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Autore: miss moonlight    29/10/2012    10 recensioni
Marzio Chiba è il tipico ragazzo ribelle, conosciuto per le sue “bravate” e sempre sulla bocca di tutti. Leader del suo gruppo di amici, è l’unico che con la sua freddezza e calma riesce di tanto in tanto a tenerli a bada. Le mattine, i pomeriggi e le serate, scorrono con la loro monotonia caratterizzati dal mancato dialogo con il padre. Tutto cambia con l’arrivo di Bunny che, con la sua determinazione e la sua bontà incondizionata, mette Marzio difronte alla realtà e alle conseguenze dei suoi comportamenti. Marzio si ritroverà spesso a scoprire un nuovo mondo, il mondo di Bunny, fin quando i due non si troveranno coinvolti in una serie di situazioni che li porterà ad innamorarsi. Ma il lieto fine per i due è ancora lontano…
Due persone e due mondi a confronto, il tutto unito dalla magia che solo un sentimento potente può creare.
ATTENZIONE: Fanfic narrata dal punto di vista di Mamoru. Personaggi OOC!
Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale. I fatti narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autrice.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Prima di lasciarvi alla lettura, mi scuso con tutti voi per il tempo trascorso dall'ultimo aggiornamento. Questo capitolo l'ho scritto a partire da metà Luglio e presa dalla bellezza dell'estate e la libertà post-maturità non mi sono accorta del tempo che passava. Non ho intenzione di abbandonare la mia piccola "creatura", non temete!
Troverete questo capitolo più lungo rispetto gli altri e spero possa coinvolgervi quanto i precedenti.





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Il luogo in cui mi trovavo brillava d’argento e quel colore bastava a illuminare ciò che mi circondava. La sabbia pungeva appena sotto i miei piedi, sui quali si imbattevano deboli onde.
Il cielo immenso sembrava un tutt’uno con la grande distesa d’acqua, riconoscibile dalle piccole increspature. Nessun orizzonte visibile, solo l’infinito davanti a me e il tempo che sembrava non esistere.
Camminavo lungo la costa, non avevo una destinazione, avanzavo seguendo i raggi che emanava la luna, la mia stella polare in quella notte scura. Ignoravo dove mi avrebbe portato, ma continuavo ad avanzare mentre si faceva strada dentro me la sensazione che vi fosse qualcosa, qualcuno da raggiungere.
Improvvisamente mi arrestai e mi voltai dalla parte opposta, attirato da risate, dalle fiamme arancioni che giocavano con il vento. Riconobbi le scure sagome di Seiya e Rea che contrastavano la luce arancione del fuoco, troppo forte in confronto all’argento del bagliore lunare.
Erano loro che stavo cercando?
Mossi un passo nella direzione opposta rispetto a quella che avevo seguito fino a quel momento, ma un rumore mi fece fermare ancora.
Cos’era stato, un fruscio? Altre onde che si infrangevano.
Non so bene perché, ma la prima volta che la vidi in quel posto le davo le spalle. Sapevo che era dietro di me e la sentì muovere i suoi capelli. Non so come, ma senza vederla avevo già intuito i suoi capelli biondi, i suoi occhi chiari, ed ero certo che appena mi sarei girato avrei visto il suo sorriso.
Mi voltai e guardai il suo corpo leggero, la sua veste bianca mossa dal vento, lo stesso che continuava ad accarezzarle i fili dorati che le incorniciavano il volto.
Riconobbi Lei.
- Vieni con me…- mi disse soavemente, offrendomi una mano.

Allungai la mia verso la sua per afferrarla, preoccupato improvvisamente che potessi perderla ancora in quello spazio senza fine, ma nel momento in cui ero riuscito a sfiorarla, mi sentii trattenere per la spalla, poi per il braccio.
Mi volsi appena per notare che i miei due amici mi avevano raggiunto, la stretta di Rea al mio arto sembrava ferrea, il peso della mano di Seiya mi inchiodava a terra.

- Marzio, vieni.-  e più continuava a chiamare il mio nome, più arretrava svanendo lentamente.

-Marzio…-


Aspetta!
Un grido che rimase muto nella mia gola.
 
 
-Marzio…Marzio! Ancora a dormire? Vuoi svegliarti sì o no? –
Un sogno. Era solo un sogno.
Lo capii non appena la mia camera fu inondata dalla luce del sole.
- Ma guarda un po’, ho chiesto di non farti svegliare questa mattina ma non puoi dormire tutto il giorno…-
Grugnì qualcosa di incomprensibile contro mia sorella.
- Sai che ore sono? Le due del pomeriggio.- dichiarò per cercare di smuovermi dal mio torpore. Volevo che sparisse dalla mia stanza ed invece venne a togliermi il guanciale dal viso con uno strattone.
Mi stropicciai gli occhi, cercando di mettere a fuoco qualcosa.
– Marta… va via.- dissi con la voce impastata dal sonno. Mi pentii di essermi toccato il viso quando sentii del dolore. Dovevano essere i lividi della sera prima.
- Non vorrai passare tutta la giornata a poltrire, vero?-
Le lanciai un’occhiataccia nonostante il suo tono divertito. – Perché non mi hai fatto chiamare? Dovevo andare a scuola oggi…-
Rise : – Sei diventato uno studente modello?-
Non voler perdere ancora un altro anno scolastico, significava diventare uno studente modello?
- Comunque, cambierai idea quando ti guarderai allo specchio. La testa come va? – mi chiese osservandomi.
-Solo un lieve senso di stordimento.- Sbadigliai e sgranchii le ossa con movimenti cauti. Almeno quelle erano apposto.
- Bene, perché devo parlarti! – esclamò decisa sedendosi sul fianco del letto.
- Riguardo a…- la invitai a parlare.
- Riguardo a ieri sera! Qualcuno deve pur farti la predica.- affermò ed io la scrutai incredulo. Non era mai successo prima da allora che Marta volesse rimproverarmi per questo tipo di aneddoti, era sempre stata tollerante. Lei era mia complice e mi aiutava a mantenere segrete certe situazioni ai miei genitori.
- No, ti prego! Tu non puoi farmi questo! – dissi sospettoso alzandomi dal letto dalla parte opposta in cui era seduta. Andai a prendere dall’armadio qualcosa da mettere.
