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Autore: PiccolaEl    30/10/2012    1 recensioni
"Sono ritardataria, bugiarda, acida. Poi sono gentile, cordiale, e cedo l’ultima fetta di torta. Poi sono fredda, di una freddezza quasi utopica, irreale. Arrabbiata. E l’unica cosa che mi viene in mente è uscire di casa e stare fuori per delle ore. A fumare. E ad ascoltare canzoni a macchinetta dal mio mp3. E piangere, sullo scalino di una vetrina ben nascosta dal centro della città. Ben nascosta da tutti. Ben nascosta anche da me stessa, perché alla fine fuggo solo e soltanto da me. Degli altri non ho paura. Neanche di quelli che dalla faccia sembrano dei terroristi immigrati. Ho paura di me stessa. Del mio giudizio, unico e personale. Delle boccate d’aria fresca, ho paura, perché sono realtà [..] Non sono la ragazza del libro, o del film, o delle serie tv. Sono una ragazza normale, con problemi assurdi, e che non si fa problemi per niente. O per tutto. Spalanco gli occhi quando qualcosa mi attrae, le gambe mi cedono quando sono innamorata e i miei capelli come li metti stanno."
Questa è la piccola Bambi, che, catapultata in una nuova esperienza, troverà il coraggio di amare con tutto il suo corpo e la sua mente.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo cinque - trasferta.

 

"Ma in fondo chi non ha talento insegna..
e quindi adesso imparerò da te."

Dedico questo capitolo a chi è orgoglioso e non ammette, 
a chi è religioso ma bestemmia.





Otto spaccate e sono qua, in piazza, sotto casa mia. Mi sento tanto una sfollata, vestita con la divisa della squadra – che sarebbe pantalone della tuta e felpa grigio più una maglietta bianca – e con il borsone che sembra essere più grande di tre taglie. Per fortuna che ho gli occhiali. E per fortuna che ho il telefono in mano. Sto crepando dal sonno. Mi siedo sugli scalini di casa mia e poggio la testa sul palmo della mano e chiudo gli occhi. Non riesco a dormire, solo a pensare. E’ una settimana che penso e che faccio allenamento con la sua presenza. E ancora non arrivo a una conclusione decente. Sono come abbandonata a me stessa. Ho bisogno di un panino almeno. In quel caso la mia condizione migliorerebbe decisamente. Sospiro pesantemente. Ancora niente. Niente di niente. Non mi cerca, non mi parla, non mi incrocia, neanche per sbaglio. Mi guarda, da lontano, mi scruta, in ogni mio movimento, ogni mio gesto. Sempre. E se all’inizio fa piacere ricevere attenzioni di questo tipo, dopo un po’ innervosisce. Più che altro perché non ha il coraggio neanche di spiccicare una parola. Con me è un timidone, con gli altri invece si da di gomito sulle sue avventure di una notte. E non penso ci sia niente di cui vantarsi se non sei abbastanza forte da reggere una storia con una persona. Sei soltanto più debole. Ragionamenti contorti e filosofici sulla mia incasinatissima vita con gli occhi chiusi mode: on. Qualcuno si è seduto accanto a me. E non ho intenzione di aprire gli occhi. Sento che il sonno mi sta prendendo e sento ridacchiare piano… e riapro le palpebre di getto, sussultando. 
“Non volevo svegliarti Bambi, scusa.” mi sussurra Umberto, mezzo rincoglionito pure lui.
“No, tranquillo, va tutto bene.” replico, lasciandogli un bacio sulla guancia e risedendomi.
“Come stai?” mi chiede, e sembra che abbia capito tutto. I gay e le loro percezioni. Mitici.
“Non sto. E tu?” rispondo. Tanto ormai l’ha capito, senza bisogno che glielo dicessi.
“Bene, grazie.” mi risponde tranquillo, accennando un sorriso cortese. “smettila di farti mille problemi. La soluzione ce l’hai sotto al muso ma non te ne rendi conto.” prosegue “tu non vuoi capire. E non ti avvicini. E lui soffre. Ma lo nega. E potrebbe, come dire, essere meglio se tu, diciamo, ti avvicinassi un po’, anche solo per fargli capire che vuoi, che sei consenziente in qualche modo…” sta per concludere un discorso sensato e anche abbastanza toccante quando proprio il diretto interessato si affaccia con aria indifferente e rivolgendosi a Umberto esclama:
“E’ proprio questo il posto, Umbe, che ti dicevo, proprio questo! Se solo ci ripenso…” e forse ci ripensa davvero quando mi inchioda, evidentemente ignaro della mia presenza. Spalanca la bocca sorpreso, emettendo versi confusi.
“Ciao.” saluta poi, accennando un sorriso. Sembra quasi tenero.
“Oh, ciao.” ricambio, sorridendo istintivamente. Sorrido bene, veramente. Sembra che stia per ricambiare, colpito, ma Pedro raduna la squadra e ci fa salire in pullman. Sarà un viaggio lungo.
 
