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Autore: Belle_    04/11/2012    11 recensioni
«Usagi...», ripeté con dolcezza.
Le stava accarezzando le guance piene di biancore, poi passò a toccarle i capelli dorati lasciati anonimi sulle spalle, ed infine sfiorò le sue labbra con entrambe le mani, con tutte e dieci le dita. La toccava come se fosse tutta roba sua, come se in qualche tempo tutta quella pelle, quelle palpitazioni e quelle ossa fossero state sue. Solo sue.
«Usagi...», sussurrò ancora.
Si chinò sul suo viso con gli occhi dischiusi, le labbra pronte ad improntarsi sulle sue, il respiro spezzato da un'emozione più grande.
Ma lei si scostò, spaventata, e iniziò a toccarsi le mani con morbosità.
Lui le fermò con la sua presa salda, sicura e spaventosa, consapevole di quel vizio immaturo, e la stava fissando con quegli occhi suoi, color cielo. Un cielo antico si stava stagliando su di lei, un cielo pieno di dolore. Ed era tremendo trovarsi sotto una volta così agghiacciante e morbida, meravigliosa e terribile.
* * *
...se perdessi la memoria, a chi crederesti?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Outer Senshi, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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-6) Color Bianco
      Un po' cristallo, un po' neve.





Se ne stava lì, la divisa. Appesa fuori l'armadio, stirata, inamidata, plissettata. Coccolata dai teneri raggi del sole mattutino che entravano dalle finestre socchiuse. Se ne stava lì, in silenzio e in attesa. Come una sfida. Se ne stava lì, mentre le ferite di Usagi sanguinavano dentro la sua testa, dentro le sue mani ferite, mentre il mondo non smetteva di crollarle addosso. Mentre precipitava dal grattacielo più alto di Tokyo.
Se ne stava lì, e Usagi si nascondeva sotto le coperte.
Era giunto il momento di tornare a scuola, era giunto il momento di staccarsi dall'ala materna e affrontare quel suo vecchio mondo e guardare in faccia quel passato. Quel passato che sembrava attanagliarla crudelmente, un calderone di ricordi che se ne stavano oltre la parete bianca ma che le mordevano il cuore. E, quella mattina, Usagi non voleva alzarsi dal suo letto. Non voleva compiere quei pochi passi e vestirsi, non voleva uscire e correre verso la scuola. Aveva paura di trovare qualcos'altro che l'avrebbe terrorizzata o che l'avrebbe fatta sentire come si sentiva da qualche giorno a quella parte.
Tutto per Galaxia e i suoi occhi cioccolato.
Tutto perché Usagi si era arresa.
<< Non voglio. >>, mormorò sotto le coperte. << Questa vita fa troppo male. >>. 
Si sentì accarezzare la testa con dolcezza, << Devi, in qualche modo. >>.
Alzò la testa, affacciò fuori la coperta e vide nell'offuscamento del sonno il viso di una ragazza che imponeva su di lei con il sorriso benevolo, con gli occhi intelligenti e tristi. Lunghi fili corvini scendevano sul suo viso, gli occhi sinceri e violetti che la guardavano, il viso color perla, liscio.
Rei.
<< Rei, che ci fai qui? >>, le chiese con la voce impastata.
<< Sono qui a fare l'amica. >>. Un nuovo sorriso, dolce, amaro per via di quelle lacrime che scendevano dagli angoli degli occhi. Un sorriso amico. << Io ti voglio bene, Usagi, e mi manchi un mondo. Non ti riconosco e vorrei poter fare qualcosa per farti tornare quello scricciolo felice che eri un tempo. >>.
Ma Usagi si era arresa. Non la voleva ricordare, quella vita.
Incoerentemente alle sue decisioni interiori, balzò fuori dalle coperte e, in un impeto di affetto, l'abbracciò fortemente. Iniziò a piangere convulsamente, bagnando la bellissima divisa grigia di Rei con le sue lacrime, ma non se ne curava perché voleva stringersi fortemente a lei. Voleva possedere un pezzo di quella vita lontana, un briciolo di quella felicità che adesso struggeva una delle sue amiche.
Lo vedeva, quel briciolo di felicità. Lo vedeva dentro gli occhi piccoli e tonti di Rei, lo vedeva di riflesso, ma lo vedeva.
