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Autore: Briseide    19/05/2007    4 recensioni
"Draco era stato il percorso della mia vita, costruito insieme al suo, fino a quando non li avevamo uniti. Non ha mai voluto credere che questo fosse stato possibile, eppure è esattamente ciò che è stato. E forse avrei dovuto seguirla ancora quella strada, dopotutto l’avevamo quasi finita [...]"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Premessa

Sul titolo: So che probabilmente sembrerà non c'entrare granchè con la storia, ma ha un significato per me. Dato che prima di tutto scrivo per me, ho deciso di non cambiarlo perchè sembra che abbia più senso logico. Quindi sorbitevi il titolo senza senso XD

Sulla storia: Niente di che, questo è lo spazio che mi sono riservata per una dedica. A Daisy05... lei sa perchè, tieni tesoro, questa è anche la Pansy che in parte hai tirato su, e se è migliore che in passato, beccati gli onori :p E grazie perchè mi hai appoggiato negli scleri e nella crisi dopo la perdita dell'altra storia. Grazie sul serio.

Di assoluto riguardo.





Se perdo te cosa farò
io non so più restare sola
ti cercherò e piangerò
come un bambino che ha paura



Credo di averlo messo a dormire, da qualche parte, dentro di me. Non mi sveglio più di notte con l’angoscia nel cuore, ora apro gli occhi la mattina e, stesa, sento solo il dolore
Credo di essere arrabbiata e addolorata per lui, per tutto quello che si sta perdendo. Non potrà essere orgoglioso dei suoi figli, non potrà nasconderglielo dietro uno sguardo veloce e lucido nel bagliore di un emozione che non sarebbe in grado di esprimere a voce; ma di comunicare sì, lo aveva imparato.
Alla fine lo aveva imparato come si fa con le cose più semplici, si era arreso all’evidenza innegabile di quanto fosse più naturale vivere anziché fingere di essere morto.

So che lui non mi negherebbe niente, anche ora che è morto. Soprattutto, so che non mi negherebbe la felicità, so che morirebbe di nuovo perché io sia felice, e me lo ha detto nell’ultimo sguardo che mi ha rivolto. Poche volte mi aveva guardata così. Dritto negli occhi con un’intensità tale da poterla quasi avvertire, e con una dolcezza da fare quasi male al cuore. Il punto è che non mi serve un'altra felicità adesso, credo di aver bisogno di un po’ di tempo. Non mi sono più sentita importante per qualcuno allo stesso modo, dopo di lui. I miei figli guardano a me come il loro punto di riferimento, ma è qualcosa di diverso, un altro tipo di amore, che riempie il cuore ma non il vuoto che Draco mi ha lasciato. So che è incolmabile, potrò riempirlo di ricordi, di pensieri, di sogni e di lacrime, ma non smetterò di sentire freddo. Non c’è davvero più niente che riesca a scaldarmi in altro modo, il gelo della sua assenza è avvolgente e mi intorpidisce. E lentamente, io mi lascio intorpidire con tenerezza.
Penso spesso a lui. Ci penso continuamente e con una nostalgia che mi strappa il cuore ogni volta. E quando il pensiero si adagia docile su di lui, penso che meriterebbe di veder crescere i suoi figli, e di poter stringere ancora la mia mano. Meriterebbe di alzare lo sguardo agli alberi del giardino che finalmente sono fioriti con le semenze che lui aveva ordinato di piantare, meriterebbe di incantarsi ancora in mezzo al corridoio, con le mani in tasca e un sorriso remoto sulle labbra, mentre guarda il ritratto di suo padre e si pone domande su di lui senza poter ottenere una risposta. Merita ancora di essere amato e di sentirselo dire. Merita l’abbraccio timido di suo figlio, e il bacio della sua bambina.
E merita ancora me.

M'hai insegnato a volerti bene,
hai voluto la mia vita: ecco, ti appartiene
ma ora insegnami, se lo vuoi tu
a lasciarti, a non amarti più