1 ora, 1 ora di pullman. E ancora siamo qua, bloccati in un ingorgo. Mi viene da piangere. Mi sta venendo il latte alle ginocchia a momenti. E sto pensando cosi tanto che tra poco il mio cervello si incendierà e uscirà il fumo dalle orecchie. Sto impazzendo. Umberto dice che magari gli piaccio. Cioè, l’ha detto implicitamente, ma l’ha fatto. Quindi magari è perché in fondo… ci tiene. O magari è perché troppe poche ragazzine non è abbastanza… Che cattiveria. Mi maledico mentalmente. Okay, questa è una cattiveria ma potrebbe essere la realtà. Potrebbe. Non è detto che lo sia. Ricapitolo: sto impazzendo seriamente. Scuoto la testa. La strada riprende a scorrere. Infilo le cuffie e la riproduzione casuale mi assiste: It’s my life, Bon Jovi. Mi assiste, decisamente. Muovo la testa e batto il piede a tempo. Qualcuno si accomoda accanto a me. Sicuramente è Umberto. E quando sto per voltarmi a gridargli nelle orecchie il pezzo forte rimango di sasso con la bocca spalancata. E’ evidente che non sia Umberto. Scoppia a ridere.
“Pensavo fossi Umbe” mi giustifico, imbarazzata. Massi ride più forte.
“Scusa, se vuoi mi alzo” e fa per alzarsi. “No!” esclamo, bloccandolo per un braccio. Si risiede, guardandomi.
“Cioè, volevo dire… puoi sederti” mi correggo, calmandomi, notando che gli altri si sono girati nella nostra direzione e che ci stanno osservando interrogativi. “anzi, colgo l’occasione per parlarti” faccio una pausa. Calma. Stai calma “allora… volevo solo dirti che mi stanno sulle palle le prese per il culo. Con me o stai dentro o stai fuori.” mi fermo, e mi rendo conto del tremendo fraintendimento che ci potrebbe essere “cioè, intendevo” mi correggo “intendevo dire che non vado dietro a nessuno, forse solo al mio cagnolino Sunshine. Il punto è che… niente. Okay, dimentica tutto. Torno ad ascoltare la mia musica.” cazzo. Tutto quello che riesco a pensare è solo un beatissimo cazzo. Volgo lo sguardo davanti a me, seria. Sarebbe una scena da ridere. Difatti dopo neanche trenta secondi l’amico ride di gusto, riducendo gli occhi a due fessure. Mi ri-volto a guardarlo ed è bellissimo. E che palle. Mi sento offesa.
“Beh…” inizia, e mi sento morire “potremmo iniziare ascoltando insieme la musica. Tu come la vedi questa cosa?” me lo immagino mentre parla, con quegl’occhi troppo verdi e quei capelli troppo morbidi e quella bocca troppo perfetta. Lo guardo. Sento le mie mani andare a pesare l’effettiva situazione. Devo o non devo? Non devo o devo? Non devo.
“Direi che va bene.”
La coerenza.
 