<< Ero davvero felice? >>, chiese tra un singhiozzo e l'altro.
Rei si sedette su un angolo del letto, la osservò con dolcezza, e alla fine disse: << Credo che fosse solo una facciata, la tua, ma eri sempre molto sorridente. Forse, era l'amore per Mamoru che ti rendeva così bella e felice, nonostante l'ovvio fatto che avesse una ragazza. Ma questo lo sapevi solo tu. >>.
<< L'amore per Mamoru? >>, inclinò la testa.
Rei annuì. << E' vera la leggenda delle anime gemelle, sai? Credevo a quella leggenda solo perché io e il mio fidanzato stiamo insieme dall'età delle medie, eravamo dei bambini quando ci siamo conosciuti, ma sin da subito ci siamo amati. Un po' perché volevamo essere più grandi della nostra età, un po' perché il cielo ci aveva unito. Ma adesso ci credo con fermezza grazie a te e Mamoru. >>.
<< Io e Mamoru non siamo anime gemelle. >>, mormorò, abbassando la testa.
Già, perché lei si era arresa. Non ci credeva, non voleva crederci.
<< Oh, invece lo siete. >>, annuì con fermezza. << Forse, i tuoi ricordi ci metteranno un po' ad arrivare, ma io e te ci siamo conosciute quando eri già innamorata di Mamoru e io ti ho odiata. Abbiamo litigato per tanto tempo prima di diventare amiche. >
>.
<< Davvero? >>, si sedette comodamente. Si sedeva meglio sulla sua vita. << Perché? >>.
Rei ridacchiò. << Io e Mamoru siamo cugini. Tu eri l'amante di un uomo che stava per sposarsi e, tra l'altro, era mio cugino. >>.
<< Stava per sposarsi?!? >>. Fissò Rei con il terrore negli occhi.
Perché la sua vita doveva essere così? Perché doveva essere una donna così poco raccomandabile? Perché?
No, basta. Niente ricordi, niente di niente. Non voleva più.
<< Poi non si è sposato più, ma la colpa non era tua. Io ho voluto darti la colpa sin dall'inizio e litigavamo sempre troppo per questo, ma non sei stata tu a separarli. Oggi lo so e lo sa anche Galaxia. >>.
<< Galaxia e Mamoru stavano per sposarsi. >>, ripeté come una nenia.
<< Li aveva separati il destino già tempo e un po' erano stati loro stessi, incapaci di non perdonarsi. Tu eri la seconda possibilità di Mamoru, tu eri la sua rinascita, il suo riscatto. E lui lo ha capito, tardi, ed ora lo sappiamo tutti. Meno che tu >>. Rei stava fissando il cielo gonfio di neve, aveva lo sguardo dolce e triste. Guardava fuori per non affrontare lo spaesamento dentro gli occhi suoi. Poi, si volse a Usagi: << Non ricordi nulla di tutto questo, vero? >>.
<< No. >>. Gli occhi erano pieni di lacrime, i singhiozzi si alternavano tra un ricordo frantumato e l'altro, bianco. << Io non so come sia stata capace di fare una cosa del genere, Rei. Ero davvero una ragazza cattiva. >>.
<< Non mi hai sentita, per caso? >>, la rimbrottò.
<< Cosa? >>.
<< Tu sai perché Mamoru sta ancora con Galaxia? >>, le chiese, tornando accanto a lei.
<< No, non me l'ha detto e non lo ricordo. >>.
<< Dovresti chiederglielo, capiresti molto sulla vostra storia. >>, le carezzò i capelli.
<< Non abbiamo una storia, Rei. Ero solo la sua amante. >>.
<< Un'amante fa sesso con un uomo. Tu non hai mai fatto l'amore con Mamoru, tu l'hai solo amato con le parole, con le carezze. L'hai amato con quella forma d'amore che Mamoru aveva bisogno di riscoprire e soprattutto con quella forma di amore di cui aveva bisogno. >>, la stava guardando con molta convinzione. << E in questo caso non si parla di amante, ma di donna della vita, di destino. Di Amore, quello con la A maiuscola. >>.
Rei.
