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Autore: Pendragon of the Elves    31/10/2012    3 recensioni
Gli sembrò di attraversare la discesa negli inferi, trascinato dalle ali dei diavoli in persona, un viaggio che sembrò durare in eterno ma che si rivelò fin troppo breve quando il turbine di terrore smise di girare e venne malamente gettato in ginocchio sul pavimento freddo della cripta. Sentiva i due ragazzi accanto a lui, da qualche parte ed il suo respiro ansimante che si condensava nell'aria fredda e stantia. Il suo cuore martellante, l'unica cosa viva dentro quella gabbia di pietra. Nell'oscurità, si accesero dei candelieri con una vampata di fiamme infernali. Dinanzi a lui, tra funerei panneggi purpurei, giaceva una bara nera, lucida con una sola lettera incisa in argento sul coperchio. Ed era lì, che scintillava in maniera sinistra, una grandissima "L" scritta in caratteri gotici.
Storia brividosa scritta per Halloween, una cosa un po' particolare con i personaggi di Death Note visti in un altro contesto: Europa, XVIII secolo, tra atmosfere sinistre e misteriose Light dovrà fare i conti con qualcuno a cui ha tolto troppo...
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Light/Raito, Mello, Misa Amane, Near
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Birth by Blood


Un passo, poi un altro, poi un altro ancora: il rumore delle sue scarpe lucide sulle pietre rese scivolose dall'umidità della notte. Avanzava piano senza fretta e con una certa grazia nell'andatura dovuta come ad una sorta di baldanza contenuta, come se la sua felicità fosse consapevole di essere fuori luogo ma troppo grande per non essere ostentata. Light percorreva le strade deserte della città immersa nell'oscurità: nel silenzio della notte il suo passo risuonava solitario e potente nella sua testa come se un gigante stesse calcando la terra. La luna delineava sul suo viso un sorriso malinconico di pacato orgoglio, il sorriso saputo di un uomo che ha tutto il mondo in mano ma simula di essere uno qualunque.
Varcò con tranquillità il cancello in ferro battuto di un cimitero, aperto in un funereo invito a tutti coloro che avevano perso qualcuno di caro: le porte leggermente storte erano piegate quasi lamentosamente all'esterno cigolando ogni qual volta il vento le faceva ruotare impercettibilmente sui cardini in un verso lamentoso che sembrava la voce dei morti soli che cercavano la luce di qualche vivo per consolar loro in quella notte gelida. Ma di anime vive in giro non ce n'era nemmeno una, nessuno, nemmeno il più pietoso dei fedeli si sarebbe attardato fuori casa in quei giorni funesti. Si erano tutti rintanati in casa facendosi il segno della croce, mormorando preghiere come una nenia inginocchiati davanti ai crocifissi, i rosari in mano, chiedendo per l'ennesima volta perdono per i loro peccati. Sembrava quasi di sentirli, nella notte, i ticchettii sordi e continui dei grani di legno che scandivano i Padre Nostro e le Ave Maria dei pavidi insonni: il rumore della paura, la paura di venire annoverati troppo presto tra gli avvisi dei necrologi, vittime della furia del signore.
C'erano stati troppi morti in quei giorni, decisamente troppi: Light inspirò profondamente, quasi con soddisfazione, l'odore di terra smossa che aleggiava sul cimitero mischiato ai miasmi fetidi emanati dalle tombe, l'odore penetrante e nauseante della morte. Eppure lui non ne appariva troppo disturbato, ne era abituato. In quegli ultimi tempi le sepolture nuove erano aumentate, i funerali si erano fatti sbrigativi, le prediche dei preti rassegnate e timorose. Mentre il numero dei loro parrocchiani diminuiva, quello dei morti continuava ad aumentare. Ora, migliaia di anime colpevoli scontavano la loro pena sotto la terra di quel cimitero, schiacciate dal peso delle lapidi che vi sorgevano sopra, ultime granitiche testimonianze della loro esistenza. Giacevano così, fianco a fianco, i criminali e gli innocenti, tutti morti senza distinzione: i colpevoli e le vittime. E lui camminava sopra tutti loro, calpestando la terra sotto la quale marcivano, ergendosi vivo e potente sulla legione di morti che si estendeva sotto i suoi piedi.
