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Autore: Valpur    16/05/2007    4 recensioni
Andromeda è una ragazza semplice. Forse è la meno appariscente delle tre sorelle Black. Allegra, solare, forse troppo buona, di sicuro un po'ingenua. Con una famiglia come i Black alle spalle, la vita non è semplice. Se poi ci si mette anche un Mezzosangue come quel Tonks, le cose non possono che peggiorare... O forse no?
La fiction più lunga che abbia mai scritto, e forse quella più "appetibile"... vediamo cosa salta fuori...
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Sorelle Black | Coppie: Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era ormai l'alba. Casa Black era immersa in una fresca oscurità: un maniero, un residuo ostinato del Medioevo, saldamente piantato nella verde campagna inglese; sede di uno dei molti rami di quella che amava definirsi la casata di maghi più antica ancora esistente.

Il Maniero era un edificio imponente, eppure stranamente sgraziato. Troppe guglie, troppe cuspidi, troppi fregi antichi e di immenso valore ne ornavano le pareti. Il portone di legno scuro era ampio e pesante, e contribuiva a conferire all'insieme un aspetto possente ed intimidatorio.

Un raggio di sole bussò timidamente alle finestre, incerto, quasi temesse una reazione offesa da parte della casa. Lenta e costante, la luce polverosa si riversò oltre le finestre ad arco acuto, oltre le vetrate verdi e argentate raffiguranti serpi di ogni foggia. Il sole del primo mattino serpeggiò negli antichi corridoi, sfiorando i trofei di immenso valore, teste di animali esotici (... sì, sì, quella è proprio una manticora) impagliate ed appese agli alti muri, quadri i cui austeri soggetti sbattevano le palpebre ed aggrottavano le sopracciglia con aria molto saccente... e tappeti provenienti da ogni dove, lampadari di ferro battuto, teche con oggetti strani e inquietanti...

Era tutto...troppo. Troppo sfarzoso, troppo cupo, troppo ricco in maniera ostentata.

Gli abitanti del Maniero dormivano ancora. Solo Snorky, l'elfo domestico, sciabattava furtivo in cucina, armeggiando con un grosso bollitore e con un barattolo di foglie di tè.

Dormivano Narcissa e Bellatrix, sprofondate nei caldi, ampi letti a baldacchino delle loro ricche stanze. Dormiva Amanita, la vedova Black, la madre delle tre sorelle...

Sì, tre.

Andromeda era sveglia da molto.

Distesa sulla schiena, le braccia incrociate dietro la nuca, fissava il soffitto sempre più chiaro. Aveva diciassette anni, un viso grazioso e grandi occhi scuri. I capelli, altrettanto scuri, erano mossi e sparsi sotto la testa in ampie onde. Non aveva il fascino tenebroso della sorella maggiore Bellatrix, o la grazia eterea e glaciale di Narcissa; rideva troppo spesso e sguaiatamente, se beveva un sorso di vino le guance le diventavano di un inammissibile rosso vivo, frequentava gente poco gradita alla famiglia, e, peggio ancora, non era stata accettata tra i Serpeverde, la casata cui appartenevano tutti i membri della famiglia Black. Certo, tutti i membri degni di esser riconosciuti come parenti.

Ora, però, il viso florido era pallido, gli occhi cerchiati da ombre scure, le palpebre arrossate, come se non avesse dormito... o avesse pianto.

Andromeda sospirò. Si sentiva debole e spossata, e non era solo colpa della mancata notte di sonno. Si fece forza e si alzò a sedere. Piccole luci bianche presero a danzarle davanti agli occhi, e una vertigine agghiacciante le serrò la testa.

Fece per distendersi un'altra volta, ma una violenta ondata di nausea l'investì.

Si coprì la bocca con la mano e scese di scatto dal letto, scalza, l'ampia camicia da notte bianca che le frusciava attorno alle caviglie. Barcollando e appoggiando le mani alle pareti raggiunse il bagno.

Fece appena in tempo ad accasciarsi sul lavandino, che vomitò convulsamente.

Aveva lo stomaco vuoto, eppure era come se una mano violenta le strizzasse il ventre.

Tremante si ripulì la bocca col dorso della mano, scostandosi una ciocca sudata dalla fronte.

Si rialzò e fissò lo specchio davanti a sé. Aveva gli occhi lucidissimi e rossi, e le labbra avevano il medesimo colore sbiadito di tutto il resto del viso.

Fu solo questione di un attimo il registrare questi dettagli: non passò molto tempo, che Andromeda si accorse di non essere sola.

