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Autore: Lady_Cassandra    31/10/2012    2 recensioni
"Unforgivable" nasce in una notte d'estate, è una storia che vi porta dentro una vita di Spencer diversa da ciò che conosciamo. Ci troviamo diversi anni avanti, tutto è cambiato, Spencer non è più il "ragazzino" di tempo, è sposato ed è ormai padre.
Ritroverete i personaggi che conoscete, ma nulla sarà come vi aspettate. Spero di avervi incuriosito e gradiate la mia storia. Buona lettura!
[REVISIONATA FINO AL 10° CAPITOLO]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Unforgivable.'
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Rimettendo in ordine. 

 
"Una cattiva azione non ci tormenta appena compiuta, ma a distanza di molto tempo, quando la si ricorda, perché il ricordo non si spegne." Jean Jacques Rousseau
                                                              
“Spencer … Spencer” si sentì chiamare da una voce che ormai riconosceva come la sua, era quella di sua moglie. Madison gli accarezzò delicatamente i capelli spostandogli le ciocche ribelli che gli ricadeva sul viso, Spencer fece un respiro profondo e si ricompose.
“Vai a casa, tanto qui è tutto a posto” gli disse, sedendosi al centro del letto dove Elizabeth dormiva stringendo a sé il peluche portatogli da suo fratello. “Ellie non si sveglierà ancora per un po’”; si girò verso sua figlia e allungò la mano per sfiorarle il viso.
“Cos’è successo con George?” le domandò ricordandosi improvvisamente di averla vista discutere con lui poco prima di addormentarsi.
“Nulla, voleva che Ellie rimanesse un altro giorno, ma io voglio portarla a casa” spiegò lei. Poi si alzò dal letto e si diresse verso la finestra.
Fuori pioveva, era preoccupata anche se non lo dava a vedere, sapeva che Davis era ancora a piede libero e finché non l’avessero catturato né Ellie e né Spencer sarebbero stati al sicuro. Sospirò e chiuse gli occhi come per scacciare quel pensiero e si rigirò verso suo marito che osservava Elizabeth dormire perso nei suoi pensieri.
Anche lui in quel momento pensava a Davis, doveva mettere le mani su quel viscido figlio di puttana e fargliela pagare per ciò che aveva fatto a sua figlia. Ma ora non era il momento più adatto per abbandonarsi alla rabbia, una persona più importante aveva bisogno di lui e quella persona era Ellie; sapeva, meglio di chiunque altro, quanto quell’esperienza potesse essere devastante, quanto fosse difficile superarla senza l’aiuto di qualcuno. Ma conosceva Elizabeth, e in questo gli somigliava tantissimo, ed era consapevole che entrare nel mondo in cui sua figlia si era rifugiata sarebbe stato difficile, se non impossibile.
Anche lui si alzò e diresse verso la finestra, prese la mano di Madison nella sua e la strinse debolmente.
“Lo prenderò, non preoccuparti. E troveremo un modo di uscirne” le disse intuendo la preoccupazione di sua moglie dal suo sguardo, i loro pensieri erano entrambi rivolti verso di lei, verso Ellie; così come anche le loro preghiere e speravano ardentemente che tutto si sarebbe aggiustato, prima o poi.
 
 
“Mi chiedo come faremo a prendere Davis …” furono queste le parole che Anne pronunciò tornati dall’ospedale dove si erano accertati delle condizioni di Elizabeth e che contenevano in loro tutta l’insicurezza che si era insidiata negli animi dei membri della squadra dell’Unità Analisi Comportamentale.
“Lo faremo in qualche modo” rispose Derek senza distogliere lo sguardo dai fascicoli che aveva in mano, effettivamente l’attuale agente supervisore aveva un altro pensiero, non meno grave: doveva giustificare le azioni del suo sottoposto, ovvero di Spencer.
Già, Emily aveva richiesto un rapporto dettagliato di come si erano svolti gli eventi, in modo particolare di come Spencer avesse ritrovato Elizabeth e soprattutto di come fosse giunto nel nascondiglio di Davis nonostante gli fosse stato ordinato di rimanere nell’ufficio.