- Sono tua sorella maggiore e devo farlo! - iniziai a fischiettare per non ascoltarla. Continuò come se niente fosse: - La causa scatenante di tutto quel macello ieri è stata solo una. -
Vero. La mia testa calda. – Lo so già, non c’è bisogno che anche tu…-
- Allora perché continui a portarla fuori? Ok, ti piace e a me no, ma non è la prima volta che con i suoi atteggiamenti stupidi ti mette nei pasticci. – non mi lasciò terminare e capii solo dopo le sue parole che stavo ragionando in modo diverso dal suo. Mi voltai a guardarla con i jeans in mano:
- Di cosa stiamo parlando, scusa? –
Portò le mani a sistemare il suo immancabile fiocco rosso tra i capelli: - La domanda esatta è “ di chi stiamo parlando?”- mi osservò aspettando che cogliessi qualcosa. – Mi riferisco a Rea! Stai ancora dormendo, affrontiamo questo discorso più tardi. –
Buttai i jeans sul letto e sbattei l’anta dell’armadio: - No, Marta! Parliamone ora, così ti toglierai questo pensiero anche tu. Anche Moran mi ha detto come la pensa, ora tocca a te! – sbottai furioso – Avanti, dimmi di quanto lei sia possessiva nei miei confronti, di come cerca di attirare in tutti i modi la mia attenzione! – avevo alzato la voce, ma non mi importava – Credi che non lo sappia? E’ il suo modo d’amarmi, ci frequentiamo e…-
- Questa storia va avanti da troppo tempo Marzio, non puoi definirla ancora “fase di frequentazione”. – mi fermò. La sua voce calma contrastava la mia, dura e forte. – Non ne sei innamorato, l’amore non riduce così una persona.- riassunse infine puntando ai segni sul mio volto.
- Tu che ne sai? – le chiesi riprendendo le cose che mi occorrevano per cambiarmi. Non volevo portare avanti quella conversazione a lungo.
- Ti guardo e vedo che tutto ciò non ti fa star bene. Forse potresti incontrare nuove persone, uscire con qualche ragazza diversa, ti posso presentare qualche mia amica… - benissimo, ora cercava anche di combinarmi gli incontri.
Scossi la testa: - Oppure potrei andarmene in America per qualche mese con la speranza di tornare e trovare le cose risolte ed al loro posto, vero? -
In un primo momento, le mie parole la pietrificarono, poi rispose più duramente : - La mia storia non era la stessa cosa.-
- Ma è andata così!- non le diedi neanche il tempo di rispondermi. Uscì dalla stanza furioso, sbattendo la porta e lei non provò a seguirmi.
In bagno rimasi parecchi minuti a contemplare il mio volto davanti allo specchio. L’occhio sinistro era circondato da un livido violaceo, il labbro inferiore era gonfio verso l’estremità sinistra e le escoriazioni su di esso sembravano confluire nel rossore sulla guancia costernata da piccoli graffi… ed erano solo i segni più visibili.
L’immagine riflessa era come quella di un mostro raffigurato spesso nei fumetti e iniziai a sentirmi tale per come mi ero comportato con mia sorella. Le ultime parole che avevo pronunciato, mosso dalla rabbia, l’avevano ferita.
Non lo avevo fatto intenzionalmente, ero solamente frastornato da tutto ciò che era accaduto la sera prima e che aveva messo sotto una luce diversa tante cose. Mi sarei scusato con lei non appena fosse svanito ogni briciolo di rancore.
“L’amore non riduce così”, mi aveva fatto notare, risvegliando le conclusioni a cui ero arrivato la notte precedente. Sentivo di dover dare una svolta alla mia storia con Rea, ero stanco di quella situazione, di quelle abitudini.
Per quanto ne sapevo, l’amore poteva portare a risultati peggiori. Lo avevo visto tante volte con i miei coetanei e anche con persone più adulte.
È statisticamente provato che gli omicidi e i suicidi più frequenti sono quelli scaturiti da motivi passionali. Gelosia, sentimenti non corrisposti, passioni che diventano ossessioni, a volte portano inevitabilmente alla distruzione.
E per quel che mi riguardava, qualche livido non era niente di grave. Ancora una volta mi sarei leccato le ferite da solo poi mi sarei rialzato più forte di prima a testa alta e spalle dritte.
Non sapevo se il nostro fosse amore, ma sapevo di non volerne più. Io volevo stare bene.
Quando mi resi conto che restare in piedi davanti ad uno specchio a contemplare il mio volto tumefatto era utile come osservare un vaso rotto tenuto su con un po’ di scotch, mi decisi a muovermi.
 
***
 
Verso sera ero disteso sul divano, la testa poggiata su uno dei braccioli, sorretta leggermente da un braccio, ciondolava seguendo il ritmo della musica rock che davano sul mio canale tv preferito. Avevo lasciato il cellulare sul basso tavolino in vetro, dopo aver tolto ogni suono, ma a piccoli intervalli continuava ad illuminarsi segnalando l’arrivo di una chiamata o un messaggio.
Rea insisteva a voler mettersi in contatto con me, nonostante le avessi chiaramente scritto che non mi andava di parlare della sera prima e che non avevo voglia di sentire nessuno per il momento, ma lei era sempre insistente.
Dall’altro lato della stanza, vidi passare Marta che andò a sedersi sulla poltrona accanto alla finestra, per sfogliare alcune riviste. Non mi degnò di un solo sguardo.
- Hai intenzione di ignorarmi ancora per molto? –
- Sempre alla moda con i nuovi colori dell’autunno! La camomilla per accentuare il tuo biondo!...- stava leggendo alcuni titoli di proposito e  ad alta voce. Sospirando mi alzai, mi diressi da lei e quando notai che continuava a non considerarmi le strappai la rivista di moda dalle mani. Con le sopracciglia corrugate, mi sgridò.
- Scusami… per prima. Ho capito. - le dissi in un soffio. Incrociò le braccia guardando dalla finestra che dava sul vialetto d’entrata della casa. – Marta, andiamo. Sai che odio litigare con te! –
- Ed io odio il tuo modo di scusarti, credi che basti sussurrarmi una parola? Dovresti supplicarmi.-
- Marta…- cercai ancora di richiamare la sua attenzione e con una mano le scompigliai i capelli – Dai, non esagerare!-
- Oh no, guarda cosa hai combinato! – cercò di riordinare la chioma guardando il suo riflesso alla finestra. – Quando ti ci metti sei proprio seccante!- scatto in piedi e sgattaiolo via dalla stanza.
- Dove vai? –
- Ad aprire la porta! Abbiamo visite! – urlò ormai vicina all’uscio di casa, fui costretto ad inseguirla e la raggiunsi mentre faceva entrare in casa l’ospite.
-Oh sei tu! Che sorpresa, hai fatto benissimo a farci visita! – Marta abbracciò Bunny con naturalezza, come se la conoscesse da anni e non dalla sera prima, incontro tra l’altro fortuito e causato da una spiacevole circostanza. Mi ripromisi di ricordarglielo prima o poi.
