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Autore: vul95    31/10/2012    5 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al contest “Tokidoki” indetto da Caffelatte e Bloody Alice]
La maggior parte delle persone che lo conoscevano si ostinavano a ricordarsi di lui solo per i suoi calci. Molti dei suoi amici teppisti lo ritenevano un grande onore; lui a volte credeva di non riuscire a sopportare oltre di sentirsi chiamare a quel modo. Non trovava per niente onorevole che il suo nome fosse associato ai calci. Calci che il più delle volte facevano male alla gente.
“Potresti usare meglio quei calci, lo sai, ragazzino?”
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Archer/Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Faceva caldo, quel giorno, con la giacca di pelle

Autore: vul95
Titolo: The Kiker
Pairing: No Pairing
Parole: 1987
Prompt: //
Note: Questa fic è stata un parto. Ma mi ha fatto davvero piacere scrivere su Tobitaka, è uno dei miei personaggi preferiti *w*! Spero che la fic vi piaccia, ed auguro a tutte le partecipanti al contest in bocca al lupo *A* *annuisce* Ringrazio Caffellatte e Bloody Alice per la possibilità *inchin*
Desclaimer:  i personaggi di questa fan fiction non appartengono a me, ma alla Level-5.

 

The Kiker

 

Faceva caldo, quel giorno, con la giacca di pelle.
Ma Seiya non ci stava facendo caso.
I jeans erano sporchi, e non avrebbe dovuto sedercisi sul letto, perché odiava dormire con le lenzuola sporche.
Ma Seiya non stava pensando a quello.
Tobitaka Seiya, in quel momento, nella sua stanza, con quel caldo asfissiante, seduto con i jeans sporchi sulle coperte pulite, si fissava le gambe.
L’espressione corrucciata, le stese e cercò di scorgere la linea dei polpacci attraverso la stoffa dei pantaloni.

“The Kiker”, lo chiamavano.
Socchiuse gli occhi, avvicinando il capo alle ginocchia, rimirandole per bene. Poi chiuse le palpebre e sospirò, tornando dritto con la schiena.
Ma a lui le sue gambe parevano del tutto normali.

Non avevano nulla di speciale. Insomma, erano gambe che davano calci durante risse di strada; un sacco di altri ragazzi avevano sviluppato una certa potenza, non era l’unico, non era speciale. Junichi gli ripeteva in continuazione quanto fosse formidabile, ma lui aveva sempre creduto che riuscisse a vincere contro gli altri teppisti per la maggiore esperienza, non di certo per qualche calcio.

Gli veniva naturale rispondere ad un attacco con le gambe. Non amava i pugni, quindi utilizzava i piedi. Semplicemente.
Era sempre stato così, non si era mai soffermato a pensarci più di tanto, che senso avrebbe avuto?

… Eppure ultimamente non faceva altro che rimuginare solo su quello.

“The Kiker” era il nome che si era meritato.

La maggior parte delle persone che lo conoscevano si ostinavano a ricordarsi di lui solo per i suoi calci. Molti dei suoi amici teppisti lo ritenevano un grande onore; lui a volte credeva di non riuscire a sopportare oltre di sentirsi chiamare a quel modo. Non trovava per niente onorevole che il suo nome fosse associato ai calci. Calci che il più delle volte facevano male alla gente.

Potresti usare meglio quei calci, lo sai, ragazzino?
Aprì gli occhi quando i suoi pensieri si focalizzarono, per l’ennesima volta da lì qualche tempo, su quell’uomo che gli aveva rivolto quelle parole nella foresta un paio di giorni prima: era nel bel mezzo di una delle sue solite zuffe (niente di che, la solita routine), quando era arrivato. L’aveva guardato combattere, e infine aveva fatto quell’osservazione, mettendolo in crisi. Perché la realtà era che Tobitaka Seiya era in piena crisi, anche se il suo cervello si rifiutava di accettarlo.

In verità, inizialmente gli aveva dato fastidio, che qualcuno lo avesse giudicato. Lui non aveva da dimostrare nulla a nessuno, e non aveva mai chiesto opinioni.

Ma poi aveva cominciato a chiedersi perché mai un perfetto sconosciuto avesse dovuto dare quell’opinione non richiesta proprio a lui.
Usare meglio i suoi calci.
Prima di tutto una frase del genere sottintendeva che le sue gambe avessero davvero qualcosa di speciale. Il che era incredibile, almeno per lui. E anche una riprova del fatto che le utilizzasse, così potenti, così portentose, per picchiare e farsi picchiare.
Seiya tirò su con il naso e lo arricciò, tirando fuori il suo fidato pettine, passandoselo tra i capelli. Lo aiutava a pensare.

Poi si alzò in piedi e cacciò le mani in tasca, guardandosi attorno, come a controllare che nessuno lo stesse guardando. Quindi puntò l’armadio dall’altra parte della sua stanza.

Provare cosa sarebbe costato, in fondo?

