Normalmente due voci
sconosciute, oltre una porta – che ti impediva di identificarle – le cui uniche
parole lasciavano intuire che i loro padroni fossero ben consci del perché
della loro presenza lì, avrebbe dovuto metterli almeno sul chi va là. Specialmente
se si considerava che nessuno di loro quattro aveva, fino a quel momento,
inquadrato la situazione in cui erano; o almeno, se si escludeva la
consapevolezza di essere concorrenti di un gioco, esplicitata dal misterioso
biglietto trovato – che poi mancasse tutto il resto, come lo scopo del gioco, parevano dettagli – e
di non avere altra scelta che non fosse proseguire.
Con ogni probabilità, proprio quest’ultima, unica scelta faceva sì che nemmeno
Teppei fosse più assennato, come forse sarebbe stato in condizioni normali.
Mentre la porta si apriva completamente, i quattro si guardarono per un
istante, come alla ricerca di un tacito e vicendevole consenso.
Guardare all’interno causò in loro associazioni di idee differenti, forse, ma
lo stesso identico ed inevitabile stupore.
L’interno della stanza oltre la porta poteva, ad una prima occhiata, essere
descritto con due sole parole: disordinato e colorato. Nessuno di loro avrebbe
saputo descrivere la stanza nei dettagli, però: essa conteneva tanti di quegli
oggetti, dei tipi più diversi e disparati, che persino indovinarne l’esatta
funzione – salotto? Camera da letto? – sembrava improponibile.
Kuroko, di primo impatto, dovette ammettere di aver pensato ad “Alice nel paese delle meraviglie”; non
che la stanza somigliasse fedelmente ad uno degli ambienti riprodotti da
Carroll nell’opera, ma aveva quel qualcosa di folle e inspiegabile che
traspariva dalle pagine del libro quando lo aveva letto.
«Ah, che carino~!» sentirono esclamare, e l’attimo
dopo qualcuno stava già pizzicando giocosamente la guancia di Kuroko; fu così
che ebbero il tempo di scoprire l’identità della voce femminile che avevano
colto: si trattava di una ragazza graziosa, un poco più bassa dello stesso Kuroko, la cui espressione non era mutata
nemmeno dopo l’approccio improvviso di lei.
I capelli, lunghi e lisci – come ci si aspettava per lo stereotipo medio di
ragazza – le incorniciavano il volto, ricadendo sciolti oltre le spalle. Aveva
un sorriso divertito sulle labbra, quando posò lo sguardo sugli altri tre.
Lasciando per un attimo da parte la stanza e la ragazza, Kise si guardò attorno
con più attenzione: l’unica somiglianza tra la stanza attuale e quella che
avevano appena abbandonato, era la presenza di un’unica porta che somigliasse
ad un’uscita – che portasse “fuori” o in un'altra camera ancora, non poteva
indovinarlo.
Proprio in quel procedimento di osservazione, un particolare saltò all’occhio
del biondo, e il tempo di reazione tra un’espressione vagamente intelligente e
una da perfetto idiota fu estremamente breve: «La porta è sparita!» esclamò, il
tono sorpreso. Kagami lo fissò, distogliendo per un attimo lo sguardo da quella
tizia il cui modo di fare lo irritava già abbastanza dopo scarsi minuti di
contatto: «Che cavolo dici, è lì.» fece notare, indicando appunto la presunta
uscita che il biondo stesso aveva individuato.
Kise scosse la testa energicamente: «Non quella, la porta da dove siamo
entrati!» spiegò meglio, indicandola.
Nel voltarsi, gli altri tre notarono a quel punto senza difficoltà che era
effettivamente sparita, come se non fossero mai entrati da quel lato della
stanza, ma da chissà dove; un momento di legittimo panico li colse più o meno palesemente.
Kagami notò solo allora che, a ridosso della parete da cui erano convinti di
essere passati, c’era una seconda figura. Mentalmente la ricollegò per forza di
cose alla seconda voce che, effettivamente, avevano sentito insieme a quella
della ragazza.
«Ohi.» gli si rivolse, non esattamente amichevole; il poveretto lo fissò come
se la sola idea che facesse un passo in avanti – era da notare che Taiga lo
superava di una dose di centimetri non indifferente – fosse abbastanza per
portarlo a fingere uno svenimento: «Dov’è finita la porta?» gli ringhiò
praticamente contro.