- Davvero una sorpresa, Bunny. Come mai sei qui? – chiesi salutandola.
-Beh, oggi in classe non c’eri e volevo sapere come stavi.  Non fraintendermi, stare senza te che mi punzecchi appena ne hai l’opportunità non mi è dispiaciuto, però la tua assenza si è sentita. -
Abbozzai un sorriso mentre la facevo accomodare in casa : - Quindi sei qui perché io ti possa punzecchiare anche oggi? – scherzai.
- In realtà ti ho portato del materiale da studiare per il compito di inglese fissato per la prossima settimana. Non te ne sarai mica dimenticato? – esordì poggiando sul tavolino dinnanzi al divano una piccola torre di quaderni e fotocopie che fino a poco prima erano ben nascoste nella sua borsa.
- Oh, merda.-
- Lo sapevo! Lo avevi scordato.-
Annuì. – Tu a che punto sei?  Tutta questa roba potrebbe essere studiata in sette giorni? – chiesi sfogliando alcuni fogli. – È sulla letteratura…- quasi piagnucolai. – Andrà uno schifo.-
- Marzio, la tua media in inglese non è il massimo. Non puoi permetterti ancora un’insufficienza. Io ho già studiato la metà delle cose in pochi giorni, ce la puoi fare. Fidati di me, è molto più preoccupante il prossimo compito di matematica. –
Alzai gli occhi al cielo al pensiero di Bunny e della sua avversione innata verso i numeri. – Gli esercizi di matematica saranno semplici e poi abbiamo fatto molte esercitazioni in classe.-
- Perché non organizzate dei gruppi di studio? – propose Marta che fino a quel momento era rimasta in disparte – Bunny potrebbe aiutare te in inglese e tu potresti darle una mano in matematica. Ai miei tempo facevamo così- spiegò con naturalezza. In un primo momento l’idea mi convinse, poi riflettei e giunsi alla conclusione che ciò mi avrebbe portato a lunghi e noiosi pomeriggi di studio con testolina buffa . Guardai Bunny e scommisi con me stesso che la sua espressione turbata era mossa dall’idea , per niente invitante per lei, di passare molto tempo, rispetto a quello a cui era abituata, alle prese con i suoi odiati numeri. L’idea quindi stava per essere scartata in modo repentino da entrambi.
-Ricordatevi che tra qualche mese avrete gli esami!- disse Marta ricordandoci la dura realtà che avevamo davanti.
Sospirai :- Ok, ci sto. Per me va bene. – cercai un consenso verso Bunny. Trattenni un sorriso quando accettò, dalla sua espressione mi sembrava che stesse trattenendo una linguaccia.
- Sappi che forse i miei orari disponibili non saranno molto flessibili, passo del tempo quasi tutti i giorni con i bambini, quindi dovrò adattarmi.-
Sapevo benissimo a cosa si riferiva e non avevo dimenticato la mia prima visita alla casa famiglia, a quel posto dove Bunny era riuscita a portare un po’ di colore. Le dissi che non era un problema, che anch’io mi sarei adattato.
Qualche minuto dopo, sentimmo dei rumori alla porta d’ingresso. Riconobbi i passi dei miei genitori che non vedevo dalla mattina del giorno prima e che non avevano idea di ciò che era successo la sera precedentemente. Entrando in salotto, mia madre salutò tutti serenamente, ma quando si accorse dei mie lividi con un tono d’apprensione mi disse - Marzio, ma cosa hai combinato ancora? Guarda come ti sei conciato…-
- Niente di grave, mamma. Sto bene – le risposi. Dietro di lei, mio padre la seguì, indugiò sulla mia figura per qualche minuto, ma non fece alcun commento riguardo le mie parole. Si limitò a salutare l’ospite per cortesia, si presentò, poi abbandonò la stanza. Mi limitai a scuotere la testa.
- Bene… Bunny, che ne diresti di unirti a cena insieme a noi? – cinguettò Marta improvvisamente. La guardai rassegnato. Marta faceva sempre di testa sua.
- Oh, ne sarei lieta. Ma non vorrei dare fastidio. – arrossì lievemente.
- Nessun fastidio, cara. Ci faresti compagnia.- mia madre le sorrise di rimando, poi andò ad occuparsi della cena.
-Bene! Io vado a dare una mano a mamma – mi avvisò Marta – cerca di essere cortese con la mia nuova amica- dicendo le ultime parole, fece un occhiolino a Bunny, poi scomparve anche lei. Le urlai divertito: - Abbiamo fatto pace, vero? – ma non mi rispose. Sapevamo entrambi che era così.
Proposi a Bunny di vedere il resto dell’alloggio, proprio come un bravo padrone di casa. Prima di iniziare il giro turistico, telefonò per avvisare che avrebbe cenato fuori. Mentre faceva ciò, pensai che in realtà era stata messa alle strette, così decisi di chiederle se si sentiva in imbarazzo. Quando glielo domandai aveva già visto quasi tutta la casa, eravamo nella zona notte.
- No, tranquillo. Mi sento a mio agio, non preoccuparti. – rise lievemente – Tua sorella è molto… ehm... – cercava le parole adatte.
- Spontanea! – la anticipai.
- Esatto! E’ simpatica, mi piace.- ammise.
- Credo che diventerete delle ottime amiche, sai? E questo molto probabilmente sarà anche la mia sventura! – la seconda frase la sussurrai più a me stesso che a lei.
- Qui cosa c’è? – mi chiese curiosa arrestandosi nel corridoio. Si fermò davanti ad una porta, la quale sulla maniglia aveva appeso uno di quei cartellini con scritto di non disturbare. Su questo in particolare c’era scritto in rosso “Respira!”.
- La mia stanza.-
- E’ accessibile al pubblico?-
- Sciocca, certo che lo è. Non aspettarti boxer, calzini e strati di polvere ovunque.- la vidi scuotere la testa un po’ disgustata e mentre spingevo in basso la maniglia, aprendo, sperai che la domestica avesse fatto in tempo a ripulire il mio piccolo antro. Ero stato fortunato. Feci avanzare prima lei, io rimasi sulla soglia a grattarmi la testa. Si limitava a osservarsi intorno, la guardavo mentre a piccoli passi curiosava tra le mie cose, di rado spostava un sopramobile strano, sfiorava la copertina di qualche cd.
- Una chitarra elettrica? – notò la mia Gibson sul suo supporto accanto al letto.
- Quando capita la suono.-
- Sei bravo? – sorrise.
La prese tra le sue mani e si dovette sedere sul letto. – Non sembrano così pesanti in tv! – si lamentò e accorsi ad aiutarla.
