Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
Segui la storia  |       
Autore: Belarus    02/11/2012    1 recensioni
#13: " Sorridevano tutti in quella foto, tutti tranne Hibari poggiato al muro della casa accanto. Erano tutti insieme, c’era persino quell’irritante di Squalo con loro, la spada che brillava dietro la testa dell’idiota. La stupida mucca aveva il moccio al naso e un pacco di caramelle tra le braccia, I-pin il suo vestitino cinese, le ragazze abbracciavano i bambini, Ryohei mostrava il suo pugno estremo, Chrome pareva accennare un sorriso entusiasta, sua sorella reggeva Reborn-sama. Il Decimo rideva, rideva, rideva…
« E’ la cosa più bella che mi sia rimasta… »
"
[ Dal cap #07. 15 years later - cap #13. 20 years later ]
Mi avventuro, vediamo che combino!
Sperando che piaccia!
Baci Baci Belarus
Genere: Angst, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



#13. Starting Point – Punto di partenza


Quando finalmente il treno si fermò, i muscoli gli dolevano come non mai.
Malgrado non fosse con un piede nella fossa o riportasse chissà quali postumi da battaglia, il viaggio era stato stancante. L’aereo aveva impiegato parecchie ore per giungere sino in Giappone, il treno altrettanto e seppur fosse stato seduto per l’intero tragitto, adesso non riusciva proprio a mettere un piede innanzi all’altro. Si fermò per qualche istante a riprendere fiato, l’insegna ingrigita sopra la sua testa recava il nome della vecchia stazione ferroviaria della città. Quando ancora era un ragazzo, proprio innanzi alla biglietteria sedeva il figlio del capo stazione, un bambino con il sorriso smagliante pronto a sfidare chi attendeva il treno diretto verso le città più grandi. Adesso, non restava altro che una sedia di legno con un uomo adulto a controllare l’orologio.
L’uomo non lo riconobbe, a stento gli rivolse un sorriso tirato tornando subito dopo a controllare l’arrivo del prossimo treno. Prese la propria valigia e lasciò che la stazione svanisse alle sue spalle, gli alberi lungo la via per la città cominciavano a perdere le foglie, l’aria si faceva frizzante, gelida. Imboccò alcune strade, lanciando ogni tanto uno sguardo alla collina dalla parte opposta della città. Si vedeva ancora il vecchio tempio, il suo arco rosso brillante, le tegole scure come il catrame. Aveva combattuto da ragazzino all’ombra di quel luogo, sotto gli alberi che lo circondavano, fra il fango del terreno e il profumo d’incenso appena acceso. Altri profumi gli giunsero mentre attraversava la zona commerciale, takoyaki sfrigolavano sulle braci calde, zucchero a velo veniva avvolto in enormi recipienti metallici, bambini correvano brandendo grandi buste di caramelle brillanti. C’erano molti negozi nuovi, della vecchia città rimaneva solo lo scheletro malinconico. Le ragazze sarebbero state contente di passeggiare fra quelle strade, il loro amato negozio di dolciumi era ancora in piedi, c’erano persino delle nuove offerte promozionali e dolci di nuova invenzione. Svoltò a destra senza neanche pensarci, mentre un’auto dalla carrozzeria brillante gli sfrecciava accanto. L’Hotel più importante di tutta Namimori svettava ancora lì, fra i palazzi appena più bassi, con i suoi piani lussuosi e la suite che era stata del Nono e poi di Xanxus. Innanzi all’entrata c’era ancora lo stesso uomo dall’aria innocua con la stessa divisa, la stessa espressione impassibile. Quando lo vide dalla parte opposta del marciapiede, si tolse il cappello in segno di rispetto, con gli occhi parve domandare qualcosa. Non attese alcuna risposta e non provò neanche a seguirlo quando le loro strade si divisero.