Si dondolò sui talloni per qualche secondo, portando indietro una gamba, slanciandola poi in avanti con tutta la forza che aveva in corpo, sferrando un calcio contro il guardaroba.
Sentì un crack, e nel vedere il legno dell’anta spezzato nel punto in cui aveva colpito, indietreggiò, le labbra strette. “Sono potenti sul serio.” constatò, e lo stomaco gli si strinse.

Usare meglio i suoi calci.
Ok, ok, aveva una forza lievemente fuori dal comune nelle sue gambe. E con questo? In quale campo avrebbe potuto usarle meglio se non nel suo? I calci servivano a fare a botte. A lui piaceva fare a botte. A lui piaceva essere un teppista, non se ne era mai lamentato, e lo aveva scelto di sua spontanea volontà. Perché cambiare? Che senso avrebbe avuto? In ogni caso lui sarebbe sempre rimasto “The Kiker”, non sarebbe mutato nulla. Sarebbe sempre stato ricordato come “quello che calcia forte e fa male”.
Sospirò spazientito.

Poi lo sguardo gli cadde su quel foglietto spiegazzato che l’uomo della foresta gli aveva dato. Sopra era leggibile un indirizzo scritto di fretta.

 

Non aveva idea del perché lo stesse facendo.

Non ebbe nemmeno il coraggio di chiederselo, perché probabilmente non avrebbe trovato una risposta sensata da darsi.

Semplicemente, era uscito di casa, e perso nei suoi pensieri com’era, s’era ritrovato lì. Per puro caso, logicamente.

Da fuori, il Rairaiken pareva un bel posticino. A Seiya i noodles non facevano impazzire, in ogni caso, quindi non ci aveva mai messo piede, e comunque ritrovarsi lì davanti lo metteva stranamente a disagio, ed il disagio non era una sensazione che a Tobitaka piaceva particolarmente.

Aprì il foglietto che teneva in mano.

Hibiki Seigou, c’era scritto.

Cos’è, sarebbe dovuto entrare e avrebbe dovuto chiedere di questo fantomatico tizio? Oppure il nome serviva solo per evitare le presentazioni?
Completamente immerso nel suo rimuginare, si accorse che qualcuno era uscito dal locale solo quando una voce baritonale lo riprese con un –Alla fine sei venuto.-

Seiya sobbalzò, alzando lo sguardo ed incrociando un paio di occhialetti tondi e neri e un faccione incorniciato da un’ispida barba bianca. Riconobbe subito l’uomo incontrato nella foresta.
Cercò di darsi un contegno e infilò rapidamente le mani in tasca, sviando lo sguardo del più grande –Passavo di qui.- masticò, aggrottando le sopracciglia.

Era dura accettare che la curiosità aveva avuto la meglio su di lui.

-Dai, entra.- disse solo l’altro, ammiccando al ristorante, facendo strada.
Tobitaka fu tentato di rimanere fuori, ma alla fine, lanciando un’occhiata in giro, seguì l’omone all’interno.

Rimase in piedi anche quando l’altro gli offrì di sedersi, senza smettere di guardarsi intorno: non c’era nessuno, a parte loro due.

-Allora. Come mai sei qui?- l’uomo della foresta, o Hibiki, girò attorno al bancone, voltandosi verso i fornelli.

Seiya lo trovò maleducato, ma in fondo lui era un teppista, di che avrebbe dovuto lamentarsi. Cercò una risposta da dare, una qualsiasi scusa che giustificasse la sua presenza lì, e con sorpresa si accorse di non doverci pensare poi molto –Hai detto che posso usare meglio i miei calci. Come?- chiese a bassa voce, socchiudendo gli occhi, sentendosi immediatamente vulnerabile in un qualche modo.

Le spalle del più vecchio si muovevano per il suo indaffararsi ai fornelli –Ti chiamano “The Kiker”, non è vero?- rispose con un’altra domanda, e Tobitaka vide dei noodles saltare nella padella che Hibiki teneva in mano.

-Si.-

-Ti piace, come soprannome?-

-Che domanda è?- il più piccolo cominciò seriamente a pensare che quella fosse una perdita di tempo.

-Ti piace si o no?- insistette l’altro, che sparì per un attimo dentro una porticina, tornando con qualche spezia in mano.

-Non ne vado molto orgoglioso.- sussurrò Seiya, che dopo essersi reso conto di quanto aveva detto alzò lo sguardo e fece per aggiungere altro. Si bloccò nel vedere un piatto di noodles fumanti sul bancone.

-E i noodles? Ti piacciono, ragazzo?- Hibiki, le mani ai fianchi, ammiccò alla ciotola di spaghetti, serissimo.

Il teppista sospirò –Non particolarmente.- inclinò il capo –Senti…-

-Assaggia.- ordinò il cuoco, indicando lo sgabello di fronte al bancone –Offre la casa.- aggiunse, nel vedere il ragazzo esitare. Tobitaka non trovò di che replicare, ed obbedì sospirando, mettendosi finalmente a sedere e prendendo le bacchette che l’altro gli porgeva. Ringraziò.