Ma soprattutto doveva trovare le parole giuste per spiegare a Spencer che forse sua figlia non avrebbe superato quell’incidente facilmente, convinzione che si era fatta breccia nella sua mente immediatamente ripensando ad Ellie, la figlia del detective Spice, e a quanto per lei fosse stato arduo andare avanti e riacquistare un po’ della fiducia e sicurezza persa; ma soprattutto perché conosceva quella ragazzina quasi quanto i suoi genitori, l’aveva vista crescere e sapeva che nonostante sembrasse felice e spensierata, la realtà era che Elizabeth aveva tante paure e ansie. Quell’atteggiamento in apparenza normale e forse troppo esuberante nascondeva una certa angoscia che nemmeno lei riusciva a spiegarsi, e soprattutto per cui non era in grado di chiedere aiuto.
Lo squillo del cellulare lo distolse dai suoi pensieri; era Nancy, sua moglie.
“Derek, come sta Ellie?” domandò la donna dal forte accento francese nonostante ormai vivesse negli Stati Uniti da oltre venti anni.
“Fisicamente bene, si riprenderà. Ma psicologicamente io …” non completò la frase, sua moglie era altrettanto consapevole dell’instabilità della figlia di Spencer.
“Dici che potrebbe commettere qualche altra sciocchezza?” domandò dal tono si riusciva a capire che era anche lei preoccupata.
“Non so, potrebbe …” nel frattempo si era allontanato dalla sala riunioni per cercare un po’ di privacy richiudendosi nel suo ufficio.  “Ma faremo in modo che non succeda” aggiunse sedendosi sulla poltrona del suo ufficio.
“Madison? Sta bene?” s’informò la donna, pensando a come potesse aver gestito la situazione l’amica.
“Sì, sta bene. È riuscita ad affrontare il tutto senza perdersi d’animo, la conosci meglio di me. E’ forte”
“Già …”
“E tu, amore? Quando pensi di tornare a casa?” chiese mentre spingeva la valigia dentro casa essendo appena rientrata da un seminario sull’arte impressionista che aveva tenuto a Baltimora per qualche giorno.
“Sto bene, starò meglio quando avremo preso questo bastardo. Tornerò il prima possibile. Megan? Si è comportata bene?” chiese dal momento non era riuscito a chiamare sua figlia durante i giorni del seminario.
“Oh! Bien sûr cheri!” esclamò sua moglie. “Nostra figlia diventerà un’artista”.
A quell’affermazione , Derek scoppiò a ridere. “Un’artista in casa basta e avanza” disse pensando ai pennelli, colori, tele sparsi per casa che sua moglie utilizzava nel suo lavoro.
“Certo.. certo!” rispose Nancy scoppiando anche lei a ridere. “Bene, ci sentiamo dopo allora caro”
“Sì, a dopo” chiuse la telefonata sorridendo e socchiuse gli occhi. Ora voleva solo rilassarsi.
 
“Toc, toc si può?” disse Blair entrando nella stanza di ospedale dove soggiornava temporaneamente Elizabeth seguita dagli altri due amici, Nicole e Colin.
“Oh! Certo!” fu la risposta di Madison che si alzò dalla poltrona dove si era seduta, dirigendosi verso di loro per salutarli.
“Cuccioli della prateria mi siete venuti a trovare?” esclamò Ellie rivolgendo loro un enorme sorriso.
“Sì e non avremmo dovuto visto che sei una cretina e non meriti la nostra presenza qui!” rispose Colin con finto tono arrabbiato.
“Ma che diavolo ti è saltato in mente?” la riprese Nicole.
“È vero che noi diciamo sempre che sei WonderEllie ma questo è troppo pure lei!” proseguì Blair mentre gli altri due annuivano.
Madison rimase ad ascoltarli senza parlare ed aspettando che sua figlia almeno ai suoi amici rispondesse per vedere come si giustificava.
“Ma non vi hanno detto mai che non si dovrebbe tempestare di domandare, anzi no, puntare il dito contro qualcuno che ha appena subito un trauma come il mio?” ironizzò lei mettendosi seduta sul letto e sistemando i cuscini per poggiare la schiena.
“Ma stai zitta!” commentò Colin sedendosi sul letto e provò a darle una leggera spinta, ma Ellie si spostò dalla sua traiettoria facendogli la linguetta.