Ma non era quello che lo rallegrava maggiormente: ciò che lo faceva sorridere era il fatto che quel cimitero era il podio del suo trionfo assoluto. La sua parola era diventata la sola ed unica verità su quel pianeta sconfiggendo tutte le altre voci che avevano tentato di sovrastare la sua. Tutte, perfino quella. Da quando ci era riuscito, da quando aveva eliminato fisicamente quello scoglio dal suo cammino, non era ancora riuscito a crederci. La notte dormiva inquieto e non trovava pace fino a che non vedeva la sua tomba, quella tomba di marmo, una cripta in marmo perfettamente sigillata: fredda, dura, morta, immobile senza un nome inciso sopra. Era lì che giaceva il terrore senza volto che la notte lo tormentava ed era lì che lui si recava, ridendo di sollievo e felicità davanti alla sua tomba il riso sprezzante dell'incontrastato vincitore.
Quando infine la scorse in mezzo ai rami spogli e tristi degli alberi, udì un fruscio e il suono di una voce di qualcuno che si aggirava fra le tombe. Spinto da curiosità e circospezione, si nascose velocemente dietro una lapide, sul volto dipinto un leggero disappunto: chi aveva il coraggio di aggirarsi per il cimitero a quell'ora di notte? La voce si faceva più vicina accompagnata dal rumore di stoffa che strusciava per terra e man mano si faceva più chiara e familiare. Il punto dove si trovava era un buon punto di osservazione poiché aveva una buona visuale della grande tomba di marmo ma i rami di un albero lo celavano dalla vista risultando completamente invisibile. Alla fine, da un gruppo di tombe spuntò una giovane donna dai lunghi capelli biondi ed un lungo vestito di pizzi bianchi e neri che arrivava fino a terra smuovendo le foglie secche disseminate lungo il suo cammino. Il viso di lei era pallido, solcato da un sorriso di due labbra dipinte di un rosso carico, come quello delle rose a maggio, le palpebre erano dipinte di blu scuro facendo risaltare i suoi occhi luminosi. Il suo cuore ebbe un tuffo quando la vide: avrebbe potuto riconoscerla ovunque. "Che diavolo ci fa Misa in giro a quest'ora di notte? Non le avevo detto di aspettare a casa?", pensò con stizza. Poi, si accorse che la donna portava un bambino con se, sostenendolo da sotto con un braccio e con l'altro tenendogli ritta la schiena. Era completamente vestito di bianco, con le brachette corte infilate in degli stivaletti e le eleganti maniche a sbuffo drappeggiate. Al collo sottile era legato un fazzoletto di pizzo. La sua pelle era talmente pallida da parere la pelle di un morto o un demone. Per contro il suo viso era quello di un angelo, incorniciato da teneri capelli bianchi e gli eleganti occhi socchiusi dalle dolci palpebre. Giaceva tranquillamente abbandonato al corpo di Misa con assoluta fiducia, come per cercarne un calore che il suo non possedeva. La ragazza cantava dolcemente una sorta di canzone triste, ondeggiando piano tra le lapidi come una dama bianca per poi si sedersi su una panca di pietra stringendo dolcemente a se il bambino le cui mani rimasero inerti lungo i fianchi come se stesse dormendo.
«Senti la pace che c'è questa sera?», la sentì mormorare Light, «La notte è diventata silenziosa e serena, non c'è più gente che si aggira al calar delle tenebre, solo quelli che hanno il cuore puro e non hanno nulla da temere perché ormai non ci sono più malintenzionati che si appostano nei vicoli pronti per fare del male alla brava gente. E questo», sorrise passando una mano tra i capelli del piccolo, mentre il suo sguardo vagava lontano, sognante, perso nelle parole che lei stessa proferiva, «è solo grazie a Kira: con la sua giustizia il mondo è stato ripulito dai criminali e dagli ingiusti ed ora è un posto migliore. Il suo potere è tanto forte da governare il mondo intero!».
«Kira ha ucciso la gente cattiva: come può una persona essere giusta se ha ucciso come quelli che egli stesso ha giudicato ingiusti?».