Cerco di piangere il meno possibile, ma voglio che i nostri figli imparino a farlo. Gli insegno ogni giorno il valore di un abbraccio, e a non fuggire gli sguardi di chi ci ama. Non mi chiedono mai perché, so che quando saranno pronti lo faranno. E per allora, cercherò di essere pronta anche io, per poterglielo spiegare.
L’ultimo abbraccio l’ho dato a mio figlio, ieri sera. Era intento a sfogliare un vecchio libro della nostra libreria, leggeva tra le pagine fitte con le labbra serrate e le dita già sottili premute al bordo della pagina, pronto a voltarla. Mi sono fermata sulla porta a guardarlo, fino a quando non ho sentito il respiro squarciarmi il petto, in un singhiozzo subito soffocato. Ha alzato la testa di scatto, vigile e serio, e non aveva idea di quanto di suo padre fosse in lui in quel momento.
L’ho guardato ancora, sorridendo lacrime di amore e dolore, e lui si è alzato, verso di me, senza dirmi niente. “Mamma”. Era la voce di un bambino, non quella di Draco, e il dolore è aumentato ancora, più forte, mentre prendevo atto che fosse giusto così. “Vieni qui”. Ho mormorato senza impedire alle labbra di tremare. E mio figlio si è stretto a me, circondandomi la vita con le sue braccia da bambino. Le mie labbra tremavano ancora quando le ho posate tra i suoi capelli di grano, sottilissimi. In qualche modo sapevo che Draco era in quell’abbraccio, che tornava sempre da noi. E da me. Poi l’ho lasciato andare, piano, mentre scioglievo l’abbraccio con nostro figlio. “Torna a leggere”. Gli ho detto piano. Mi ha guardato incerto, ma ha fatto quello che gli ho chiesto.
Quando mi sono scostata dallo stipite, tornando sui miei passi, la sua voce mi ha raggiunta dal corridoio, urgente e curiosa. Aveva paura di farmi male, e questo non fece altro che portarmi ad amarlo ancora di più, con tutte le sue paure, che erano le stesse che suo padre aveva avuto.
“Mamma”.
“Sono qui”.
Non ha detto niente per qualche secondo, così ho pensato di voltarmi, per quanto la gola mi bruciasse e io non sapessi come fare a venire fuori da tutto quello.
“Piangi perché ti ho abbracciato come ti abbracciava papà?”.
Come avrei potuto spiegargli perché piangevo, sua madre, che non vedeva mai debole, perché ero felice che lui ci fosse, e tremendamente addolorata perché suo padre non era lì?
“No amore. Piango perché ho tante emozioni dentro”.
Risolsi rendendomi conto che non era affatto una scusa, e che tra tutte le spiegazioni che avevo dovuto dare a lui e sua sorella dopo la morte di Draco, quella era la prima più vicina alla verità. Lui annuì, in un certo qual modo rispettoso di quelle lacrime, e non fece altre domande per un pò.
“Adesso papà che farebbe?”
Domandò ancora, sempre più curioso e meno incerto. Ho capito subito di quanto avvertisse il bisogno di sentirsi parlare di suo padre, accompagnata dal ricordo di pomeriggi passati con un Draco bambino come me, a sentire i suoi racconti supposti e incerti su quanto suo padre avrebbe detto o fatto se fosse stato lì con noi.
“Tuo padre…”
Non dovetti pensarci, lo vidi compiere quel gesto non appena mio figlio me lo aveva chiesto, erano solo le parole che non volevano venirmi alle labbra, inutili di fronte alla vastità delle sensazioni che avevo d’improvviso sentito quasi contro la pelle. Immaginai quegli occhi accarezzare il mio profilo, cauti e vagamente intimoriti, vidi il suo sguardo abbassarsi e spostarsi dal mio volto, e lo vidi incedere verso di me, con passo molto più sicuro rispetto al modo che aveva di guardarmi, e sentii la sua mano sfiorarmi la spalla, e una lieve pressione imposta al mio corpo, perché mi appoggiassi contro di lui. E poi, fu troppo, sentire il legno contro la pelle anziché lui e il suo petto abbassarsi ed alzarsi teso e preoccupato, incontrare gli occhi di suo figlio e non i suoi, fu troppo. Non sapevo cosa fare di tutto quell’amore, se non potevo darlo a lui, e questa era la verità. La verità era che la mia vita aveva perso il suo corso e il suo perché, che d’improvviso ero fuori posto e senza equilibrio; la verità era che non sapevo che farmene di ricordi che non sarebbero valsi a riportarlo indietro, da me, e che non facevano altro che ferirmi e lasciare aperte le ferite. La verità era che non volevo accudire altro che non fosse il ricordo di tutto l’amore che era riuscito a darmi, in parte senza rendersene conto, in parte consapevole e spaventato. Non sapevo come fare ad amare ancora, e se avessi dovuto farlo, e se ne avessi bisogno. Se lui sul serio mi avrebbe lasciato libera di farlo, e se io glielo avessi permesso. “Non fa niente, mamma”.