C’era stato un momento durante il suo viaggio sull’aereo, in cui aveva avuto paura. Paura di ritrovarsi in una città che non gli apparteneva, fra gente che non conosceva e vecchi ricordi che affioravano dolorosi. Il cuore gli era salito sino in gola, mentre il pilota avvisava dell’arrivo in territorio giapponese. Temeva di non ricordare le strade, di non riconoscere nulla dopo tutti quegli anni, di perdersi irrimediabilmente. Non era accaduto niente di tutto quello che temeva. Le strade avevano ancora i loro vecchi nomi, i palazzi erano ancora in piedi, lì dove li avevano lasciati l’ultima volta e delle sue vecchie conoscenze continuava a sopravvivere qualcuno seppur logorato dal tempo. Pareva che il tempo avesse appena sfiorato Namimori, eppure non c’era nulla che sapesse di casa in quel luogo.
Due ragazzine dall’aria eccitata gli passarono accanto cinguettando, entrambe arrossirono quando i suoi occhi si posarono sulle loro divise. Uno dei ragazzi che le seguiva gli andò a sbattere volutamente contro, il broncio non gli passò nemmeno quando si fu messo paura.
<< E’ troppo vecchio per voi! >> borbottò con astio, dondolando la cartella in aria.
Non ci fece granché caso intento com’era a guardarli mentre sparivano fra la folla. Venivano dalla sua vecchia scuola, la divisa era rimasta ancora quella che da ragazzo era stato costretto a portare. Hibari non si era per nulla arreso con il suo lavoro, ostinato e cocciuto com’era, aveva cacciato via tutti quei grandi impresari interessati a comprare la scuola per costruirci chissà quale diavoleria. Il grande edificio era rimasto intatto, con le sue mura chiare e le finestre identiche, il grande orologio sulla facciata e il parco tutto attorno. I club erano ancora tutti lì, quello di boxe con la sua insegna sbilenca e quello da baseball con le balconate ancora semivuote. Si lasciò scappare un sorriso vedendo i nuovi uomini del comitato disciplinare sorvegliare l’entrata della scuola.
Abbandonò anche quella strada, sorpreso dal notare quanti palazzi con appartamenti avevano riempito il quartiere limitrofo. Una ragazzina al cellulare urlava contro il suo ragazzo, la minigonna che svolazzava in bella vista al primo alito di vento. Abbassò lo sguardo passando oltre, alcune case dei suoi anni parevano sparire insignificanti ai piedi di quegli enormi giganti di cemento. Il sole cominciava a proiettare grandi lingue dorate lungo le strade grigie, la campana della scuola suonò puntuale come sempre mentre un ragazzino terrorizzato lo oltrepassava inciampando sui suoi stessi passi. Pensò a quando il Decimo correva per le strade, cadendo in tutte le pozzanghere e buche dell’asfalto, arrivando sudato come mai in classe a lezione già iniziata. La gente cominciò a svanire pian piano, le auto mancarono quasi del tutto. L’ultima che vide, sfrecciava verso la strada provinciale diretta in chissà quale grande metropoli a chilometri di distanza dalla vecchia e grigia Namimori. La vecchia strada che aggirava la città era ancora identica, nostalgico pensò a come quelle misere buche nel selciato fossero riuscite a resistere al tempo.
Kokuyo Land invece era stata buttata giù, adesso restava solo uno spiazzale vuoto con un enorme cartello di lavori in corso e una gru a sollevare macerie. Ken e Chikusa, gli unici che erano rimasti ad abitarci avevano inviato al Decimo una lettera anni e anni prima, adesso, non ricordava neanche quale fosse stata la loro risposta. Mukuro non si era di certo scomodato, a giudicare dalle condizioni in cui versava la zona.
