Chiara spinse insistentemente il dito
sul pulsante della macchinetta del caffè. Sbuffò
irritata, maledicendo quell’inutile aggeggio e,
vedendo che la tazza tardava a riempirsi, tirò fuori da
frigorifero una bottiglia di latte.
-Chiara! Che maniere!- urlò Margaret dall’altra
parte del bancone, mentre osservava sua figlia che trangugiava stizzita la
colazione. Quella borbottò qualcosa che si perse fra i pezzetti di
biscotti che stava masticando, senza prestarle davvero attenzione. Cominciò a
girare nervosamente per tutto il perimetro della cucina, torturandosi con la
mano libera il bordo del maglioncino. Quella non era una mattina come le altre, il pensiero del compito di
matematica la spaventava a morte. Tutti quei numeri, quei
segni e simboli le creavano una tale confusione in testa da farle dimenticare
le nozioni teoriche che aveva prontamente studiato. Sentiva i suoi passi
rimbombare sul marmo, con un tocco sordo.
- Andrà tutto bene, mi meraviglio di come una materia riesca a
farti quest’effetto- mormorò sua madre, dandole in
contro con il suo zainetto. Chiara lo afferrò, si lasciò baciare e la seguì con
lo sguardo mentre spariva oltre i finestrini della sua
auto scura.
Lasciò cadere
la tazza nel lavello e si diresse nel giardino, camminando lentamente. Il
cellulare le squillò in tasca e, quando lesse il nome del mittente, sentì un
leggero brivido di freddo correrle su per la colonna vertebrale. “Oggi compito di mate?” recitava il
messaggio di Riccardo. “Ergo, suicidio
assicurato” rispose, mordendosi le labbra e chiudendosi dietro il
cancello mentre usciva in strada. “Esagerati
voi del classico! Se sei a casa aspettami, sto passando!”
Leggendo
l’ultimo sms, la rossa sentì una stretta lancinante
allo stomaco. Roteò gli occhi, ora ci si metteva anche
il suo corpo!
Si accorse di tremare, brividi sempre più
lunghi e penetranti. Non c’era da preoccuparsi, di certo quel nervosismo era dovuto al fatto che quella mattina non aveva bevuto caffè. Una persona in media è nervosa per un eccesso di
caffeina, ma,come a Chiara piaceva definirsi, lei era
l’eccezione che confermava la regola. Si appoggiò al muretto di casa sua,
sentendo il caldo dileguarsi dalle sue membra e il
respiro farsi più corto. Riccardo arrivò dopo pochi
minuti, camminando tranquillamente lungo il marciapiede, con lo sguardo che
mirava oltre la schiera di villette.
La stradina era pressoché deserta, un anziano vicino stava annaffiando
le piante del suo giardinetto inglese.
- Hai il viso gelato- disse apprensivo, passandole le nocche
sulle guance. Chiara non poté fare a meno di sorridere imbarazzata,
stringendo con una mano la spallina dello zaino. Quelle attenzioni da parte del
suo migliore amico stavano facendo nascere in lei il sospetto che lui si fosse preso una bella cotta per lei. Forse Sabrina aveva
ragione.
- Fa proprio
freddo…- brontolò, abbassando lo sguardo. Si abbracciarono lentamente, senza
fretta e senza dir nulla. Poi si avviarono verso il corso principale della
città e Chiara ebbe la crescente impressione che Riccardo la stesse
fissando.
- Allora? A
cosa pensi?- gli chiese la rossa, sospettosa.
Lui smise di
fissarsi le converse nere e puntò gli occhi nocciola nei suoi. Sempre
attraversati da quel velo di imbarazzo. Chiara lo
trovò molto dolce e, segretamente, sorrise.
- Nah, a
nulla. Sai che Monica ha trovato un altro ragazzo? E’ stata
veloce- tirò su col naso e scalciò via un sassolino dal viottolo.
- Dici sul serio? Andiamo…
pensavo l’avessi dimenticata oramai- sbuffò Chiara. Era quello il
difetto di Riccardo. Quando le cose cominciavano a farsi un po’ più chiare per
lei, convincendola che fra di loro ci fosse qualcosa,
ecco che lui se ne usciva con quelle frasi malinconiche sulla sua ultima
fidanzata.
