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Autore: Windter    16/05/2007    1 recensioni
[Maria-Sama Ga Miteru - Youko x Sei]
Attenzione: spoiler su "La Foresta di Spine", Shoujo-Ai.
C'è una ragazza che si aggira, annoiata da tutto e tutti, nei giardini dell'Istituto Lillian.
Il suo nome è Satou Sei. Ed anche se nessuno se lo potrebbe attendere, è il demone biondo destinato a sconvolgere l'esistenza dell'integerrima Mizuno Youko.
Rosa Chinensis en Bouton, per la prima volta nella vita, si ritrova a dover far fronte ad un sentimento che sembra capace di schiacciare la sua razionalità ed il suo senso del dovere. Costretta fra nuove ossessioni e desideri repressi, fra i doveri e i "no" del suo cuore, dovrà imparare a convivere con gli strani ritmi della vita di Sei. Oppure arrendersi e lasciarla volare via, lontano da sè.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Riflessi - III - Cadevoli Barriere
[ Riflessi - Youko x Sei ]


III

Cedevoli Barriere



Il resto è parte segreta di quella storia che in seguito tutti, indiscriminatamente, avrebbero voluto dimenticare e far dimenticare.

La verità era che sapevamo, che noi tutte sapevamo. E nessuna era riuscita a radunare abbastanza coraggio per venirne a parlare con te. Io stessa mi ripetei a lungo e con forza che sarebbe stato sbagliato intervenire, facendomi forte delle parole delle Rose e cercando di convincermi fossero assolutamente nel giusto. Rispetto alla loro sicurezza, mi dicevo che avrei dovuto soffiare via i miei dubbi, sempre più attanaglianti, come folate di vento caldo di passaggio, pronte a sfiorarmi la fronte e poi fuggire via, lontano; verso altri cieli ed altri mondi.

Quando non c'eri e qualcuna di noi accennava il nome di Satou Sei, qualunque fosse l'argomento trattato usciva prima o poi la risposta automatica: "E' meglio non fare nulla, presto finirà ogni cosa". E cercavamo di crederci davvero, che da un momento all'altro tutto sarebbe terminato e la nostra vita quotidiana, la nostra comune vita di sempre, avrebbe ripreso il suo corso naturale.

La verità è che sapevamo, che noi tutte sapevamo. Che ci aspettavamo quel che sarebbe successo, e malgrado ciò nessuna di noi era riuscita a trovare la forza di avvisarti. Ci facevamo forza l'un l'altra, piccole, stupide ragazzine, confidando nel fatto che fosse realmente, al di là di ogni insicurezza, giusto così. Cercando davvero di dare un vero peso a quella frase, a quella bugia che lasciava in ognuna di noi, nel profondo dello stomaco, quella vaga amarezza tipica delle falsità. Quella frase cui tutte tentavamo disperatamente di credere.

Bada, ho visto Shiori uscire dalla presidenza. Senti, ma secondo te Shiori non trascorre un po' troppo tempo in chiesa? Ascolta, ho sentito dire che Shiori starebbe pensando di...

Troppo difficile.


La verità è che sapevamo, che noi tutte sapevamo. E tu, tu fosti vittima non del caso, non del destino, non dello spietato disegno di Dio, ma piuttosto del nostro vile comportamento, portato avanti troppo a lungo. Fin oltre il limite che non avremmo mai dovuto valicare.
Forse, non riusciresti mai a capire. Tu così diretta, tu così coraggiosa, tu così avventata, se sapessi potresti perdonarci? Potresti davvero comprendere il nostro comportamento? I tuoi occhi erano troppo brillanti: semplicemente, nessuna aveva avuto il coraggio di allungare una mano, una semplice mano, a squarciare il velo che ti attorniava, spezzando l'incantesimo in cui ti eri perduta. Eri troppo felice, eri troppo diversa dalla Sei che noi tutte avevamo conosciuto. Eri una Sei meravigliosamente abbandonatasi a qualcosa di ignoto, per noi, e nessuna aveva più la benché minima idea di come avvicinarsi a te.

Tu così lontana, tu così irraggiungibile e così terribilmente fragile. Tu, così esposta, tanto da far paura.

I giorni trascorrevano uno dietro l'altro senza soluzione di continuità, ormai sempre più rapidi e concitati. Era logico aspettarsi che entro breve si sarebbe toccato il culmine, ma ingenuamente, strenuamente avevo sperato che non sarebbe più successo, come se alla lunga il non parlarne avesse scongiurato il pericolo. Tutte noi ci cullavamo in un susseguirsi di colpi di scena ormai quasi ripetitivi. Ed io, persa nel limbo di un'attesa infinita, di una svolta, ero ormai entrata nell'ordine di idee che ogni cosa sarebbe rimasta uguale a sé stessa.
Senza nemmeno pensarci, ero arrivata a convincermi intimamente che quei giorni di tensione non sarebbero mai terminati: i tuoi occhi su di lei e i miei occhi su di te, per sempre.

