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Autore: Deirbhile    02/11/2012    2 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo tredici: Attacco d’incertezza

Chiara spinse insistentemente il dito sul pulsante della macchinetta del caffè. Sbuffò irritata, maledicendo quell’inutile aggeggio e, vedendo che la tazza tardava a riempirsi, tirò fuori da frigorifero una bottiglia di latte.

-Chiara! Che maniere!- urlò Margaret dall’altra parte del bancone, mentre osservava sua figlia che trangugiava stizzita la colazione. Quella borbottò qualcosa che si perse fra i pezzetti di biscotti che stava masticando, senza prestarle davvero attenzione. Cominciò a girare nervosamente per tutto il perimetro della cucina, torturandosi con la mano libera il bordo del maglioncino. Quella non era una mattina come le altre, il pensiero del compito di matematica la spaventava a morte. Tutti quei numeri, quei segni e simboli le creavano una tale confusione in testa da farle dimenticare le nozioni teoriche che aveva prontamente studiato. Sentiva i suoi passi rimbombare sul marmo, con un tocco sordo.

- Andrà tutto bene, mi meraviglio di come una materia riesca a farti quest’effetto- mormorò sua madre, dandole in contro con il suo zainetto. Chiara lo afferrò, si lasciò baciare e la seguì con lo sguardo mentre spariva oltre i finestrini della sua auto scura.

Lasciò cadere la tazza nel lavello e si diresse nel giardino, camminando lentamente. Il cellulare le squillò in tasca e, quando lesse il nome del mittente, sentì un leggero brivido di freddo correrle su per la colonna vertebrale. “Oggi compito di mate?” recitava il messaggio di Riccardo. “Ergo, suicidio assicurato” rispose, mordendosi le labbra e chiudendosi dietro il cancello mentre usciva in strada. “Esagerati voi del classico! Se sei a casa aspettami, sto passando!”

Leggendo l’ultimo sms, la rossa sentì una stretta lancinante allo stomaco. Roteò gli occhi, ora ci si metteva anche il suo corpo!

 Si accorse di tremare, brividi sempre più lunghi e penetranti. Non c’era da preoccuparsi, di certo quel nervosismo era dovuto al fatto che quella mattina non aveva bevuto caffè. Una persona in media è nervosa per un eccesso di caffeina, ma,come a Chiara piaceva definirsi, lei era l’eccezione che confermava la regola. Si appoggiò al muretto di casa sua, sentendo il caldo dileguarsi dalle sue membra e il respiro farsi più corto. Riccardo arrivò dopo pochi minuti, camminando tranquillamente lungo il marciapiede, con lo sguardo che mirava oltre la schiera di villette.

La stradina era pressoché deserta, un anziano vicino stava annaffiando le piante del suo giardinetto inglese.

- Hai il viso gelato- disse apprensivo, passandole le nocche sulle guance. Chiara non poté fare a meno di sorridere imbarazzata, stringendo con una mano la spallina dello zaino. Quelle attenzioni da parte del suo migliore amico stavano facendo nascere in lei il sospetto che lui si fosse preso una bella cotta per lei. Forse Sabrina aveva ragione.

- Fa proprio freddo…- brontolò, abbassando lo sguardo. Si abbracciarono lentamente, senza fretta e senza dir nulla. Poi si avviarono verso il corso principale della città e Chiara ebbe la crescente impressione che Riccardo la stesse fissando. 

- Allora? A cosa pensi?- gli chiese la rossa, sospettosa.

Lui smise di fissarsi le converse nere e puntò gli occhi nocciola nei suoi. Sempre attraversati da quel velo di imbarazzo. Chiara lo trovò molto dolce e, segretamente, sorrise.

- Nah, a nulla. Sai che Monica ha trovato un altro ragazzo? E’ stata veloce- tirò su col naso e scalciò via un sassolino dal viottolo.

