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Autore: LairaWolf    31/10/2012    5 recensioni
Questa saga racconta (principalmente dal punto di vista di Gwen) un continuo dopo la terza stagione. I ragazzi sono in vacanza su uno yathc, ma questo viene colto da una tempesta, che disperderà alcuni ragazzi e altri li spedirà in un posto sperduto....
Una storia di amori, sofferenza, e di spirrito di gruppo!
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Courtney, Eva, Noah, Trent | Coppie: Duncan/Gwen
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Avviso!

Chiedo umilmente scusa per il GINORMICO ritardo! (quasi dieci mesi)... ma non è stato un perido facile per me, e ho perso completamente la voglia di scrivere, dimenticandomi che ho una fanfiction da finire! Quindi chiedo ancora scusa... a chi si era (stranamente) appassionato alla storia... ma ciancio alle bande e pubblichiamo il capitolo nuovo!
SCUSA ANCORAAAA!!! ^_^""""



DUNCAN

 
 
Non mi sono mai sentito più impaziente di ora. Gwen è al nono mese di gravidanza ed entro questa settimana dovrebbe partorire! Mio figlio nascerà fra pochi giorni! Quasi non riesco a crederci.
E per essere sicuro di essere presente quando Gwen partorirà, la controllo ventiquattr’ore su ventiquattro e non la perdo mai di vista. La coccolo sempre, la rassicuro, cerco di farla ridere, mi assicuro che mangi a sufficienza e che beva abbastanza. Ultimamente siamo tornati di notte, in incognito, al nostro posto segreto, ricordando con gioia il momento del concepimento. Alla luce della luna, lei è bellissima, sembra una dea: è come se più passa il tempo, più io sento di amarla ogni volta di più. Le faccio fare anche passeggiate leggere per farla respirare e tenerla in movimento, le massaggio i piedi, faccio in modo che non svolga sforzi eccessivi e che sia sempre rilassata.
A volte, durante la notte Gwen sobbalza per i calci e movimenti del piccolo e sobbalzo anch’io: ogni volta che succede, l’emozione mi prende alla gola e appoggio le mani sul suo ventre. È una sensazione strana sentire mio figlio che si muove all’interno del corpo di mia moglie.
Una notte mentre dormiva, io non riuscivo in alcun modo a prendere sonno : eppure non ne avevo motivo, era stata una giornata come le altre, ma neanche contare le pecore è servito a qualcosa. Così sono uscito fuori, dirigendomi verso la spiaggia. Guardavo la luna che splendeva sull’oceano e quando ho abbassato lo sguardo verso l’orizzonte, sono stato preso da numerosi pensieri e da un’improvvisa malinconia.
Ho sentito dei passi dietro di me, mi sono voltato e ho visto Gwen venirmi incontro, preoccupata.
-         Duncan perché te ne eri andato? –
-         Non riuscivo a dormire. –
-         Mi ero svegliata e non ti ho visto vicino a me... ho avuto paura. –
-         Scusami tesoro. Vieni qui... –
L’ho circondata con un braccio e ci siamo seduti sulla sabbia, mentre appoggiava la testa sul mio petto, stringendomi i fianchi.
-         Sei pensieroso... –
-         Lo so. –
-         E a che cosa pensi? –
-         Guardavo l’orizzonte... e mi sono chiesto se vedrò mai una nave. –
Non aveva risposto e ho cominciato a pensare di aver detto qualcosa di avventato. Molto avventato.
-         Vorresti tornare a casa? –
-         Non lo so Gwen... qui sto bene però... pensavo ai miei. Che staranno facendo? –
-         Io non devo pormi questo problema... –
L’ho stretta forte, affondando la mia testa nei suoi capelli, aspirando l’odore dolce che ne derivava.