Usagi si cullò per un po' dentro quelle parole dette con dolcezza, dentro quella realtà buona, dentro quel cristallo che rischiava di frantumarsi da un momento all'altro.
<< Stai facendo fin troppo bene l'amica. >>, le sorrise con le lacrime.
<< Dico la verità, Usagichan. >>, sorrise. << Ci ho messo un po' a capirlo, ti ho prima criticata, giustiziata, ma è sbagliando che si impara. Tu e Mamoru siete... tu e Mamoru. >>.
<< Gli eterni indecisi. >>, bisbigliò, stropicciando il lenzuolo.
Ci sfuggiremo sempre.
<< Mi domando se un giorno troverete il coraggio di stare insieme e basta. >>, prese la divisa. << Su, andiamo a scuola. E' ora! >>.
Usagi annuì.
Guardami.
Non voglio guardarti.

Prese la divisa e si vestì con lentezza, mentre la sua testa ripercorreva quei pochi momenti con Mamoru, sentendosi sempre più innamorata. Sempre più lacerata dentro, fratturata dalla dimenticanza e dalla consapevolezza che la sua vita era fin troppo intensa.
Perché se lo facessi, non resteresti ferma.
Aveva detto così Mamoru e forse non aveva torto. Usagi in sua presenza si sentiva come obbligata a baciare le sue labbra, come se ci fosse stata una mano invisibile a spingerla su quelle labbra. Labbra che l'avrebbero accolta senza reticenze.
La gonna plissettata le scendeva dolce sui fianchi, il blu acceso sembrava illuminarla con lo sfondo dalla finestra totalmente bianco.
I cuori di pietra non amano.
Il fiocco rosso sul petto sembrava ammiccare con i bagliori del sole timido di dicembre, il suo viso sembrava che stava iniziando ad alzarsi verso un futuro nuovo e felice.
Perché il suo cuore era ricoperto di roccia? Cosa lo aveva spinto a rintanarsi dentro quella pietra indistruttibile e non accogliere un po' di luce?
Osservò Rei che le sorrideva sulla porta, guardò i suoi tratti e vide alcuni tratti silenziosi di Mamoru sul suo volto. Le sorrise, l'amava perché in lei c'era un pezzo di Mamoru.
E di me proprio non ti ricordi?
No...
Perché non voleva avere un po' di amore dentro quel cuore di pietra?
Non forzarla, Mamoru: ricorderà.
Lo rifiutava come se ne avesse paura, come se non volesse accettare di nuovo quell'amore dentro sé. Come se qualcosa già lo aveva illuminato, ma quella luce lo aveva ferito e bruciato con una tale intensità da spaventarlo come una belva con il fuoco.
Ma vaffanculo!
Usagi sgranò gli occhi, incredula davanti a ciò che aveva capito.
Mamoru aveva già amato.
Abbozzò un sorriso amaro, spezzata dalla sua stessa di decisione di arrendersi.
Mamoru.

La camminata verso la scuola era stata tranquilla e molto rilassante. Il freddo dicembrino l'aveva risvegliata bruscamente e le chiacchiere allegre di Rei le misero il buonumore, nonostante quei particolari che cozzavano contro la sua mente immersa nel biancore accecante. Appena arrivata a scuola, salutò Rei ed entrò dentro la classe che le aveva detto di raggiungere. Secondo piano, terza porta a sinistra.
Quando entrò, la classe rimase in silenzio, sbigottita nel vederla entrare proprio da quella soglia. Usagi rimase ferma sulla porta, bloccata dalla sensazione di essere sotto gli occhi di tutti. Si sentiva come un'intrusa, e fece un passo per indietreggiare e andare via. Qualcosa la bloccò, si voltò spaventata con il cuore che pulsava troppo velocemente.
<< Ehi, Testolina buffa! >>, sussurrò il ragazzo alto, afferrandole una spalla.
La prima cosa che pensò Usagi fu il suo nome come una dolce panna, come qualcosa troppo buono per il suo palato. Come un miracolo.
Seiya.
<< Dove credi di andare? >>, le disse con il sorriso. << E' ora di affrontare i tuoi demoni. Benvenuta nella nostra classe! >>.
<< Io... non credo... >>.
<< Sta' zitta! >>, le disse con tono dolce. << Andiamo. >>, la spinse oltre la soglia e urlò alla classe come se fosse ad una festa: << E' tornata Usagichan! >>.