Altrettanto dovevano aver fatto gli addetti all’impianto di depurazione del fiume. Per quanto anni a dietro fosse stato grigio e burrascoso, adesso pareva esserlo anche il doppio. L’acqua gorgogliava fra i pilastri del ponte che collegava le due zone della città, l’erba era ancora verde e bagnata, ma non c’era nessuno che si occupasse del tagliarla. Nella riva opposta, la casa che era stata dei due anziani vecchietti era ormai sbarrata e ridotta a un rudere. Haru avrebbe pianto a dirotto quando l’avrebbe saputo, da ragazzina la donna l’aveva aiutata spesso con i suoi bizzarri vestiti e l’uomo aveva lanciato loro minacce per farli desistere dal frequentarla. Si stupì nel vedere dei fiori freschi innanzi al cancelletto, forse c’era ancora qualcuno che li amava oltre ogni confine.
Lungo quell’enorme e polveroso stradone, il tempo era parso fermarsi. I nomi lungo le case erano ancora lì, ingialliti dal tempo e dalla stanchezza, il fiume era ancora abbandonato a se stesso e il negozio di sushi era ancora aperto. L’insegna era rimasta lì, la porta del locale era aperta come se dentro vi fosse qualcuno a cucinare, come se la risata del padre di Yamamoto potesse ancora arrivare da un momento all’altro. Era buio dentro, ma il pavimento era pulito, le sedie e gli sgabelli ai loro posti, il sakè poggiato sul bancone lucido all’ombra della lampada. Un gatto miagolò da uno dei tavoli ancora al buio, vecchie foto di famiglia attirarono la sua attenzione. Una donna con in braccio un bambino sorrideva innanzi al locale, il padre di Yamamoto intento a cucinare con il suo immancabile grembiule, l’idiota con la mazza da baseball e un maki al tonno in bocca. Mosse qualche passo, c’era un’altra foto dietro al bancone. Aveva una vecchia cornice tirata a lucido, svettava sul legno chiaro su cui era stata poggiata. L’immagine era rovinata, ingiallita dal tempo, uno dei bordi mancava o era stato mangiucchiato da chissà quale animale.
Sorridevano tutti in quella foto, tutti tranne Hibari poggiato al muro della casa accanto. Erano tutti insieme, c’era persino quell’irritante di Squalo con loro, la spada che brillava dietro la testa dell’idiota. La stupida mucca aveva il moccio al naso e un pacco di caramelle tra le braccia, I-pin il suo vestitino cinese, le ragazze abbracciavano i bambini, Ryohei mostrava il suo pugno estremo, Chrome pareva accennare un sorriso entusiasta, sua sorella reggeva Reborn-sama. Il Decimo rideva, rideva, rideva…
<< E’ la cosa più bella che mi sia rimasta… >>
Yamamoto Takeshi non era più quello che si vedeva nella vecchia foto. Non era un ragazzino, non era un uomo e neanche un vecchio. Non era niente di ciò che sarebbe dovuto essere, neanche nei peggiori incubi di un vecchio amico. La luce fioca della lampada gli diede l’aspetto di un cadavere, quello di un uomo che aspetta solo il momento giusto per morire ed essere finalmente in pace con se stesso.
La mano non c’era più, Gokudera lo aveva appreso da Shamal di ritorno da un viaggio in Giappone anni prima. L’infezione era stata fermata quando ancora aveva le bende, ma con il tempo le falangi avevano smesso di muoversi, il bruciore aveva smesso di provocargli dolore e le dita avevano preso a diventare nere. I dottori avevano dovuto amputarla, prima che il danno – qualsiasi esso fosse – potesse risalire sino al braccio. Yamamoto aveva scritto una lettera dal letto d’ospedale al Decimo, parole tremule che avrebbero dovuto rassicurarli con le loro sbavature d’inchiostro. Sawada Tsunayoshi aveva pianto per quella lettera, aveva pianto e urlato contro tutti, maledicendo le scelte fatte nella sua vita, rimpiangendo di non aver saputo difendere un proprio amico da una sorte simile. Nella lettera l’idiota aveva chiesto loro di non andare in Giappone per lui, nessuno era andato.