-         Non devi più dire queste cose okay? Sono io la tua famiglia. E il bambino. –
-         Lo so Duncan... scusa. –
-         Niente tranquilla. –
-         Ora riesci a dormire? –
-         Non ancora. Ma tu puoi ritornare alla capanna se vuoi. –
-         Voglio rimanere con te. Sai, mi chiedevo – abbassò la testa – se ti presentasse l’occasione di andartene da qui, tu la prenderesti? Torneresti a casa? –
Mi sono chiesto se era una domanda trabocchetto. Dovevo giocare d’astuzia, ma ahimè, non avevo  (ne ho) grande esperienza in campo.
-         Tu che faresti? –
-         Non si risponde a una domanda con un’altra domanda. –
Che carogna che è stata! Sono certo che lo faceva apposta.
-         Beh, ormai casa mia è diventata quest’isola, ma insomma, non mi dispiacerebbe tornare a dormire in un letto, farmi il bagno in una doccia, mangiarmi un pacchetto di patatine. –
-         Io vorrei rimanere per sempre qui. Ci sto bene ed è un bel luogo per crescere nostro figlio. –
-         Già... il bambino... mi emoziono sempre quando ci penso. –
-         Ance io... –
La cosa si è conclusa con Gwen che si era addormentata sulla mia spalla (bloccandomi la circolazione) e io che la riportavo alla capanna. Ma non dormii lo stesso perché questa idea mi ronzava in continuazione per la testa: se avessi l’opportunità di andarmene, me ne andrei? Mi sono arroventato il cervello a furia di pensarci, non ho dormito tutta la notte e la mattina dopo ero un similzombie.
Ma ora ho perfettamente recuperato quella notte in bianco e sono riuscito a stare dietro a Gwen sempre.
E c’è una novità: anche Courtney è incinta, ed è al quinto mese. Viene spesso a trovarci, o noi andiamo a trovare lei, e mi ritrovo sempre a parlare con Trent perché Courtney e Gwen parlano per tre ore consecutive ed è un trituramento di maroni colossale.
Trent sembra veramente cambiato, ma ho ancora qualche sospetto nei suoi confronti, ma pochi pochi. Sembra emozionato quanto me, ma sua moglie non partorirà da un momento all’altro.
E già, si sono sposati anche loro. E anche Heather e Alejandro, ed è in programma quello dello sfigato e di Leshwana. Io e Gwen abbiamo fatto moda.
Anche oggi Courtney è venuta da noi portandosi dietro Trent, ma stavolta non si ritira con la mia piccola, ma vuole che parliamo tutti insieme.
-         Allora per quando è prevista la nascita? – squilla.
-         Entro questa settimana, dati i calcoli dello sfigato... –
-         Sarà emozionante, vero Neanderthal? –
-         Sì, molto... emozionante. –
-         E come lo o la chiamerete? –
Ci guardiamo disorientati. Non ci avevamo assolutamente pensato!
Courtney ci incalza:
-         Perché quelle facce perplesse?!? –
-         Vedi il fatto è che... – Gwen è imbarazzata – non ci avevamo neanche pensato... non abbiamo mai tirato fuori il discorso... –
-         State scherzando vero? –
-         No... –
Ci fissa con occhi che sembrano sfere da chiromante.
-         Ma allora... decidiamo insieme! Se è maschio? –
Io ci penso su. Non voglio dare a mio figlio un nome banale come John, Tom, Billy, e credo che Gwen sia dello stesso parere. Parla prima lei.
-         Se è maschio, io pensavo ad... Alphonse. –
Mi giro lentamente e la guardo sconcertato. Ma da dove lo ha tirato fuori questo nome assurdo??
-         Vedo che non ti piace, Duncan... –
-         Per niente. –
-         E sentiamo allora, tu che avevi in mente? –
-         O il mio stesso nome... – e qui sento Courtney che in un colpo di tosse dice “esibizionista” – oppure... Edward. –
-         Edward mi sembra carino... –
Strano ho (sembra) soddisfatto Gwen! Ma come al solito, la perfettina deve rovinare tutto.
-         Non vi sembra un po’... pomposo? Io suggerirei Ray! –
-         Ray? Non mi piace. – dico stradeciso.
È veramente (un altro) nome orribile. Ma che ti aspetti da una come Courtney?
