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Autore: Nimel17    01/11/2012    1 recensioni
Come ha fatto Rumpelstiltskin a dare a Regina la maledizione? E qual è il suo ruolo nella storia della principessa Aurora?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rumpelstiltskin stava iniziando a trovare quella festa molto noiosa. C’erano pochi dolci, poche persone piacevoli e un gran numero di sciocchi. Senza contare le fate. Per rispetto verso i padroni di casa, si stava trattenendo dal strappare loro le ali. Una di loro, una creatura vestita di verde e timida come un cerbiatto dei boschi, aveva tentato di fare conversazione con lui, e dalla sua persona emanava talmente tanta bontà da farlo rabbrividire. Vera bontà disinteressata, non come Reul Ghorm, che aiutava chi le stava a cuore e basta.
Re Stephen lo aveva invitato alla festa in onore della figlioletta appena nata e lui aveva accettato, ritenendo scortese rifiutare. Inoltre, la regina Selene era una bella e cara ragazza, dotata di senso dell’umorismo e dai modi estremamente affascinanti. Vedendo che i reali gli si avvicinavano, buttò in fretta il suo vino in una pianta accanto a lui: aveva gran stima del re, ma quell’uomo non aveva idea di cosa dovesse essere servito agli ospiti.
“Maestà.”
S’inchinò, gli occhi luccicanti come se gli fosse venuto in mente un bello scherzo. La regina gli sorrise e gli tese le mani.
“Sono contenta che siate qui, Rumpelstiltskin.”
Re Stephen era meno espansivo. Non riusciva a dimenticare di avere davanti il Signore Oscuro, pur provando grande ammirazione per la sua astuzia, così si limitò ad un benvenuto d’etichetta e proseguì a salutare altri ospiti. La regina sospirò.
“Scusatelo, Rumpelstiltskin. Non riesce a fidarsi di voi.”
“Vostro marito è molto saggio, dearie.”
Camminò per un po’ con la donna lungo la sala, badando che la sua andatura fosse più stramba del solito, le sue risatine sempre meno umane, gesticolando abbondantemente. La sovrana ad un certo punto si mise a ridere.
“Vi divertite molto a fare il buffone di corte, non è vero Rumpelstiltskin? Dovevate fare l’attore, non il Signore Oscuro.”
Lui chinò la testa, posandosi una mano sul petto.
“Sono onorato della vostra alta opinione su di me, Maestà.”
“Potete ingannare gli altri, ma siete una brava persona, in fondo.”
“Ditemi, quando potrò vedere la deliziosa principessina?”
La regine si guardò intorno, poi gli fece un cenno.
“Venite. La vedrete per primo, prima che venga portata nel salone per farla conoscere agli ospiti. Voi avete spezzato la maledizione che Malefica mi aveva gettato, e se non lo aveste fatto la mia adorata bambina non sarebbe nata.”
Rumpelstiltskin la seguì, incuriosito e stranamente impaziente. Gli fece venire in mente quando era nato Bae, il suo Bae, che Milah gli aveva subito messo tra le braccia, arrabbiata con il figlio per i dolori del parto. Era stato lui il primo a vedere gli occhi castani di Baelfire aprirsi per la prima volta.
“Ci siamo.”
Lui sbatté gli occhi, ritornando al presente. Rimaneva solo quella stretta al cuore che non l’aveva più lasciato da quando il figlio era stato risucchiato in quel vortice.
La stanza della principessa era decorata con moltissimi gingilli che pendevano dal soffitto in file ordinate, producendo un gradevole tintinnio non appena la porta veniva aperta o qualcosa veniva spostato. Una cinquantina di bambole, costruite dai migliori artigiani del regno, fissavano nel vuoto con i loro occhi di vetro. Personalmente, Rumpelstiltskin trovava che in quanto a inquietudine potevano rivaleggiare con i suoi fantocci, che una volta erano stati i genitori di Geppetto.
Un gorgoglio attrasse la sua attenzione. Dei piccoli pugni, non più grandi di una noce si agitavano e sporgevano dalla culla. Un debole pianto iniziava già a farsi sentire e di lì a poco la voce dell’infante si sarebbe udita fino al lago Nostos. La regina si precipitò in avanti, la fronte corrugata per la preoccupazione.
“Tesoro, tesoro, non piangere, ti prego! Che figura farai con il signore che è venuto apposta per vederti? Su amore, lo so che ti sei annoiata qui da sola, ma ora c’è la tua mamma con te.”
