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Autore: Elrond    01/11/2012    0 recensioni
1904, guerra russo-giapponese. Il giovane e brillante Kyoshi, per un fatale incidente perde la libertà, e la sua carriera sembra inevitabilmente distrutta. Ma non tutti i mali vengono per nuocere...
"[...] Lei lo guardò divertita per poi ridere. Probabilmente non aveva mai sentito un nome del genere in vita sua, pensò il ragazzo imbarazzato. Poi però Masha ripetè il suo nome, e allora un sorriso spuntò sul suo volto. La ragazza non aveva detto "Kyoshi", si era limitata a dire "Kyo" con un accento strano ma che allo stesso tempo aveva fatto sorridere dolcemente il ragazzo nella sua direzione, incontrando quegli occhi chiari ed incredibilmente diversi dai suoi che sembravano voler incatenare il suo sguardo per non lasciarlo andare mai più. [...]"
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista, Il Novecento
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Buongiorno a tutti :3
Questa è la prima storia che pubblico e... bè, è un compito assegnatomi dalla mia professoressa di italiano: scrivere una storia basandosi su alcune indicazioni. E insomma, mi è venuta fuori questa cosa qua :D
Spero possa piacervi! Sono ben accetti sia complimenti che critiche (anche perché immagino che le seconde saranno più numerose dei primi) :3 Buona lettura, ci vediamo in fondo!


Il cielo era terso, il mare calmo; la nave sulla quale viaggiava, dopo due giorni dalla loro partenza, era ora ferma insieme ad alcune imbarcazioni più grandi. Solo la sera prima si era ritrovato sopra una di quelle navi maggiori, fino a quando, almeno, un Kaigun Chūsa1 non gli aveva dato ordine di prendere il comando della Tatsuta, una piccola nave d'avviso, della quale era ora il Kaigun Daii 2.

Non erano molto distanti dalla costa, circa cinquecento metri: la situazione a terra sembrava tranquilla, di certo non stava accadendo nulla che gli avrebbe dovuti far mobilitare da un momento all'altro.

A poca distanza dalla sua modesta imbarcazione, svettava la grande Hatsuse, nave corrazzata sulla quale sembrava esserci grande movimento: aveva sentito dire che l'ammiraglio Heihachirō Tōgō in quei giorni avrebbe incontrato alcuni dei suoi superiori con i quali avrebbe discusso le mosse future, ma non ci aveva creduto molto: dopotutto, lo aveva sentito dire da dei semplici marinai, e gli era stato insegnato a dubitare di quel tipo di dicerie. Però al momento era tentato dal ricredersi, vista l'agitazione ed il movimento presenti su quella nave; si sporse sul parapetto, assottigliano gli occhi per poter vedere meglio: era imbarazzante da ammettere, ma lui non aveva idea di che aspetto avesse l'ammiraglio Tōgō, per cui anche se lo avesse visto era certo che non l'avrebbe riconosciuto. Dopotutto, come si poteva riconoscere qualcuno che non si era mai visto in faccia?

Quando, però, sul ponte della nava apparse il Kaigun Daisa 3 Matsumoto Yahiko, seguito da un'altro uomo più o meno della stessa età di Matsumoto, allora non ebbe più dubbi sull'identità del secondo. Quell'uomo non più giovanissimo traspariva un onore, una fierezza ed un carisma fuori dal comune, e dentro di se Kyoshi sentì che, seppur non lo conoscesse se non per le sue imprese militari, avrebbe affidato a quella persona la sua stessa vita seduta stante: lui, che era poco più che un ragazzino appena uscito dall'accademia, si sentiva alla pari di un moscerino alla sola vista di quel condottiero.

Era certo che se si fosse trovato al cospetto Heihachirō Tōgō non sarebbe stato in grado nemmeno di sostenere il suo sguardo: sarebbe semplicemente stato impossibile. Stringendo l'acciaio sotto le dita fino a che le nocche non si sbiancarono, cercò dalla distanza di capire, anche se era pressoché impossibile, di cosa stesse parlando con Matsumoto.

Matsumoto, già. Quel maledetto si sarebbe vantato per tutta la vita del fatto che l'ammiraglio gli avesse rivolto la parola. Come se non si vantasse già abbastanza di suo pensò infastidito, ricordando perfettamente le sue chiacchiere da locanda.

"Io sono un nobile" diceva, vantandosi spudoratamente della sua carica di conte, "Sono diventato Kaigun Daisa a soli trentasette anni, io" continuava, elencando poi tutte le battaglie alle quali aveva partecipato.

Kyoshi, però, ricordava anche che una volta un ex samurai, ormai sulla soglia degli ottanta, lo aveva fatto tacere con ben poche parole.

 

In quei giorni Kyoshi aveva appena terminato l'accademia con un ottimo risultato: a nemmeno venticinque anni aveva ottenuto il titolo di Kaigun Daii ; insomma, poteva ritenersi soddisfatto, ed infondo lo era.

Quel freddo pomeriggio di inizio febbraio era appunto appena entrato in una locanda che era solito frequentare con i suoi compagni d'accademia: quel giorno era però entrato da solo, col desiderio di bersi un bicchiere di Sakè per scaldarsi, per poi uscire e terminare di sbrigare i suoi affari.