“Ragazzi, se ci siete voi, io andrei. Vado a vedere qualche paziente!” annunciò Madison poi salutò tutti ed uscì dalla stanza.
“Ma tuo padre?” chiese Blair improvvisamente accortasi dell’assenza dell’uomo.
“Boh! Sarà da qualche parte a fare telefonate!” rispose con noncuranza facendo spallucce.
“Allora che è successo in questi giorni? Qualche nuovo fidanzamento, anzi no, rottura?” domandò rivolgendo un’occhiata carica di curiosità.
“Scusa, tu ci stai chiedendo cosa è successo in questi giorni quando tu …” s’interruppe Nicole guardando interdetta l’amica come gli altri due.
“Ehm … sì” rispose lei guardandoli come se non capisse come mai le stessero dicendo una cosa del genere. “Allora Brooke sta ancora con Josh si o no?” domandò.
“Sì, ci sta ancora e la crisi è passata!” la informò Nicole decisa anche lei a far finta di nulla proprio come l’amica. Gli altri due si scambiarono un’altra occhiata incerta e si unirono alla conversazione.
In quel momento Spencer entrò nella stanza e si sedette sulla poltrona dopo aver salutato gli amici di sua figlia. Rimase lì ad osservarli parlare, anche se più che osservare i suoi amici, fissava lei: Ellie.
Tutto indicava che avesse rimosso l’accaduto o facesse finta di nulla per non spaventare i suoi amici, ai quali non aveva rivelato alcun dettaglio.
Si chiese cosa stesse in realtà pensando in quel frangente, se non sapesse che Ellie non avrebbe mai dimenticato, certezza che proveniva dallo sguardo che gli aveva rivolto quando parlava di Lucy al momento del ritrovamento, avrebbe pensato che sua figlia aveva semplicemente deciso di non pensare più a quell’orribile esperienza che aveva appena vissuto.
Era ancora in ascolto quando la porta si aprì ed entrò qualcuno che non si aspettava di vedere. Quella visione gli suscitò una piacevole sensazione, era contento che fosse lì. “Henry” esclamarono i quattro ragazzi che gli rivolsero un sorriso.
“Hey! Gente!” ricambiò lui salutando gli amici della ragazza con un bacio sulla guancia, poi si girò verso Spencer e salutò anche lui.
“Che ci fai qui? Non dovresti essere a Providence a fare qualche esame?” lo scherzò Ellie mentre lui si sedeva sul letto vicino a lei.
“Va bene, visto che tu sei qui..” disse Blair riferendosi a Henry. “Noi magari potremmo andare …” continuò lanciando un’occhiata complice a Nicole che sorrise e aggiunse: “Già, io devo andare in quel posto a prendere quella cosa che mi ha chiesto mia madre”
“Che cosa devi comprare? E dove? Non mi hai detto nulla prima” domandò sconcertato Colin che non aveva afferrato il motivo di quell’improvvisa partenza.
“Te lo dico strada facendo ...” lo rispose Nicole prendendolo per un braccio e trascinandolo fuori dalla stanza nonostante le proteste del ragazzo sotto lo sguardo divertito di Henry, Ellie e Blair.
“Beh anch’io vado. Devo chiamare Morgan” annunciò Spencer e alzandosi dalla poltrona. Sua figlia annuì e lo salutò con un cenno della mano e altrettanto fece Henry. “A dopo” disse l’uomo e chiuse la porta.
“Questa volta l’hai combinata grossa” la rimproverò Henry senza riuscire tuttavia a tenere un tono serio.
“Anche tu mi rimproveri?” si lamentò lei tirandosi le coperte sulla testa per non farsi vedere.
“Sì, anch’io ti rimprovero” tirò giù le coperte e prese le sue mani nelle sue. “Non farlo più, ok? Sennò io chi potrò prendere in giro per la sua totale ignoranza?” la rimbeccò facendo un sorriso.
Ellie ricambiò. “Vedrò di tenermi fuori dai guai così siamo sicuri che avrai sempre qualcuno con confrontare la tua immensa intelligenza” ironizzò lei. 