Rumpelstiltskin si affacciò per vedere la pargoletta. Era… piccola. Due orecchie delle stesse dimensioni del manico di una tazzina da the, bianche e rosa come conchiglie. Un nasino a punta,  una boccuccia a forma di cuore e tanti capelli, dello stesso colore del miele. Già alcune lacrime iniziavano a scendere dagli occhi serrati.
“Su, su, piccola dearie. Non vorrai gonfiarti i tuoi bellissimi occhietti, vero?”
Accarezzò con un dito le manine della bambina, poi le diede un colpetto sul naso.
“Apri i tuoi occhi, dearie. Perché non mi fai vedere quanto belli sono? Vuoi farmi piangere?”
Si voltò verso la regina, che lo guardava colpita.
“Come si chiama?”
“A-Aurora.”
Lui riportò l’attenzione alla principessa, sfiorandole i capelli, morbidi come velluto.
“Aurora, ma che bellissimo nome che hai, dearie. Vuoi darmi un salutino?”
Il pianto era cessato ormai del tutto, e la neonata aprì piano gli occhi, azzurro chiaro come il cielo invernale, limpidi e grandi. Si fissarono su di lui, poi la piccola bocca si aprì in un sorriso e la bimba emise una serie di urletti felici. Rumpelstiltskin lasciò che gli stringesse un dito, poi si chinò per depositare un bacio su quella pelle di pesca. Quando Aurora gli accarezzò una guancia, il cuore di lui perse un battito e fece una risatina stravagante, agitando una mano sopra lo sguardo della piccola e muovendo le dita come se fossero uccellini impazziti. La principessa era entusiasta e tentava di afferrarlo, alzando le braccia e agitando le gambette corte.
“Sei proprio una principessina adorabile e sensibile ai complimenti come tutte le femminucce, vero mia bella dearie?”
Aurora applaudì con le mani, poi sbadigliò e reclinò la testa di fianco.
“Tanto sonno, dearie? Shh, non bisogna far rumore allora.”
La regina lo guardava, una luce consapevole negli occhi pervinca.
“Siete molto bravo con i bambini, Rumpelstiltskin. Mi fate pensare che siate stato padre a vostra volta.”
Di nuovo quel nodo al cuore. Lui fece un gesto con la mano, come per scacciare una mosca.
“Sciocchezze, dearie. La principessina è pur sempre una donna e so prenderle per il verso giusto, tutto qua. Mi raccomando, dearie, di non dire a nessuno di questo… piccolo idillio. Non vorrei che mi rovinasse la reputazione.”
Poteva vedere che la donna aveva tutt’altro che abboccato, ma per educazione lei non fece domande e lo ricondusse nella sala della festa, cercando con lo sguardo il marito.
Rumpelstiltskin la seguì con la coda dell’occhio mentre parlava con il re, poi rivolse altrove la sua attenzione.
“Rumpel.”
Una sola persona al mondo poteva chiamarlo così.
“Regina, che dispiacere vederti.”
La matrigna di Biancaneve indossava uno splendido abito di velluto blu scuro, la sua parure di zaffiri doveva venire dalle miniere in fondo al mare per la purezza delle pietre, ma ai suoi occhi lei sarebbe stata sempre la sua prima e unica apprendista. L’aveva vista piangere e rifiutarsi di prendere il cuore ad un unicorno, per poi strapparlo ad una ragazza che l’aveva rimpiazzata momentaneamente come allieva, l’aveva sentita evocarlo pronunciando male il suo nome, aveva assistito alla scomparsa dal suo sguardo di ogni buon sentimento.
“Sei stato bloccato anche tu in questa farsa di festa, Rumpel?”
Per la verità, era della sua stessa opinione, ma lui si era fatto da un bel po’ il punto d’onore di non trovarsi mai in accordo con Regina.
“Non chiamarmi così, dearie. Io invece la trovo un magnifico evento.”
“Tutto per una piccola peste. Sarebbe stato meglio se fosse morta durante il parto.”
Spiò la sua reazione, ma Rumpelstiltskin aveva il viso inespressivo.
“Se vuoi scusarmi, dearie, devo cercare una conversazione piacevole e divertente con cui intrattenermi.”
La superò senza degnarla di uno sguardo ulteriore e vagò per il salone, sorseggiando del the che aveva fatto comparire con la sua magia.
“Scusate, siete Rumpelstiltskin, il Tessitore, il Signore Oscuro?”
