bisogno: mi sembri abbastanza confuso. Ma cerca di capire cosa sta succedendo".
Heskel inspirò profondamente, si rese conto con una punta di panico che aveva abbassato la propria spada, aveva aperto la guardia. Risollevò la lama, deciso a non lasciarsi sviare. "Perché sta dormendo?"
"Non lo so. Si è addormentato. È questo che ha sconvolto la foresta: lui dorme e la foresta si espande, copre ogni cosa, rende tutto uguale. È la sua mente a fare tutto ciò "
"È per questo? Dobbiamo svegliarlo immediatamente!".
Il mago gli lanciò un'occhiata raggelante: "Non deve svegliarsi, non conviene a nessuno"
"Sei veramente pazzo? Nessuno sopravviverà se questa foresta mostruosa ricoprirà tutto il mondo!"
"No! Qui ti sbagli!", Ghelefer si piegò sul letto, prendendo la testa del bambino tra le mani. "Questo dio crescerà, l'ho visto! Noi siamo solo una distrazione per lui, questo è il nostro scopo. Probabilmente preferivo restare nell'incertezza di quale fosse il mio".
Una luce di follia animava gli occhi dello stregone. Heskel avanzò con cautela, osservando quei rami che si infilavano sotto la pelle del bambino, pompando fluidi nelle sue vene. Capì cosa fare. "Non capisci?", Heskel non riusciva più a capire se stesse parlando a lui o ai fantasmi della sua follia. "Lui ci dimenticherà. Si trastullerà con noi e poi ci abbandonerà in un angolo della sua mente. È questo che vuoi? L'oblio? Il nostro dio continuerà a dormire e anche noi ci addormenteremo. Prima o poi lo faremo tutti. Così resteremo per sempre come siamo, non conosceremo mai l'oblio!"
"Sei pazzo, Ghelefer! Non ti lascerò trascinare tutto il mondo in un sonno eterno!".
Heskel si gettò verso il letto, mulinò la spada contro quei rami sottili che avvinghiavano il bambino. Al mago bastò un movimento delle dita. Heskel sentì qualcosa di invisibile colpirlo con la forza di un toro, si trovò sollevato in aria e scagliato a metri di distanza. Rotolò per terra e si scontrò con un albero. Aveva lasciato cadere la spada; fece una capriola da terra, pronto a scattare come una molla. Con una mossa fulminea estrasse un pugnale dallo stivale ma lo stregone urlò: "Lupo! Ora!".
Un enorme cane da pastore apparve dal nulla e gli azzannò il braccio sinistro. Heskel rotolò per terra mentre il cane cercava di squarciare il suo bracciale di cuoio per arrivare alla carne viva. Il suo muso era sporco di sangue, i suoi occhi offuscati da un'insana voglia di morte.
Ghelefer osservava la scena con un ghigno appena nascosto dalla sua barba grigia. Si avvicinò, sussurrò parole incomprensibile mentre dalle sue dita cominciavano a scaturire scintille. Aprì le mani e liberò l'energia in un lampo bianco, fulminando il cane e l'uomo. Heskel urlò mentre Lupo si staccava da lui, ridotto a un cadavere carbonizzato.
"Notevole". Il mago fissò con freddo occhio clinico l'avventuriero che cercava di rialzarsi, quindi scaricò un altro lampo su di lui.
"È inutile", Ghelefer parlava ad alta voce per sovrastare le urla di Heskel e il crepitio del proprio incantesimo. Odiava parlare ad alta voce. "Non ti permetterò di rovinare l'unica occasione che abbiamo di raggiungere l'eternità! Non verrò mai gettato nell'oblio. Rimarremo sempre quello che siamo, mi senti? Sempre! Io il mostro, tu l'eroe fallito!".
Brog vide i lampi scaturire dalle mani dello stregone. Spostò lo sguardo, quasi accecato dalla luce. Cominciò solo allora a chiedersi cosa stesse succedendo. Vide il bambino disteso sul letto, sentì qualcosa stringergli il cuore nel vedere tutte le somiglianze tra il suo viso e il proprio. Gli sembrava di rivedersi da piccola, al lavoro con suo padre. Spostò il piede e urtò la spada di Heskel arrivata fino a lui. Si chinò a raccoglierla e nel prenderla rivide suo padre al lavoro con la pialla in mano. Suo padre lo guardò con occhio severo.
"Che succede? Perché piangi?"
"I bambini nel villaggio sono cattivi", non riusciva quasi a parlare, le lacrime gli chiudevano il naso e gli velavano la vista. "Mi hanno detto che non posso giocare con loro, che sono stupido. Che sarò sempre stupido perché sono figlio di stupidi e sarò sempre così"
"Vieni qui', suo padre lo prese sulle ginocchia, quelle ginocchia enormi sulle quali avrebbe potuto addormentarsi felice. "Non usare quella parola: sempre. Non esiste, è una parola stupida, e solo gli stupidi la usano". Brog annuì.
"Che stai facendo, idiota?". Ghelefer si era voltato verso di lui, lasciando Heskel a terra, immobile, con un fumo sottile che saliva dai suoi vestiti.
Brog strinse la spada. La mano gli faceva un male d'inferno. "Non voglio essere stupido per sempre". E colpì.

*

Il bambino dormiva sul letto d'ospedale. I fili delle flebo e dei macchinari lo avvolgevano come liane. Accanto a lui sedeva una donna, con gli occhi fissi sulle sue palpebre chiuse nell'inutile speranza che questo  servisse a fargliele aprire di nuovo. Lei abbassò il capo, prese uno dei fazzoletti e si asciugò una lacrima. Sentiva i rumori dei macchinari che monitoravano e regolavano le funzioni di quel piccolo corpo. Li conosceva, sapeva riconoscere i loro ticchettii, ormai sapeva anche prevederli. Lei, quelle macchine, quel bambino: da troppo tempo questo era diventato tutto il suo mondo.
I dottori avevano detto che era un vegetale, come se fosse un fiore, un frutto o un albero.
Sognano gli alberi? Il pensiero le attraversò il cervello come una pallottola. Si piegò in avanti, schiacciata dal dolore. Si assopiscono a volte, nelle loro esistenze profonde e silenziose? Si prese la testa tra le mani, schiacciandosi le tempie come se potesse soffocare quelle parole. E se fossero incubi, chi potrebbe vegliare su di loro?
Finalmente riuscì a controllare i singhiozzi e si raddrizzò sulla sedia. Un trillo improvviso proveniente dalla sua borsetta la scosse. Osservò l'orologio sul proprio polso che le ricordava che il suo tempo era finito e si alzò. Si allontanò dal letto, ma lei rimaneva sempre lì, non importava dove fosse, lei era sempre accanto a lui. Sempre.
Era sulla soglia della stanza quando le macchine emisero un rumore nuovo, un rumore che le avevano tenuto segreto per tutto quel tempo. Ma non fu quello a bloccarla, a farle cadere la borsa ai piedi. Fu un sussurro: "Mamma?"

  
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