“Brava, era questo che volevo sentire” rispose lasciandosi sfuggire una leggera risata.
La risata di Henry si spense quasi subito, il ragazzo si alzò e andò alla finestra sotto lo sguardo curioso della figlia del suo padrino che aveva percepito il cambiamento nella sua espressione.
“Avresti potuto davvero morire..” sussurrò senza voltarsi. Alzò lo sguardo verso il vetro e incontrò il suo riflesso, aveva gli occhi lucidi e anche il naso pizzicava. Stava per scoppiare in lacrime.
Elizabeth non rispose limitandosi ad annuire nonostante fosse conscia che lui non potesse vederla.
“Ellie..” si voltò verso di lei rimanendo sempre alla finestra. “Io credo che..” quello che stava per confessarle era più difficile di quanto volesse ammettere. Gli occhi nocciola di Elizabeth erano puntati sulla sua figura e deglutì. “Tu mi piaci” affermò d’un fiato.
Elizabeth sgranò gli occhi e si umettò le labbra. “Credevo che..”
Il ragazzo si avvicinò a lei e prese di nuovo le mani di lei nelle sue. “Lo so quello che credevi. Devi capirmi, Ellie, io mi ricordo di te da quando pesavi poco più di due kg e mezzo e puzzavi di cacca”
La ragazza rise a quell’affermazione. “Bel ricordo..” ironizzò.
“Per me è difficile, anzi, è strano.. per te non è strano?” domandò alla ragazza che fece spallucce.
“Il concetto di stranezza nella famiglia Reid è piuttosto vago, Henry, quindi no. Non è strano per me” ribadì avvicinandosi di più al suo volto. 
“Sono migliorata da quando pesavo due kg e mezzo e puzzavo di cacca?” chiese mordicchiandosi il labbro inferiore, gesto che fece sorridere Henry.
“Sei bellissima” sussurrò e si avvicinò anche lui. Erano così vicini che potevano respirare l’uno il fiato dell’altra.
“Non scapperai di nuovo, no?” domandò lei prima che succedesse qualcosa di cui si sarebbe potuta pentire.
Henry scosse la testa e le accarezzò la guancia. “Questa volta no”
 

Nel frattempo che i due si scambiavano confessioni nella camera di ospedale, Natalie entrò nella reception del Howard University Hospital e rimase ferma davanti al bancone di questa senza sapere bene cosa stesse cercando. “Signora, le serve aiuto?” domandò la giovane incaricata della reception rivolgendo un sorriso rassicurante.
“Ehm… si. Mia nipote… Elizabeth… è stata ricoverata qui” balbettò la donna cercando di recuperare un po’ di sicurezza.
“Elizabeth come?” chiese la giovane digitando già il nome della ragazza sulla tastiera.
 “Mamma…” la chiamò sua figlia appena la riconobbe. Si avvicinò alle due posando alcune cartelle sul bancone.
“L’accompagno io” informò la receptionist che annuì tornando al suo lavoro di archiviazione delle cartelle lasciate dal personale.
“E’ al primo piano, preferisci prendere l’ascensore o usiamo le scale?” domandò Madison avviandosi comunque verso le scale dal momento che odiava gli ascensori.
“Prendiamo le scale” rispose sua madre intuendo che la preferenza di sua figlia. Durante il breve tragitto le due donne rimasero in silenzio, lanciandosi ogni tanto delle occhiate. Madison riusciva a percepire la tensione che si accumulava nell’animo di sua madre ad ogni gradino in più salito, ma voleva aspettare che fosse lei a parlarne poiché sapeva esattamente cosa le avrebbe detto.
E quel metodo funzionò perché, infatti, sua madre poco prima di entrare nel corridoio che le avrebbe condotte in camera di Elizabeth, fece la fatidica domanda: “Cosa devo aspettarmi?”
“La verità, mamma, è che non lo so nemmeno io. È così strana Ellie da quando…” provò a spiegare Madison senza saper bene cosa dire.
“Non ne parla?” chiese sua madre cogliendo il senso di quella frase lasciata a metà da sua figlia.
“Esatto!” confermò lei. “Fa finta di nulla, io non so se questo sia un bene o un male” aggiunse con tono preoccupato.