Quello sussultò appena: «M-Mi dispiace, l-la porta ormai non può apparire di nuovo… S-Scusate, scusatemi…!»
balbettò, e a loro parve che non provasse nemmeno a non farlo, come se si fosse
arreso alla cosa in partenza. Prima che qualcuno di loro potesse dire qualcosa
– magari per tranquillizzarlo che sì, Kagami poteva sembrare un orso bruno
particolarmente irritato in quel momento ma era innocuo, davvero – la ragazza
si mosse, allontanandosi da loro e facendosi più vicina al compagno.
Lo abbracciò come una sorella maggiore avrebbe fatto con il fratellino,
posandogli una mano fra i capelli castani e carezzandoli appena, in un evidente
tentativo di rassicurarlo: «Su, Ricchan, smetti di scusarti, non hai fatto
nulla di male.» assicurò con tono calmo. Salvo portare poi lo sguardo sui quattro,
un broncio evidente ad arricciarle appena le labbra: «E tu» si rivolse con tono
quasi infantile a Kagami «potresti essere un po’ meno rude e smettere di
spaventare Ricchan!» esclamò con una nota di rimprovero nella voce.
Kagami stava per dire qualcosa, ma Teppei lo fermò prontamente posandogli una
mano sulla spalla e rivolgendogli un sorriso pacato, prima di portare la sua
attenzione sulla ragazza: «Mi dispiace, non volevamo spaventarlo. Siamo solo
rimasti sorpresi: non è proprio cosa da tutti i giorni vedere le porte sparire.»
osservò.
Qualcosa, delle sue parole, fece sorridere la ragazza: «Ah~
Però Ricchan ha ragione, la porta non può tornare, perché non potete tornare
indietro.» spiegò con naturalezza, come se fosse quasi ovvio. L’inarcarsi delle
sopracciglia di Teppei o il leggero ma visibile corrugare la fronte di Kise,
insieme allo sbuffo di Kagami, parvero suggerirle che era arrivato il momento
di spiegarsi meglio, uno dei motivi per cui lei e l’altro erano lì, dopotutto.
Sciolse l’abbraccio in cui teneva ancora il castano, assumendo un’espressione
furba e divertita: «Io e Ryou-kun siamo i giudici di questa prova e gli addetti
al regolamento. Possiamo rispondere a tutte le vostre domande, ma prima la
spiegazione a cui avete diritto.» canticchiò quasi, come ad enfatizzare il
proprio piacere di fronte alla loro totale confusione in merito.
«Questo posto è diviso in quattro stanze compresa quella da dove siete venuti
e, ovviamente, questa in cui siete. Potete andare avanti ma non tornare nelle
stanze precedenti, e potete passare a quella dopo solo superando una prova. Per
ogni prova, ci sono due giudici, ad eccezione della prima stanza che non ha
alcun test da superare a parte la “combinazione” per entrare.» iniziò la
spiegazione, con parole semplici e chiare.
Kuroko alzò la mano, in una buffa simulazione di un rapporto alunno-insegnante:
«Se non fossimo riusciti a capire come entrare qui o se non superiamo una
prova, cosa succede?» chiese, arrivando dritto ad uno dei punti focali
dell’intera faccenda.
«Senza indovinare la combinazione il gioco non può iniziare, ma è pensata in
modo che alla fine la si intuisca. Se non aveste capito come funzionava,
avreste provato a caso, no?»
Nel silenzio della stanza, la voce chiara della ragazza mentre spiegava le “regole”
e dava informazioni era l’unico suono udibile; non usava il tono di chi ripete
le cose come un nastro registrato, ma dal modo perfetto in cui esponeva il
tutto sembrava che loro non fossero le prime persone a cui spiegava quelle
cose.
«Nel caso in cui non riusciste a passare una prova, rimarrete bloccati nella
stanza che la ospita. Solo perché non ci sono limiti di tempo, però, non
significa che potete rimanere ad aspettare in eterno. C’è una sorta di “tempo
massimo” per arrivare al premio finale.» concluse, l’indice davanti al viso e
l’altra mano sul fianco, l’atteggiamento da maestrina.