Lui si voltò. Una ragazza di non più di sedici o diciassette anni lo stava fissando, le mani intrecciate saldamente per nascondere il loro tremore. Era molto esile, con lunghi riccioli rosso rubino, la pelle candida e due occhi verdi che sembravano troppo grandi per quel viso minuto. L’istinto di Rumpelstiltskin fece suonare alcuni campanellini nella sua testa e sorrise. Sapeva riconoscere a prima vista un’anima disperata.
“In carne ed ossa, dearie. Con chi ho l’onore di parlare?”
“Sono la principessa Elise di Ruwenda. Desidero stringere un accordo con voi, sono… disperata.”
“Lo vedo, dearie.”
“Mia madre è morta nel darmi alla luce e io le assomiglio moltissimo, o almeno così mi dicono. Mio padre ne era assai innamorato, ma ora i ministri del regno lo stanno esortando a risposarsi per cercare di avere un erede maschio.”
La fanciulla tacque e lui unì le punte delle dita davanti al viso.
“Cosa vorresti, dearie? Che non si sposasse più per restare fedele alla memoria di tua madre?”
“No! No, non voglio che resti solo per tutta la vita. Ma… vuole sposare me. Sua figlia! Ha perso la ragione, in me vede mia madre, non vuole sentire ragioni! Persino il Consiglio Reale si è opposto, ma è tutto inutile. Ho tentato di rimandare l’inevitabile. Ho chiesto come dono di nozze un abito fatto d’aria, uno fatto di fiori di prato e uno di luce lunare, ma lui è ricorso all’aiuto di una regina competente di arti magiche ed ora sono con le spalle al muro.”
In tutta sincerità, a Rumpelstiltskin era venuto un attacco di nausea incipiente. Sospettava che anche dietro l’improvvisa pazzia del sovrano ci fosse lo zampino di Regina. Non era mai andata d’accordo con Melisande di Ruwenda.
“Ripeto, dearie, cosa vorresti esattamente?”
“Una via di fuga. Per scappare dal regno in modo che nessuno mi riconosca.”
“Un travestimento, dunque.”
Riflettè. Questa richiesta era particolare, diversa dalle solite preghiere che gli venivano rivolte.
“Ascoltami bene, dearie. Come ultimo regalo di nozze, chiedi a tuo padre la pelle di un asino.”
“Di un…”
“Asino. Quando l’avrai ottenuta..”
Le porse una piccola ampolla dai riflessi purpurei.
“Versaci sopra il contenuto di questa pozione e avvolgiti in essa. Grazie alla magia, chiunque vedrà una povera, giovane mendicante avvolta in una pelle d’asino.”
Le mani della principessa si tesero per afferrare la boccetta, ma lui fu svelto a ritrarla.
“La magia ha sempre un prezzo, dearie.”
Il labbro inferiore della ragazza tremò, ma lei sostenne il suo sguardo.
“Cosa volete?”
“Oh, una cosa del tutto simbolica. Fino a che qualcuno non capirà la tua identità, non potrai dire il tuo nome, né da dove vieni, né di avermi incontrato.”
“D’accordo.”
Rumpelstiltskin fece comparire la pergamena da firmare e non potè non ammirare l’intelligenza della fanciulla nel leggere il contratto. Erano pochissimi quelli che lo facevano.
“Qui… qui c’è scritto che volete il mio primogenito. Non voglio questo.”
“Un tranello, dearie.”
La clausola venne cancellata con uno schiocco di dita, dopodichè lei firmò.
“Ecco a te, dearie. Goditi la tua nuova vita.”
“Grazie.”
Rumpelstiltskin ridacchiò, soddisfatto. Era riuscito a concludere un altro patto.
“Signore e signori, la principessa Aurora.”
Dalla porta della sala entrò la regina Selene, reggendo un fagotto rosa tra le braccia. La donna depositò la figlia sulla culla che aveva fatto trasportare nel salone e tutti si misero in fila per rendere omaggio all’erede. Lui notò re Stephen parlare sottovoce con re Umberto e scommise con se stesso che stavano concordando un matrimonio tra Aurora e il principe Filippo, un ragazzino allegro con la testa sulle nuvole. Non riuscì a trattenere un risolino nel vedere i due sovrani vicini: Umberto era basso quanto Stephen era alto, largo quanto l’altro era lungo. Non aveva capelli ma folte basette e baffi bianchi, mentre il secondo re aveva capelli neri, sottili e una barbetta a punta.
Aspettò con pazienza di potersi avvicinare alla principessina. Per quanto detestasse ammetterlo, aveva un debole per le belle donne e un debole ancora più grande per i bambini, ancora incorrotti dalla malvagità del mondo. Le fate furono le prime a consegnare i loro doni.