Seiya.
Il silenzio della classe si spezzò in un fragore di risate e di bentornata calorosi, avvolgendola nell'entusiasmo di semplice affetto, avviluppandola in abbracci sconosciuti e dolci che amò incommensurabilmente.
<< Ben tornata, Usagichan. >>, le disse un ragazzo altissimo con la chioma castana e lunga. << Ora dovrai metterti sotto a studiare più del dovuto. >>.
<< Grazie, mi impegnerò. >>, gli sorrise un po' imbarazzata.
<< Io sono Taiki Kou, il cugino di Seiya. >>, si presentò, togliendola dall'imbarazzo.
<< Ed io sono Yaten Kou! >>, disse energicamente il ragazzo dai capelli argentati. << Sempre il cugino di Seiya e fratello di Taiki. >>.
<< Piacere di riconoscervi. >>, sorrise dolcemente.
<< Usagichan, se vuoi ti darò una mano a studiare, a recuperare... >>.
Usagi si voltò e trovò al suo fianco una piccola ed esile ragazza dal taglio di capelli molto corto, aveva il colore del mare negli occhi e nei capelli.
<< Io sono Ami Mizuno, sono una ragazza della classe accanto ed eravamo amiche. >>, le spiegò timidamente. La vide arrossire mentre stringeva quel tomo di fisica con forza nelle sue minute braccia.
Ami.
Usagi la osservò con il sorriso e l'abbracciò fortemente, fiondandosi addosso alla piccola amica sua. << Piacere di conoscerti di nuovo, Amichan! >>, e rise con fragore. Sentì le braccia di Ami che avvolsero la sua schiena e la strinsero.
<< Ehi, non consumare troppo la mia Amichan! >>, disse Taiki con il broncio.
Ami arrossì e lasciò il suo abbraccio per rifugiarsi dentro quello di Taiki.
<< Forse, la nostra Usagi sta tornando. >>, disse Seiya che la osservava con dolcezza.
<< Usaaaaagiiiichaaannn! >>, le urla da fuori le caddero addosso, assordandola, insieme al corpo di una Minako felice che fece cadere a terra entrambe. << Finalmente ti si rivede a scuola e così posso abbracciarti forte forte! >>.
<< Minachan! >>, disse addolcita. La osservò con quegli occhi blu e quell'espressione infantile che coinvolgeva il suo cuore a battere per la gioia.
Minako.
<< Minako, sei sempre la solita esagerata. >>, la ammonì Yaten con lo sguardo severo.
<< Oh, Yatenuccio mio, non essere troppo severo. Morivo dalla voglia di abbracciarla! >>.
<< Tu muori dalla voglia di tutto... >>, roteò gli occhi in aria.
<< Cosa stai alludendo? >>, Minako lo stava fulminando.
<< Oh, tu muori dalla voglia di quelle scarpe rosse. Muori dalla voglia di mangiare un gelato, muori dalla voglia di quel pupazzo in centro, tu muori dalla voglia di andare al cinema, muori dalla voglia di quel vestito costoso... >>, replicò amaramente.
Minako si alzò da terra e corse da Yaten, gli schioccò un bacio sulla guancia con dolcezza. << Hai dimenticato una cosa: io muoio di te. >>, ammiccò.
Yaten arrossì e l'attirò a sé per la vita, dandole un bacio sulla tempia.
Seiya l'aiutò ad alzarsi, ridendo con allegria. << Ebbene, sì, Usa. Tu facevi parte di questo gruppo squinternato e tanto allegro! >>.
<< Io vi adoro! >>, si lasciò andare alla sincerità. In fondo, la sua vita non era così male.
<< Cos'è questa confusione, ragazzi? >>, una voce femminile entrò insieme al suo corpo perfetto dalla porta. << Seduti! >>.
<< Chi è? >>, chiese in un sussurro a Seiya.
<< E' la professoressa Kaio, professoressa di italiano. >>, sussurrò anche lui. << Ehi, prof! Guardi chi c'è! Usagi Tsukino! Sì, sì, ha sentito bene: Tsukino è tornata dal regno dei morti. >>.