Poi, com'era normale che fosse, scoccò l'ora che ormai non mi aspettavo più. E quando in quel giorno di metà inverno entrai in chiesa e vidi Shiori inginocchiata davanti alla statua di Maria-Sama, avvertii nitidamente incrinarsi in me il mondo di specchi dietro al quale avevo nascosto la verità. E capii che, ormai, non avrei potuto più fare nulla per frenarmi.


Di fronte a quella figura china, penitente, assorta in preghiera a tal punto da non rendersi conto della mia presenza, mi resi conto che non aveva più senso continuare la mascherata. Che non potevo più permettermi di tacerti quel che avrei voluto gridarti mille anni prima, quello che avevo sempre cercato di dirti fra le composte righe dei miei doveri di bouton, sperando che il richiamo alla tua carica avrebbe potuto darti un appiglio verso la realtà, una giustificazione plausibile per allentare quel legame, pur senza lacerarti l'anima con la cruda verità dei fatti.
Era troppo tardi per tornare indietro, nessun'altra bugia avrebbe potuto vivere oltre quell'istante. Sapevo già cosa Rosa Gigantea voleva dirti quando, nel primo momento in cui ti mostrasti allo Yamayurikai dopo settimane di totale assenza, al termine della riunione ti fermò, domandandoti di fermarti per prendere un the con lei. Ed avvertii i miei passi muoversi quasi inconsapevolmente verso quella panchina che, lo sapevo, ti avrebbe vista di passaggio lungo il viale che conduce alla chiesa. Ti attesi con la sicurezza che saresti arrivata. Non ero sorpresa. Eppure, vedere la tua figura avvicinarsi mi provocò ugualmente un brivido.
I tuoi occhi, i tuoi occhi erano terribili. Chiusi e freddi come lamine di ghiaccio, pronte ad affondare dentro di me. Ti avvicinasti e mi guardasti come se fossi un mero ostacolo, uno spiacevole contrattempo che avresti potuto facilmente evitare, e mi sentii dentro di una furia inesprimibile, capace quasi di schiacciare quell'angosciante sensazione di tristezza che mi pesava dentro quando ti guardavo, e vedevo che i tuoi occhi sfilavano oltre me. Nonostante questo, mi feci forza. Ed allungai la mano, e feci crollare quel tuo mondo di sogno.

Quando vidi i tuoi occhi spalancarsi, tendersi sull'orlo del baratro, fui sicura che mi avresti trascinata con te giù per la cascata. E in un solo, unico momento ebbi la conferma di tutti i miei timori: tu non sapevi niente.

Sarebbe stato uno schianto tremendo.



Poi, la tua corsa infinita lungo il viale scandì il ritmo impazzito del mio cuore, finché non ti vidi sparire fra gli alberi, verso la chiesa.
Non ti seguii, se non con lo sguardo.
Non sarei stata in grado di assistere a nient'altro.



I giorni seguenti furono guidati da un silenzio angosciante.
Silenzio fuori e dentro di me, come se non fossi più capace di ascoltare niente e nessuno oltre alla cappa pesantissima che ammantava il fragore nel mio cuore. Silenzio al di là dei vetri muti della Casa delle Rose, silenzio e solo silenzio perché non sarei mai riuscita a dare una voce, o un colore, o una qualunque espressione al terrore che mi covava dentro; alla consapevolezza di quel che era accaduto, ed alla premonizione di quel che sarebbe stato. Un canto sepolcrale che, in silenzio, scavava dentro di me isolandomi dal mondo.
Sino a quando non si vide sormontato dal primo vero suono che riuscì a penetrare oltre quei muri nei quali mi ero chiusa, vegliando il ricordo di quello che avremmo potuto essere. Gli altoparlanti della scuola, a sorpresa, comunicarono la tua convocazione in presidenza.
Allo Yamayurikai stavamo approntando gli ultimi preparativi per la cerimonia di fine trimestre. Quando rimbombò la voce della suora, le schiene irrigidite dalla tensione e gli occhi resi enormi dal timore non furono accompagnati da nessuna parola. L'ultimo rintocco della tragedia aveva lasciato dietro di sé solo il ricordo di un eco distante.

E poi, fu un silenzio nuovo, carico di sgomento.


I miei nervi erano allo stremo, scossi da tutto quel che avevo affrontato. Agognavo una fine immediata a quella storia, una morte secca e rapida; eppure, avrei anche voluto che continuasse per sempre, spaventata dalla prospettiva di quel che sarebbe successo da lì a poco. Ma la vita non è un libro, che si può chiudere a piacimento per sospenderne la storia. E come c'era da aspettarsi, il punto di svolta tanto temuto giunse nell'unico istante in cui era davvero inatteso.
Quell'annuncio gracchiato in ogni aula fu il segnale del principio della fine, e risvegliò improvvisamente in me un torrente di confusione, alimentato da tutto quello che avevo cercato di nascondere - e di nascondermi - in tutto quel lasso di tempo.