«E qual è il premio finale?» chiese Teppei, il tono calmo, l’espressione
sorprendentemente seria, segno che cercava di capire e non domandava per
semplice curiosità.
«Questo non possiamo dirlo~»
«E in cosa consistono le prove?» si intromise Kise.
«Possiamo informarvi solo della prova di questa stanza, non delle altre, e non
possiamo darvi troppi indizi per risolverla, né gli altri più avanti sono
tenuti ad aiutarvi. Dipende da quanto vi trovano simpatici.» disse divertita
lei.
«Come mai siamo scelti noi per questo “gioco”?» domandò Kuroko, dando voce
all’interrogativo comune nonché, per certi versi, il più importante;
differentemente dagli altri, si era rivolto al ragazzo e non alla ragazza.
«N-Non possiamo dirlo.» mormorò quello timoroso, scatenando di nuovo e
involontariamente l’irritazione di Kagami, che prese a sbraitare qualcosa di
poco comprensibile – di certo improperi – con l’unico risultato di far sobbalzare
Ryou, il quale iniziò a pronunciare degli «Scusate, s-scusatemi!» a profusione,
creando ancora più confusione.
Con un sospiro leggero, Teppei posò una mano sulla spalla di Kagami,
rivolgendogli un sorriso calmo: «Kagami, smetti di terrorizzarlo. Proviamo a
sentire in cosa consiste la prova, ok? Magari è facile, e possiamo superarla.» e scoprire da soli quale sia il premio o
perché siamo noi i concorrenti, aggiunse mentalmente.
L’altro fece per ribattere ma, con un sospiro rumoroso, parve calmarsi almeno
un minimo; lui e il castano, insieme agli altri due, rivolsero quindi
l’attenzione ai due ragazzi che fino a quel momento si erano – più o meno –
prodigati in spiegazioni varie.
Ryou e Satsuki si scambiarono uno sguardo, probabilmente d’intesa, annuendo appena
per poi rivolgersi ancora una volta ai quattro; il primo a parlare fu Ryou, la
voce che finalmente non suonava tremolante o simili: «Di cosa son fatti i bambini? Di rane e insetti, e code di cagnetti. È
di questo che son fatti.»
Non ebbero tempo di chiedersi se fosse impazzito o se li stesse prendendo in
giro, perché Satsuki – con un passo in avanti – prese subito parola dopo di
lui, la voce chiara e limpida, quasi melodiosa a suo modo: «Di cosa son fatte le bambine? Di zucchero e
cannella, e ogni cosa bella. È di questo che son fatte.» pronunciò, per poi
guardarli quasi in attesa di un cenno.
Gli sguardi a dir poco perplessi che ricevette in risposta bastarono a
suggerirle che avrebbero dovuto fornire loro un indizio fin da subito.
Si spostò, camminando in loro direzione – non prima di aver preso la mano di
Ryou perché si spostasse con lei – al solo scopo di posizionarsi quasi al
centro della stanza; voltandosi verso di loro e lasciando solo in quel momento
la mano dell’altro, allargò le braccia come a suggerirgli di guardare la sala
nella sua interezza e ciò che conteneva.
«Cercate. Qualcosa di cui sono fatte le bambine, e qualcosa di cui sono fatti i
bambini. E per non doverlo ripetere mille volte, ecco qui. Forza, forza, cercate~!» canticchiò evidentemente divertita.
Senza sapere come, fra le mani si ritrovarono un foglietto con la filastrocca
recitata dai due.
La stanza non gli sembrò mai grande come in quel momento.
Un’ora e mezza più tardi – o un lasso di tempo molto simile, almeno a livello
di percezione personale – stavano rimpiangendo le dimensioni della stanza, che
prima era sembrata fin troppo piccola per ospitare tutti quegli oggetti, e
tacitamente si rimangiavano il pensiero comune formulato riguardo la semplicità
della filastrocca.
Si erano divisi per la stanza, per cercare più celermente gli oggetti necessari
a superare la prova; tuttavia non c’era stata nemmeno l’ombra di qualcosa che
ricordasse rane – né reali, né ricamate da qualche parte, né di peluche come
Kise aveva ad un certo punto suggerito, nemmeno così stupidamente in effetti –,
insetti, zucchero o cannella. Per non parlare delle “cose belle”, una categoria
troppo ampia e generica che Kuroko aveva cercato inutilmente di decodificare.