“Aurora avrà una voce che rivaleggerà con quella degli usignoli.”
“La principessa avrà le labbra più rosse dei rubini.”
“La sua bellezza non sarà avvicinata da nessun’altra.”
All’improvviso, una folata di vento spense le candele e un gelo pungente avvolse la stanza. Lampi verdi squarciavano di tanto in tanto  il buio e Rumpelstiltskin si sentì in apprensione. Sapeva che quella era la solita entrata in scena di Malefica, una strega molto potente e migliore amica di Regina. Come se invocata dal suo pensiero, la maga comparve al centro della sala. Indossava un abito viola scuro, accollato e lungo tanto da formare un cerchio sul pavimento di pietra, costituito da una sola gonna che scivolava lungo la figura snella. I riccioli biondi erano sciolti sulle spalle e gli occhi erano neri di rabbia, le mani serrate intorno al suo scettro magico. Il suo fedele corvo stava appollaiato sulla sua spalla, tenendo d’occhio tutti con i suoi occhi rossi.
“Ma bene. C’è una festa. Che sbadata, devo essermi persa l’invito.”
La regina si mise subito davanti ad Aurora e il re si pose davanti a lei.
“Cosa vuoi, strega? Non ti basta il male che ci hai già arrecato?”
Malefica spalancò innocentemente gli occhi e rise.
“Oh, ma io non sono qui per turbare la vostra felicità! Anzi, sono venuta ad offrire anch’io un dono alla principessa.”
Avanzò fino alla culla e spostò con un gesto della mano i sovrani, poi toccò la bambina con le dita affusolate.
“La cara Aurora crescerà bella come l’alba di cui porta il nome, amata da tutti, buona, saggia e intelligente.”
Gli invitati tirarono un sospiro di sollievo, ma Rumpelstiltskin digrignò i denti. Conosceva troppo bene quella donna per lasciarsi ingannare. Difatti, le sue seguenti parole confermarono i suoi timori.
“Ma, al suo sedicesimo compleanno, si pungerà un dito con un arcolaio e la principessa morirà.
Una sfera luminosa illuminò la culla e qualcuno urlò. Re Stephen sguainò la spada.
“Alle guardie! Prendetela!”
Malefica rise, batté una volta lo scettro a terra e venne circondata da un fuoco di un verde spettrale, poi scomparve, avvolta in una nube oscura. L’eco della sua risata fu l’ultima cosa a scomparire.
La regina Selene si era accasciata contro la parete, piangendo. Il re le cinse le spalle con le braccia, e tutti si guardavano, sgomenti. Rumpelstiltskin cercò con lo sguardo Regina, socchiudendo gli occhi: la donna sorrideva, vittoriosa. Non amava che qualcun altro avesse il suo Lieto Fine se lei non poteva averlo. Si decise allora ad avanzare, e la sua voce risuonò quasi scherzosa nel silenzio che continuava a persistere dopo la partenza di Malefica.
“Non ho ancora espresso il mio dono alla bambina.”
Se possibile, il silenzio si fece persino più profondo. Gli occhi chiari della regina lo guardavano come se avesse appena detto che aveva sconfitto il Tristo Mietitore.
“Puoi sciogliere la maledizione? Puoi fare questo?”
Lui sospirò e scosse la testa.
“Non posso scioglierla, né annullarla. Malefica non è una fattucchiera alle prime armi e purtroppo sa quello che fa.”
La sovrana tornò a nascondere il viso tra le mani, singhiozzando, mentre il re la stringeva al petto.
“Ma posso renderla meno… drastica.”
Le Loro Maestà lo fissarono, impazienti.
“Il giorno del suo sedicesimo compleanno, la principessa si pungerà sì con un arcolaio, ma non morirà. Cadrà in un sonno profondo, che durerà…”
La sua mente venne scossa dalla visione di un giovane dai capelli e dagli occhi scuri, chino su una fanciulla addormentata dalla lunga chioma castana, le labbra rosse e la pelle rosea.
“Che durerà fino a quando, da questo momento a cento anni, riceverà il bacio del Vero Amore, la magia più potente di tutte, che può spezzare qualsiasi maledizione.”
Persino da dov’era sentì Regina sibilare per l’ira. La regina Selene gli strinse le mani.
“Grazie, Rumpelstiltskin. Grazie.”
Lui s’inchinò, poi uscì dalla sala, ridacchiando, consapevole che tutti gli occhi erano puntati sulla sua schiena.
 
  
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