- Dici sul serio? Andiamo… pensavo l’avessi dimenticata oramai- sbuffò Chiara. Era quello il difetto di Riccardo. Quando le cose cominciavano a farsi un po’ più chiare per lei, convincendola che fra di loro ci fosse qualcosa, ecco che lui se ne usciva con quelle frasi malinconiche sulla sua ultima fidanzata.

- Ma si che l’ho dimenticata, è che ci sono rimasto male, tutto qui. Lo sai che l’ho amata davvero- mormorò il ragazzo, mesto.

- Lei non si è fatta scrupoli a lasciarti da un giorno all’altro, sei patetico, smettila di rimuginare- disse duramente, girando il viso per nascondere la delusione. Riccardo alzò gli occhi e li assottigliò, ferito.

- Ma che cos’hai?- esclamò, accelerando il passo.

Chiara sospirò e si sforzò di essere gentile.

- Parli sempre di Monica quando… oh, lascia stare- sospirò, stringendosi nel giubbotto. Riccardo le bloccò il mento fra le dita e la fisso dubbioso.

- C’è qualche problema?- domandò cauto. Chiara si allontanò, in un improvviso scatto di stizza. I ragazzi non avevano un minimo di intuito.

- Nulla, scusa Riky, lo sai che i compiti di matematica mi mandano sempre in bestia…- mentì e cambiò discorso, cominciando il suo soliloquio su quanto la matematica fosse la materia più ostica della terra.

Quando arrivarono al parcheggio che precedeva la strada del liceo, l’atmosfera fra di loro era già un po’ meno tesa, ma si sentiva nell’aria che qualcosa si era rotto. Riccardo lo capiva dal tono piatto e distante dell’amica, tono che assumeva solo quando si sentiva umiliata o aveva qualcosa di grosso per la testa.

-Ah, che pena quest’amore, eh?- sorrise amaramente la rossa, per poi ammiccare alla sagoma grigia del Giulio Cesare.

- Buona fortuna con la matematica, ci vediamo all’uscita come sempre, vero?- chiese Riccardo, voltandosi già verso la strada laterale dove si trovava la succursale del suo liceo scientifico.

- Ehm… Penso che oggi venga a prendermi mio padre, sai… ho un appuntamento dal dentista subito dopo scuola e…- arrancò, in cerca di una valida scusa per evitare di tornare a piedi col ragazzo. Odiava mentire alle persone in questo modo, anche perché non era nemmeno così brava a inventare palle, ma le era venuto spontaneo. Il pensiero di passare un altro quarto d’ora a parlare dell’ex di Riccardo, cercando di nascondere la sua irritazione, non la allettava per nulla.

- Tranquilla, ho capito… Ci becchiamo- mormorò Riccardo e, mentre stava per allontanarsi, Chiara pensò bene di farsi perdonare schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.

 Il biondo sorrise e lei sentì che le tremavano le gambe, forse per lo sguardo del ragazzo. O forse per lo sguardo affilato di Roberta Della Corte dall’altro lato della strada.

Riccardo si allontanò e in due minuti fu fuori dalla sua portata visiva. Ma Chiara era distratta da qualcos’altro.

Sentiva la schiena come perforata, attraversata da qualcosa di caldo e fastidiosamente intenso. Strinse i denti e, cercando di reprimere l’impulso di alzare il viso e incontrare quello della riccia, arrivò all’ingresso del liceo. Vide la macchina del padre di Sabrina avvicinarsi nella direzione opposta e l’amica dai capelli tinti avvicinarsi con il viso di chi stava per essere condotto al patibolo. Il compito di matematica mieteva parecchie vittime, evidentemente.

-   Non entri?- domandò dubbiosa a Chiara, vedendola indugiare appena fuori la porta. La rossa si morse il labbro, indecisa. Voleva un po’ aria prima di entrare e stare da sola l’avrebbe aiutata a concentrarsi meglio.

Quella mattina tirava un leggero vento, se ne sarebbe restata un altro po’ a sentire la brezza montana accarezzarle le labbra.

-  Dammi dieci minuti…- borbottò.