La professoressa si commosse solo nell'udir il nome della sua alunna, giungendo di fronte a Usagi. Le sorrise con dolcezza, come si guarda una figlia perduta, come una zia lontana avrebbe guardato una nipote che era il suo riflesso, e le accarezzò una guancia. << Ben tornata, Usagi. >>, le disse dolcemente.
<< Grazie, professoressa. >>.
<< E' tornata la sua pupilla, prof! Chissà se il prossimo concorso di temi lo vincerà, come il precedente. >>, disse un buffo ragazzo con gli occhialoni spessi e basso. << Io sono Umino, Usagi. Sono il secchione della classe. >>, fece delle virgolette immaginarie con le mani.
Usagi annuì con un sorriso di circostanza.
<< Sì, magari vincerà anche questo concorso. >>, replicò con amore la professoressa.
<< Io le volevo bene, vero? >>, chiese Usagi alla bellissima professoressa dai capelli increspati dal colore del mare.
<< Come io ne volevo a te, ma sono la tua peggiore professoressa. Nonostante sei la mia preferita, non ti avvantaggio mai in nulla. I dieci che prendi ai temi sono solo meritati. Vero, Kou? >>, ammiccò simpaticamente.
<< Certo... >>, brontolò.
<< Lui è uno dei più bravi della classe e si lamenta sempre che tu riesca a prendere voti alti in italiano. Crede che io ti coccoli un po', solo perché sei una persona allegra e immatura. >>, le spiegò mentre andava a sedersi alla cattedra.
Usagi guardò Seiya e ridacchiò, divertita.
<< Cos'hai da ridere, tu? >>, alzò la voce, dandole un buffetto sulla fronte. << E' ancora aperta la sfida sul tema più bello, Usagichan. >>.
<< D'accordo. >>.
<< Bene, ora sedetevi. >>, disse la professoressa.
Usagi si sedette nel posto davanti a Seiya e stette in silenzio per tutta la durata della lezione di italiano, appuntandosi alcune cose una volta tanto. E il resto delle due ore di italiano proseguirono in tranquillità, fino al momento che la professoressa di Diritto ed Economia fece l'ingresso nella sua classe. La professoressa Ten'oo salutò con la stessa dolcezza Usagi, le chiese le cose come andavano e di come si sentisse, ma non accennò a chiederle se ricordasse qualcosa.
Usagi lo scoprì più tardi quando la Ten'oo le chiese una sciocchezza sul Diritto. << Cos'è il diritto, Tsukino? >>.
Usagi si bloccò all'istante, iniziò a strofinare le mani, desiderando con ogni fibra di sé stessa che Mamoru venisse a prenderla e rinchiudesse dentro le sue braccia forti e protettive. Quelle braccia che custodivano un cuore di pietra...
<< Io... non... >>, disse, singhiozzando.
Chiuse gli occhi con forza, sforzandosi di trovare qualcosa da dire. C'era il vuoto, dentro la sua mente. C'era la neve che congelava qualsiasi ricordo o informazione futile, c'era il gelo che la fermava in quella fase di stallo. C'era la sofferenza dentro quel suo vuoto, c'era l'incapacità di andare avanti.
Non ricordava cosa fosse il diritto.
Non ricordava Mamoru.
Non ricordava sua madre.
Non ricordava quale libro amasse e quale no.
Non poteva andare avanti. Rimaneva lì, a metà, senza una meta, senza capire.
Si stava arrendendo lentamente e con violenza.
<< Tsukino, ti senti bene? >>, le chiese la professoressa, avvicinandosi.
<< Forse, è meglio non forzarla, prof! >>, disse, dietro di sé, Seiya.
Usagi scosse la testa, piangendo. << Io non mi ricordo cos'è il diritto e nemmeno la storia europea, nemmeno la geografia. Nemmeno il Teorema di Pitagora, nemmeno uno scrittore, o un cantante. >>, parlò mentre tremava. << Io non ricordo niente. >>.
… Si era arresa.