<< Mi sei mancato! >>
Sorrise. Sorrise come faceva da ragazzino, come aveva dimenticato di fare in Italia, come suo padre gli aveva insegnato a fare. Sorrise abbracciandolo, mentre il moncherino gli sfiorava la schiena e il braccio tremava. Continuò a sorridere anche quando, Gokudera provò a tirarsi indietro. Sorrise per tutte le volte in cui non lo aveva fatto, per tutte quelle in cui avrebbe dovuto, per tutto il dolore che aveva provato nella sua vita.
<< Tu non mi sei mancato per niente… idiota! >>
Lo cacciò via con scarso garbo mentre andava a sedersi su uno degli sgabelli tremolanti su cui da ragazzini avevano fatto le loro gare di abbuffate in Famiglia. La luce della lampada gli fece lacrimare gli occhi.
C’era stato un momento del suo viaggio in cui Gokudera aveva provato paura. Paura nel rivedere Namimori o con molta più sincerità, paura nel vedere ciò che era diventato Yamamoto. Quando la lettera era arrivata in Italia, Sawada Tsunayoshi Decimo Boss della Famiglia Vongola, aveva chiesto aiuto a Squalo. Il risultato erano state solo urla e un biglietto d’aereo per il Giappone.
<< Sembri un vero braccio destro! >>
<< Tu sembri la brutta copia del capellone… >>
<< Adesso posso usare la spada! >>
Sì poteva usarla e a giudicare dalla faccia indispettita con cui era rientrato in Italia lo spadaccino dei Varia, doveva anche saperla usare piuttosto bene. Il Decimo ne era stato felice, per qualche giorno era parso il ragazzino soddisfatto dei primi giorni. Quello che seppur faticando, andava a dormire con il sorriso per la propria Famiglia.
<< Ti ho scritto delle lettere, non è arrivata risposta… >>
Non aveva mandato alcuna risposta. Per anni quelle lettere erano rimaste nel cestino della sua camera, chiuse com’erano arrivate. Non aveva voluto leggerle, aveva fatto in modo di non pensarci e non cercarle.
Erano semplicemente rimaste lì, monito malinconico di quello che era stato il suo rapporto con l’idiota esaltato del baseball. Poi era arrivata quella notte, il Decimo aveva cominciato a star male, le ragazze avevano cominciato a piangere insieme alla stupida mucca, Ryohei non aveva più urlato incoraggiamenti a nessuno. Lui si era occupato della Famiglia insieme a Reborn-sama e di notte, si era ritrovato a leggerle tutte. Si era irritato terribilmente per quelle lettere, per tutte le sciocchezze scritte dall’idiota, per le baggianate che andava raccontando dal Giappone, sino a che non aveva letto l’ultima. Sino a che non aveva ricordato quella stupida follia fatta per tirarlo su dopo la morte di suo padre.
<< Le tue stupidaggini non meritano risposta! >> ringhiò irritato.
<< Non mi hai mai detto perché mi hai baciato. >>
Gokudera si voltò di scatto come se lo avessero appena preso a schiaffi. La mascella si contrasse al solo pensiero di quell’ennesima baggianata. Non era di certo andato sino in Giappone per quello.
<< Tu non capisci, il Decimo sta male! >> urlò.
Yamamoto non parve scomporsi, annuì soltanto lasciando che il sorriso si affievolisse appena sulle sue labbra. Gokudera si costrinse a non picchiarlo, vecchie sensazioni gli tornarono alla mente, rabbia riprese a scorrere dopo tanto tempo lungo le sue vene. Si sentì improvvisamente vivo mentre la frustrazione per tutto quel tempo tenuta a bada veniva finalmente fuori.
<< Io capisco più cose di quelle che credi tu, Gokudera… >>
No, non lo capiva proprio. Non avrebbe mai potuto capire cosa aveva passato lui in quegli anni, non avrebbe mai immaginato cosa aveva provato restando da solo in una Famiglia che ha bisogno di tutto l’aiuto del mondo per restare in piedi. Non avrebbe mai potuto capire perché davanti ai veri problemi, Yamamoto Takeshi “l’idiota” era scappato a casa.