Si appoggiò scompostamente alla facciata graffitata e, volgendo lo sguardo verso il cielo grigiastro, si sentì svuotata di tutto. Dell’ansia, della paura, dell'amore. Era piacevole, starsene lì senza aver il tempo di pensare. Smettere di dar voce ai suoi problemi, spegnere del tutto i rumori caotici del mondo circostante.

- Non c'è molto sole da prendere... E anche se ci fosse, tu rimarresti comunque una mezza irlandese con la pelle evanescente-

Una voce ruvida al suo fianco si erse dal nulla, accompagnata da una folata di fumo agrodolce. 

Chiara aprì gli occhi di colpo, spaventata. Roberta se ne stava tranquillamente accostata al muro, a qualche metro di distanza. Aveva imparato, oramai, la chiamava distanza di sicurezza, distanza di chi ha sofferto troppo per lasciarsi colpire di nuovo. La prudenza di un'anima incustodita. 

- Anche tu hai la pelle chiara, solo che non sei mezza irlandese... Direi che è uno a zero per me- ghignò la rossa. Aveva imparato anche a fare il suo gioco.

- Ho visto quel flirt da quattro soldi, col quel biondino niente maleDirei che siamo pari-

Chiara sentì il diaframma contrarsi e spezzare la risata che le stava per salire in gola.  Arrossì, sentendo la punta delle orecchie arroventarsi, come accadeva di solito quando era in situazioni simili. La riccia tirò una boccata di fumo, puntando verso di lei i pallidi occhi azzurri truccati di nero. Sbatté le palpebre pesantemente, quasi abbandonandole, poi smise di ridere.

- Certo che sei proprio un’idiota-

Il tono in cui lo disse era un sibilo, acidità allo stato puro. Stridente eppure dannatamente attraente come una scheggia che graffia il vetro. Chiara cercò di tenere a freno le parole, lasciando uscire solo un sospiro dal suo sterno sconquassato.

- Probabile-

“Che fai ora, le dai anche ragione?” si disse, allibita. Il problema è che quella era la verità di cui aveva sempre segretamente sospettato. Anche Roberta doveva essersi sorpresa per quella reazione, la vide sgranare leggermente gli occhi.

- Si vede lontano un miglio che vi piacete-

Ancora quel tono mordace. Aveva attaccato discorso solo per farle la predica? I suoi occhi però comunicavano esattamente il contrario.

- Posso tranquillamente farne a meno- rispose la rossa con orgoglio. Non voleva apparire come la classica ragazzina innamorata cotta, perché non lo era. La prima campanella suonò,facendole trasalire. Chiara fu scossa da un brivido improvviso e si morse le labbra con veemenza. Per un momento il mondo tornò ad essere reale.

- Abbiamo mate alla prima ora?- sbuffò la riccia, calpestando il mozzicone fumante. L’altra annuì, sentendo di nuovo una spiacevole sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Roberta la osservò, mentre si portava lentamente una mano al ventre, stringendo gli occhi.

- Hai paura?-

Quella fece di si con la testa, mentre il respiro accelerava. Le mani cominciarono a tremare, come foglie secche mosse dal vento autunnale. Le chiuse a pugno, convulsamente, per trattenere il tremito,mentre si staccava dalla parete e cercava di dirigersi verso l’atrio. Senza preavviso, senza nemmeno potersi appoggiare al cancello, vide farsi tutto confuso e il petto si alzò fino a gonfiarsi per il suo respiro affannato. Riuscì, nonostante il rumore che faceva il suo cuore, a sentire la voce della compagna.

-Chiara! Che ti prende?- imprecò, prendendola per le spalle prima che si accasciasse al suolo. Respirava a fatica, sentiva l’aria entrarle prepotentemente nei polmoni, a boccate taglienti. Tremava spasmodicamente, sentendo il tessuto del cappotto di Roberta sulla pelle.