Uscendo da scuola, Usagi si sentiva sperduta. Camminava a testa bassa, con le mani che stringevano troppo fortemente la sua cartella, e guardava le sue impronte sulla neve. Il venticello le filtrava nelle ossa, ma non le interessava e nemmeno le importava dove quelle sue gambe la stessero portando. Le bruciava la ferita sotto l'addome che con il freddo gelido si era risvegliata, le bruciava la testa, gli occhi e soprattutto quella parte introvabile e che avvampava con più audacia della sua ferita di carne. Quella sull'addome. Camminava senza sapere la meta, ma non se ne preoccupava perché era fuori posto. Ovunque fosse andata, non sarebbe stata casa sua perché aveva scordato diciotto anni.
Le guance vennero inondate dalle lacrime mentre scappava da Rei e Minako, mentre si nascondeva dalla sua stessa vita.
Si era arresa.
La tua mente ti protegge da qualcosa di molto doloroso, Usagi.

Era cosi che le aveva detto Diamond nel suo studio, seduto sulla grande poltrona verde bottiglia mentre gesticolava troppo con quelle sue mani e l'aria saccente.
Forse, prima dell'incidente hai vissuto una situazione non facile ed ora il tuo subconscio ti vieta di soffrire ancora per quella situazione. C'entra Chiba, vero?
Cosa gli importava se Mamoru c'entrasse o meno. Quella era la sua vita e la rivoleva tutta quanta, senza sconti. Senza gabbie di cristallo che minacciassero di rompersi con un urlo di sofferenza. La voleva, quella vita. La voleva disperatamente, voleva viverla con quella stessa audacia che sapeva essere solo sua, voleva viversi e lasciarsi vivere da Mamoru. Quella vita era sua. Punto. E non era possibile per quella sua maledetta mente e il trauma cranico che le aveva guastato la vita intera.
La voleva, decise, ma quel barlume di coraggio già stava sfumando come il suo alitare nel gelo. Le nuvolette del suo respiro già volavano nel cielo, come la sua determinazione, come il suo passato. Si ricongiungeva al cielo, almeno quello.
Il cielo era di un bianco accecante, non era più azzurro.
Un cielo triste.
Si era arresa.

<< Usagi? >>, qualcuno la strappò dai suoi pensieri disperati. << Che ci fai qui? >>.
Mamoru.
Si voltò, gettando a terra la sua cartella e fiondandosi nel suo petto, annaspando.
Non sapeva spiegarsi perché aveva corso contro di lui, importava solo che lui l'aveva accolta e l'aveva stretta con tutta la forza che poteva contenere. Non l'aveva fatto perché voleva consolarsi, l'aveva fatto perché aveva bisogno proprio di lui, del suo petto, del suo calore dimenticato, delle sue braccia sulla schiena.
Era questo l'amore, no? Stringersi al bisognoso desiderio di qualcuno, cercare una via d'uscita dentro un altro labirinto. Un labirinto di carne e respiri, un nuovo intrico in cui perdersi.
Le accarezzò la testa con solo due dita, sfiorandole i capelli dorati, e prese a sorriderle con dolcezza. Quel sorriso bucato ai lati, quegli occhi color cielo che accoglievano rughe di tenerezza. Il suo sorriso, bellissimo e terrificante nello stesso istante. << Che succede, Usako? >>, sussurrò con troppa dolcezza.
Quella voce era rassicurante, quelle braccia non minacciavano nulla, quegli occhi però...
<< Perché sei venuta a casa mia? >>, fece cenno con la testa.
Usagi guardò il grattacielo grigio e scosse la testa. << Io... non lo so. Sono state le mie gambe a portarmi qui, io non sapevo che tu abitassi qui. >>.
Mamoru sorrise ancora. << Evidentemente il tuo corpo freme per me, non come la tua mente che ti difende dal mio ricordo. >>. Ancora giocava con i suoi capelli.
Usagi prese a piangere rumorosamente, stringendosi a lui.
<< Ehi, calma. Che succede? >>.
Usagi non voleva, Usagi voleva semplicemente far riposare la sua mente. Niente più domande, niente più risposte senza meta, ma il suo nuovo labirinto era la sua incognita primaria. Il suo eterno forse ed il se passato.
Quegli occhi, però, erano letali. Quel cielo blu minacciava di inghiottirla ancora, di spezzarla, di ucciderla ancora e ancora.
Un respiro profondo. << Io non mi ricordo niente. >>.
<< Lo so. >>.
<< Nemmeno le cose basilari a scuola. >>.