La voce del bambino era fredda, quasi atona, e, pur non trasmettendo nessun sentimento, la fredda, monolitica condanna che vi si leggeva fece fremere fortemente Light: era la stessa critica che tutti gli avevano rivolto e lui l'aveva sempre ignorata, sapendo che era il pegno necessario per salvare il mondo. Se si immolava per un'opera buona, la sua anima sarebbe stata pulita come la sua coscienza nella consapevolezza di agire solo nel bene. Eppure questa volta, quella stessa accusa così innocua lo schiacciò come una pesante lapide e il Dio del nuovo mondo si ritrovò a sperare che il suo tremore si confondesse con i fruscii sinistri della notte.
Misa invece non parve affatto turbata, ma divertita da un tono così deciso come se non potesse essere preso troppo sul serio se proveniente da una così piccola creatura: la noncuranza con cui gli rispose gli sembrò più che una mancanza di rispetto. «Kira esercita un giudizio, non è un assassino. La sua è un opera divina, il giudizio universale di cui tanto parla la bibbia: è colui che ha condannato i malvagi all'inferno, assieme ai diavoli».
La risposta arrivò immediatamente, lapidaria come la precedente:«Non dovrebbe essere opera Dio esercitare questo giudizio?».
«Ma è Kira se non Dio? La sua è la parola suprema, quella che decide cosa è bene e cosa è male in questo mondo. Non può essere una cosa cattiva!», la luce nei suoi occhi pareva renderla ceca, abbagliata dalla stessa fiducia di cui intesseva le sue parole e vibrava la sua voce, come se fosse invasata dalla Verità stessa, «Dopotutto, giovani ragazze come me e innocenti creature come te non meritano forse di poter vivere tranquillamente, senza dover temere le insidie del maligno?».
Il bimbo sembrò avere un fremito a quelle parole, ebbe una sorta di guizzo negli occhi, come di chi sa ben più di quello che vuol far apparire.
«Ma ora… Kira dov'è?». Light tremò internamente per l'abisso di verità nascoste che gli comunicavano quegli occhi eppure non riusciva a distogliere lo sguardo. Anche Misa osservava quel volto bianco come la neve, ma con dolcezza infinita, incantata come se vi vedesse impressa l'effige della purezza.
Per un terribile istante temette che ne riammesse troppo affascinata a potesse dire qualche parola di troppo. Invece, la ragazza scoppiò in una risata cristallina.
«Kira è ovunque, assieme a tutti noi, ci aiuta e ci protegge ed io credo in lui. E sai perché? Perché lo sento sempre qui», chiuse gli occhi poggiandosi una mano sul petto, «nel mio cuore».
Il bambino la fissò inespressivo. «Nel tuo cuore?», ripeté.
Misa annuì e poi lo strinse a se con le braccia, facendogli poggiare il viso al seno: «Sì, nel mio cuore: riesci a sentirlo?».
Senza spiegazione, Light si sentiva agitato, avvertiva l'impulso di strapparle quel bambino e scappare il più lontano possibile. Eppure non riusciva a muoversi, i piedi come piantati nel terreno, immobile come una statua di pietra mentre un terrore sconosciuto gli strisciava addosso, freddo come un serpente, sussurrandogli nel cranio parole tanto spaventose da farlo tremare. Sentiva il pericolo aleggiare nell'aria ma non riusciva a staccare gli occhi dal bambino e, quando vide la sua bocca piegarsi in un sorriso crudele il suo cuore prese a battere così forte da assordarlo.