Aveva sentito subito la voce gracchiante di Matsumoto Yahiko, che seduto accanto al camino parlava come al solito delle sue battaglie, e si diceva soddisfatto dell'ormai prossimo conflitto contro i russi, dando per scontata la vittoria del Giappone.

"Dopo tutto, sono diventato Kaigun Daisa a trentasette anni, io! Non sono di certo alle prime armi" aveva esclamato, e scuotendo la testa Kyoshi si era chiesto se quella fosse la sua frase preferita mentre nel frattempo beveva tutto d'un fiato il forte liquore. Diversamente da quello che succedeva dopo quel genere di affermazione da parte di Matsumoto però, cioè il borbottare infastidito degli altri marinai infastiditi, di qualsiasi grado essi fossero, quella volta un uomo anziano si era alzato tanto silenziosamente che Kyoshi si era accorto dei suoi movimenti solo perché gli era proprio davanti.

Aveva camminato lentamente fino al camino, ed un giovane soldato si era alzato per lasciargli il posto.

-Matsumoto-san, quanti anni hai?- gli aveva chiesto l'anziano accarezzandosi distrattamente la barba mentre prendeva posto.

-Cinquantatre, signore- aveva ribattuto Matsumoto, accigliandosi a quella domanda inaspettata ed apparentemente senza senso.

-Se la mia povera testa è ancora in grado di fare quattro conti, quindi, sono sedici anni che tu non vieni promosso dalla tua carica di Kaigun Daisa , nonostante tutte le tue battaglie- affermò mentre i suoi vecchi occhi si spostavano sul viso di Matsumoto, che si stava scaldando a quelle parole.

-È vero, signore- sibilò l'uomo, guardando il vecchio con odio. Quello sorrise, come se fosse soddisfatto della sua ostilità, e passandosi una mano rugosa sul mento barbuto parlò ancora. -Masamune Kyoshi... ma dove diavolo è finito...- borbottò l'anziano mentre si girava alla ricerca del ragazzo. Kyoshi aveva strabuzzato gli occhi, domandandosi come quel vecchio conoscesse il suo nome. Comunque nonostante la sorpresa si era alzato in piedi, facendosi vicino all'uomo. -Si, signore?-

-Oh, eccoti qui. Matsumoto-san, conosci questo giovane?- gli aveva chiesto, e l'uomo aveva annuito con rabbia.

-Molto bene... quanti anni hai figliolo?- gli aveva domandato voltandosi verso il giovane, che aveva risposto prontamente -Ventitre-, mentre si chiedeva il perché di quella domanda.

-Oh, vedo che ricordavo bene... e qualche giorno fa ti sei diplomato all'accademia, sei un Kaigun Daii ora, se la memoria non m'inganna- aveva affermato mentre riportava lo sguardo su Matsumoto che ormai fumava di rabbia. -Ricordo molto bene anche che tu, Matsumoto-san, alla sua età eri appena entrato in accademia, e al momento superi questo giovanotto di soli tre gradi- aveva affermato di nuovo, con un sorriso provocatorio sul volto rugoso.

-E con questo, cosa vuoi dire, vecchio?!- aveva ruggito l'uomo, inalberandosi a quell'umiliante paragone.

-Solo che dovresti stare attento ai tuoi sottoposti, perché sembrano essere più in gamba di te- aveva concluso, tirandosi non senza fatica in piedi. Era tornato allo sgabello dove era seduto solo pochi attimi prima, e dopo aver indossato una giacca pesante si era diretto verso l'uscita, lasciando l'intera locanda allibita fatta eccezzione per Kyoshi, che sorrideva gioioso mentre uno sguardo di fuoco puntava sulla sua schiena.

 

Inutile dire che dopo quel fatto era stato praticamente perseguitato da Matsumoto, ma nel ripensarci un sorrisetto non poteva proprio trattenerlo: dopotutto era stato ben disposto a qualche dispetto da parte di quell'uomo troppo borioso per i suoi gusti, dopotutto aveva assistito ad una scena che molti altri avrebbero voluto vedere con i propri occhi, ma che si erano rassegnati all'idea di farsela semplicemente raccontare.

Sul ponte della Hatsuse ora la situazione sembrava più tranquilla, l'ammiraglio Tōgō era rientrato nell'imbarcazione, lasciando Matsumoto sul ponte. Kyoshi intercettò uno sguardo di superiorità arrivare dall'uomo, ma con una scrollatina di spalle si spostò dal parapetto, interrompendo quel contatto visivo: dopotutto ormai non aveva più nulla di interessante da osservare, ed era il caso di riposare un pò prima dell'arrivo di nuovi ordini.

Si ritirò nella cabina che gli era stata assegnata appena il giorno prima, con l'intento di leggere gli ultimi rapporti sui movimenti del nemico, in modo da essere pronto a muoversi in ogni momento.

Quel suo studio dei documenti venne interrotto solo diverse ore più tardi, quando un Kaigun Chūi 4, chiedendone il permesso, era entrato portando con se una busta che Kyoshi non esitò ad aprire: all'interno di essa vi era un telegramma, che diceva che il giorno dopo, 14 maggio 1904, la sua nave Tastuta, l'incrociatore Kasagi e le corrazzate Hatsuse, Shikishima e Yashima si sarebbero dirette verso Encounter Rock per poter dare il cambio alla flotta che al momento manteneva il blocco sullo squadrone russo.