“Mi ha detto soltanto:  ‘potremmo iniziare ascoltando un po’ di musica. Tu come la vedi questa cosa?’ Capito? Hai capito? Mi confonde. E tra poco devo andare sul ring perché qualcuno ha voglia di essere pestato. Voglio capirci qualcosa da tutta questa storia!” mi lamento al telefono, con la mia migliore amica, Chiara.
“Chiedigli che cosa siete!” mi suggerisce. Storco la bocca, inorridita.
“Ma stai male.” esclamo, iniziando lo strecthing. Mi chiamano al microfono “ e io con te! Devo andare ci sentiamo dopo. Ciao zia!” aggiungo salutandola. Stacco il telefono. Scrocchio il collo.
“Falli secchi” mi sussurra all’orecchio Massimiliano. Rabbrividisco al suono della sua voce
“Ci puoi giurare” ribatto, voltandomi verso di lui. Mi slego i lunghi capelli marroni e mi faccio una coda di cavallo.
“Perché non te li raccogli tutti? Di solito fai cosi” osserva, e sorrido.
“Perché quando mi faccio la coda vuol dire che voglio sentire il sangue sulle nocche.” rispondo. Mi avvicino al suo orecchio “Ma non il mio” soffio, e con un’ultima scrocchiata di spalle raggiungo il ring, dove un ragazzo che assomiglia tanto ad un orso bruno mi lancia occhiate omicide. Forse sono ancora in tempo per annullare l’incontro… no. Pazienza.
 