“Ho paura che se non ne parla, se si tiene tutto dentro, possa commettere lo stesso errore che feci io” continuò Madison cercando un po’ di conforto negli occhi di sua madre che non glielo offrirono.
“Vedrai, andrà tutto bene” la rassicurò con tono poco convinto.
Fu in quel momento che incrociarono Spencer nel corridoio con in mano il cellulare  e il fascicolo di Davis mentre fissava uno dei tanti quadri appesi lungo le pareti.
“Spencer” lo richiamò sua suocera per catturare la sua attenzione, infatti l’uomo si girò verso di loro.
“Oh! Natalie! Sei arrivata!” esclamò senza molto entusiasmo. La donna fece un mezzo sorriso e tornò a fissare sua figlia aspettando che entrasse nella stanza.
“C’è qualcuno?” domandò Madison a Spencer prima di aprire la porta della camera.
“Dovrebbe esserci Henry” la rispose velocemente.
“Henry? Davvero?” anche Madison si rallegrò di quella visita, era sicura che se Elizabeth non aveva intenzione di parlare con loro, almeno lo avrebbe fatto con Henry.
Spencer annuì e aprì la porta della stanza facendo passare sua suocera. 
“Nonna!” trillò Ellie non appena vide sua nonna entrare, si alzò dal letto di scatto per salutarla ma dovette risedersi a causa di un capogiro, sentiva ancora il corpo intorpidito. Henry si avvicinò a lei come per aiutarla, ma Elizabeth gli fece capire segno di star bene.
“Tesoro ancora non puoi alzarti” le disse sua madre avvicinandosi anche lei.
Nel frattempo, Natalie l’abbracciò e si sedette accanto alla nipote sul letto dopo che Henry si fu spostato per fare spazio.
“Stai bene?” le domandò sua nonna prendendola per mano.  
“Certo nonna, è tutto ok..” sorrise lei ma scostò subito lo sguardo fissando la finestra per non far capire quanto fosse preoccupata e quanto quelle parole che aveva ormai detto e ripetuto fossero false.
 
Una settimana dopo Elizabeth, ormai dismessa dall’ospedale da qualche giorno, fu portata da suo padre negli uffici dell’unità analisi comportale dove era stata convocata da Emily Prentiss. Era arrivato il momento di fare la tanto attesa deposizione, cosa che la innervosiva terribilmente perché avrebbe dovuto descrivere nei dettagli cosa era accaduto in quei due giorni, e lei non voleva.
Perché descrivere significava ricordare e tutto ciò che lei voleva fare era dimenticare. Ma la consapevolezza che Davis era in attesa di un errore di valutazione di suo padre glielo impediva, non si sarebbe mai potuta sentire al sicuro finché l’uomo che aveva fatto crollare la sua fragile sicurezza non fosse stato catturato.
Tutte le notti fingeva di andare a dormire, ma in realtà restava sveglia a causa degli incubi in cui riviveva quell’esperienza mille volte ancora. Sentiva il sussurro della voce di Davis nelle orecchie ed a volte le pareva anche di sentire il suo odore, aveva paura non solo per sé, ma anche per suo padre. A quel pensiero rabbrividì, Spencer si girò verso di lei e le strinse la mano.
“Aspetta qui” le disse e le indicò le sedie posizionate davanti l’ufficio di Emily ed entrò nella stanza per avvisare l’ex collega che sua figlia era pronta a deporre.
Elizabeth cominciò a guardarsi intorno, era la prima volta che si trovava in quella parte dell’ufficio, o meglio di solito più lontano dell’open space durante le sue visite inattese non andava. Era troppo nervosa perciò decise di contare fino a cento per calmarsi, esercizio che Colin le aveva insegnato tempo fa. “Quando vedi la Currie conta fino 100 così non la rispondi male e chissà magari a fine anno ti promuove” le aveva detto quella volta riferendosi alla professoressa di storia che Ellie aveva in odio, ricordandosi di quell’episodio per un momento sorrise, ma poi le sue preoccupazioni le caddero di nuovo addosso.
Poggiò le mani sulla sedia come per sostenersi e sospirò, si girò verso la porta ancora chiusa, sentì la voce concitata di suo padre e quella più calma di Prentiss, stavano discutendo di lei. Ricominciò a contare: “1…2...3” “4…5…6”
“Ellie va tutto bene?” le domandò Anne guardandola un po’ stranita.