<< So che se Tsuna cade noi cadiamo con lui… >>
Sarebbe accaduto, bastava solo che il cielo decidesse di prendersi una pausa e riempirsi di nubi. Bastava solo che la febbre si facesse più forte, che le medicine smettessero di fare effetto. Semmai fosse accaduto qualcosa al Decimo, Gokudera sarebbe rimasto solo di nuovo. Ne era diventato consapevole quando Reborn-sama lo aveva mandato in Giappone dall’idiota. Quando si era ritrovato a chiedersi se lui fosse ancora lì a Namimori nella casa che era stata di suo padre, lungo il fiume su cui avevano passato l’ultima notte in Giappone.
<< So che sei arrabbiato perché credi non aver fatto abbastanza… >>
Non era una sua opinione, ma un dato di fatto. Semmai fosse stato un buon braccio destro, il Decimo non avrebbe sofferto tanto, la sua vita non sarebbe stata tanto difficile e dolorosa. L’idiota non sarebbe dovuto scappare in Giappone, la sua mano sarebbe ancora lì a brandire il cimelio di famiglia.
<< So che hai sempre avuto più paura di quanta ne abbia mai avuta Lambo… >>
<< Non paragonarmi alla stupida mucca! Tu non sai niente di me, sei solo uno stupido idiota! >>
Yamamoto gli versò un bicchiere di sakè, la foto di Famiglia li osservava dal bancone del negozio. Sorridevano tutti in quella foto, erano felici allora.
<< Sarò anche lo stupido che dici, ma ti conosco meglio di chiunque altro… persino meglio di Tsuna… >>
Il Decimo era stato il suo migliore amico, il suo unico amico mai ammesso. Per lui aveva fatto sacrifici, con lui aveva sognato un futuro migliore, si era impegnato e aveva speso anni della sua vita pur di essere all’altezza di quel ragazzo alla vista tanto mediocre. Era diventato il suo braccio destro e il Decimo lo aveva sempre compreso, sempre ripagato di tutti quei sacrifici. Il Decimo gli aveva sempre voluto bene, ma il peso che avevano da portare era sempre stato diverso. Sawada Tsunayoshi sarebbe diventato un Boss, lui invece, avrebbe soluto dovuto essere un’ombra.
<< So che hai bisogno di me, almeno quanto Tsuna ne ha di tutti noi… >>
Gokudera gli lanciò un’ultima occhiata, nella sua mente smisero di affiorare gli insulti, la rabbia cessò di circolare nelle vene. Il cuore divenne persino più pesante di quanto fosse diventato ad ogni passo fatto in quella città di ricordi. Si ritrovò improvvisamente senza nulla da dire, inerme innanzi all’unica verità da cui era sempre fuggito.
Afferrò il bicchiere di sakè e lo gettò giù senza alcun riguardo. La gola divenne infuocata, lo stomaco parve riscaldarsi e dargli la forza di alzare ancora gli occhi. Yamamoto sorrideva, sorrideva come aveva sempre fatto da ragazzino quando loro erano ancora quelli della vecchia foto. Lo aveva custodito quel sorriso, fra lacrime e sangue, lo aveva tenuto lì forse proprio per quel momento.
<< Prova a dire la verità per una volta, prova a cominciare dall’inizio… >>
<< Sta andando tutto male, non c’è un inizio… >>
<< C’è sempre un punto di partenza Gokudera, me l’hai insegnato tu! >>
Se c’era una cosa che Gokudera odiava a quel mondo, era la consapevolezza di essere arrivato dopo l’idiota. Perché per quanto Yamamoto Takeshi potesse essere stupido, ossessionato dal baseball e mutilato, era stato l’unico a non sfuggire alle avversità. Seppur fosse andato in Giappone, era sempre rimasto con loro. In silenzio, era sempre rimasto lo stesso ragazzino della vecchia foto.
<< No… questa volta non c’è… >>
C’erano volte però, in cui ogni sforzo non bastava proprio a risolvere le cose. In cui anche insieme, si giungeva solo alla fine.






  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn / Vai alla pagina dell'autore: Belarus