“Ti amo.” sento sussurrare da Umberto al telefono. Siamo in camera sua e di Massi e sono sotto la doccia, dopo una santa vittoria contro l’orso bruno. Forse crede che non lo senta, ma in realtà ho sentito tutta la telefonata. E ha un ragazzo. E sono cosi contenta per lui che neanche riesco a capacitarmene. Esco dalla doccia e mi avvolgo il corpo con un asciugamano. Ciabatto fino al salottino della camera, e vedo Umbe trafficare col telefono.
“Massi non è tornato vedi. Forse torna tra un’ora. O due. E’ in giro per Torino.” Poi alza lo sguardo tranquillo. Mi squadra. Poi, da bravo attore, si copre gli occhi con la mano.
“Oh, Dio, vestiti, sei quasi nuda!” grida, stridulo. Rido sommessamente, avvicinandomi al letto e sedendomi accanto a lui. Sbircia e mi trova a cinque centimetri dalla sua bocca.
“Umberto, devo dirti una cosa.” sussurro, suadente. Non sospetta niente.
“Prima io devo dirtene una.” e spalanco impercettibilmente gli occhi.
“Dimmi tutto.” e attendo. Respira a fondo.
“Non mi interessi.” esclama di getto e velocemente, tenendo gli occhi serrati e la fronte corrucciata.
“Lo so.” Sorrido e mi rilasso stendendomi. Riapre gli occhi e mi fissa sconcertato.
“ah. E cos’altro dovevi dirmi?” chiede, ancor più perplesso.
“Che sei un mio amico. Cioè, stiamo imparando a conoscerci e sei una delle persone che in questo momento mi stanno dimostrando più fiducia. E che ti accetto, non ho nulla contro i gay. Anche perché, diciamocelo, l’omofobia non è paura, è solo stronzaggine.” replico, alzando le spalle. Mi rialzo, e lui è ancora li, che mi guarda, con quei suoi capelli perfetti e quei suoi occhi teneri. Sbatte le palpebre un paio di volte.
“Quindi… te l’ha detto.” esclama, neutro.
“Chi me l’ha detto chi?” chiedo, e stavolta la perplessa sono io.
“Massi. Massi è l’unico che lo sa oltre me e il mio… ragazzo. E te, adesso.” risponde, con la voce roca. E’ quasi sotto shock.
“Non me l’ha detto lui.” ribatto, osservandolo. “ L’ho capito da sola.” aggiungo, accennando un sorriso. E’ cosi forte e nello stesso tempo indifeso.
“Sul serio?” mi chiede. Annuisco con foga.
“In questo caso… okay.” sussurra. Accenna un piccolo sorriso. Ci fissiamo per qualche istante.
“Si nota cosi tanto?” mormora, quasi impercettibilmente, trattenendo le lacrime. E malgrado la mia tenuta, malgrado la sua, malgrado anche tutte le apparenze e le frasi zuccherose che potrei dire e perfino i capelli color caramello che si scompiglieranno, lo abbraccio. Stretto. In una morsa quasi fatale. Accarezzo i muscoli delle spalle ben pronunciati, e lo stringo dal collo. Risponde all’abbraccio. Se fossi anche un po’ più emotiva scoppierei a piangere.
“No, ma sono un’esperta in capelli.” rispondo, scoppiando a ridere. Gli asciugo una lacrima.
“Non sei cattivo. Davvero dico. Io mi alzo tutte le mattine sperando di essere almeno un poco una brava persona come te. Cosi generosa, cosi presente, cosi affidabile, cosi tenera. Se non fossi muscoloso sembreresti un orsetto.” e accenna una risata. Sorrido anche io, sincera.
“Grazie. Ti voglio bene.” mi sussurra, quasi sottovoce.
“Anche io.” rispondo. E stavolta mi abbraccia lui, di getto, e rispondo all’abbraccio subito. Sorrido, ad occhi chiusi.
“Dovrei farmi una chiacchierata con Massi. E’ uno stronzo.” esclamo, cambiando argomento e alzandomi per prendere la spazzola in bagno.
“Non è vero. Ti ha comprato anche le rose” inizia, riprendendosi e tornando normale. Mi blocco di colpo.
“Lui che cosa?” chiedo stridula, uscendo dal bagno e piantandomi di fronte a lui, con la bocca aperta e il braccio immobile in aria. Non riesco neanche a crederci. La porta si spalanca. Ci voltiamo di scatto. E’ Massimiliano, con un mazzo di rose in mano, che mi fissa.
“Che succede qui?” chiede sospettoso. Mi fissa insistentemente. Vorrei scomparire.
“Che succede Umberto, che minchia succede?” sbraita poi, entrando definitivamente e sbattendo la porta.
“Niente Massimo, niente.” replica premuroso, alzandosi e affiancandosi a Massimiliano, magari per un suo probabile scatto d’ira.
“Quando mi chiami Massimo c’è sempre qualcosa che non va.” dice digrignando  i denti, sottolineando la parola ‘sempre’. Sembra fuori di sé. Avanza verso di me, con passo lento. Lo guardo sconcertata. Sembra un pazzo.
“non c’è niente che non va!” urlacchia Umbe, inserendosi. “Ho solo ammesso che sono.. gay.” aggiunge, in imbarazzo.
“Perché lo stai guardando in quel modo?” mi chiede, folle.