Kyoshi sentì per un attimo lo stomaco aggrovigliarsi e le mani presero a sudare mentre l'agitazione aumentava: non doveva essere nulla di troppo complicato, ma era pur sempre la sua prima missione ed era terrorizzato dall'idea di compiere qualche passo falso. Cercò comunque di non darlo a vedere al suo sottoposto, che congedò con l'ordine di avvisare l'equipaggio dell'iminente partenza.

Passandosi una mano tra i capelli neri sospirò, ripetendosi che tutto sarebbe andato bene: in fin dei conti avrebbe solo dovuto seguire gli ordini dei capitani delle corrazzate, e passar loro gli eventuali messaggi delle altre navi. Nulla di più semplice, era sicuro che sarebbe riuscito a farcela, a patto che non si fosse fatto prendere dal panico. Si voltò verso un piccolo tavolino, dove si trovava una ancora intoccata bottiglia di Sakè: preso un piccolo bicchiere vi versò il liquido all'interno. Doveva trovare un modo per darsi una calmata, e se anche non era molto orgoglioso di ciò, l'alcol aveva il potere di rilassarlo. Si portò il bicchierino alle labbra, e mentre stava per mandar giu il liquido caldo sentì la porta aprirsi e Matsumoto Yahiko entrò nella cabina, guardandolo con disprezzo non appena vide il bicchiere tra le mani del giovane.

-Non è molto onorevole ubriacarsi prima di partire per una missione- disse l'uomo guardandosi intorno mentre Kyoshi imprecava tra se e se chiedendosi cosa ci facesse quell'uomo a bordo della sua nave.

-Come potete vedere, Matsumoto-san, questo è solo un bicchiere. E se me lo concedete, ritengo di essere ancora perfettamente in grado di reggere un bicchiere di Saké- sputò acido mentre però appoggiava il bicchiere sulla sua scrivania. -Avete bisogno di qualcosa?- domandò infastidito dal fatto che il più vecchio stesse esaminando la sua cabina. Mastumoto si voltò verso di lui, guardandolo per un attimo dritto negli occhi, per poi dirigersi verso la radio posta dalla parte opposta della stanza: quando la raggiunse, passò le mani guantate sull'oggetto osservandolo con interesse.

-Vi prego di non toccarla, Matsumoto-san, non vorrei che si danneggiasse proprio ora- scattò Kyoshi avvicinandosi all'uomo intimandogli con uno sguardo di levare le mani da li. Lui sembrò offeso da quelle parole, ma si riprese subito, rivolgendogli un sorriso sarcastico.

-Sarebbe un bel problema, vero?- disse, per poi uscire dalla cabina senza aggiungere nient'altro, lasciando che il giovane, confuso dal suo comportamento senza senso, tornasse a sbrigare i suoi lavori.

 

Due giorni e diverse scartoffie lette di tutta fretta dopo, il giovane Kaigun Daii si ritrovava sul ponte della sua nave: erano appena le sei del mattino del 15 maggio 1904, la missione che temeva tanto sembrava andare per il meglio, senza nessun intoppo a partire dal mattino prima quando erano partiti. Nonostante ciò, una punta di agitazione albergava ancora dentro di lui e sembrava non volerlo abbandonare, tanto che quel mattino si era svegliato prima del sorgere del sole, e dopo essersi vestito era uscito. Il cielo era limpido, e si presagiva un'altra bella giornata: sarebbero giunti a destinazione entro quattro ore, e poi forse quell'angoscia che sentiva dentro di se se ne sarebbe andata insieme alla flotta a cui avrebbero dato il cambio. Si, sarebbe certamente andata così: avevano la situazione in pugno, non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Le grandi navi che precedevano la sua modesta imbarcazione erano armate di tutto punto, e lo stesso valeva per il suo equipaggio: in qualsiasi caso sarebbero riusciti a difendersi senza alcun problema, eppure... eppure si sentiva lo stesso spaventato dall'idea che qualcosa sarebbe potuto andare storto.

Fortunatamente il mattino precedente Mastumoto Yahiko aveva abbandonato la Hatsuse: a quella notizia Kyoshi si era sentito in parte sollevato, per lo meno non avrebbe avuto nessuno che lo seguiva col fiato sul collo in attesa del anche più piccolo errore per umiliarlo. Era sicuro che, se l'uomo si fosse trovato li, lo avrebbe perseguitato.

Scosse la testa, dicendosi che tutti quei pensieri erano inutili in quel frangente, e che avrebbe fatto meglio a ritirarsi nella sua cabina per tenere sotto controllo la situazione.

 

L'interruzione dai suoi studi avvenne che erano passate le dieci e mezza del mattino, dallo stesso sottoposto che due sere prima gli aveva portato l'ordine di muoversi.

-Signore, è appena arrivato un telegramma- disse l'uomo, che doveva avere giusto qualche anno più di lui, agitato e con le mani tremanti. Kyoshi sentì un brivido percorrergli la schiena, e alzandosi di tutta fretta strappò il foglio dalle mani dell'altro: Campo minato, c'era scritto sulla carta, insieme alle coordinate della posizione del suddetto. Kyoshi sentì le mani iniziare a tremare, e il cercare d'imporsi di stare calmo sembrò inutile in quel frangente.

-Quanto tempo fa è arrivato? Che ore sono?- domandò sbiancando quando leggendo le coordinate apprese che si stavano dirigendo dritti verso quella trappola mortale.