Ho notato che Trent non ha ancora detto niente e che si è imboscato in un angolo. Mi dispiace vederlo così e cerco di coinvolgerlo.
-         Trent e tu? Hai qualche suggerimento? –
Fa sbucare la testa dal suo antro oscuro e la scuote da destra a sinistra e ritorna nell’ombra.
-         Andiamo esci da quella grotta di tenebre! –
-         Molto spiritoso Duncan. –
-         Non sto scherzando. Forza, esci fuori! –
Sembra ascoltarmi: scivola lentamente  alla luce del sole e striscia verso Courtney. Non ha una bella cera: occhi rossi, pelle pallida, capelli arruffati a nido di corvo. Assomiglia ad un vampiro.
-         Trent... sei sicuro di stare bene? –
-         Forse... perché? –
-         Sembri un moribondo! –
-         Grazie mille. –
-         Dico sul serio Trent. Che è successo? –
Courtney gli stringe il braccio e lo costringe a guardarla negli occhi. Poi si rivolge a me.
-         Ieri sera ha avuto un’altra crisi. –
-         Mi dispiace... non volevo... –
-         Tranquillo amore, non è colpa tua... –
-         Esattamente che cosa è successo? –
Gwen sembra molto interessata alla faccenda.
-         Ieri sera... senza alcuna ragione... – balbetta Trent – ho cominciato a essere arrabbiato e ho urlato contro Courtney senza motivo, e... poi non ricordo più nulla. –
-         Mi ha urlato insulti terribile, poi è svenuto. Quando si è ripreso era tornato in sé. –
-         Mi dispiace moltissimo... sono un essere abominevole. –
-         Non è vero... non è assolutamente colpa tua. –
-         Sì invece! –
-         Trent, - Gwen gli si rivolge in modo molto pacato – non è affatto colpa tua, mettitelo bene in testa. Se sei malato non è colpa tua, non è colpa tua di niente. E non sei un mostro, sei un essere umano come tutti noi. –
Una cappa di “silenzio riflessivo” si abbatta su d noi. Dura qualche minuto.
-         Cercherò di mettermelo in testa. –
-         Bravo ragazzo. –
-         Che ore sono? –
-         Non lo so. – le rispondo – L’unico orologio che l’ha lo sfigato ma se mi date tre minuti ve lo dico senza aver bisogno di un orologio. –
Esco fuori, prendo un bastone, trovo un luogo soleggiato e pianto il bastone a terra. Mettendomi in un’angolazione precisa, riesco grazie all’ombra del bastoncino a capire che ore sono.
Le due e mezzo circa. Ecco perché ho così fame.
Torno dentro e annuncio l’orario. Gwen si esalta per un attimo.
-         Andiamo a cucinare Courtney? –
-         Volentieri cara! –
Io invece mi rivolgo a Trent.
-         Noi due andiamo a recuperare la frutta. –
 
 
 
Dopo un pranzo sostanzioso siamo andati tutti a fare una passeggiata attorno all’isola e ho notato con stupore che Eva e Noah si chiamavano “amore” a vicenda! Credevo che avessero la febbre o che avessero assunto droghe e invece è tutta farina del loro sacco, erano perfettamente lucidi. Poco ma sicuro, questo è il segno dell’apocalisse.
Tengo Gwen mano nella mano, mentre le solletico le dita e la brezza leggera ci scompiglia i capelli, rendendo Gwen assolutamente bellissima.
Geoff e Bridgette hanno litigato di recente e stanno uno a venti metri dall’altra, non degnandosi di uno sguardo. Ma so per certo che non durerà: quei due sono troppo legati (e sbaciucchi osi) per rimanere distanti a lungo.
Heather e Alejandro... sono normali, non ho notato particolari comportamenti anomali.
Lo sfigato e Leshwana chiacchierano una cifra, ed Ezekiel... beh, quel povero diavolo è rimasto da solo, ma per consolarsi si è portato dietro la capra più bella del suo gregge, che lo segue come un cagnolino.