- Sai che sei la prima ragazza che la sfiora?-
- Oh, che onore! – esagerò – Si suona così vero?- iniziò a strimpellare le corde tutte insieme. Alzai gli occhi al cielo.
– Non dovrebbe fare baccano? –
- Testolina buffa, non è collegata all’amplificatore. E poi non basta suonare tutte le corde a caso. Premi con i polpastrelli sul manico. Ti faccio vedere. – mi sedetti sul letto vicino a lei, le misi un braccio intorno alla spalla e posai la mia mano sulla sua, la strinsi leggermente, guidandola sul manico della chitarra e premendole le dita su di esso. Con l’altra le facevo muovere le corde.
- Ora stai suonando…-  eravamo legati in uno strano abbraccio, improvvisamente si era creata un’insolita atmosfera. Le avevo fatto capire cosa doveva fare, ma le mani di Bunny, avvolte dalle mie, si rivelarono piacevolmente ed inaspettatamente calde. Quel calore sembrò penetrarmi all’interno. Mi venne in mente il sogno che avevo fatto la notte prima e la strana voglia di tenerla per mano e non lasciarla svanire. Intonai il pezzo che stavamo suonando, non mi ero accorto di essermi avvicinato così inconsapevolmente al suo orecchio e fui lieto di vederla sorridere serena, non sussisteva un briciolo di tensione in quell’attimo di intimità. C’era tanta complicità in quel momento tra di noi.
- Non ho mai preso in considerazione l’idea di fare la musicista, sai? Tu che ne pensi, non ho talento? – mi fece un occhiolino.
Continuavo a suonare insieme a lei senza sbagliare una singola nota. – Sei brava solo perché io ti sono accanto, sola saresti persa.- sorridemmo entrambi. Poi provai ad immaginarla con i capelli spettinati, magari un ciuffo rosa qua e la per la testa, le scarpe alte e i vestiti da rock-star. Feci una smorfia di disapprovazione, non le sfuggì e quando mi chiese una spiegazione lasciai cadere l’argomento dicendo che la carriera musicale non le si addiceva per niente.
- Forse hai ragione.- approvò ridacchiando, facendo sorridere anche me.
- Io ho sempre ragione.- sentenziai.
Due colpi di tosse richiamarono la nostra attenzione, ci voltammo a guardare verso la porta. Marta aveva la mano sulla maniglia, ci guardava cercando di capire quello che stava accadendo.
-Ero venuta ad avvisarvi che la cena è pronta. Vi aspettiamo … - disse prima di lanciare un veloce sguardo, che notai solo io, alle nostre mani per poi allontanarsi. Bunny scivolò via da me con delicatezza, lasciandomi lo strumento affinché lo potessi riporre. Lo feci e mentre chiudevo la porta alle nostre spalle mi sfuggì un sospiro.
- Qualcosa non va? – mi chiese Bunny notando la strana tensione che mi stava assalendo.
Scossi la testa e finsi.

 
 
Pesanti. Terribilmente pesanti.
Ecco come mi apparivano quelle pietanze disposte davanti a me. Torturavo quello che avevo messo nel mio piatto, un’insalata mista ed una fettina ben cotta, ma che faticavano a scendere giù per l’esofago anche se accompagnate da un bicchiere di buon vino. Uno, due al massimo per non destare altri sguardi di disappunto da parte di mio padre, seduto dall’altro capo della tavola, di fronte a me. Sulla mia destra aveva preso posto Bunny, accanto a lei Marta, mamma era sulla sinistra di papà, che conversava tranquillamente con la mia amica. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a star tranquillo. Il cuscino di della sedia su cui mi ero accomodato sembrava cosparso di spine pungenti. In altre circostanze, le cene si erano rivelate i momenti ideali per le ramanzine di mio padre, dove poteva mettermi sotto accusa sotto gli occhi della famiglia. Cosa aspettava ora per chiedermi cosa era accaduto al mio volto e ripetermi di quanto siano insensati i miei comportamenti? Ero così preso dai miei pensieri che non mi concentrai nemmeno su ciò di cui stava parlando con Bunny. Provai a seguire quello che lei gli stava dicendo e ad intercettare il filo del discorso.
- … Sì Signor Chiba, sono la figlia dell’ispettore, non si sbaglia.-
- Notavo una certa somiglianza.- rispose lui portandosi un bicchiere alle labbra. – Porgigli i miei saluti.-
Somiglianza? Io la sera prima non avevo trovato nessun lineamento in comune tra i due. Mi sfuggì una risata che cercai di soffocare.
- Potrò farlo io di persona, papà.- pronunciai. Mi scrutò per un attimo, poi si accigliò.
- Tu? Che hai fatto? – stava intendendo male, me lo aspettavo.
Mi schiarii la voce, pronto a dargli una risposta inaspettata per lui: - Beh, io e Bunny abbiamo deciso di vederci qualche pomeriggio per studiare. Sai, quest’anno ci sono gli esami e non voglio essere rimandato come quando ero…-
- … all’istituto Mugen.-  terminò lui la mia frase, poggiandosi allo schienale, evidentemente più rilassato. Sentendo nominare un istituto di tale importanza, Bunny mi guardò meravigliata. 
– Ti spiegherò, è una vecchia storia.- le sussurrai e lei annuì. Poi presi un bel respiro e cercai di mandare giù qualcosa.
Anche mamma fu sorpresa: - E’ una bella novità questa, mi fa piacere sapere che trascorrerai il tuo tempo cercando di crearti una cultura. Bunny, devi piacergli davvero tanto se finalmente Marzio ha deciso di lasciare da parte i suoi amici!-
La forchetta finì inspiegabilmente dalla mia mano sul pavimento accompagnata da un forte rumore metallico. Attirò l’attenzione di tutti su di me, che lottavo per ingoiare il pezzo di carne assassino che aveva deciso di rimanere incastrato nella gola. Mi vennero le lacrime agli occhi, iniziai a darmi dei colpetti sul petto…
- Presto cara, dagli questo! Sta diventando viola!– papà versò dell’acqua in un bicchiere che passò a mia madre. Quando giunse a me lo bevvi tutto, mentre riecheggiava la risata di Bunny nelle mie orecchie.
Marta sviò divertita il discorso mentre io cercavo di riprendermi dal soffocamento: - Bunny tu cosa fai nel tempo libero? Sai, io sono una modella ed ho un sacco di passioni che mi piacerebbe condividere con qualcuno che non abbia così tanto testosterone nel DNA.-
- In realtà mi dedico ai bambini della casa famiglia, ma sarà un piacere per me conoscerti meglio. Sento che abbiamo tante cose in comune.- le sorrise.