- Ma si che
l’ho dimenticata, è che ci sono rimasto male, tutto qui. Lo sai che l’ho amata
davvero- mormorò il ragazzo, mesto.
- Lei non si è fatta scrupoli a
lasciarti da un giorno all’altro, sei patetico, smettila di
rimuginare- disse duramente, girando il viso per nascondere la
delusione. Riccardo alzò gli occhi e li assottigliò, ferito.
- Ma che cos’hai?-
esclamò, accelerando il passo.
Chiara sospirò e si sforzò di essere gentile.
- Parli sempre di Monica
quando… oh, lascia stare- sospirò, stringendosi nel giubbotto. Riccardo le
bloccò il mento fra le dita e la fisso dubbioso.
- C’è qualche problema?- domandò
cauto. Chiara si allontanò, in un improvviso scatto di stizza. I ragazzi non
avevano un minimo di intuito.
- Nulla, scusa Riky,
lo sai che i compiti di matematica mi mandano sempre in bestia…- mentì e cambiò
discorso, cominciando il suo soliloquio su quanto la matematica fosse la
materia più ostica della terra.
Quando arrivarono al parcheggio che
precedeva la strada del liceo, l’atmosfera fra di loro
era già un po’ meno tesa, ma si sentiva nell’aria che qualcosa si era rotto. Riccardo
lo capiva dal tono piatto e distante dell’amica, tono che assumeva solo quando si sentiva umiliata o aveva qualcosa di grosso
per la testa.
-Ah, che pena quest’amore, eh?- sorrise amaramente la rossa, per poi
ammiccare alla sagoma grigia del Giulio
Cesare.
- Buona fortuna con la matematica, ci
vediamo all’uscita come sempre, vero?- chiese Riccardo, voltandosi già verso la
strada laterale dove si trovava la succursale del suo liceo scientifico.
- Ehm… Penso che oggi venga a
prendermi mio padre, sai… ho un appuntamento dal dentista subito dopo scuola e…-
arrancò, in cerca di una valida scusa per evitare di tornare a piedi col
ragazzo. Odiava mentire alle persone in questo modo, anche perché non era
nemmeno così brava a inventare palle, ma le era venuto
spontaneo. Il pensiero di passare un altro quarto d’ora a parlare dell’ex di
Riccardo, cercando di nascondere la sua irritazione, non la allettava per
nulla.
- Tranquilla, ho capito… Ci becchiamo-
mormorò Riccardo e, mentre stava per allontanarsi,
Chiara pensò bene di farsi perdonare schioccandogli un sonoro bacio sulla
guancia.
Il biondo sorrise e lei
sentì che le tremavano le gambe, forse per lo sguardo del ragazzo. O forse per lo sguardo affilato di Roberta Della Corte dall’altro
lato della strada.
Riccardo si allontanò e in due minuti
fu fuori dalla sua portata visiva. Ma
Chiara era distratta da qualcos’altro.
Sentiva la schiena come perforata,
attraversata da qualcosa di caldo e fastidiosamente intenso. Strinse i denti e,
cercando di reprimere l’impulso di alzare il viso e incontrare quello della
riccia, arrivò all’ingresso del liceo. Vide la macchina del padre di Sabrina
avvicinarsi nella direzione opposta e l’amica dai capelli tinti avvicinarsi con
il viso di chi stava per essere condotto al patibolo. Il compito di matematica
mieteva parecchie vittime, evidentemente.
- Non entri?- domandò
dubbiosa a Chiara, vedendola indugiare appena fuori la porta. La rossa si morse
il labbro, indecisa. Voleva un po’ aria prima di entrare e stare da sola l’avrebbe aiutata a concentrarsi meglio.
Quella mattina tirava
un leggero vento, se ne sarebbe restata un altro po’ a sentire la brezza
montana accarezzarle le labbra.
- Dammi
dieci minuti…- borbottò.