«Sì, lo sento», fece il bimbo, stringendosi a sua volta al Misa, nascondendo completamente il viso nel suo petto. Poi, la giovane emise un sospiro, un sospiro che pareva paurosamente un gemito. Si sentì un rumore inquietante, come di ossa rotte e lei cominciò ad distendersi all'indietro come se si stesse dolcemente addormentando. Alla fine giacque accasciata sulla panca, gli occhi socchiusi che rilucevano vitrei. Ma il sorriso, il sorriso era ancora lì, fermo immobile sulle sue labbra, un sorriso di estasi, di felicità, il sorriso di una persona uscita di senno. Un braccio scivolò senza vita dal petto fino a ciondolare a terra. Il bimbo si alzò dalla ragazza e, quando si girò, Light vide che in bocca teneva il suo cuore. L'organo flaccido, trattenuto da quei denti bianchi ed innaturalmente lunghi, grondava sangue: denso e copioso, colava sul mento e sul collo del bimbo macchiandogli il fazzoletto e l'abito dello stesso color vermiglio di cui si erano tinte le vesti di Misa. Dalla sua mano destra cadevano gocce purpuree come rubini. Si allontanò da lei, con noncuranza. Light, impietrito dall'orrore, lo vide avanzare piano, tranquillamente, fino sotto un'albero. Trasalì nel notare una figura che prima non aveva visto. Vide una mano protendersi dal buio, il bambino porgere l'organo a quelle mani tremanti e bisognose che lo portarono con loro nel buio, dove si trovava la bocca. Da sotto gli alberi si sentì il rumore di deglutizione.
Light cedette al disgusto. Si accasciò a terra vomitando, lo stomaco contratto dalla paura cieca, i muscoli del viso stravolti dal terrore. Scossa dai conati, alzò i capo e vide due piedi bianchi: il bambino non più tutto bianco lo osservava, gli occhi grandi, la bocca rossa che lasciava intravvedere i bagliori dei denti aguzzi. Con un rumore di stoffa lacerata, un paio di livide, membranose ali da pipistrello gli si aprirono sulla schiena.
Urlò per il terrore ed indietreggiò ansimando, tentando di alzarsi. Ma le gambe non lo sorreggevano e cadde nuovamente a terra, la faccia sulla terra che puzzava di morte. Sentì il piccolo piede del bimbo sulla schiena e le sue manine che si serravano sui sui polsi come una di una morsa di ghiaccio. Lo costrinse ad alzare lo sguardo: dinnanzi a lui c'era un ragazzo, anche lui con la pelle bianchissima. I capelli biondi ricadevano regolari attorno al volto per metà deturpato da un'orrenda cicatrice. Si passò la lingua sulle labbra, pulendole dal sangue. Con la mano gettò per terrà il cuore, ormai secco e rinsecchito, senza più sangue. La nausea gli serrò nuovamente le viscere a quella vista.
La sua mano fredda e insanguinata lo afferrò brutalmente per i capelli come degli artigli facendogli sollevare il capo e a fissarlo dritto in quegli occhi neri come pozzi oscuri, ricolmi di odio sconfinato.
«Mi riconosci, non è vero, Kira?», domandò. La sua voce, un sibilo di odio, come una sottilissima lama.
Light gemette: l'aveva riconosciuto, eccome se l'aveva riconosciuto. E sentiva la morsa terrible della morte ghermirgli il cuore, come se già sentisse quei denti perforarlo come avevano fatto con Misa.
«Ne sono felce, dopo quello che mi hai fatto», continuò indicandosi l'enorme cicatrice che rendeva il suo volto aggraziato una maschera di rancore. La maschera che lui stesso gli aveva procurato.
«Credevi di avermi ucciso, non è così? C'eri quasi riuscito, lo ammetto, ma sono riuscito a salvarmi: il tuo prezioso fuoco è riuscito soltanto a farmi questa. Non guarirà mai. Ma questo non è niente: io sono sopravvissuto. Ma tu come hai osato uccidere Matt? Il mio Matt!».
Gli serrò la mano attorno al collo, togliendogli il respiro.
«Pagherai per avelli piantato un paletto nel cuore, pagherai per tutto quello che hai fatto: PAGHERAI!». Ormai stava gridando, le iridi che bruciavano di rabbia.
Light era paralizzato dal terrore, tutto quello che riuscì a vedere fu la porta di marmo della cripta che si apriva, come rispondendo ad un comando o come se fossero le porte stesse dell'aldilà a chiamarli. Venne inghiottito da quell'oscurità -non seppe neppure come-, in un vortice di pazzia, incoscienza e folle terrore: sentiva solo il suo cuore che batteva sempre più forte mentre nel buio continuavano a vorticare le immagini di una casa in fiamme, il corpo di un ragazzo immobile con un paletto di legno piantato nel costato ed il volto di Misa che sorrideva sinistramente anche nella morte.