Intervenne ancora papà : - Hai già deciso cosa farai dopo il diploma? –
-  Voglio impegnarmi per realizzare qualcosa che sia socialmente utile. Mettere a disposizione la mie capacità al servizio degli altri.- sorrise imbarazzata. Non stava parlando di progetti già definiti e pronti per essere realizzati, ma la speranza che aveva in ciò che le riservava il destino mi sorprese. Forse era ingenuamente convinta dei suoi sogni, forse avrebbe riscosso successo in ogni sua iniziativa. Non poteva saperlo e probabilmente nasceva da qui la sua scommessa con il futuro, con la sua vita. E quasi certamente era la sfida con se stessa che la spingeva ad agire e a prendere in mano le redini della sua esistenza.
- … al servizio degli altri.- ripeté mio padre – Non mi meraviglia che tu sia la figlia dell’ispettore della città.-  fece un mezzo sorrisetto passandosi la mano sul volto, tradendo così la stanchezza che cercava di nascondere. – Marzio, quando sarà il momento, prenderà il mio posto nell’azienda. Dopo il liceo farò in modo che inizi a lavorare, dopo tutto è cresciuto nell’ambiente dell’impresa, non avrà problemi ad imparare come diventare un dirigente.-
Peccato che questo era il suo progetto. Mi aveva messo davanti ad un futuro già prescritto, per il quale io non dovevo far altro che adattarmi. Dov’era la sfida con se stessi? La voglia di mettersi in gioco per riuscire nei proprio obbiettivi io non l’avevo.
Tamburellai impaziente con le dita sul tavolo, pregando che tutti si saziassero in fretta.
- Così ti piacciono i bambini? – Marta ritornò sull’argomento precedente, sapeva quanto odiavo quando nostro padre parlava dei suoi progetti.
- Oh, sì! Sono così adorabili e hanno bisogno di tanto affetto e comprensione, ognuno di loro ha diversi problemi alle spalle. Vorrei che capissero che il mondo ha ancora tante cose belle da offrirgli… Ma anche Marzio è stato lì, ha avuto la gentilezza di accompagnarmi un pomeriggio, non ve ne ha parlato?-
Ancora una volta i miei genitori rimasero increduli, annuì alle parole della mia amica.
- Non mi sembrava importante dirvelo.- spiegai al resto della mia famiglia.
Papà scosse la testa : - Credo che farebbe piacere a tutti se tu, di tanto in tanto, condividessi con noi come trascorri le tue giornate.-
Parlava sul serio? Mi sembrava una frase fatta, detta solo perché c’era un ospite tra noi. – Dimentichi che siete sempre troppo occupati per darmi ascolto.-
- Abbiamo sempre del tempo per te, Marzio.- mamma mi accarezzò una mano. Lei era sempre disponibile, al contrario del suo compagno.
- Tu non fai niente per venirci incontro se non darci puntualmente dei grattacapi!- replicò lui-.
- Abbiamo finito di cenare? – lo guardai sfidandolo – Perché se dobbiamo discutere, vado via.-
Guardai Bunny accanto a me, stava sorseggiando dell’acqua fissando il fondo del suo bicchiere, come se per un attimo avesse voluto sprofondarci. Non era il momento adatto per discutere, lo capì anche papà che strinse i pugni, sospirò e tornò al suo piatto.
La cena si trascinò ancora avanti per qualche minuto, scandita da qualche frivolo discorso tra i componenti della mia famiglia. Sorpresi Bunny a fissarmi, non avevo in mente per quale motivo, ma quando la guardai di rimando, accigliandomi leggermente, lei non distolse lo sguardo.
Che cosa stava cercando in me?
- Hai finito? – le chiesi desideroso di spezzare quel legame di occhiate.
- Sì.- si affrettò a rispondere – Era tutto delizioso, signora. – osservò l’ora sul display del suo cellulare - Inizia a diventare davvero tardi e credo sia il caso che io vada.-
- Ti riaccompagno io a casa.- mi proposi volontariamente. – Abiti dall’altra parte della città, non è il caso che torni da sola.-
Si alzò da tavola:- Va bene, Marzio. Mi piacerebbe davvero rimanere in vostra compagnia, siete stati gentilissimi.-
Quelle parole suscitarono movimento. Papà si alzò a salutarla, dichiarando che si sarebbe ritirato nella sua stanza. Nel frattempo le donne di casa iniziarono a sparecchiare. Pochi minuti dopo, anche Bunny era in mano con piatti e i bicchieri, pronta a dare una mano. Non fummo abbastanza forti da convincerla a lasciare che se ne occupasse mamma. Dato che io in cucina potevo combinare più danni che prodigi, andai ad aspettare Bunny fuori casa.
Mi strinsi nel mio cappotto nero di pelle e nell’attesa accesi una sigaretta. Ogni volta che espiravo, mi sembrava di buttar fuori dal mio corpo il macigno che avevo sopportato per quella serata. Mi rigirai la sigaretta tra le dita e mentalmente schernì coloro che sostenevano “una sigaretta è un minuto in meno di vita”. Quella sigaretta mi stava regalando una strana liberazione, al diavolo il minuto d’esistenza in più.
La spensi per terra, tra la ghiaia, poi mi sedetti sui scalini davanti la porta, in attesa.
Era silenziosa quella sera, solo qualche grillo cantava esaltando l’atmosfera notturna. Fu per questo che inizialmente mi sorprese il rombo di un’motore che si avvicinava, poi rimasi senza parole quando riconobbi la piccola auto bianca di Rea entrare nel vialetto.
In una frazione di secondo, tastai la tasca dei miei jeans e quando avvertì il mio cellulare, mi balzarono in mente probabili numeri indicanti telefonate perse e messaggi non letti. Scossi la testa, lanciando un’occhiata al cielo e trattenendomi dall’esplodere in imprecazioni poco ortodosse.
Mi venne in contro con passo deciso. – Rea, che cosa ci fai qui a quest’ora? –
- Ciao, Marzio. Ero venuta a controllare di persona che stessi bene, visto che telefonate e messaggi non servono a nulla con te. Perché non mi hai risposto? – si arrestò a due passi da me, ancora seduto, passando una mano tra i suoi lunghi capelli scuri, scostandoli dal volto, che nascondevano per metà, rivelandomi il suo sguardo freddo di sempre.
- Eri così preoccupata che ci hai messo un’intera giornata per deciderti e venirmi a trovare, vero? – sputai velenosamente, risvegliando i ricordi irritanti della sera prima.
La vidi chinarsi di fronte a me, sospirando. Le sue mani avvolsero il mio volto, le sue dita accarezzarono i segni che esso esibiva.