Frastornata, gettata qua e là da sentimenti e desideri contrastanti, nell'ultimo periodo non avevo potuto fare altro se non lasciare che gli eventi mi crescessero intorno per poi rovinarmi gradualmente addosso, come il bagnasciuga su cui s'infrange l'onda in arrivo. Tu, la curiosità e le fantasie, la ricerca, poi il violento scontro con la verità. Le grida interiori, il male, il male, il male, la freddezza. Lo segno. L'agire come se non fosse successo nulla. Poi la paura di incontrarti, la speranza di poterti guardare e quell'improvviso epilogo che, nello sguardo assorto di una Sachiko intenta ad osservarmi mentre io, immobile nel silenzio seguente l'annuncio, fissavo con occhi sbarrati la finestra davanti alla quale attraverso i giorni avevo trascorso così tanto tempo a cercarti, mi fece capire che avevo oltrepassato ogni limite. Sentii che forse stavo arrivando a perdere il controllo, e da lì mi si accese dentro l'immediata esigenza di fare qualcosa, di fare una qualunque cosa pur di scongiurare quel rischio mortale.
Abbandonai di fretta e furia la Casa delle Rose, senza spiegazioni.


A pensarci bene, forse quello di allora fu un comportamento puerile, che oggi non ripeterei. Non mi farei più angosciare dai se e dai ma, dalle ombre di quello che avrei o non avrei fatto. Adotterei un metodo e proseguirei dritta per la mia strada, sino al raggiungimento del successo. Ma d'altronde, è dall'esperienza che si impara, no?
E dall'esperienza io avevo imparato che il miglior modo per scongiurare qualunque pericolo era prevenirlo; agire in qualche modo in maniera da smuovere le acque prima che le maree potessero ingrossarsi troppo, e trascinarmi nel loro gorgo infernale.
Mai come in quel momento avevo avvertito il bisogno di aggrapparmi a qualcosa, con le unghie e con i denti.


Non so con quale faccia mi presentai a piè fermo lungo il viale della presidenza, aspettando te. Rigida come una statua e feroce come una belva, il cuore incendiato dal furor sacro dell'istinto, da una rabbia irrazionale tanto sconvolgente da avvicinarsi quasi all'odio, una reazione che puzzava di paura a un miglio di distanza. Ero terrorizzata, arrabbiata, disperata. In fuga dalle mie paure, soltanto affrontando quella più grande - tu - avrei avuto una possibilità di riuscire a sfuggir loro.
Non so con quale coraggio trovai lo spunto di sorriderti. Non so con quali parole ti invitai alla festa di natale privata che avremmo organizzato, poi, allo Yamayurikai. Non so con quale sguardo ti seguii mentre ti allontanavi, dopo aver mormorato che forse saresti venuta. Forse.
E' possibile che i miei occhi fossero abbastanza chiari per lasciar intuire cosa mi spingesse ad avvicinarmi ancora a te, malgrado l'avessi disperatamente tenuto nascosto sino a quel momento. O più probabilmente riuscii a raccogliere l'ultimo brandello di autocontrollo solo per parlarti così. Nella mia apparente sicurezza spesi tutto il credito che mi era rimasto, salvo poi correre via come una ragazzina del primo anno non appena scomparisti oltre l'angolo di un edificio. Fuggii, senza meta fuggii via da te. Avevo bisogno di andare in un qualsiasi altro posto, che fosse il più possibile distante dallo spettro di Satou Sei. Andava bene ovunque, ma non più lì.

I giardini del Lillian, teatro dell'intera tragedia, non potevano più vedermi in quello stato. Anzi, non dovevano; mai più. Avevo già dato abbastanza.
Attraversai i cancelli della scuola e corsi via senza rallentare, senza voltarmi indietro, in un solo, enorme groppo di tensione. In un'apnea soffocante, in un respiro trattenuto che osai rilasciare solo quando ormai mi ero lasciata alle spalle la scuola e mi ero slanciata nel mondo esterno, pronto nuovamente ad accogliermi con la sua poliedrica diversità e a lasciarmi sprofondare nella sua confusione, annullando la mia mente.

Non avevo nemmeno la benché minima idea che in quel preciso istante tu stessi chiedendo a Shiori di scappare via con te, consumando così il vero, ultimo atto di tutta la storia. Forse avrei potuto intuirlo se solo mi fossi fermata a pensare, ma avevo un'esigenza febbrile ed imperiosa di distogliere la mente da te, da te, da te che avevi occupato i miei pensieri fino a farmi scoppiare la testa e ad avvelenarmi l'anima.
Mi abbandonai al ai suoni ed alle luci della strada tornando verso casa, tentando di annegare in un caleidoscopio di traffico e caos.
  
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