-E’ un mio piatto speciale.- rese noto Hibiki, non perdendo l’espressione seriosa che aveva incollata alla faccia. Seiya prese atto della notizia e cominciò a mangiare, titubante. Aveva un sapore particolare, quel piatto, ma lo trovò davvero ottimo. Alzò il capo di scatto –E’… E’ buonissimo!- sbottò, gli occhi sgranati, dimenticandosi del tutto il motivo per cui era lì.

Il più grande rise piano –Sono contento ti piaccia.- poggiò i gomiti sul bancone, ed attese che il ragazzo si spazzolasse tutti i noodles, prima di tornare a parlare –Tu come credi di poter utilizzare meglio i tuoi calci?-

Il teppista indurì l’espressione del viso. Ci pensò un po’ su, prima di rispondere –Io utilizzo i miei calci per fare a botte. Non so se c’è un modo migliore.- disse secco. Il senso di disagio si fece di nuovo strada in lui. Si rifiutò di credere che si vergognasse di quello che faceva. Quella strada l’aveva scelta lui stesso, non era possibile.

-E il calcio? Che ne dici del calcio?- la voce di Hibiki lo distolse bruscamente dai suoi pensieri.

-Il calcio?- interrogativo, Tobitaka sbattè le palpebre. Ci mise poco a collegare. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse immediatamente, aggrottando le sopracciglia –Io non so giocare a calcio.- constatò solo. Era un’area che non lo competeva minimamente. Non si era mai interessato ad uno sport del genere.
Ma nel calcio si utilizzavano le gambe.

Nel calcio nessuno faceva male a nessuno.

Ah, che cosa assurda. Non poteva starci pensando veramente.
-Non è mai tardi per cominciare, non credi?- il più vecchio tornò dritto con la schiena, e inconsciamente Tobitaka si mise in piedi –Io picchio la gente, non calcio palloni.- allargò le braccia –E’ per questo che mi hai fatto venire qui?-

-Sei venuto tu di tua spontanea volontà.-

-Io non so giocare a calcio. Se giocassi a calcio…- sarebbe stato un cambiamento abbastanza radicale, nella sua vita. Importante, anche. Uno sportivo poteva fare a botte? Di certo no. Insomma, era una dimensione del tutto opposta rispetto a quella in cui si trovava lui, non riusciva nemmeno ad immaginarsela –Non ho voglia di giocare a calcio.- concluse, annuendo.

-E di provare, a giocarci, hai voglia?- tornò all’attacco Hibiki –Ti insegnerei io. Le tue gambe sono formidabili. Ha un enorme potenziale. Pensaci. Potresti sfogare la tua rabbia su un pallone, e non necessariamente su delle persone.-

-Io non sfogo la mia rabbia da nessuna parte!- piccato, Seiya indietreggiò. Per un attimo, solo per un attimo, si era sentito lusingato dall’apprezzamento che l’uomo aveva espresso per le sue gambe. Era la prima volta che gli capitava.

Forse era davvero in grado di usarle meglio.

Rimasero in silenzio a guardarsi per qualche minuto.

-Io… Io sono bravo solo nelle risse.- le mani nuovamente in tasca, Tobitaka scrollò le spalle –E’ tutto ciò che sono in grado di fare sin da quando sono piccolo.- “è l’unico talento che ho”, pensò con un sorriso amaro –I miei calci fanno male. A questo punto, sono quelli che fanno più male tra tutti. “The Kiker” esiste perché picchia forte, non perché gioca a calcio.- sostenne lo sguardo di Hibiki.

-E se “The Kiker” potesse esistere anche perché calcia bene un pallone?- replicò il più grande –Pensaci davvero.- ribadì.

E Seiya ci pensò, ci pensò davvero.

Forse la gente avrebbe potuto ricordarsi “the Kiker” senza pensare ad un ragazzo di strada.

I suoi calci non avrebbero più fatto male. I suoi calci sarebbero stati per qualcuno motivo d’orgoglio, non di vergogna.

Lui sarebbe stato in grado?

Junichi l’avrebbe trovato formidabile comunque?
-Non conosco nemmeno le regole base del calcio.- mormorò il ragazzo, socchiudendo gli occhi –E sono scoordinatissimo.- ammise, inclinando il capo di lato –Riusciresti ad allenarmi anche così?- domandò.

Hibiki annuì –Riuscirei anche così.- sorrise a mezza bocca, incrociando le braccia al petto.

Seiya si ritrovò a sorridere a sua volta. Quella era una sfida.

Sarebbe stato difficile, perché non ne era capace.

Ma aveva delle potenzialità.

Le aveva nelle sue gambe.

E per la prima volta in vita sua si sentiva fiero di possederle.

-Va bene, allora. - disse solo.

-Proverai?- il più grande poggiò le mani sul bancone.

-Proverò.- annuì Tobitaka, tirando fuori dal nulla il suo pettine –Vediamo un po’ com’è questo calcio.- ghignò.

Quella era una sfida.

Ed un teppista accetta sempre le sfide che gli vengono proposte.
The Kiker” avrebbe continuato a calciare.

 

  
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