- Non sono venuta qui per litigare con te. Volevo chiederti scusa per ciò che è successo, scusa per quello che ti hanno fatto. – mi guardò intensamente con i suoi occhi neri a cui nulla poteva sfuggire.   - Mi dispiace, ti prometto che non accadrà più.-
Quante volte mi aveva ripetuto quest’ultima frase? Sapevo che se le avessi creduto, prima o poi me ne sarei pentito. Perché con Rea, in determinate situazioni, sembrava che le esperienze affrontate insieme non servissero a niente, non servissero ad imparare quando i limiti non potevano essere superati perché chi ci avrebbe rimesso sarebbe stato uno dei due. In questi casi, io.
Alcuni rumori in casa mi ricordarono chi stavo aspettando.
Tolsi piano le mani dal mio viso e mi alzai oltrepassandola, andando verso la sua macchina. Lei si voltò a guardarmi, dando le spalle al resto della casa. Oltre di lei, cercavo di scorgere dalle finestre qualcuno, provando a calcolare quanto tempo mi rimaneva prima che Bunny mi raggiungesse. Perché ero più che certo della sensazione che mi diceva che Rea avrebbe fatto meglio a non sapere che Bunny aveva trascorso la serata da me.
- Ascoltami, Rea. Non ti ho risposto perché non mi andava di parlarne, te l’ho scritto in un messaggio, avevo bisogno di tempo per stare da solo e far sbollire la rabbia.- presi un grande sospiro, poi la misi al corrente della mia decisione: - Ho bisogno di staccare, non ho più voglia di continuare in questo modo.-
Non sembrò sorpresa:- Ti capisco, sei arrabbiato – abbassò lo sguardo – se vuoi stare lontano da me per un po’ te lo concedo, ti conosco. Non vuoi che ti ronzi intorno in questi casi, ti occorre un po’ di tranquillità per perdonarmi.-
Scossi la testa – Mi spiace, non è così.–
- Shh, non dirlo…-  
- Rea.- le aprì lo sportello dell’auto, invitandola ad andarsene. Se non voleva convincersi delle parole con le quali stavo mettendo un punto alla nostra strana relazione, se ne sarebbe accorta nei giorni seguenti.
Alzò un sopracciglio sospettosa: - Mi stai cacciando via? –
Sospirai. – Sì. Non vuoi capire quello che ti sto dicendo…- riuscì ad intravedere delle ombre in movimento dietro le tende della stanza antecedente all’ingresso. – Ma ne possiamo riparlare anche domani… C’è tutta la mia famiglia in casa e sai come sono fatto, non mi andrebbe di dare ulteriori spiegazioni.-
Dai, Rea. Va via!
Quando rilassò le spalle e il volto, capì di averla convinta. – Come vuoi. – mi rispose – L’importante è che tu abbia capito che sono mortificata.- si avvicinò per abbracciarmi – …e fortunatamente stai bene.- si fece sfuggire una lacrima e mi strinse forte. Le mie costole indolenzite protestarono.
Non potevo sperare in una buona sorte che in quel periodo aveva deciso di voltarmi le spalle, lo capii quando la porta d’ingresso si spalanco e la voce di Bunny chiamò il mio nome cercandomi, accompagnata dalla voce allegra di Marta.
- Merda!- mi sfuggì quell’imprecazione tra le braccia di Rea. Vidi le due ragazze bionde fermarsi sulla soglia di casa, Marta fece una smorfia.
Rea scivolò via dalle mie braccia e alla vista di Bunny scosse la testa mordendosi il labbro inferiore nervosamente.
Mi aggredì alzando la voce: - Era per questo che mi stavi mandando via? Il momento non era opportuno perché dovevi passarlo con lei, eh? Va al diavolo, tu e le tue scuse! – mi spinse con forza. - “C’è la mia famiglia in casa”, “non voglio dare spiegazioni” – mi imitò perfettamente – Avevi ragione. Il problema di fondo era il sovraffollamento.- con un cenno della testa indicò Bunny, che accigliata si affretto per spiegarsi.
- Rea, io non voglio creare problemi tra voi due…-
Con uno dei suoi sguardi agghiacciati, le impedì di continuare. Avanzò verso di lei: - Mi prendi in giro? Sono settimane che gli ronzi attorno. Se credi di poter intrometterti nella sua vita, ti stai sbagliando.-
- Rea! – la rimproverai, ma sembrò non ascoltarmi.
- Apri bene le orecchie, biondina, perché non te lo ripeterò una seconda volta. Lui è mio. Attenta a non sfidarmi, perché potresti pentirti di averlo fatto, chiaro? –
Era arrivata alle minacce, non lo sopportavo.
- Ora basta! Diamoci un taglio! – intervenni frapponendomi tra Rea e le ragazze. – Bunny è solo rimasta qui per cena, non mettere su una sceneggiata per una sciocchezza simile.-
Stava per replicare ancora, Marta glielo impedì. – È vero! Ho insistito io affinché restasse. – posò un braccio intorno alla spalla di Bunny – È una mia amica ed ho il diritto di invitare a cena chi mi pare e piace! E spero vivamente che ci siano altre occasioni per stare con lei.- con voce decisa, spense ogni fervore, lasciando Rea senza via di scampo.
- Se le cose stanno così, non ho niente da obbiettare – sospirò allontanandosi per ritornare da me. – Non mi resta che augurarti la buona notte. – con queste parole si avventò sulle mie labbra, baciandomi con foga, come se volesse far capire chiaramente alle nostre due spettatrici che era comunque lei ad avere il primato su di me. Fu un fastidioso bacio, doloroso a causa delle piccole lesioni che se stuzzicate bruciavano.
Rea salutò mia sorella, salì nell’auto e se ne andò così com’era giunta.
- Io proprio non la sopporto.- sbuffò Marta. La ignorai, invitandola a salutare Bunny affinché potessi finalmente riaccompagnarla.
Quando accadde, per metà del tragitto nessuno dei due disse una parola. Io non sapevo come spiegarle di come mi sentivo oppresso sei nei dintorni c’era mio padre a cui dover rendere conto di ogni azione, di come non riuscivo a evitare a Rea di imporsi nella mia vita sentimentale, di come le due cose riuscivano a mettere in crisi il mio cervello. Ma in realtà, aveva veramente bisogno di spiegazioni dopo essere stata testimone diretta di tutto ciò?
- Perdonami. Questa sera ti ho creato un bel po’ di problemi. Non volevo…- la voce era debole come un sospiro.
Si scusava? Proprio lei che non aveva nessuna colpa, che era riuscita a mitigare una giornata che fin dal mattino si era rivelata disastrosa?