<< Oh. >>, disse, intristendosi. << Andiamo sopra, parliamo un po'. >>.
Usagi annuì e entrò con Mamoru.

Quando entrò nell'appartamento di Mamoru ebbe sul cuore una sensazione di ghiaccio, una patina rigida e crudele che le imponeva di non fare un altro passo. Nemmeno uno, perché se ne sarebbe pentita. Lo stomaco non smetteva di protestare, attorcigliandosi, e la mente continuava a lanciare spilli troppo lunghi alle tempie per fermarla.
Ma Usagi proseguì.
<< Vieni. >>, disse in tono basso mentre la conduceva nel salotto, stringendola per la vita.
Lei iniziò a guardarsi intorno con curiosità, studiando ogni oggetto della casa di Mamoru e non ricordava un solo oggetto. Forse, quella era la prima volta che era entrata lì.
<< E' carino, l'appartamento. >>, commentò.
Mamoru ridacchiò mentre le porgeva una cocacola. << Lo hai detto anche la prima volta che sei venuta qui. Sei così scontata, a volte. >>.
Usagi sorrise appena e prese a vagabondare nel salone, si sedette sul divano verde scuro. C'era un tavolino, un televisore ultima generazione, tanti libri, due librerie, tanti quadri, tante cornici con il suo diploma, la sua laurea, i suoi attestati, i suoi premi in qualche sport. E non c'erano fotografie. Nemmeno una.
<< Ti senti meglio? >>.
<< Un po'. >>, mentì. Lì dentro si sentiva peggio, ma non poteva essere cattiva contro quegli occhi come il cielo che custodivano già una ferita.
Chissà quale amore gli aveva fatto così male...
Forse quello con Galaxia.
<< Cosa c'è? >>, le chiese.
<< Niente, mi chiedevo una cosa. >>.
<< Cosa? >>.
Lo osservò e fece spallucce. << Perché non ti sei sposato più con Galaxia? >>.
Mamoru strabuzzò gli occhi, << Hai ricordato? >>.
<< No. >>.
Mamoru si irrigidì, posò la sua bevanda e fissò un punto indefinito. << Abbiamo fatto tanti sbagli e il matrimonio non era una scelta sensata. >>.
<< E allora perché ancora stai con lei e non con me? >>.
Mamoru sorrise con amarezza. C'era fin troppa amarezza negli occhi suoi. << Mi domando quando smetterai di chiedermelo. >>.
<< Mi domando quando ti deciderai a rispondermi. >>.
<< Usa, io semplicemente non posso. >>, volse lo sguardo a qualcosa dietro di Usagi.
<< Giusto, è uno di quei romanzetti stupidi. Ti barcameni tra due donne, stai con me, ma non puoi lasciare la tua fidanzata. Non ti sembra giusto. >>. Sospirò e si alzò.
<< No! >>, urlò. << Non farlo anche tu. >>.
<< Cosa? >>, chiese con spavento.
<< Tu mi stai giustificando, tu mi stai perdonando. >>, lo disse come se fosse stato un dolore pari ad una carne che bruciava.
<< E allora? >>.
<< L'hai sempre fatto, Usagi, non farlo ancora. Mi ha perdonato perché non ho lasciato Galaxia, mi hai perdonato perché ti ho mandato a quel paese, mi hai perdonato per non avere la stima dei tuoi. Mi perdoni anche per il fatto che io ti ami troppo per immischiarti dentro tutto questo. Basta! >>. Mamoru si stava agitando.
Si avvicinò, accarezzandone i capelli sulla fronte. << Devo odiarti, forse? >>.
<< No. >>, disse a tono basso. << Voglio che tu non mi perdoni per tutto questo. Lo fa già Galaxia e non lo sopporto. >>.
<< Lo fa per amore? >>, chiese mentre continuava ad accarezzargli i ciuffi corvini.
Annuì, perso. << Lo fa per andare avanti. Non lo fa come te. >>.
Usagi sorrise. << Come lo faccio? >>.
<< Tu lo fai con amore. Tu lo fai perché io ti amo, lo fai perché tu scegli di perdonarmi, di amarmi comunque, di avermi in silenzio e senza fare l'amore. Lei lo fa perché mi ama, perché sa fare bene l'amore, perché abbiamo dentro qualcosa che non potrà mai dividerci. >>.