B-Bella!” gemette, fissando dallo specchio l'alta figura sottile appoggiata allo stipite della porta.

Fece per voltarsi e fronteggiare la sorella, ma la nausea l'investì di nuovo.

Quando Andromeda rialzò la testa dal lavandino. Bellatrix era al suo fianco. Reggeva un bicchiere pieno di un misterioso liquido trasparente e di una delicata sfumatura di rosa.

Com'era bella, pensò Andromeda. Bellatrix era più alta di lei di una spanna, e la magrezza forse eccessiva in qualche modo le donava. Era pallida e seria, ma le labbra piene e le ciocche ribelli che le ricadevano sulle spalle semi scoperte le davano un'aria distrattamente sensuale. Nei profondi occhi neri non c'era l'ombra di un sentimento... ecco, forse un vago senso di divertimento...

Hai combinato un altro disastro, sorellina?” chiese Bella con una nota ironica nella voce. “Tieni, ti farà stare meglio”, aggiunse, tendendo ad Andromeda il bicchiere.

Quest'ultima sospirò a fondo.

Non so cosa intendi”, disse un po' troppo in fretta per essere credibile. Ugualmente però accettò il bicchiere. Lo annusò, poi chiese: “Cos'è?”

Bellatrix si strinse nelle spalle.

Una pozione che risolve i problemi. Io l'ho presa diverse volte, prima di conoscere Rodolphus. Ti farà stare bene”, disse, quasi affettuosa.

Andromeda, però, non era ancora convinta.

Sei incinta”, disse Bella con voce piatta, incrociando le braccia al petto.

La sorella arrossì violentemente.

Come lo sai? Voglio dire...” si corresse goffamente “Cosa te lo fa pensare?”

Bellatrix rise brevemente.

Ti osservo. Te l'ho detto, ci sono passata anche io. Sei schizzinosa e irritabile, e ti sento, quando al mattino stai male. Ma, credimi, quella pozioncina risolverà il problema”.

Andromeda inorridì e scostò dal proprio viso il bicchiere da cui stava per bere.

Bellatrix! Tu hai...hai...”

Abortito, sì. Un paio di volte... avevo una vita a cui pensare, la mia. Non mi interessa avere figli, se proprio vuoi saperlo...” disse noncurante, gettando indietro la chioma corvina e specchiandosi distrattamente. Estrasse la bacchetta dai capelli, dove la usava come fermaglio, e questi ricaddero, lisci e serici, fino a metà schiena.

Andromeda era sconvolta. Le girava di nuovo la testa, e dovette aggrapparsi al bordo del lavandino per restare vigile.

Comunque”, proseguì Bellatrix, sfiorandosi i capelli con la bacchetta ed acconciandoli in modo impeccabile. “In famiglia non credo si scomporrebbero troppo. Tu e Leòn siete promessi da anni, e il vostro matrimonio è solo questione di tempo. Hai finito gli studi, lui è ricco e purosangue, e un figlio suo non sarebbe imbarazzante per la famiglia. Anche se lo partorirai tu”, terminò, velenosa, sorridendo compiaciuta della smorfia addolorata della sorella.

Non dirò nulla a nostra madre”, promise Bellatrix. “Voglio proprio vedere come te la caverai a confessarle una cosa simile...”

Scoppiò in una breve risata aspra ed uscì dal bagno, lasciando Andromeda in piedi, avvolta nella larga camicia da notte di lino che la faceva sembrare più goffa.

Andromeda chiuse gli occhi per impedire alle lacrime di traboccare.

Oh, certo... sarebbe stato facile, se le cose fossero state come diceva Bellatrix. Mordekay Leòn McCain era figlio di una famiglia ricca almeno quando i Black, ed altrettanto purosangue, nobile, austera ed insopportabile. Lui stesso era insopportabile. Aveva quasi dieci anni più di Andromeda, e se all'inizio la loro relazione aveva intrigato la giovane Black, nel giro di pochi mesi era diventata tanto asfissiante da mettere a dura prova la sua sopportazione.

Per fortuna c'era Hogwarts... nei nove mesi di lezione, Andromeda poteva tenersi ragionevolmente alla larga da Leòn (e stare vicina a qualcun altro, trillò la vocina della sua coscienza, pignola. Andromeda si sforzò di ignorarla). Ora che si era diplomata, però, le cose sarebbero state sempre peggio.

Leòn era.... stupido. Pieno di sé, vanitoso, arrogante, e padroneggiava l'uso di un solo pronome personale: io. Raffinato, sì, elegante, certo. Falso ed artificioso come un'Acromantula che si finge un cocker.

 

 

 

 

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