- Bunny, non hai creato nessun problema tu. – mi voltai a guardarla, era visibilmente mortificata. – Te lo assicuro. – confermai, lei non sembrò d’accordo.
- Oh, Rea non ne sembrava tanto convinta. E dal suo punto di vista, posso anche capirla, aveva le sue buone ragioni.-
Magnanima. Fin troppo buona.
- E poi ti ho fatto anche discutere con tuo padre. Se non avessi tirato fuori quell’argomento, non avreste discusso.-
Era troppo. Non accettavo l’idea che si ritenesse responsabile di qualcosa che non dipendeva da lei, ma che era uno dei tanti problemi con il quale convivevo fin dall’infanzia. Di ciò non ne avevo mai accennato a nessuno, duramente quasi respingevo chi per casualità riusciva a percepire i miei disagi familiari.
Era poi così assurdo sfogarsi e aprire una parte di me stesso, la più segreta e impenetrabile della mia vita, con l’unica persona che in quel momento mi ispirava sentimenti di fiducia?
Arrestai l’auto, la testa rischiava di esplodermi per i troppi pensieri. Portai una mano alle tempie, massaggiandole.
- Marzio che succede? Non ti senti bene? – Bunny si allarmò.
C’era un solo posto che mi accoglieva quando ero in questo stato. Sentivo la necessità di dover parlarle, così come quella di rifugiarmi nel mio piccolo angolo di paradiso. – Ti dispiace se facciamo una deviazione? – la guardai speranzoso, era accigliata. – Non tarderemo, te lo assicuro.-
Si limitò ad annuire: - Va bene.-
Inserì la marcia, feci inversione e in un lampo ero già fuori dal paese. La strada deserta mi facilitava la guida, il piede spingeva sull’acceleratore facendoci sfrecciare nella notte.
-Stiamo andando verso il mare.- constatò ed aveva ragione. Nell’arco di cinque minuti giungemmo davanti la scogliera, dove spensi il motore. Scesi dall’auto, avanzando verso la distesa d’acqua e aspettando che Bunny mi raggiungesse.
- Odio camminare sugli scogli.- si lamentò e sorrisi, immaginandola dietro di me in equilibrio precario sulle rocce deformi. – …E poi non si vede nulla al buio.- quando arrivò da me, si scontrò con la mia spalla sinistra, come se fosse inciampata. – Scusami.-
-Tranquilla.- scossi la testa.
- Perché siamo qui, Marzio? –
- Vengo qui quando ho bisogno di staccare la spina, riflettere, lasciarmi il mondo alle spalle. Questo è il mio piccolo angolo di paradiso.- dissi le ultime parole in modo da richiamare ai suoi ricordi il giorno in cui mi portò in quella stanza che aveva decorato per i suoi bambini, quel posto per lei era importante tanto quanto lo era per me starmene a guardare l’acqua che si infrangeva sugli scogli, la schiuma bianca che si disperdeva... – Quante novità per te oggi, vero testolina buffa? Prima la mia stanza, ora questo…- mi voltai a guardarla, sorrideva appena anche lei. - Sto scoprendo tutte le mie carte con te, non avevo mai permesso a nessuno di conoscermi così affondo.- continuai a spiegarmi – Qui per esempio. Nessuno immagina che spesso sono in questo posto a contemplare l’oceano. Ora sei l’unica a saperlo.-
Si incupì: - E’ una cosa brutta? –
- No, per niente.- abbassai per un attimo lo sguardo. – Ma per me, con te, è diverso…-
- Non capisco.- ammise.
Come poteva? Dovevo essere più chiaro, ma nel confidarmi, nell’ammettere le mie debolezze non ero stato mai tanto bravo. La aiutai a tornare sul sentiero, passeggiando per la costa forse sarebbe stato più semplice.
- Vedi Bunny, tutti pretendono qualcosa da me. Mia sorella, Rea, mamma e papà, adesso anche Moran. Tutti quanti. Te ne sarai accorta oggi. – fece una smorfia che interpretai come un assenso – Ma tu no. Tu sei stata l’unica che si è limitata a conoscermi senza essere influenzata da quelli che potevano essere i miei precedenti, i pettegolezzi, e addirittura da me stesso e dal mio fare scontroso. –
- Questa sera ho capito perché hai costruito questa dura corazza intorno a te. – ammise. Sembrò ricordarsi di qualcosa – Perché non mi hai mai parlato dell’istituto Mugen? E’ uno dei più costosi e migliori istituiti della nazione, la preparazione che danno è eccellente e…-
- E’ proprio per questo. – la fermai – Era lo stesso istituto che ha frequentato papà, dove ha completato gli studi prima di iniziare la sua brillante carriera.- dissi con una nota di rabbia – Mi mandò lì per iniziare a farmi seguire le sue impronte, ma io non volevo e ancora non voglio diventare come lui, un giorno. Uno stacanovista, così concentrato sulla sua azienda da non accorgersi di un figlio che altro non chiedeva se non un po’ di considerazione. Mi feci cacciare, la combinai talmente grossa che papà dovette assumere un avvocato. Con Seiya e i suoi due cugini, Yaten e Taiki, una notte frantumammo metà delle finestre dell’istituto. –
- Mi pare di capire che il problema principale per te è proprio questo rapporto che hai con lui.- constatò lei.
Alzai le spalle: - Cosa vuoi che ti dica? Ormai ci sono abituato. –  ritornai alla questione iniziale – Ascolta, per me con te è più semplice essere me stesso e questo un po’ mi spaventa. A te ho mostrato le parti più deboli di me, ciò che mi rende vulnerabile, il mio tallone d’Achille. E ciò che più mi fa paura è il fatto che tutto ciò infondo mi fa sentire sollevato. Questo solo perché sento di potermi fidare di te. – sorrisi al ricordo delle prime circostanze in cui mi ero scontrato con lei – Forse non abbiamo iniziato nel modo giusto ma…- presi fiato, pronto a esprimere finalmente quello che pensavo da qualche giorno - …vorrei che mi considerassi un tuo amico. Perché è così che io ti considero.-
Man mano che camminavamo, gli scogli diventavano più radi, lasciando posto a spazi di finissima sabbia, segno che ci stavamo inoltrando verso la spiaggia. Bunny mi superò di pochi passi, per poter parlare con me si voltò, iniziando a camminare all’indietro. Il volto era illuminato da un sorriso.
- Allora, ricominciamo da qui. Senza battibecchi, senza nomignoli…-
- Smettila di camminare verso dietro. Mi metti in ansia!-
- Siamo amici. Mi fido di te, se dietro di me c’è un fosso o qualcosa di simile, dimmi di fermarmi e lo farò. –
- Quando affonderai i piedi sulla sabbia e perderai l’equilibrio non prendertela con me.-
- Tu non lasciarmelo fare. –
Ma intanto continuava a camminare e già pregustavo il momento in cui sarebbe finita con le gambe all’aria, il suo equilibrio era spesso molto precario. Forse avrei dovuto avvisarla, ma un fosso era diverso dalla morbida sabbia, perché privarsi di un piccolo momento di ilarità?