-E' arrivato poco più di due minuti fa, sono le dieci e quarantasette minuti, signore- prononciò l'altro sbiancando a sua volta, mentre si sentiva mancare alla faccia che il suo capitano aveva fatto. Kyoshi imprecò, correndo verso la radio per comunicare il messaggio: forse avevano ancora una possibilità di salvarsi. Indossò le cuffie ed afferrò il microfono, armeggiando con i vari pulsanti cercando di avviare l'apparecchio.

-Accenditi dannazzione!- urlò inutilmente: la radio non si voleva accendere, e il tempo scorreva inesorabilmente. Diede un pugno al macchinario, sperando che quello sarebbe riuscito a rianimarlo, ma nulla: la linea sembrava morta. Nel più completo panico si chiese che cosa potesse essere accaduto, e come una doccia fredda la consapevolezza di ciò che era successo due sere prima lo travolse.

-Vi prego di non toccarla, Matsumoto-san, non vorrei che si danneggiasse proprio ora-

-Sarebbe un bel problema, vero?-

Non poteva aver davvero fatto una cosa simile, persino lui non voleva crederci, ed era così sconvolto che quasi non sentì l'esplosione della mina che aveva appena danneggiato irrimediabilmente la grande Hatsuse. Fortunatamente la sua nave era abbastanza lontana dalla corrazzata colpita, e la Tastuta sulla quale viaggiava si era completamente fermata, ma evidentemente la Yashima non ne ebbe il tempo, perché urtando una seconda mina la grande nave esalò il suo ultimo respiro, scomparendo in mare in pochissimi ed angoscianti minuti.

 

Un'ora e trenta minuti. Quella nava che agli occhi di tutti sembrava inaffondabile ci aveva messo un'ora e mezza per scomparire nell'acqua scura, trascinando con se le vite di centinaia di uomini, tutti quelli che la Tastuta e la Kasagi non erano riusciti a trarre in salvo. Guardando il mare mentre le due navi tornavano indietro, Kyoshi desiderò tanto seguire i compagni caduti in quell'abisso: tuffarsi, rimanere sott'acqua fino a quando i suoi polmoni non sarebbero bruciati alla ricerca disperata di ossigeno. Fino a quando non si sarebbero riempiti con quell'acqua assassina che aveva ucciso tutti quegli uomini, quell'acqua che nascondeva trappole mortali, lei stessa che era una trappola mortale.

Sentiva gli occhi bruciare, e non si stava nemmeno preoccupando del fatto di farsi vedere terribilmente debole da tutti quegli uomini che affollavano ora la sua nave. Non gli importava affatto, aveva sul cuore le vite cinquecento persone: uomini colti da una morte terribile quanto ingiusta, che in un secondo gli aveva spazzati via. Uomini dei quali sarebbero rimasti solo i nomi su fogli di carta e lapidi gelide: solo quello sarebbe rimasto, perché i loro corpi non avrebbero trovato dimora eterna che nella profondità degli abissi. Strinse i pugni e chiuse gli occhi, sentendo delle lacrime rigargli le guance: si chiedeva quanti genitori senza più un figlio, quante mogli si sarebbero ritrovate senza un marito, quanti figli senza padre ci sarebbero stati da quel giorno in poi, tutto per un suo errore. Si passò una mano sugli occhi, premendoci il palmo contro cercando di riacquistare un minimo di dignità mentre il suo destino, probabilmente una più che giusta condanna a morte, si avvicinava.

 

Quella terribile giornata stava volegendo al termine: i superstiti dell'espolosione delle due navi erano stati trasferiti sulla più grande Shikishima, e ora sulla sua nava si respirava un'aria sileziosa e terribilmente pesante: i suoi sottoposti non sembravano lanciargli sguardi d'odio, piuttosto di pietà verso quel giovane che si era bruciato la carriera per un errore che era costato una terribile tragedia. Aveva deciso di ritirarsi nella sua cabina dopo aver osservato la Shikashima e la Kasagi muoversi e distaccare la sua nave in quanto potevano sostenere velocità più elevate.

L'indomani avrebbe raggiunto il resto della flotta, e sarebbe toccato all'ammiraglio Tōgō decidere delle sue sorti: quell'uomo che solo qualche giorno prima aveva guardato con ammirazione, pensando che gli avrebbe affidato la propria vita in qualsiasi momento. Era ironico come quella considerazione fosse diventata realtà, il suo destino era veramente nelle mani di quell'uomo.

Era questo quello che pensava sconsolato, mentre si sdraiava sulla cuccetta cercando di liberare la mente, cosa però impossibile. Quella notte non sarebbe riuscito a dormire, quindi avrebbe passato la sua ultima notta sulla terra a rimuginare su quel fatale errore. Si, sarebbe di certo andata così, se la campana di allarme non avesse suonato facendolo rizzare in piedi: uscì di corsa sul ponte, mentre vedeva le luci di navi sconosciute avvicinarsi come animali affamati e inferociti.

-I russi ci hanno circondati- fu l'unica cosa che sentì dire da un terrorizzato marinaio.

 

Quei maledetti gli avevano fracassato un braccio: nonostante ne lui ne il suo equipaggio avessero opposto la minima resistenza, non appena avevano capito che lui era il capitano lo avevano gettato a terra, e con un calcio un dolore lancinante si era diffuso sul suo avambraccio, probabilmente rotto in più punti; probabilmente anche una sua costola non se la cavava tanto bene, visto che respirare gli procurava dolori terribili.