Si appoggiò
scompostamente alla facciata graffitata e, volgendo lo sguardo verso il cielo
grigiastro, si sentì svuotata di tutto. Dell’ansia, della paura, dell'amore. Era
piacevole, starsene lì senza aver il tempo di pensare. Smettere
di dar voce ai suoi problemi, spegnere del tutto i rumori caotici del mondo
circostante.
- Non c'è
molto sole da prendere... E anche se ci fosse, tu rimarresti comunque
una mezza irlandese con la pelle evanescente-
Una voce ruvida al suo fianco si erse
dal nulla, accompagnata da una folata di fumo agrodolce.
Chiara aprì
gli occhi di colpo, spaventata. Roberta se ne stava tranquillamente accostata
al muro, a qualche metro di distanza. Aveva imparato, oramai, la chiamava distanza di sicurezza, distanza di chi ha sofferto troppo per lasciarsi colpire di
nuovo. La prudenza di un'anima incustodita.
- Anche tu hai
la pelle chiara, solo che non sei mezza irlandese... Direi
che è uno a zero per me- ghignò la rossa. Aveva imparato anche a fare il suo
gioco.
- Ho visto quel flirt da quattro
soldi, col quel biondino niente male…
Direi che siamo pari-
Chiara sentì
il diaframma contrarsi e spezzare la risata che le stava per salire in gola.
Arrossì, sentendo la punta delle orecchie arroventarsi, come accadeva di solito quando era in situazioni simili. La riccia tirò una
boccata di fumo, puntando verso di lei i pallidi occhi azzurri truccati di
nero. Sbatté le palpebre pesantemente, quasi abbandonandole,
poi smise di ridere.
- Certo che
sei proprio un’idiota-
Il tono in cui
lo disse era un sibilo, acidità allo stato puro. Stridente
eppure dannatamente attraente come una scheggia che graffia il vetro.
Chiara cercò di tenere a freno le parole, lasciando uscire solo un sospiro dal
suo sterno sconquassato.
- Probabile-
“Che fai
ora, le dai anche ragione?” si disse, allibita. Il problema è che
quella era la verità di cui aveva sempre segretamente sospettato. Anche Roberta doveva essersi sorpresa per quella reazione,
la vide sgranare leggermente gli occhi.
- Si vede
lontano un miglio che vi piacete-
Ancora quel
tono mordace. Aveva attaccato discorso solo per farle la predica? I suoi occhi
però comunicavano esattamente il contrario.
- Posso tranquillamente farne a meno- rispose la rossa con
orgoglio. Non voleva apparire come la classica ragazzina innamorata cotta, perché
non lo era. La prima campanella suonò,facendole
trasalire. Chiara fu scossa da un brivido improvviso e si morse le labbra con
veemenza. Per un momento il mondo tornò ad essere reale.
- Abbiamo mate
alla prima ora?- sbuffò la riccia, calpestando il mozzicone fumante. L’altra
annuì, sentendo di nuovo una spiacevole sensazione di nausea alla bocca dello
stomaco. Roberta la osservò, mentre si portava lentamente una mano al ventre,
stringendo gli occhi.
- Hai paura?-
Quella fece di
si con la testa, mentre il respiro accelerava. Le mani
cominciarono a tremare, come foglie secche mosse dal
vento autunnale. Le chiuse a pugno, convulsamente, per trattenere il tremito,mentre si staccava dalla parete e cercava di dirigersi
verso l’atrio. Senza preavviso, senza nemmeno potersi appoggiare al cancello,
vide farsi tutto confuso e il petto si alzò fino a
gonfiarsi per il suo respiro affannato. Riuscì, nonostante il rumore che faceva
il suo cuore, a sentire la voce della compagna.
-Chiara! Che
ti prende?- imprecò, prendendola per le spalle prima
che si accasciasse al suolo. Respirava a fatica, sentiva
l’aria entrarle prepotentemente nei polmoni, a boccate taglienti. Tremava
spasmodicamente, sentendo il tessuto del cappotto di Roberta sulla pelle.