Usagi ebbe il cuore che tremava, ma non si scompose più di tanto perché sapeva che quel brivido l'aveva già provato. Mamoru già le aveva confessato che l'amava, ma non ricordava. << Ma non è l'amore. >>, concluse proprio lei.
Mamoru annuì. << Qualcosa di più grande, purtroppo. >>.
Usagi scosse la testa, non capendo, ma si chinò sulle sue labbra e ci poggiò le sue con dolcezza, con troppo amore. Riaprì gli occhi e decise di farlo. Sì, respirò e gli disse: << Ti amo. >>. Sì, lo amava tanto, troppo. Era un amore grande, grande come uno sbaglio.
Mamoru si alzò e la prese tra le braccia, stendendola sul divano, i polsi intrappolati dalle sue dite, il suo addome tumefatto sotto il suo possente. Le sue labbra irrimediabilmente sotto le sue, gli occhi inevitabilmente aperti mentre si baciavano. Si staccò, ma rimase fermo su di lei a guardarla. << Tanto lo sai. >>, disse.
Usagi fermò il suo viso tra le sue mani. << Voglio sentirlo. >>. Almeno questo, si disse.
Sorrise con dolcezza. << Ti amo. >>.
Usagi sorrise piena di gioia, era una gioia dannata e lo sapeva benissimo, ma ci si cullò lo stesso. Quell'amore era troppo egoista, si era detta.
<< Vado a prendere qualcosa da bere. >>, disse Mamoru.
<< Forse, è meglio. >>, rispose.
Mamoru si alzò e andò nel cucinino a prendere qualche bevanda nel suo frigo e Usagi si stava ricomponendo. Si era alzata e girovagava nel salotto. Si sorprese quando vide una cornice su un mobile sottile, la prese tra le mani e ne studiò il soggetto. Era una bambina di pochi mesi ripresa mentre guardava spaventata la camera che la stava fotografando. Aveva capelli ricciolini e rossastri, con due occhioni azzurri come quelli di Mamoru, come lo era il viso perfetto e liscio come la buccia di una pesca. Usagi poteva considerarla benissimo la sorellina minore di Mamoru, vista la somiglia straordinaria, ma considerò con troppa maturità i tratti della bambina che non appartenevano troppo a lui.
Sospirò mentre il mondo continuava a frammentarsi sotto i suoi piedi. Stava precipitando giù, giù, sempre più giù.
<< Che fai, Usa? >>, le chiese.
Lo osservò e tornò alla fotografia dello scricchiolo, osservò i tratti teneri e decisi allo stesso tempo, gli occhioni bellissimi ed ingenui che osservavano con quella forza che aveva visto solo dentro gli occhi di... Galaxia.
Deglutì, il cuore spezzato. << Non è l'amore a unirvi per sempre, ma qualcosa di più grande. >>, comprese a voce alta. << Qualcosa di più grande: un figlio. >>.
Mamoru fu schiacciato da una sofferenza troppo grande da poter raccontare solo con gli occhi, abbassò la testa e disse con tormento: << Lei è Chibichibi. >>.
<< Tua figlia. >>, completò la frase. << Tua e di Galaxia. >>.
Vide apparire da dietro la porta il volto serio e rigido di Galaxia, con tutta la sua analisi della fotografia non aveva sentito che qualcuno entrava nell'appartamento. Galaxia la stava guardando come se fosse stata la peggiore ragazza del mondo, un mostro che spezzava cuori e li mangiava. I suoi occhi cioccolato penetrarono dentro i suoi troppo chiari e ingenui per sorreggere quel tipo di dolore.
<< Nostra figlia morta. >>, disse senza tono, sterile e senza emozioni.
Usagi guardò prima Mamoru e poi Galaxia, tornando alla fotografia della bambina bellissima e inesistente ormai.
Qualcosa di più grande, purtroppo.
Purtroppo.

<< Sì, lei non c'è più. >>, disse atono Mamoru mentre lacrime troppo grandi lo scuotevano.
Mentre il cristallo si frantumava con clangore attorno a Usagi e la neve ricopriva il cuore. Mentre il bianco perpetuo la condannava.




Un abbraccio, al prossimo capitolo.
Belle_
   
 
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