“In quel modo come?” domando a mia volta, stranita. Sta male. Ma sul serio.
“Tu! Lo guardi male! Come puoi essere cosi! Lui è normale! Normalissimo! Non puoi trattarlo come se fosse un pezzo di merda! Come puoi anche solo provarci!” sbraita, tenendomi con lo sguardo. Sono scioccata.
“Hai frainteso tutto.” replico, reggendo la sfida.
“Invece ho capito perfettamente. Non mi aspettavo fossi quel tipo di persona.” sputa, e mi sento colpita nel profondo. Stronzo.
“L’unica che non si aspettava qualcosa ero io, e che tu non fossi un idiota e uno stronzo. Ma a quanto pare lo sei. Non fare il paladino di questo beato cazzo, perché non lo sei, né ci somigli un po’. Io è dal mio primo giorno di scuola che ho capito che Umberto è gay. Oggi solo ho esternato questo mio pensiero. Stop. Solo questo. E in più stavamo parlando di tutt’altra cosa, quindi proprio quello che non c’entra un cazzo ora come ora sei tu. E ora, che ho finito di farmi la doccia dopo essere stata assalita da un orso bruno e dopo aver chiacchierato su quanto sei debole con il mio amico Umberto fiero gay, me ne vado in camera. Mentre tu, Rossi, vattene a fare in culo.” e dopo un monologo con i contro cazzi lo supero, poso un bacio sulla guancia di Umberto, prendo il telefono e le chiavi della stanza sul comò, apro la porta ed esco, sbattendola malamente. Sono cosi amareggiata che vorrei davanti un orso bruno due la vendetta solo per scaricare la tensione. Da un lato, accidenti, è cosi bello vedere quanto sia attaccato ad Umberto, cosi protettivo, cosi tanto suo amico. E’ dolce. Ma darmi dell’omofoba, cazzo, supera ogni limite. Che si informasse prima di parlare a vanvera. Percorro velocemente il corridoio e senza farmi accorgere entro in camera, richiudendo la porta alle mie spalle. Che pomeriggio stressante. Mi infilo un paio di mutandine e il piccolo pigiama estivo di seta, poi mi butto sul letto, afferrando il telefono. Compongo un numero che so a memoria. Uno, due, tre, quattro squilli.
“Pronto?” risponde, calmo. Quanto mi manca.
“Ciao faccia di merda, mi manchi” dico, sospirando.
“Anche tu patatina, tanto” replica, prendendomi in giro.
“Sei uno stronzo! Io ti chiamo per avere qualche consiglio e tu… mah.” sbuffo, ridacchiando. E’ sempre il mio migliore amico.
“E scusa! Come stai?” mi chiede indifferente. Starà mangiando Kit Kat con latte e cioccolato. Tipico.
“Boh. E tu?” chiedo a mia volta.
“Boh.” sbuffa. Stiamo in silenzio. Non c’è tensione, c’è soltanto…. boh. C’è qualcosa che ci stiamo leggendo, che non stiamo propriamente spiegando a parole, ma che stiamo spiegando. E ci stiamo consigliando a vicenda. Ci stiamo dando forza.
“Capito.” annuisce Diego, mantenendo la propria bocca impegnata. Mi alzo in piedi e girovago per la stanza.
“Capito.” confermo allora io. Controllo l’orologio. Sono le otto meno venti. Mi chiedo seriamente quanto tempo siamo stati in silenzio a sostenerci a vicenda. Sorrido.
“Tra poco andiamo a cena, io e la squadra. Ci sentiamo” saluto velocemente.
“Ciao sorella, a presto.” stacco ridendo la chiamata. Ma il sorriso lo perdo piuttosto velocemente. 22 messaggi da Massimiliano con scritto “Ho provato a chiamarti alle ore bla bla bla…” e tra i ventidue ce n’è sono anche 6 scritti di suo pugno, che recitano, nell’ordine “non avevo capito, non intendevo offenderti.”,“sei in camera?”, “scusa se ti ho offesa, non volevo”, “andiamo, non puoi avercela con me per sempre!”, “sto passando.”, “aprimi”. Controllo l’orario sul cellulare. In due falcate percorro la stanza ed apro la porta. Ed è ancora di fronte a me. Più bello di prima. Cazzo.
“Ciao” è teso.
“Ciao” resto calma.
“Posso entrare?” aumenta ancora la tensione. Vorrebbe morire.
“No.” sono cosi calma da fare schifo. Vorrei sputargli in faccia. E anche a me.
“Okay…”
“Okay.”
“Perciò volevo…” inizia una frase, ma la tronca miseramente a metà. E’ patetico.
“Perciò volevi che cosa?” ripeto impertinente.
“Chiederti scusa.” stavolta è in imbarazzo. Vorrebbe sotterrarsi.
“Accetto le tue scuse. Adesso scusami, ma non ho intenzione di perdere altro tempo. Tra poco si mangia.” stavolta sono arrabbiata. Vorrei davvero sbattergli la porta in faccia. E in effetti, è esattamente quello che faccio.
 

 



VA BE', è orribile ma volevo postare. il prossimo capitolo andrà meglio (spero). A presto!

Eleonora. 

  
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