Gli sembrò di attraversare la discesa negli inferi, trascinato dalle ali dei diavoli in persona, un viaggio che sembrò durare in eterno ma che si rivelò fin troppo breve quando il turbine di terrore smise di girare e venne malamente gettato in ginocchio sul pavimento freddo della cripta. Sentiva i due ragazzi accanto a lui, da qualche parte ed il suo respiro ansimante che si condensava nell'aria fredda e stantia. Il suo cuore martellante, l'unica cosa viva dentro quella gabbia di pietra. Nell'oscurità, si accesero dei candelieri con una vampata di fiamme infernali. Dinanzi a lui, tra funerei panneggi purpurei, giaceva una bara nera, lucida con una sola lettera incisa in argento sul coperchio. Ed era lì, che scintillava in maniera sinistra, una grandissima "L" scritta in caratteri gotici.
Rimase a fissarla, impietrito dall'orrore, gli occhi puntati sui riflessi che le candele gettavano sull'argento, parevano infondere vita a quell'iniziale e farla sfolgorare come un miraggio nella notte. La mano fredda del ragazzo si strinse ancora nei suoi capelli, la sua voce crudele gli ferì le orecchie:«Muori dalla voglia di vedere cosa c'è dentro. Vuoi vedere il tuo avversario morto, non è vero?».
Light non rispose, non staccò gli occhi dalla bara. Era così: aveva sognato mille e mille volte di poter vedere quel volto avvelenato dalla morte, i segni della decomposizione su quel corpo, le sue carni consumarsi, le sue ossa sbriciolarsi fino a che non fosse rimasto nulla che potesse nuocergli. Voleva vedere quella polvere e capire di non avere finalmente più nulla da temere, le ceneri dell'incubo che lui aveva sconfitto che lo proclamavano vincitore.
Avvertì le labbra esangui accanto al suo volto tendersi in un sorriso, contraendo dolorosamente la pelle ferita.
«Bene allora», fece con simulata allegria, facendolo avvicinare alla bara, «Guarda, dato che ci tieni tanto. Guarda il volto dell'uomo che hai ucciso!».
Con un brusco spintone il pesante coperchio scivolò di lato rivelando gli interni di elegante e costoso velluto rosso. E su un letto di opulente rose blu, giaceva un corpo ancora perfettamente intatto, come se la morte non l'avesse ancora sfiorato. Indossava, sopra la camicia, un lungo abito nero con le spalline per le cerimonie solenni che ricordava quello austero e severo dei giudici. La pelle pallidissima, più bianca della crudele faccia della luna, era intatta come una coltre di porcellana. Le mani scheletriche erano poggiate mollemente sul petto, le lunghe dita affusolate incrociate assieme. I capelli corvini incorniciavano il volto rilassato nella serena espressione del sonno, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie bluastre erano elegantemente chiusi, come se stesse solo dormendo.
A quella vista il terrore si impadronì di Light. Urlò disperatamente, con tutto il fiato che aveva in corpo e che non si era accorto di aver trattenuto fino a quel momento. Tentò inutilmente di divincolarsi dalla presa del bambino ma fu tutto inutile: le gambe gli cedevano e quelle piccole dita serravano le sue braccia come due manette, rigide come degli uncini, e gli si conficcarono nella carne imprimendovi la loro impronta.
Le mani del ragazzo gli presero la testa girandola nuovamente verso il morto.
«Che c'è? Non volevi vederlo coi tuoi occhi? Non volevi accertarti da te di cosa avevi fatto?».
«No, non è possibile… doveva essere morto… DOVEVA ESSERE MORTO!», urlò Light, ormai scosso da tremiti incontrollabili.
Un ginocchio lo colpì con forza sotto lo sterno, facendogli morire la voce nel petto e facendolo piegare per il dolore. Sentì vagamente la voce fredda che dicava:
«Non preoccuparti, ti faremo pagare per quello che hai fatto ma ti lasceremo ancore pochi i stati di vita, il tempo necessario a sistemare tutto: occhi per occhio, dente per dente, sangue per sangue».