Erano stati catturati ed ora, alle prime luci dell'alba, raggiungevano la terra come prigionieri, e come se non bastasse l'umiliazione di essere trattati alla stregua di animali non riusciva nemmeno a camminare senza essere sorretto da un sottoposto.

Varcarono i cancelli del campo di prigionia che la sua vista era annebbiata dal dolore: probabilmente non sarebbe arrivato al giorno successivo... ma poco importava ormai, evidentemente il suo destino era definitivamente segnato: morire da uomo libero con una condanna a morte, oppure morire da prigioniero in un campo di prigionia non faceva poi molta differenza a pensarci. Con quelle parole confuse che gli ronzavano in testa perse i sensi cadendo a terra a peso morto.

 

Quando si risvegliò si chiese perché anche da morto doveva sentire dolore: era forse una punizione divina quella? Probabilmente sì, poiché avrebbe preferito amputarsi il braccio piuttosto che provare tutta quella sofferenza...

I suoi pensieri furono interrotti dalla vista di una donna che bagnava una pezza con dell'acqua, e proprio mentre iniziava a pensare che la morte non fosse poi così spiacevole, la donna si voltò verso di lui: un viso dalla pelle diafana circondato da chiarissimi capelli biondi e degli occhi color del cielo lo stavano fissando leggermente preoccupati: Kyoshi leggeva la confusione negli occhi di quella bellissima ragazza che sembrava però aver timore di parlare o di avvicinarsi a lui, almeno fino a che la sua testa non ricadde sulla branda dove era sdraiato, mentre una nuova fitta al braccio lo faceva gemere dal dolore.

La ragazza si avvicinò a lui, passandogli la pezza fresca sul viso mentre mormorava qualcosa che Kyoshi non avrebbe mai potuto capire.

Sospirò alle carezze bagnate della giovane donna, probabilmente un'infermiera visto l'abbigliamento, sentendosi lievemente meglio. Osservando il suo braccio notò che era stato fasciato, e che un pezzo di stoffa lo avvolgeva andando ad annodarsi dietro il suo collo in modo che il braccio fratturato fosse sorretto. Nonostante il dolore fosse un pò scemato, si sentiva confuso: probabilmente aveva la febbre, e i suoi occhi faticavano a rimanere aperti. La ragazza gli sorrise dolcemente, accarezzandogli la fronte sudata proprio mentre perdeva di nuovo i sensi.

Dal canto suo la giovane guardava il militare curiosa: aveva sempre associato quegli occhi a mandorla incredibilmente scuri al nemico, ma quel ragazzo non le aveva fatto paura: forse perché era arrivato moribondo nella tenda, e perché in nessun modo, anche volendo, avrebbe potuto farle del male. Fatto sta che prima del suo risveglio lo aveva scrutato attentemente, sentendosi attratta da quei particolari lineamenti e tratti così diversi dai suoi. Alla fine la curiosità aveva avuto la meglio, così aveva deciso di avvicinarsi di più, ed era rimasta per qualche minuto a contemplare quel volto dormiente per poi tornare al suo lavoro.

Con un sospiro si spostò dalla branda: al momento aveva altri feriti di cui occuparsi.

 

Quando si svegliò di nuovo il dolore non c'era quasi più: riuscì a mettersi seduto, e guardandosi intorno capì di trovarsi in una tenda medica. Poi si ricordò di tutto quello che era successo, ed abbassò la testa afflitto: forse la sua ora non era ancora giunta, o forse l'angelo dagli occhi color del cielo che aveva sognato aveva deciso di salvargli la vita.

Si sorprese quando vide la donna, la protagonista di quello che era convinto fosse un sogno entrare: si avvicinò cautamente a lui, ma le bastò una sola occhiata per vedere che stava meglio. Lui le sorrise insicuro, non sapendo cosa dire: gli era piuttosto chiaro che fosse stata lei ad occuparsi delle sue ferite, ma non aveva idea di come ringraziarla. -Arigatō- disse infine, anche se lei non lo avrebbe capito.

Inaspettatamente la ragazza sorrise, posandosi una mano sul petto: -Masha- disse continuando a sorridere.

-Masha- ripetè Kyoshi insicuro, chiedendosi cosa stesse dicendo. La ragazza rise, probabilmente per la sua pronuncia buffa.

-Masha- disse ancora indicandosi. Poi indicò il ragazzo, e con un'illuminazione Kyoshi capì che gli aveva appena detto il suo nome, e che ora voleva sapere il suo. -Kyoshi- disse allora, indicandosi a sua volta con la mano del braccio sano.

Lei lo guardò divertita per poi ridere. Probabilmente non aveva mai sentito un nome del genere in vita sua, pensò il ragazzo imbarazzato. Poi però Masha ripetè il suo nome, e allora un sorriso spuntò sul suo volto. La ragazza non aveva detto "Kyoshi", si era limitata a dire "Kyo" con un accento strano ma che allo stesso tempo aveva fatto sorridere dolcemente il ragazzo nella sua direzione, incontrando quegli occhi chiari ed incredibilmente diversi dai suoi che sembravano voler incatenare il suo sguardo per non lasciarlo andare mai più.