- Io ti ho appena detto che mi fido di te, ma tu invece? Perché ti fidi di me? – le chiesi un po’ per distrarla dai suoi passi, ed in parte perché volevo saperlo veramente.
Sembrò pensarci su: - Perché sei sincero. Per lo meno, con me lo sei sempre stato e poi… come potrei non farlo dopo quello che mi hai appena detto? Sapevo che prima o poi avresti ammesso che non potevi fare a meno di me. – sorrise scherzando ed io scuotendo la testa, ricambiai.
- Una veggente dalla faccia tonda come una luna, ecco chi mi è toccata come amica.-
- Ehi! Avevamo detto niente nomign… Aaah, cado!-
Finì seduta sulla sabbia, fece in tempo a reggersi con le mani per non finire completamente distesa, ma la sua espressione contrariata e infastidita mi fece comunque scoppiare in una fragorosa risata. Mi lanciò uno sguardo fulminante. – Davvero molto maturo da parte tua, Marzio.- non riuscì a risponderle, stavo ancora ridendo. – Potresti almeno aiutarmi a rialzarmi! – si lamentò.
Glielo concessi, mi avvicinai porgendole una mano: - Lo ammetto, non ho resistito alla tentazione di vederti con le gambe per aria.- le sorrisi, lei sospirò e afferrò la mia mano per aiutarsi a rimettersi in posizione eretta. Questo era quello che pensavo, ma bastò una frazione di secondo per accorgermi che anziché appoggiarsi ad essa, la tirò con forza, trascinandomi in avanti mentre lei si spostava di lato, lasciandomi sprofondare nella sabbia, argentata alla luce della luna.
Ebbi l’istinto di sollevare il viso, questo mi impedì di imbrattarmi il volto. Bunny nel frattempo si era rialzata e mi guardava ridendo piegata in due, le mani erano intorno al suo ventre. Mi rialzai, scrollandomi dai vestiti quei granelli, anche se sapevo che non sarebbe servito a niente.
- Occhio per occhio…-
Scossi la testa sorridendo. – Questo proprio non dovevi farlo. Te la sei veramente cercata…- esordì in modo teatrale.
- Che cosa vuoi fare? – Bunny indietreggiò di qualche passo, ridendo ancora. Forse aveva intuito le mie intenzioni e sapeva di essere spacciata! – Marzio, no! – iniziò a scappare da me.
L’avrei afferrata e fatta rotolare tra la sabbia finché i granelli non le si fossero insediati dappertutto, tra i capelli, nelle orecchie, nelle sue scarpe. – … Dente per dente! – terminai il proverbio che aveva iniziato a pronunciare e le corsi dietro inseguendola.
- Ti prego no! – correva veloce, tra l’argento della sabbia, il nero della notte, le piccole luci delle stelle che si riflettevano nell’acqua. La sabbia rallentava la nostra corsa, avrei potuto raggiungerla facilmente, ma le lasciai l’illusione di aver vinto quella gara spontanea tra noi due e a me stesso concessi alle sensazioni di convincermi che stavamo correndo veloci come il vento, che leggero ci accompagnava...
Bunny, cominciò a rallentare, aveva il fiato corto.
- Non mi sfuggi più! – esclamai, poi accelerai il ritmo della corsa, la raggiunsi e da dietro la afferrai per le vita, come se la stessi abbracciando. Non si arrese, provò a sfuggirmi ancora e nei nostri tentativi, il suo di scappare ed il mio di trattenerla, inciampammo sui nostri stessi piedi, finendo ancora una volta per terra. Ridacchiavamo, stranamente non riuscivamo a fare a meno di comportarci come due bambini.
- No, no, no! La sabbia nei capelli, no! – per quanto cercasse di opporsi, ero io il più forte, così mi appoggiai seduto sulle sue gambe e con grosse manciate iniziai a ricoprirla di sabbia, ignorando le sue proteste. Chiuse istintivamente gli occhi per impedire che qualche granello potesse accecarla, nonostante stessi evitando di comprometterle il viso.
- Marzio Chiba! Ti odio. Giuro che me la pagherai!- provando a liberarsi, cercò di colpirmi al petto con dei piccoli pugni.
Ero su di giri, troppo euforico, così mi azzardai ad afferrarla per i polsi, portandoglieli sopra la testa ed inevitabilmente mi ritrovai semidisteso su di lei, il mio volto a pochi centimetri dal suo.
Istintivamente, lei riaprì gli occhi e subito incontrarono i miei.
Le risate lasciarono spazio al rumore dei respiri, irregolari e veloci. Il vento si unì alla brezza del mare, la quale si confuse con il profumo della pelle di Bunny, così vicina da poterla annusare, toccare. Delicatamente le scostai dalla fronte la frangia, una dolce carezza che mi concessi di darle.
La morsa allo stomaco tornò forte e inaspettata, così come quando la notte prima i miei pensieri avevano sfiorato la ragazza che ora mi guardava in silenzio, un po’ confusa e sorpresa così come lo ero io. Il cuore sembrava un tamburo, assordante in tutto quel silenzio.
Lei distolse appena lo sguardo, allora recuperai un pizzico di lucidità. Mi rialzai, lei fece lo stesso.
- Ti accompagno a casa.- le dissi tranquillamente, lei annuì con un sorriso, lo stesso che non la abbandonò per tutto il tragitto di ritorno.

Quando il silenzio diventa emozione, l'amore non ha bisogno di parole, ma solo battiti.
Chissà se lei sentiva il mio cuore mentre mi innamoravo o se come me ignorava il putiferio che scatenava dentro me per la prima volta.




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Volevo aggiornare subito dopo aver messo il punto a questo capitolo, quindi spero che la revisione veloce che ho fatto sia stata sufficente per correggere gli errori che dissemino qua e là.
Come sempre, sapete che i vostri pareri sono ben accetti. Mi rendo conto che il capitolo in una prima parte può essere pesante, ma la dolcezza finale vi ha ripagate di tutta la lettura? :)
Era tempo di smuovere le acque... chissà cosa succederà!
Grazie per il tempo prezioso che mi avete regalato ancora una volta!
Infine vi ricordo la mia pagina su facebook: https://www.facebook.com/pages/-Il-piccolo-spazio-di-miss-moonlight-/147980305296643
Debora
 
   
 
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