- Mi senti?-

Annuì, stancamente. Era tutto così ovattato, le fischiavano le orecchie. Non aveva la forza di parlare. La riccia la strinse di più, per non lasciarla al suolo. Chiara si premise di ascoltare il suo respiro per non perdere i sensi. Il nodo allo stomaco sembrò sciogliersi, lasciandole dentro solo una grande nausea. Si fece forza, stringendo i denti fino a far stridere fra loro i molari.

- Ce la… Ce la faccio- gracchiò, tastandosi  le tempie. Si sorprese di averle ancora, di avere ancora un cranio, doleva così tanto. Della Corte le passò un braccio attorno ai fianchi e la fece appoggiare a se. Chiara notò che era più alta di lei di qualche centimetro, guardandola dal basso. Il viso ovale, le sopracciglia finemente definite, la pelle uniforme e il piccolo naso, i capelli neri ben domati in una treccia, il colore del suo eye-liner. Cercò di fissare tutto intensamente, per non perdersi di nuovo in quel buio.  

- Ma che ti prende!?- esordì la riccia, con un misto di preoccupazione e sollievo.

- Non lo so,  però non è la prima volta che mi succede-

La sua voce flebile stentava a farsi sentire nel rumore del traffico, nel vociare degli studenti che poco distante stavano per entrare a scuola. Le toccò la fronte, sentì la sua mano fresca contro la pelle.

- Non hai la febbre, il cuore batte, respiri regolarmente… Sei viva- la tranquillizzò, prendendole le mani. Chiara annuì, con gli occhi vuoti. Non era la prima volta che le succedeva. Una sera, quando i suoi genitori avevano tardato il ritorno dal lavoro, da sola nel buio della casa, si era sentita allo stesso modo. Si era presa un bello spavento, così aveva chiamato Carmen e non appena l’aveva vista sulla porta il respiro si era fatto più regolare.

Roberta, vedendola ancora così persa, attiro la sua attenzione.

-Sei gelata- mormorò. Il suo respiro, greve per la sigaretta appena fumata, si infranse contro le lentiggini di Chiara. La rossa, non rendendosi ancora conto di quanto fossero vicine, si ritrovò a contare le pagliuzze azzurrine degli occhi della riccia fin quando questa non le prese le mani per riscaldarla.

- Non è necessario…- si lamentò quasi, sentendo le orecchie bruciare ancora di più per l’imbarazzo. Se con Riccardo aveva provato una fitta allo stomaco, ora era come se lì dentro infuriasse una battaglia.

- Dammi retta per una volta- sbuffò Roberta, continuando a sfregare le mani dell’altra fra le sue, calde e morbide di crema idratante.

- Non devi scherzare con queste cose, gli attacchi di panico sono una cosa seria- mormorò poi dopo qualche secondo. Il suo tono sembrava quasi preoccupato. Chiara annuì, ancora un po’ confusa. Roberta era bellissima.

- Chiara, che ci fai ancora qui?-

La rossa si svegliò improvvisamente, cercando di assumere l’espressione più naturale del mondo. Roberta, accorgendosi anch’ella della venuta Carmen, lasciò andare le sue mani quasi violentemente.

- Oh, ecco miss Lustrini! E tu vedi di non inciamparmi più fra i piedi, piccola squilibrata- sibilò con cattiveria, per poi dirigersi imperterrita verso il liceo.

Carmen, vedendo che Chiara ancora la fissava da lontano, le sventolò una mano davanti agli occhi.

- Sicura di stare bene?-

- Scurissima-

                                                        

 

Il compito di matematica, per quando difficile, non rappresentò per Chiara un’enorme difficoltà. Consegnò il foglio subito dopo Michele so-tutto e rimase a fissare il resto della classe affaticarsi per risolvere gli ultimi radicali assegnati.

Vide Roberta piegare il foglio, segno che aveva finito, e scrivere aggraziatamente il suo nome sul fronte.

- Com’è andata?- le mimò quella con le labbra, cercando di non farsi vedere dall’insegnante.

Chiara sentì le sue labbra incurvarsi in un sorriso enorme.

- Benissimo- sussurrò.

 

  
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