“Sì, certo! Tutto ok…” balbettò lei. “Aspetto di entrare” aggiunse fingendo un tono fermo di voce che però non le riuscì.
Anne le sorrise e bussò alla porta che si aprì lasciando passare la donna dentro per poi richiudersi nuovamente.
Dopo poco più di cinque minuti suo padre uscì avvisandola che appena Anne fosse uscita , lei doveva entrare, Ellie annuì e salutò con un cenno del capo il padre che scese di sotto.
“Allora come l’hai trovata?” chiese Prentiss alla giovane profiler una volta rimaste sole.
“Diciamo che è un vulcano sul punto di esplodere” affermò la bionda appoggiandosi contro lo schienale della sedia girevole. “Quindi potrebbe crollare da un momento all’altro?” domandò ancora la mora per meglio avere chiara la situazione.
“Potrebbe succedere” rispose senza aggiungere altro. “Bene, è meglio che la facciamo entrare” affermò Emily infine indicando con il dito la porta, Anne si alzò e salutò Prentiss uscendo dalla stanza. 
“Vai cara, Emily ti aspetta” le comunicò poco prima di sparire anche lei per le scale. Elizabeth fece un altro respiro profondo ed entrò. “Accomodati” le disse Emily alzandosi in piedi e indicandole la sedia dove fino a poco prima era seduta la collega di suo padre.
Elizabeth si sedette e rimase in silenzio in attesa di una domanda. “Come stai?” le domandò Emily per rompere il ghiaccio, la ragazza la guardò attonita, aprì la bocca e la richiuse.
Dopo aver inspirato nuovamente, parlò: “Credo che questa parte della conversazione la potremmo saltare. Chiedimi quello che devi chiedermi e chiudiamola qui”
Emily di fronte a quella risposta acida della ragazza sollevò il sopracciglio, si schiarì la voce e le rispose: “Bene, se è quello che vuoi”
“Cosa è successo Elizabeth quando tuo padre è arrivato?” domandò la donna poggiando le braccia sulla scrivania e spostandosi leggermente in avanti. “Non c’è scritto sul rapporto?” domandò lei un po’ stizzita.
“Sì, ma io voglio saperlo da te” le rispose utilizzando il medesimo tono acido della ragazza di poco prima.
“Mio padre è arrivato quando Davis non c’era, non so dove fosse andato. Io ero nella stanza in fondo al corridoio perciò non mi sono accorta subito della sua presenza, ma sapevo che sarebbe arrivato” iniziò il racconto Ellie interrotto subito da una domanda di Emily: “Come mai lo sapevi?”
“Me l’aveva detto John mentre mi somministrava il composto per contrastare l’effetto dei tranquillanti” le rispose.
“Quindi John voleva aiutarti?” s’accertò Emily. Elizabeth confermò con un cenno del capo.
“Davis ha ucciso John?” chiese alla ragazza che cominciava ad innervosirsi nuovamente.
“Si, non abbiamo potuto aiutarlo” disse con un velo di tristezza nella voce. “Cosa è successo dopo?”
“Papà e Davis hanno cominciato a litigare e Davis era riuscito a disarmare papà” s’interruppe, le si era formato un grappolo in gola, deglutì e riprese il racconto: “Così io ho fatto quel che dovevo fare”
“Hai sparato Davis?” domandò anche se non aveva alcun bisogno di conferme.
“Si, ma ho una pessima mira quindi a malapena il piede ho preso, perciò più che sparare diciamo che l’ho sfiorato con il proiettile” chiarì Elizabeth tenendo fisso lo sguardo sulla mora per osservare la sua reazione.
“Credo che la pessima mira sia una caratteristica della famiglia Reid” provò ad ironizzare Emily senza ottenere risposte nella ragazza. A quel punto la mora divenne nuovamente seria e si apprestò a concludere il colloquio, facendo una domanda che inquietò la ragazza: “Credi che se non avessi fatto qualcosa Davis avrebbe ucciso tuo padre?”