 

Poche ore dopo il suo risveglio, un altro militare giapponese era entrato nella sua tenda, e allora aveva preso a parlare con il suo connazionale, sotto lo sguardo stupito e a tratti sconvolto di Masha, che cercava inutilmente di capire qualcosa in tutto quel parlare.

Alla fine Kyoshi aveva compreso ciò che era successo: dopo essere stato ferito era svenuto, e dopo due giorni di sonno febbricitante si era ripreso, principalmente grazie alle costanti cure della ragazza accanto a lui. Quando sentì quella parte della storia si voltò per sorridere alla giovane infermiera, che non capendo il perché di quel gesto arrossì nascondendo il bel viso dietro una cortina di capelli. Il ragazzo aveva lanciato uno sguardo divertito all'altro uomo che aveva ricambiato; poi però Kyoshi era stato costretto dal suo connazionale ad alzarsi ed uscire di lì, dopotutto non rischiava più la vita, e non si sapeva quando altri posti sarebbero potuti servire ad altre persone. Lanciò un ultimo sguardo a Masha mentre usciva, e notò che anche la ragazza lo stava gurdando, e alzando una mano lo salutò, per poi scomparire dalla sua vista.

 

Si trovava in quel campo ormai da un mese: alla fine non era così male la vita la dentro. Era vero, il cibo era poco e i militari che li controllavano non erano molto amichevoli, ma alla fine si trovavano in territorio nemico, non potevano di certo aspettarsi un soggiorno troppo piacevole... E poi il lato positivo era che quel campo era tanto piccolo che non c'era ne il bisogno ne tanto meno lo spazio per sottoporre i prigionieri ai lavori forzati; con la scusa che il suo braccio non stava ancora del tutto bene, inoltre, faceva visita ogni giorno all'infermiera russa, che sembrava sempre molto felice di vederlo. Ogni volta che entrava nella tenda dove sapeva l'avrebbe trovato lei gli rivolgeva il suo solito dolce sorriso, lo faceva sedere per controllare come stesse il suo braccio (nonostante esso agli occhi di tutti, fatta eccezione per l'infermiera ed il militare, sembrava fosse perfettamente guarito) e parlava. Diceva tantissime cose in quella lingua sconosciuta ma che Kyoshi si era riscoperto amare, riuscendo a trovarla dolce e melodica: si chiedeva addirittura se Masha e tutti quegli altri militari del campo parlassero la stessa lingua, tanto erano diverse le parole ed il tono con cui si esprimevano.

Una notte, erano ormai passati diversi mesi dalla sua cattura e i loro connazzionali sembravano essersi completamente dimenticati della cattura e prigionia dell'equipaggio dello sventurato Kaigun Daii della Tatsuta, si era svegliato di soprassalto sentendo strani rumori provenire dal campo: silenziosamente si era alzato ed era uscito dalla sua tenda cercando di non svegliare i compagni assopiti. Le luci erano fioche, provenivano dalle torri di vedetta ma puntavano verso l'esterno del campo, perciò dovette attendere qualche attimo perché i suoi occhi si abituassero all'oscurità prima di poter muoversi al buio senza rischiare di finire addosso a qualche ufficiale ubriaco. Gli era già capitato di svegliarsi la mattina e ritrovare, addormentato a terra, qualche soldato che la sera prima aveva alzato un pò troppo il gomito.

Sentiva delle risate provenire dalla tenda dei russi: nonostante non capisse le loro urla divertite, era piuttosto evidente che fossero ubriachi fradici: non sapeva spiegarsi, altrimenti, il perché di quelle urla e risate sguaiate. Concentrandosi nell'ascoltare le parole dei militari nemici, riuscì a cogliere una voce che ripeteva, in quella che sembrava una risata, "Masha, Masha".

Un brivido gli percorse la schiena e si chiese preoccupato perché mai qualcuno avrebbe dovuto nominare quel nome nel cuore della notte. Preoccupato si avvicinò alla tenda, deciso nel voler indagare e magari spiare l'interno della tenda; era distante ormai meno di un metro quando però una nuova voce, più acuta e sopratutto singhiozzante catturò la sua attenzione. Si voltò alla sua sinistra, nella direzione da cui proveniva quel rumore, e rannicchiata a terra vide la ragazza dagli occhi color del cielo, ora annacquati e impauriti. Sentendo una stretta al cuore le si avvicinò posandole una mano sulla spalla: la giovane sussultò spaventata, ma quando si rese conto che colui che l'aveva toccata altri non era che Kyoshi si rilassò, e con un piccolo scatto legò le braccia attorno al collo del giovane affondando il viso rigato di lacrime nella sua spalla.

Dal canto suo il ragazzo non sapeva cosa fare se non passare le mani sulla schiena magra dell'infermiera, ripetendo il suo nome sperando di calmarla: dopo qualche attimo pensò che fosse più prudente spostarsi da li, ed alzando senza fatica tra le sue braccia il corpo di lei si diresse vero il retro di una tenda riservata ai prigionieri. Solo lì, una volta assicuratosi che non ci fosse nessuno riappoggiò Masha a terra, felice di vedere che lei riusciva a stare in piedi da sola: sembrava non le fosse successo nulla di brutto a dire la verita, non sembrava ferita... Ma quando lo sguardo del militare notò lo strappo alla camicetta che la ragazza indossava capì perché l'aveva trovata a terra disperata, e sperò vivamente che fosse riuscita a scappare dalle mani di quei maledetti prima che le facessero del male. Masha, che nel frattempo aveva capito che Kyoshi era ormai al corrente di ciò che le era successo arrossì fino alla punta dei capelli: per fortuna era riuscita a scappare fuori dalla tenda, ed alla fine il danno peggiore era stato lo strappo di quella camicia, ma si era spaventata a morte ed ora era imbarazzante farsi vedere in quelle condizioni dal ragazzo.