- Mi senti?-
Annuì,
stancamente. Era tutto così ovattato, le fischiavano
le orecchie. Non aveva la forza di parlare. La riccia la strinse di più, per
non lasciarla al suolo. Chiara si premise di ascoltare il suo respiro per non perdere
i sensi. Il nodo allo stomaco sembrò sciogliersi, lasciandole dentro solo una grande nausea. Si fece forza, stringendo i denti fino a far
stridere fra loro i molari.
- Ce la… Ce la
faccio- gracchiò, tastandosi le tempie. Si
sorprese di averle ancora, di avere ancora un cranio,
doleva così tanto. Della Corte le passò un braccio attorno ai fianchi e la fece
appoggiare a se. Chiara notò che era più alta di lei di qualche centimetro,
guardandola dal basso. Il viso ovale, le sopracciglia finemente definite, la pelle uniforme e il piccolo naso, i capelli
neri ben domati in una treccia, il colore del suo eye-liner. Cercò di fissare
tutto intensamente, per non perdersi di nuovo in quel buio.
- Ma che ti
prende!?- esordì la riccia, con un misto di
preoccupazione e sollievo.
- Non lo so, però non è la prima
volta che mi succede-
La sua voce
flebile stentava a farsi sentire nel rumore del traffico, nel vociare degli
studenti che poco distante stavano per entrare a scuola. Le toccò
la fronte, sentì la sua mano fresca contro la pelle.
- Non hai la
febbre, il cuore batte, respiri regolarmente… Sei viva- la tranquillizzò,
prendendole le mani. Chiara annuì, con gli occhi vuoti. Non era la prima volta
che le succedeva. Una sera, quando i suoi genitori avevano tardato il ritorno
dal lavoro, da sola nel buio della casa, si era sentita allo stesso modo. Si
era presa un bello spavento, così aveva chiamato Carmen e non appena l’aveva
vista sulla porta il respiro si era fatto più regolare.
Roberta, vedendola ancora così persa,
attiro la sua attenzione.
-Sei gelata- mormorò. Il suo respiro, greve per la
sigaretta appena fumata, si infranse contro le
lentiggini di Chiara. La rossa, non rendendosi ancora conto di quanto fossero
vicine, si ritrovò a contare le pagliuzze azzurrine degli occhi della riccia fin quando questa non le prese le mani per riscaldarla.
- Non è necessario…- si lamentò quasi,
sentendo le orecchie bruciare ancora di più per l’imbarazzo. Se
con Riccardo aveva provato una fitta allo stomaco, ora era come se lì dentro
infuriasse una battaglia.
- Dammi retta per
una volta- sbuffò Roberta, continuando a sfregare le mani dell’altra fra
le sue, calde e morbide di crema idratante.
- Non devi scherzare
con queste cose, gli attacchi di panico sono una cosa seria- mormorò poi
dopo qualche secondo. Il suo tono sembrava quasi preoccupato. Chiara annuì,
ancora un po’ confusa. Roberta era bellissima.
- Chiara, che ci fai
ancora qui?-
La rossa si svegliò improvvisamente,
cercando di assumere l’espressione più naturale del mondo. Roberta,
accorgendosi anch’ella della venuta Carmen, lasciò
andare le sue mani quasi violentemente.
- Oh, ecco miss Lustrini! E tu vedi di non inciamparmi più fra i piedi, piccola
squilibrata- sibilò con cattiveria, per poi dirigersi imperterrita verso il
liceo.
Carmen, vedendo che Chiara ancora la
fissava da lontano, le sventolò una mano davanti agli occhi.
- Sicura di stare bene?-
- Scurissima-
Il compito di matematica, per quando
difficile, non rappresentò per Chiara un’enorme difficoltà. Consegnò il foglio subito
dopo Michele so-tutto e rimase a fissare il resto
della classe affaticarsi per risolvere gli ultimi radicali assegnati.
Vide Roberta piegare il foglio, segno
che aveva finito, e scrivere aggraziatamente il suo nome sul fronte.
- Com’è andata?- le mimò quella con le
labbra, cercando di non farsi vedere dall’insegnante.
Chiara sentì le sue labbra incurvarsi
in un sorriso enorme.
- Benissimo- sussurrò.