Dopo un po’ che camminiamo, comincio ad annoiarmi: ormai l’isola l’ho vista, rimirata, osservata, circumnavigata più e più volte, conosco ormai ogni singolo sasso.
-         Duncan stai bene? – Gwen mi guarda curiosa.
-         Sì tranquilla! Perché me lo chiedi? –
-         Hai una faccia... –
-         No ti giuro che sto bene! Tu piuttosto... sei più pallida del solito... e direi anche... –
Non finisco la frase. Gwen crolla a terra, riesco a sorreggerla appena in tempo. Poi non ricordo più niente con certezza. Solo macchie di luce e io che porto Gwen inerme nella nostra capanna. Poi credo di essermi addormentato, perché ero troppo stanco.
Quando mi sono svegliato, Gwen non si era mossa nemmeno una volta. C’era Noah nella capanna, a vegliare su Gwen e me.
-         Oh, almeno tu ti sei svegliato. –
-         Che cosa... è successo? –
-         È svenuta. Tranquillizzati capita durante la gravidanza. Anzi, è strano che non sia svenuta prima. –
-         Beh, ogni tanto aveva dei cedimenti... e voleva tornare a dormire... –
-         Tu invece come stai? –
-         Mi gira la testa. E ho l’ansia. –
-         Devi stare tranquillo. È normale. –
-         Sei veramente sicuro? –
-         Sicurissimo. –
-         Allora mi fido, Doctor! –
-         Cretino. –
-         Pisquano.-
-         Vogliamo continuare? Dài Duncan, un minimo... –
Si ferma perché sente un lamento. Lo sento anche io. Ci giriamo e vediamo Gwen con gli occhi aperti. Mi precipito su di lei, prendendole la mano.
-         Duncan...? Sei tu? –
-         Certo, tranquilla... mi hai fatto prendere un infarto! –
-         Mi dispiace... ho fatto uno strano sogno... –
-         Uno strano sogno? Ovvero? –
-         Beh, - si mette a sedere – ero in un mare di nero, non vedevo niente. Poi improvvisamente cominciarono a comparire delle immagini. Ho visto una collina, illuminata dalla mezzaluna. Dietro alla collina si vedeva il mare. Ho visto un cumulo di terra su quella collina: era piccolo, circondato da pietre bianche. Vicino al tumulo c’era una persona: era in piedi, e, non so perché, ma mi trasmetteva una grande tristezza. Si era chinato e aveva poggiato sul tumulo un rametto di fiori bianchi, per poi cadere sulle ginocchia e singhiozzare. A quel punto, la persona, la collina, il mare, tutto si è sbiadito fino a diventare tutto nero. E mi sono svegliata... -.
L’ho ascoltata filo e per segno, nel tentativo di capire che cosa mi voleva trasmettere ma... a dir la verità non ci ho capito nulla. Ma vedo che si aspetta una risposta da me, quindi devo dire qualcosa.
-         È un po’ strano... è un episodio che hai vissuto tempo fa? –
-         No affatto... –
-         Ora non c’è tempo di pensare ai sogni Gwen. – si intromette Noah – sei sicura di sentirti bene? –
-         Sì Noah! Un po’ di intorpidimento alle gambe, ma sto bene. Anzi, ho fame... –
-         In effetti... – dico – anche io avrei un certo languorino... –
-         Fatemi pensare... no, per stasera non abbiamo nulla. Duncan per piacere, andresti con me a cercare qualcosa da mangiare? Chiamo anche Alejandro e Geoff. –
Sinceramente non mi va di lasciare Gwen da sola, ma per il bene della comunità (datemi una medaglia) decido di accettare.
Ci ritroviamo dieci minuti dopo al confine del villaggio. È quasi sera ma c’è ancorala luce del tramonto e quella delle stelle che stanno lentamente comparendo. Ci avviamo verso il fitto della foresta, guardandoci intorno alla ricerca di qualcosa da mangiare.