Kyoshi la vide circondarsi il busto con le braccia, e proprio non riuscì a trattenere il desiderio di abbracciarla: in quei minuti le sussurrò di non preoccuparsi, che non avrebbe lasciato a nessuno farle del male, che la trovava bellissima. E anche se Masha non poteva capire quelle sue parole, Kyoshi sapeva che il cuore della ragazza aveva compreso ciò che il suo gli aveva comandato di dire.

Alla fine di quella notte non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato dal momento in cui l'aveva stretta a se: secondi, minuti, forse addirittura ore. Non si sentivano più le risate di quei militari ubriachi che probabilmente erano tutti collassati a terra, e la calma dei minuti che precedevano l'alba gli avvolse ricoprendo la loro pelle di brividi dovuti all'aria fresca dela mattino. Masha si mosse tra le sue braccia, e uno dei primi raggi del sole le baciò il viso, proprio mentre le labbra di lei si posavano su quelle del ragazzo in un tacito ringraziamento, prima che l'infermiera se ne andasse verso la propria tenda lasciando il militare stupito ma con un sorriso stampato sul volto.

 

La neve cadeva in grandi fiocchi dal cielo: i prigionieri, Kyoshi compreso, cercavano inutilmente di riscaldarsi in quelle misere giacche di cui erano stati dotati all'inizio dell'inverno. Guardando all'orizzonte, Kyoshi si chiedeva come stesse progredendo la guerra: nel campo sembrava che il tempo si fosse fermato. Certo, arrivavano notizie sui vari combattimenti, ma nessuno di loro riusciva a capire nulla di quella strana lingua con cui i nemici comunicavano. A ben pensarci, era ormai passato un anno dall'inizio di quel conflitto che lui aveva però vissuto solo per pochissimi mesi. Erano passati mesi anche da quella mattina in cui aveva stretto Masha tra le sue braccia: da quella notte in poi aveva sempre vegliato sulla tenda dove dormiva la ragazza: fortunatamente non era mai più dovuto intervenire in suo aiuto, anche perché non avrebbe davvero potuto fare molto contro dei militari armati.

Dietro di se, un suo compagno era piegato in due da una tremenda tosse: sembrava che la tubercolosi si fosse diffusa nel campo dove si trovavano; dall'inizio dell'inverno tre marinai erano morti, e poco meno di una decina si erano ammalati. Al momento fortunatamente lui sembrava stare bene, ma era probabile che prima o poi avrebbe contratto a sua volta la malattia, anche perché gli ammalati non erano stati isolati, ma anzi si trovavano a condividere gli stessi ambienti con gli altri internati. Per quanto riguardava i russi, essi erano dotati di mascherine per evitare il contagio, ma non si avvicinavano quasi mai ai giapponesi, per prevenire qualsiasi passaggio di microbi.

Il marinaio dietro di se, che doveva avere più o meno la sua età, sembrava voler tossir fuori persino l'anima, e voltandosi Kyoshi lo vide coprirsi la bocca con la mano completamente sporca del suo stesso sangue, mentre il corpo era scosso dai brividi dovuti al freddo ed alla febbre; non riuscendo a sopportare l'idea di lasciare un compagno in quelle condizioni si alzò, e piegandosi sul suo corpo lo alzò in piedi per poi dirigersi verso la tenda medica, sperando che Masha avrebbe potuto fare qualcosa.

Quando riuscì, non senza fatica, ad attraversare il campo innevato insieme all'ammalato e ad raggiungere la tenda notò immediatamente Masha correre da una branda all'altra nel tentativo di aver sotto controllo la situazione che si presentava piuttosto tragica: oltre all'uomo che lui stesso stava sorreggendo sdraiati sulle brande si trovavano altri quattro uomini che non sembravano di certo cavarsela meglio di quello accanto a se.

Masha gli lanciò uno sguardo preoccupato, indicandogli una branda libera dove far coricare il suo compagno mentre lei cercava di alleviare il dolore a tutti gli altri uomini. La ragazza in quell'ultimo periodo era dimagrita molto, e dal colore pallido della pelle del suo viso, coperto solo dalla mascherina, si poteva vedere benissimo che quel lavoro fosse troppo per una sola persona. Gli sarebbe piaciuto aiutarla, alleviare anche se in minima parte le sue fatiche, ma purtroppo avrebbe rischiato di combinare solo guai invece di aiutarla veramente.

Quando i loro sguardi s'incontrarono le regalò un dolce sorriso, che sembrò sollevarle in parte il morale: per lo meno aveva visto i suoi occhi socchiudersi, e ormai la conosceva abbastanza bene da capire che la ragazza stava sorridendo a sua volta.