Stavano iniziando a domandarsi se non fosse il caso di chiedere un secondo
indizio – sempre ammesso che Satsuki e Ryou, rimasti ad osservarli divertiti e
incuriositi fino a quel momento, avessero intenzione di fornirgliene uno – che Kagami
si mosse a grandi passi verso i due.
Per un momento Kuroko, che lo aveva notato muoversi per primo e lo conosceva
meglio degli altri, temette sul serio di vedere il compagno prendere di peso
Ryou – solo perché sapeva non avrebbe mai picchiato una donna – sfogando contro
di lui la frustrazione per tutta la situazione. Probabilmente anche Teppei
doveva averlo notato e aver temuto la stessa cosa, perché Kuroko lo vide
muovere un paio di passi per raggiungere Kagami, ormai vicino ai due.
Contrariamente ad ogni loro supposizione, Kagami gli si fermò davanti con fare
anche piuttosto inorgoglito e soddisfatto, allungando una mano. Ad un’occhiata
più attenta, videro che tra le mani aveva qualcosa.
«…una foglia?» disse Kise perplesso, dopo essersi
avvicinato a sua volta: «Ma non c’era una foglia nella filastrocca.» obiettò,
mentre Kuroko prendeva lentamente coscienza di quale collegamento – sospettava assolutamente
involontario – avesse fatto l’amico.
«Kagami-kun.» chiamò con calma, conscio che toccava a lui comunicargli con
quanto più tatto possibile l’errore commesso: «il ‘kaeru’ è quello di “rana”, non di
“acero”.» pronunciò. Mentre Kagami si voltava sconcertato, evidentemente deluso
dal proprio errore, la foglia nella mano del ragazzo si illuminò fiocamente, e
poco dopo Ryou la prese.
Un momento di confusione attraversò lo sguardo di tutti.
«…Cosa?»
«Le letture dei kanji. (1)» interruppe
Kise, sorpreso, osservando alternativamente Kagami, Satsuki e Ryou. Lei
sorrise, come se a quel punto si aspettasse una veloce risoluzione dell’enigma.
«La filastrocca è simbolica.» proseguì il biondo, nonostante forse fosse ovvio.
Come se gli avessero fornito il tassello mancante di un puzzle, tutti e quattro
parvero distendersi di fronte alla concreta possibilità di uscire da quella
stanza e proseguire.
Avrebbero dovuto ringraziare Kagami: sebbene in maniera del tutto involontaria,
era riuscito laddove loro si erano totalmente bloccati, troppo fedeli al
significato delle parole per come esse erano state pronunciate, per considerare
un dettaglio ritenuto insignificante.
Il foglio con la filastrocca stesso, era
un indizio, non solo un modo sbrigativo perché ricordassero il testo senza
che i due osservatori dovessero ripeterlo: le parole scritte lasciavano intravedere più facilmente l’ambiguità degli
ideogrammi tipici della loro lingua madre.
Kuroko sorrise: Kagami si era rivelato la chiave risolutiva.
Compreso il trabocchetto, se così lo si poteva poi definire, non era stato
particolarmente difficile trovare il corrispondente di “cannella”, che si era
rivelato essere una pedina degli shogi.
Così com’era stato per la foglia trovata da Kagami, allo stesso modo il piccolo
oggetto si era fiocamente illuminato prima di finire tra le mani di Satsuki.
A quel punto, la ragazza si era spostata con passo sostenuto verso il lato
della stanza che ospitava la porta, fino a raggiungerla; lo stesso fece Ryou e
insieme posarono il palmo della mano sulla superficie. Pochi istanti dopo, sentirono
distintamente il rumore della serratura che scattava.
«La prova è superata. Da qui, potete proseguire.» pronunciò lei, voltandosi a
guardarli e facendosi da parte insieme al castano perché fossero liberi di
passare.
Avrebbero potuto chiedergli cosa ci fosse ad attenderli, ma dalle spiegazioni
iniziali che lei gli aveva fornito, era chiaro che non avrebbe comunque potuto
rivelargli nulla. Passarono quindi in silenzio, uno per uno, oltre la porta.
Il primo fu Kise, inghiottito dall’oscurità come se oltre la soglia non ci
fosse che il buio completo; dopo di lui, passò Kiyoshi.