Il ragazzo gli strappò ferocemente la manica della camicia poi, spostando il bambino, gli tese il braccio piantandogli uno stivale tra le scapole. Light alzò gli occhi in tempo per vedere il demonio bianco dinanzi a lui con un coltello d'argento in una mano ed un calice di cristallo nell'altra. Gemette e la presa sui suoi capelli aumentò. La lama affilata penetrò la sua pelle procurandogli un taglio profondo, recidendo le vene e sfiorando l'osso. Il sangue cominciò a spillare copioso dalla ferita colando sul suo braccio e gocciolando nel bicchiere, che il bambino reggeva sotto il suo polso. Light sentiva le forze cominciare a mancargli,  il battito del cuore che rallentava paurosamente mentre il cristallo scintillante non venne riempito di rubino. Quando fu completamente colmo, il bimbo si diresse verso la bara, alzò dolcemente il capo del morto, portandogli il bicchiere alla bocca, infilandone l'orlo sottile nel minuscolo spazio tra le labbra ed inclinandolo perché il sangue vi si riversasse dentro. un rivolo di sangue spuntò da un lato della bocca e gocciolò oltre il mento poi, come se il calore intrappolato in quel liquido avesse sciolto il ghiaccio della morte, la lingua si mosse e deglutì il primo sorso, il pomo d'Adamo, come un ingranaggio arrugginito, riprese lentamente a funzionare grazie a quell'olio rosso, alzandosi ed abbassandosi lentamente come un pistone. Light vide con orrore quelle membra che si scioglievano nuovamente, come se si staccassero dalla pietra su cui erano scolpite, osservò quelle vene da lungo tempo atrofizzate rigonfiarsi e pulsare sotto la pelle lattea, rimpolpando quella carne morta di vita, bruciando in un'onda scarlatta il rigor mortis.
Infine, quando l'ultimo gocciò di sangue sparì tra quelle labbra sottili, le palpebra si aprirono rivelando due occhi di onice scintillanti di odio e di vita.
Dietro di lui il ragazzo aveva mormorato con voce commossa:«Elle… sei tornato».
Ma lui quasi non lo sentì perché quelle iridi rinate si erano fissate su di lui. La bocca sporca di sangue si piegò in un sorriso crudele facendo scintillare alla luce tremolante delle candele due canini che si allungavano a vista d'occhio. Light fissò inorridito quelle torri d'avorio che si ergevano nell'oscurità di quella bocca. E mentre il sorriso del vampiro si avvicinava al suo volto, sopra i battito impazzito del suo cuore riuscì solo a pensare che quell'oscurità troppo intensa stava già per avvolgerlo. Riuscì quasi a percepire la sua anima scivolare in quel antro oscuro senza alcuna possibilità di ritorno, correndo verso l'inferno per trovare il suo posto tra i dannati. Per sempre.



                    


The End

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Uh uh uh, ho sempre voluto far soffire Light come meritava...  B)

Ciao a tutti!
Un saluto particolare a tutte le lettrici di "Omicron" che hanno deciso di leggere questa storia e un ringraziamento in anticipo a tutti quelli a cui piacerà e vorranno recensirla. Secondariamente, complimenti per essere giunti in fondo: era lunghetta, lo so, ma non riuscivo (e non avrei nemmeno voluto) spezzarla in due capitoli. Questa è una storiella brividosa che ho scritto per Halloween, l'idea di mi è venuta dall'immagine che ho inserito nella storia. Non è mia ma ringrazio infinitamente chiunque l'abbia realizzata: l'ho trovata molto suggestiva. Ho cambiato qualche dettaglio, come potete notare: Mello è già grande e ha la cicatrice, Near ha ancora i vestiti puliti (mwahahah: sangue! *-*) e Light non è legato.
Era da tanto che volevo scrivere qualcosa in questo genere: mi ha sempre attirato ma non mi ci sono mai cimentata tanto. Spero che vi sia piaciuto questo esperimento (era da una vita che volevo inserire l'avvertimento AU, finalmente ce l'ho fatta).
Dedicata a voi lettori e a tutte le creature delle tenebre e alle cose che rumoreggiano nella notte!* xD
Buon Halloween a tutti!


Pendragon of the Elves 





* citazione da Kermitt la rana, del muppet show, quando doveva presentare la puntata con Alice Cooper
 

  
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