 

Era rimasto dentro la tenda finoa tardo pomeriggio: alla fine come aveva immaginato non era riuscito ad aiutare in alcun modo la ragazza, però sembrava che a Masha la sua presenza non avesse dato alcun fastidio, e se n'era andato solo quando aveva sentito rumori all'esterno, e immaginando che si trattasse dei soldati russi era sgattaiolato di nuovo nella sua tenda.

Ormai era notte fonda: non era più tornato da Masha perché i soldati avevano preso a gironzolare per il campo: ora però, che era notte e faceva troppo freddo per pattugliare il campo, la strada era libera, e poteva muoversi senza troppa paura. Accertandosi che non ci fossero militari attorno, si mosse e camminando esattamente sulle impronte che i soldati russi avevano lasciato sulla neve fresca raggiunse la tenda.

Masha era in piedi, esausta, ma almeno sembrava che la situazione fosse più tranquilla rispetto a quel pomeriggio. Vide i suoi occhi socchiudersi, stava chiaramente sorridendo. Sollevato dal vederla stare nonostante tutto bene le si avvicinò, stringendola tra le braccia. Lei appoggiò il viso sul suo petto chiudendo gli occhi per qualche attimo, prima di riaprirli e guardare dentro i suoi, con una luce che Kyoshi non aveva mai notato prima. Tutto d'un tratto però i suoi occhi si inumidirono, fino a che delle lacrime non andarono a scenderle sulle gote fino a scomparire dietro la mascherina.

Kyoshi la guardò confuso, chiedendosi il perché di quel pianto, ma quando fece per parlare, dirle qualche dolce parola che l'avrebbe forse calmata lei scosse la testa abbassando lo sguardo a terra. Kyoshi attese qualche gesto che potesse spiegare quello strano comportamento, ma quando Masha rialzò la testa stava ancora piangendo, e Kyoshi sentì un dolore acuto attraversargli il petto.

La ragazza gli afferrò la mano, accarezzandola brevemente prima di stringerla forte. A passo svelto attraversarono la tenda, fino a raggiungere l'uscita che dava sulla rete che circondava il campo. Kyoshi era confuso, ma non fece resistenza e si lasciò trascinare, fino a quando Masha non si fermò indicando un buco nella rete: il ragazzò spalancò gli occhi, capendo tutto d'un tratto il perché di quel pianto. Che fosse stata lei a tagliare in quel modo la rete? Non sapeva darsi risposta, ma accanto a se Masha non aveva smesso un secondo di piangere, e per nulla sorpreso sentì delle lacrime riaffiorare anche nei suoi occhi: gli stava donando la libertà, il prezzo però era quello di non essere più vicino l'uno all'altra. Gli sembrava impossibile poter rimanere un solo giorno senza vederla, senza accarezzarle i capelli, senza guardarla negli occhi ed affondare in quell'azzuro del quale si era innamorato. Ma rimanere lì sarebbe voluto dire morire, perché aveva sfidato la sorte fin troppo, e prima o poi avrebbe contratto anche lui quella mortale malattia.

Trattenne a stento un singhiozzo, abbassandole la mscherina: prese il suo viso tra le mani, e la baciò, mentre le loro lacrime si univano in quel triste addio. Ma una volta finita la guerra l'avrebbe cercata, se lo stava ripetendo in quel momento: non era disposto a vivere senza di lei accanto, non sarebbe stata vita quella. Le accarezzò ripetutamente i capelli e il viso, lasciandole ancora qualche bacio: mentre sentiva il cuore spezzarsi si mise a gattoni, per poter attraversare la rete. Lo fece il più silenziosamente e velocemente possibile, assicurandosi che nessuno apparte Masha lo stesse guardando. Quando finalmente fu fuori si sorprese del desiderio di tornare dentro, di stringere Masha a se e non lasciarla mai più: ma ormai sembrava essere troppo tardi. Con un ultimo disperato sguardo fece per avvisarsi, ma "Kyo" disse Masha, e lui si voltò nuovamente, vedendo che, tra i buchi della rete, lei le passava un foglio ripiegato. Lui lo osservò per qualche attimo, non capendo assolutamente nulla delle scritte, ma riconoscendo in quello un piano militare. Guardandola sorpreso si domandò se davvero lei era disposta a tradire il suo popolo in quel modo: lo sguardo di Masha però sembrava sicuro, e quindi dopo averle sorriso un'ultima volta prese a correre il più lontano possibile da quel luogo che era stato la sua casa.


Mentre correva si chiedeva che cosa ne sarebbe stato di lui: nella sua mente vedeva solo l'immagine di Masha, e di certo non poteva sapere che la mattina dopo si sarebbe ritrovato su una nava giapponese; qualcuno lo avrebbe perquisito e, trovando il foglio scritto in cirillico, lo avrebbe subito portato ad un interprete che, sorpreso dal contenuto di quel foglio lo avrebbe fatto avere all'ammiraglio Tōgō, che avrebbe convocato il ragazzo chiedendo sorpreso spiegazioni di quella soffiata che, ne era certo, gli avrebbe fatto vincere la guerra.

 

1 Tenente Colonnello Navale

2Capitano Navale

3Colonnello Navale

4Tenente Navale


Note: Inanzitutto grazie per essere arrivati fin qua in fondo, sono contenta che abbiate voluto leggere il mio racconto. Se vi è piaciuto fatemelo sapere, ma fatemi sapere anche se qualcosa vi sembrava scritto male, così da migliorarmi :D Un saluto a tutti, Elrond.

  
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