Kagami stava per imitarli, ma Satsuki lo trattenne con un delicato tocco sulla
spalla, volto solo ad attirarne l’attenzione: «Non so se piacerai o meno al
prossimo osservatore, Kagamin… ma cerca di stare più calmo, ne?» consigliò,
ricevendo in risposta un burbero grugnito e una mano che si grattava la nuca in
un gesto un po’ goffo che la fece ridacchiare, prima di vedere l’altro sparire
oltre la soglia.
Ad attirare la sua attenzione fu però Kuroko, che la osservava pensieroso
quasi; inclinando appena la testa lateralmente, con fare incuriosito, gli
sorrise: «Qualcosa non va?»
«Mi chiedevo perché Ryou-kun non abbia finto che Kagami-kun avesse sbagliato,
quando gli ha fatto vedere la foglia. Sarebbe stato facilissimo ingannarci e
farci girare a vuoto all’infinito.» osservò pragmatico, il tono piatto ed
educato.
Lei si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito tra le labbra, assumendo un’espressione
offesa come quella di una bambina imbronciata: «Tetsu-kun,
sei cattivo! Per chi ci hai presi?» domandò quasi indignata, mentre Ryou si
faceva coraggiosamente avanti.
«Gli osservatori non possono mentire, se il risultato della prova è quello
corretto.» spiegò «Possiamo fare enigmi difficili, possiamo dare indizi ambigui
o possiamo scegliere di non darne entro certi limiti. Ma non ci è permesso ingannarvi
quando la risposta fornita è quella esatta. P-Per
questo né io né Satsuki potevamo mentire per mettervi in difficoltà.» concluse.
Kuroko lo osservò per qualche altro istante, per poi annuire e chinare appena
il capo, in un saluto educato e forse un po’ strano nel contesto in cui si
trovavano.
Poi, oltrepassò la soglia, e la porta si richiuse alle loro spalle;
probabilmente fu per questo che non sentì il mormorio di Satsuki, il tono un
misto di dolcezza e apprensione, l’espressione del viso indecifrabile.
«Nessuno di noi vuole che vi accada nulla di male o che restiate bloccati qui,
dopotutto.»
«Oooohi. Non dovremmo preparare il thè per quando si svegliano?»
Un sospiro seccato, un rumore leggero ma deciso; la consistenza, sotto la mano
che riprendeva pian piano il senso del tatto, della familiare superficie del tatami.
«Ti sembra che siamo qui per intrattenerli con del thé?
È già abbastanza che li stiamo lasciando dormire, e non sono affatto d’accordo
nemmeno con questo.» un tono severo, una risata leggera di scuse.
Di nuovo un rumore leggero, di qualcosa che si poggia con precisione sul
pavimento senza insicurezza alcuna.
«Ahi, ahi, ahi… ho perso, mi sa.»
Note
Partorirlo,
il capitolo, anziché scriverlo sarebbe stato meno faticoso.
Comunque.
1. Spiegare la mia morte di studentessa sugli ideogrammi in maniera
comprensibile sarebbe un’impresa, motivo per cui la farò molto più semplice.
In giapponese è – ahimé – tutt’altro che raro che
molte parole abbiano una pronuncia identica, per poi mutare di significato a seconda
dell’ideogramma con cui vengono scritte. Alcune hanno persino alcuni ideogrammi
identici.
In questo caso “rana” e “acero”, così come “cannella” e la pedina del “knight” (o cavallo, per dirla alla occidentale) degli
scacchi giapponesi, hanno assonanza e somiglianza negli ideogrammi se non per
leggere differenze.
L’errore di Kagami è quindi di confondere “rana” e “acero” (non notando appunto
questa diversità), prendendo una foglia di quest’ultimo e risolvendo così
involontariamente l’enigma, basato su un gioco di parole e significati.
Ho pensato che Bakagami fosse il più adatto, visti i
suoi catastrofici voti XD
Shogi: scacchi giapponesi
Tatami: pavimentazione giapponese
composta da pannelli rettangolari affiancati fatti con paglia di riso intrecciata
e pressata (wikipedia).
La filastrocca, di origine anglosassone e dal titolo “What are little boys made of?”,
risale al XIX secolo ed è raccolta nel Roud Folk Song Index.