“Non ho dubbi, aveva la possibilità di farlo e soprattutto non si desiderava altro” rispose dopo una breve pausa.
“Per me è sufficiente così, puoi andare” affermò la donna, compilò velocemente una scheda e accompagnò la ragazza alla porta.
“Cosa hai scritto nella valutazione?” domandò Elizabeth alla mora quando giunsero alla porta intuendo che fosse quello il contenuto della scheda che aveva appena compilato.
“Non si ritiene indispensabile di sottoporre la vittima ad un trattamento psicoterapeutico” sciorinò la donna tenendo ferma la porta dell’ufficio con il palmo della mano.
“Non si ritiene indispensabile, ma è consigliato” concluse la ragazza, poi dopo essersi congedato da Emily uscì dalla stanza e scese le scale sotto lo sguardo vigile dell’ex collega di suo padre.
 
“Andiamo a casa?” chiese Elizabeth a suo padre dopo essere entrata nella sala riunioni senza aver chiesto il permesso.
L’intera squadra della BAU si voltò verso di lei con aria attonita, fu Spencer il primo a reagire.
“Tra un attimo, dobbiamo concludere una cosa” la rispose. “Io voglio tornare adesso non tra un po’ ” replicò acida la ragazza incrociando le braccia e portandosele al petto.
“Dobbiamo discutere di qualcosa che ti riguarda perciò siediti” le ordinò l’uomo ignorando l’atteggiamento indisponente di sua figlia e avvicinandole una sedia dove Elizabeth si sedette senza protestare oltre.
“Penso che ti renderai conto che non puoi uscire di casa senza qualcuno che ti controlli” esordì Derek.
Elizabeth annuì. “Cosa avete intenzione di fare? Mi rinchiudete in casa?” domandò.
“No, ma sarai costantemente sorvegliata fino a che non avremmo catturato Davis” spiegò Derek con il consenso degli altri agenti presenti nella stanza.
“Non andrò a scuola? Perché è un posto decisamente pericoloso e poco controllabile” suggerì la ragazza con tono piuttosto leggero.
“Certo che andrai a scuola, Elizabeth” tagliò corto suo padre suscitando il disappunto di lei che sbuffò.
“Ellie vorremo che tu capissi che questo non è un gioco e che tu sei seriamente in pericolo” riepilogò Derek guardando dritto negli occhi la figlia del suo collega per vedere se queste parole suscitavano in lei una qualche reazione.
“Lo so, non sono mica stupida” borbottò lei sospirando rumorosamente, dopodiché riprese il discorso: “Quindi qual è la prossima mossa?”
“Organizzeremo dei turni di sorveglianza a scuola mentre sarai lì, tu continuerai la tua solita routine. Ovviamente sarai sempre controllata e per un po’ eviterai i posti affollati, tipo i centri commerciali e le discoteche” le spiegò Spencer.
“A me questa non pare la solita routine…” replicò lei per niente contenta delle condizioni appena sciorinate da suo padre.
“Elizabeth, è per il tuo bene” intervenne Hotch rimasto in silenzio fino a quel momento. “Sono sicuro che i tuoi amici non avranno nulla da ridire se per qualche sabato non uscite” continuò l’uomo con tono paterno.
Elizabeth annuì e sorrise per la prima volta da quando ero entrata nella stanza. “Penso che a Colin in effetti non dispiacerà, è da un po’ che insiste sul fatto che vuole trascorrere una serata tranquilla giocando a “Indovina chi?” ”si auto convinse, guardando gli altri in cerca di approvazione che ottenne immediatamente.
“Quindi siamo d’accordo? Smetterai di fare la wild girl per un po’?” ironizzò Derek facendo un ampio sorriso.
“Si, ma solo per un po’” lo rispose con lo stesso tono allegro utilizzato dall’uomo.
La conversazione si spostò su argomenti più piacevoli, il che consentì ad Elizabeth, così come anche agli agenti, di rilassarsi e di allentare la tensione anche solo per un attimo e senza pensare al domani e a ciò che li aspettava, ma c’era qualcuno nell’ombra che non smetteva di pensare e aspettava il momento per agire e ormai il tempo stava per scadere.
Lui era pronto e questa volta non avrebbe fallito. 


 
  
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