Si era avvicinato a me, poggiando una mano sulla mia, e lasciandola scivolare subito.
“Me lo dici un'altra volta”.
Aveva mormorato, lasciandomi sola, come non avevo saputo chiedergli. Talvolta era tutto quello che potessi desiderare, quando l’immagine dei miei figli mi feriva ancora più del lato del letto vuoto e freddo la mattina, rimanere sola, e averlo di nuovo con me.
La mano che premetti contro le labbra non valse niente a frenare i singhiozzi che di nuovo mi spezzarono il respiro, mi lasciai andare contro la parete, il nero della maglietta si sporcò appena della tintura bianca, mentre cadevo, ripiegata su me stessa e il mio dolore a cui non sapevo trovare un rimedio o qualcosa che potesse lenirlo.
L’unica particolarità di tutto quello che ruotava intorno a me, era che Draco non potesse vederla, toccarla, guardarla, viverla con me. Non c’era un’uscita. Lui non c’era.
Conoscevo perfettamente i miei ruoli e i miei doveri, e sapevo che per l’ora di cena sarei comparsa a tavola in perfetto ordine, e avrei servito io stessa i piatti, con un sorriso per tutti e due i bambini. E andava bene così, loro non meritavano anche il mio, di dolore, avevano già il loro che prima o poi li avrebbe colti, tutto insieme come era stato per me.
“Va bene Pansy. Basta….
…adesso basta”.
Non so quanto ci credessi, ma mi alzai, parlandomi come mi avrebbe parlato Draco. A lui avevo concesso tutto quello che neanche credevo di poter avere, lui lo aveva trovato in me e io avevo voluto riservarglielo: essere capace di una carezza, di uno sguardo di tacito appoggio, di fare l’amore con qualcuno che non mi chiedesse altro che la mia reale partecipazione. Aveva sempre avuto la convinzione che io gli avessi insegnato cosa fosse l’amore, cosa prendersi cura di qualcuno, cosa desiderare il meglio finendo per accettare il peggio per sé stessi senza neanche pensarci un momento. E so che è morto con questo pensiero, e invece si sbagliava e si sbaglia ancora dovunque sia adesso, o non sia.
Ho solo imparato con lui, spaventata e fiduciosa, ogni volta sempre un po’ di più, a litigare, a mettersi in discussione, a cercare di crescere, sempre, insieme ma non uguali, e non era stato facile, mi aveva fatto male e io gli avevo fatto male, eravamo stati cattivi e poi consolatori, desiderati e temuti al tempo stesso, sempre, senza fine.
Ci eravamo posti degli obiettivi, sulla panchina di Hogsmeade un pomeriggio in cui non avevamo niente da fare e non volevamo tornare al castello, e li avevamo raggiunti, ancora insieme senza quasi accorgercene e allibiti quando ne avevamo preso atto, e senza dire niente avevamo deciso che la ricerca non era iniziata, e se anche fosse stata, allora era finita, che quella era la nostra strada e volevamo farla insieme, anche se non sapevamo scegliere le parole per dircelo, e avevamo scelto un bacio e un tocco.
E poi, nostro figlio, e poi nostra figlia, aver imparato cosa significa la vita, cosa toglierla e cosa darla. Suo padre era morto senza una parola, un giorno di novembre, e un anno dopo lui stesso era padre del nostro bambino, lo tenevo in braccio e lo guardavo come se tenessi l’intero mondo tra le braccia, Draco non voleva neanche quasi toccarlo, e decisi che era qualcosa che avrei dovuto raccontare a nostro figlio, dello sbigottimento di suo padre, e del modo in cui lo guardava, e dell’oro con cui lo aveva coperto da sempre, poi anche con sua figlia, fino alla fine.
Dei progetti che io e Draco avevamo per loro, e di cui parlavamo sottovoce davanti al camino con un bicchiere di vino e sorrisi complici, e le discussioni su cosa fosse realmente il meglio, spesso discordi, tanto amore e tanta rabbia, ma era parte del gioco, l’eterno scontro di diritti e reclami della convivenza di chi si è scambiato tutto, cuore, pelle, illusioni e progetti.

Draco era stato il percorso della mia vita, costruito insieme al suo, fino a quando non li avevamo uniti. Non ha mai voluto credere che questo fosse stato possibile, eppure è esattamente ciò che è stato. E forse avrei dovuto seguirla ancora quella strada, dopotutto l’avevamo quasi finita, e con tutto quello che mi ha lasciato, insieme ai suoi sentimenti chiusi eppure così vivi, io potevo seguirla ancora, tenendomelo accanto, avanti con me e non indietro.
La strada della mia vita.

Se perdo te, se perdo te
cosa farò di questo amore
ti resterà, e crescerà
anche se tu non ci sarai

[Se perdo te, Patty Pravo]

  
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