L’uragano nonostante abbia sradicato molti alberi ha spianato la strada a piante nuove, che stanno venendo alla luce. Ma c’è sempre qualcosa da mangiare, come i piccoli arbusti con more, bacche, fragole e altre leccornie del genere. Mi viene da ridere al solo pensiero che questi frutti vengono comprati al supermercato per tredici dollari al chilo, mentre qui li abbiamo gratis e decisamente più nutrienti. Riempiamo le nostre bisacce (fatte di pelle di capra) con questi frutti, e anche di qualche lucertola alla quale spezziamo onorevolmente il collo (sono deliziose dopo che le sono state tolte le interiora e la testa, condite con erbe aromatiche e abbrustolite). Ero così preso dalla raccolta che non ho visto una radice leggermente rialzata e finisco con la faccia nella polvere.
-         Oh Duncan! Tutto bene? – chiede Geoff.
-         No, sto qui perché mi piace. Ma secondo te?!? –
-         Beh sì hai ragione! Dài, dammi la mano! – me la prende e mi tira su. – Dovresti stare più attento, non è la prima volta che cadi. –
-         Mi pare ovvio che Duncan sia distratto: fra pochissimo sarà papà! – commenta Alejandro.
-         Addio libertà... – dice Noah.
-         Benvenute notti in bianco! – dice Geoff.
-         Grazie mille, - commento sarcastico, - per la vostra solidarietà. –
-         Lo sai che ti prendiamo in giro, scemo! –
Li lascio farneticare per altri cinque minuti, quando improvvisamente vedo avvicinarsi qualcuno...
Ha i capelli lunghi... una ragazza.
Sta correndo a perdifiato verso di noi...
I capelli sono neri... una parte del viso sembra devastata...
Eva?
-         Ehi ragazzi: sbaglio o quella è Eva? –
Noah si rizza subito.
-         Sì è lei! Ma... che sta succedendo? –
Velocemente, Eva ci raggiunge, ma non ha nemmeno la forza per parlare. Tentiamo di calmarla, ma lei ci caccia indietro, apre la bocca per parlare, ma la richiude subito per mancanza di aria. La costringiamo a sedersi per terra. Dopo un po’, riesce a prendere fiato, ma con ancora qualche problema.
-         … al villaggio... –
-         Sì??? – chiediamo in coro.
-         … Gwen... –
Gwen??
-         … sta... sta... –
-         Sta cosa??? – sono in ansia.
-         …sta... part... –
-         Sta partendo? – chide Noah.
-         ... no... sta... part... –
-         Sta cosa?? – sono esasperato.
-         STA PARTORENDO!!!! –
.
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.
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STA COSAAAAAAA????? STO PER DIVENTARE PADRE??? COSI’ PRESTO???
-         Che aspetti lì imbambolato idiota?? Va! Va da lei! – mi urla Eva.
-         S-sì! Subito! –
E – chissà perché – inciampo di nuovo sulla radice di prima. Ma non mi lascio scoraggiare, mi rialzo e corro il più forte che posso, con le voci degli altri dietro di me. Non mi interessa quello che dicono, ho in mente solo una cosa, che mi lampeggia in testa come un allarme:
GWEN, GWEN, GWEN, GWEN, GWEN, GWEN, GWEN.
Corro a perdifiato, senza voltarmi indietro. I rami mi graffiano il viso con ferocia e mi sembra che la foresta si stia infittendo apposta per non farmi arrivare a Gwen. La strada sembra allungarsi e il tempo accelerare vertiginosamente. Ma alla fine riesco ad uscire dalla foresta e sono sulla spiaggia. Mancano solo qualche centinaia di metri...
Già a circa duecento metri si sentono delle urla, e riconosco benissimo la voce. Mille pensieri mi frullano nella testa... ho sentito dire che un travaglio può durare anche una settimana, tra atroci sofferenze... oppure in meno di mezz’ora. E se Gwen dovesse prendere un’infezione? Potrebbe morire di parto...
No! Basta questi orribili pensieri! Devo essere vicino a Gwen, non pensare alla sua morte! Non voglio rischiare di nuovo di perderla.
Sono nel villaggio. Le urla vengono dalla nostra capanna e c’è un via vai delle ragazze da dentro a fuori. Una mano sulla mia spalla mi fa sobbalzare: è Eva.
-         Dieci minuti dopo che te ne sei andato è entrata in travaglio. È meglio che tu aspetti qui fuori. Non c’è posto nella capanna e disturberesti soltanto. Ti prego non ribattere è meglio così. –
Sto per dire qualcosa (ovviamente non sono d’accordo) ma Eva mi zittisce con lo sguardo e entra nella nostra capanna.
Mi siedo abbattuto su una roccia, tappandomi le orecchie per non sentire le urla di Gwen. Non oso immaginare il dolore che sta provando in questo istante, la sofferenza...
Vengo raggiunto da Alejandro, Noah e Geoff, che cercano di distrarmi, consolarmi, ma no, io penso a Gwen, sono preoccupato a morte per lei, è lei quella che sta soffrendo. Il dolore che provo io è un dolore sordo, non acuto. Mi pesa sullo stomaco, mi dà un’orribile sensazione di impotenza.  Ho paura per Gwen, sono terrorizzato.
 
Sono passate due ore, e non ha smesso per un momento di piangere e urlare.  Le ragazze sono frenetiche e non smettono di portare panni puliti, acqua e a scambiarsi i turni. Ma ad un certo punto le urla si fanno molto più intense e le ragazze sono in improvvisa ansia mischiato a terrore.
Le urla aumentano di volume, ancora e ancora...
Non si sente più niente. Le urla sono cessate.
Ma non sento un pianto di un bambino.
Le ragazze hanno il volto che emana sconcerto.
Una comincia a piangere.        
NO!! GWEN!
Non mi importa se mi sbarreranno la strada, io la devo vedere.
Mi lancio contro la capanna. Mi fanno spazio. Bridgette mi dice con voce fievole     
-         Il bambino... è nato... morto... –
-         Ma Gwen??? –
-         Gwen sta bene... –
La mia mente mise da parte il bambino. Era morto, non potevo fare niente per lui. dovevo concentrarmi su Gwen, solo su lei.
La capanna è piena di sangue e sudore. Gwen non si muove, respira molto piano, con le lacrime che le rigano le guance. Mi avvicino lentamente, carezzandole teneramente il viso, sforzandomi di non mettermi a piangere.
Lei apre gli occhi. Altre lacrime scorrono sulle guance.
-         Mi dispiace... è stata colpa mia... –
-         No, non è stata affatto colpa tua. Sono cose... cose che capitano, tu non hai assolutamente colpa. –
-         Il bambino... l’ho ucciso io... –
-         Non l’hai ucciso tu. È stato un incidente, capitano... –
Suona molto stupido da dire, ma non so cosa pensare, cosa dirle...
Si addormenta. Meglio così, si deve riposare. Mi alzo. In un angolo della capanna vedo un fagotto insanguinato.
Capisco subito che è il bambino. Prendo un altro panno, raccolgo il corpicino senza vita e lo avvolgo nel panno.
Le ragazze mi guardano. Ma non mi fermano, stanno zitte.
Hanno capito. Mi fanno uscire.
Ho un luogo dove dirigermi.
Camminando come uno zombie mi dirigo verso la parte più alta dell’isola. Sono giunto alla cima della Collina Maggiore. La mezzaluna illumina la ima e il mare si staglia tutt’intorno. Prendo un bastone e comincio a scavare una buca. Dopo pochi minuti è della misura ideale. Prendo il fagotto, lo adagio piano sul fondo e ricopro tutto con la terra, formando un piccolo tumulo. Mi allontano di poco, tornando con delle pietre bianche che dispongo attorno alla tomba di mio figlio. Da un arbusto stacco un rametto di fiori bianchi e inginocchiandomi lo appoggio con delicatezza sul tumulo. Mettendomi a piangere. A piangere per mio figlio Edward.    
              
                                                                          
  
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